9
L’effetto
del veleno
svanì nel giro di una quindicina di minuti. I loro arti ripresero
sensibilità e
mobilità progressivamente, a partire dalle estremità.
In quel tempo non
poterono fare altro che guardare in silenzio la devastazione innanzi a
loro, e
il sole sorgere e illuminare il tutto. Sembrava un modo per accusarli,
per
rimarcare quanto della missione fosse stato un fallimento.
Il
soffitto era nero
per le esplosioni e le pareti rosse di sangue. Non c’era nulla che
ricordasse
la stanza in cui poche ore prima erano entrati.
Così
è la guerra, pensò
Sisifo, ma era ancora pronto a combattere.
Sagittarius
fu il
primo a riuscire nuovamente a muoversi.
Quando riuscì a
camminare si diresse subito verso Elena, senza voltarsi a guardare
Manigoldo.
Con fatica si tolse il mantello dalle spalle e ve la avvolse.
La seta divenne
immediatamente un sudario rosso.
Sisifo si
inginocchiò davanti al corpo della donna e chinò la testa.
Cominciò a recitare
una preghiera.
Pochi
minuti dopo
anche Manigoldo poté avvicinarsi.
Attraversò la stanza
fino in fondo, dove prima c’era stato il letto a baldacchino, del