8
Sagittarius
cercò di dimenticare tutto: negò l’ira verso
Ofiuco e la pietà per Elena, cancellò la stima e l’invidia nuove verso
Manigoldo, più lontano ancora celò l’amore per Athena, la rabbia verso
la
Viverna che gli aveva strappato un fratello già lontano.
Fu
difficile ritrovare l’isolamento, tornare alla dimensione
di totale autocoscienza, quasi solipsistica, necessaria per sfruttare
il
Settimo Senso, dopo tutto quel trambusto. Persino il ricordo della
birra, per
un istante, lo aveva trattenuto in contatto con il mondo esterno.
l suono delle gocce non doveva essere sangue che scorreva,
ma vita che sgorgava dalla volta celeste alla terra; vita che lo aveva
benedetto ed eletto, che gli aveva concesso la più fiera delle armature.
Quando
ritrovò il governo delle sue stelle, cercò il contatto
con il cosmo di Manigoldo.
Gli venne da sorridere, perché, quando si trattava di Cancer,
persino il cosmo era confusionario. Bruciava in modo irregolare, come
colore
che fuoriesce dalla sagoma di un disegno, come acqua non arginabile.
Entrarvi
in contatto non fu facile, Manigoldo era in quel
momento tutto proiettato sull’esterno, il suo Settimo Senso era in quel
momento
completamente frastornato.
Manigoldo…
Manigoldo…
Molte
volte lo dovette chiamare; la concentrazione di Manigoldo
era persa sulla scia del sangue di Elena.
Sagitter
percepì fortissima l’amarezza del compagno, il suo
cosmo ne era intriso – ma era un dolore legato a qualcosa di molto
vecchio, era
radicato, irradiava da tutte le stelle del Cancro, come se ne fosse il
vero
nucleo.
Manigoldo…
Il
moro rispose con un sommesso gemito alle spalle di Sisifo.
Sentiva, ma non riusciva a gestire il cosmo per rispondere. Egli capì e
andò
avanti.
Riprendi
la padronanza del tuo cosmo,
quanto basta per poter evocare gli spiriti con il Sekishiki Kisouen e disporli ad arco,
ad esso
incoccheremo una freccia che creerò con il mio cosmo. Comanda all’arma
di
tendersi e scoccare al mio segnale.
La
nube di Ofiuco altro non è che un varco
spazio-temporale in cui si rifugia al momento dell’esplosione dei tuoi
fuochi,
la mia freccia lo seguirà all’interno e all’esterno.
Quando lui esce dalla dimensione rallenta
sempre per un istante, sarà possibile colpirlo allora.
Abbiamo ancora un po’ di tempo, prima di
versare il nostro sangue dovrà attendere che l’armatura abbia sorbito
tutto
quello di Elena.
Sisifo
si sentì
ancora peggio a quel pensiero, ma continuò.
Chiudi gli occhi e concentrati; è un’azione troppo
complessa per poter avere un secondo tentativo. I nostri cosmi devono
incrociarsi e collaborare, potrebbe non essere piacevole.
Il
cosmo era infatti
una dimensione così intima per un individuo che difficilmente e
fastidiosamente
poteva essere sfruttato per tecniche collettive.
Tanto più perché gli
unici che avrebbero potuto effettuare azioni congiunte del genere erano
i Gold
Saints, gruppo di guerrieri di forte personalità e grandi capacità, ma
che, per
questo, costituivano gruppo poco coeso, caratterizzato da una grande
tensione
agonale.
***
Ofiuco
era
ipnotizzato dalla ragnatela di sangue che sgorgava dal ventre della
donna. Ad
un certo punto aveva emesso un sospiro, Manigoldò percepì la tensione
erotica
che pervadeva il nemico in quel momento.
Il cosmo dello
Specter era come distorto, bruciava male. Era perverso – offuscato,
brutto.
Cancer
si concentrò
sulle sue stelle, era come se, quel giorno, avesse perso quella parte
di sé in
qualche posto.
Dovette cercare se
stesso come se si fosse trattato di un’altra persona.
Quando riuscì a
sentirlo scorrere in sé, vitale, fu piacevole - un balsamo che allevia
il
dolore alla gola.
Manigoldo si
sentiva, le sue stelle bruciavano vivaci come un falò – le stelle
di Cancer
lo amavano e lo acclamavano a loro signore. Un conquistatore.
La costellazione di
Cancer cedeva la sua forza agli uomini.
Il suo corpo era
ancora bloccato, ma non importava. Manigoldo poteva fare qualunque
cosa, ora,
perché era benedetto e prescelto.
Egli evocò i suoi
fuochi, emersero silenziosamente dal pavimento e in sordina si
disposero a
comporre un enorme arco sopra le teste dei Santi.
L’arma era azzurrina
ed eterea, per quanto imponente - il cuore di un bambino nel corpo di
un
guerriero.
Manigoldo ne fu
fiero.
La
freccia di Sisifo
era già pronta, il suo cosmo era di un oro purissimo, brillava con
violenza.
Fu ciò a ridestare Ofiuco
dallo stato catalettico in cui era caduto.
Inizialmente osservò
la cosa con occhi vuoti – guardava senza vedere nulla, quando torno in
sé li
sgranò ed emise un’imprecazione simile ad un ruggito.
Non
vi badare, procediamo. Veloce!, esortò
Sisifo.
Fecero
avvicinare le
loro creazioni.
Quando la freccia
sfiorò i fuochi fatui, Sisifo sussultò.
Diversamente
da
Manigoldo che usava i fuochi come mezzo per i suoi colpi, Sagittarius
metteva
una parte della sua vita nella forma della freccia, vi riponeva la sua
forza
nella più pura delle forme.
Quando
riuscirono ad
incoccare la freccia e a tendere l’arco, furono percorsi da una scossa.
Fu allora che si
conobbero davvero.
Non
fu una
sensazione descrivibile: come passare davanti allo specchio e guardarsi
di
sfuggita, capire sono proprio io quello, quel buffo individuo
allampanato sono io.
E, davanti a quello
specchio, chiudere gli occhi per cercare di guardarsi riaprirli.
Fu come quando ci si
siede davanti alla tomba del proprio padre e si capisce che il giorno
della sua
morte è già accaduto – ed è anche passato. E sei già dall’altra parte
della
vita.
Fu
comprendersi,
intuirsi, arrivare alla più profonda consapevolezza l’uno dell’altro.
Sei
tu.
E
il cosmo di Sisifo
era come un fenice, nella sua vicenda eterna di morte e vita – Sisifo e
il suo
dolore, la morte; Sisifo e le sue virtù, il costante rialzarsi, la vita.
Come
può sapere il fuoco che la vita è un’onda?
Il fuoco lo sa perché si nutre di ossigeno così
come l’acqua per schiantarsi cerca la terra.
Perché il vento è capriccioso e può togliergli
il fiato da un momento all’altro, salvo poi farlo risorgere e divampare
in un
istante.
Perché la fiamma stillerà anche l’ultima
scintilla in cerca della vita, non si quieterà in pace. Mai si spegnerà
con
lentezza, sarà un’eterna silenziosa lotta.
Superbo il fuoco, benedetta l’acqua, doni di
Dio agli uomini; indomabili, inafferrabili, loro è un’eterna
irrequietezza; e
il fuoco scivola dalla terra all’aria, come l’acqua dall’aria alla
terra.
E scivolano da una parte all’altra della vita,
senza morire mai.
Manigoldo
sorrise.
Mon
semblable – mon frère!*, aveva
detto un poeta.
*Baudelaire,
Au Lecteur
(anacronisticamente citato)
***
Ofiuco era rimasto
immobile ad osservare la freccia rivolta contro di lui. Guardava con
occhi
affamati i cosmi brillare e incatenarsi, e con sguardo clinico i visi
dei suoi
nemici, contratti nella concentrazione.
Quando l’arma fu
pronta, egli toccò con l’indice la Surplice, la quale si richiuse nel
suo
scrigno, lasciando cadere a terra il cadavere di Elena.
Ofiuco si portò
davanti all’armatura in modo da coprirla con le sue spalle. Sorrideva
tutto
denti, gli occhi spalancati, in estasi.
Si fermò lì, a gambe
divaricate, ben piantato sul terreno. Allargò le braccia in un gesto
sorpreso.
Né
Manigoldo né
Sisifo capirono, ma non potevano più trattenere il colpo.
Adesso,
pensarono
contemporaneamente.
La
freccia partì, e
la spinta che le era stata impressa dall’arco fu tale che i fuochi
esplosero.
Nel buio fu un
meraviglioso spettacolo: la freccia parve una cometa, correva contro
Ofiuco ed
egli non si mosse, l’esplosione si verificò nella stanza stessa – il
nemico non
aveva usato il passaggio dimensionale.
I
Saints temettero
di aver fallito.
Non un urlo, non un
movimento da parte di Ofiuco.
Ma il suo cosmo era
sparito; la Viverna era lì, al centro della stanza, ed accanto anche la
Surplice dell’Ofiuco si era ricomposta, prendendo la forma di un fiero
serpente
nero e oro.
Non
dovettero
passare più di pochi secondi che le due armature scomparirono.
Erano tornate
nell’Ade presso i loro vecchi possessori l'una, in attesa di un nuovo
signore l'altra.
Nella stanza restava
solo il corpo di una donna riverso nel suo sangue e i due Santi di
Athena,
immobili.
|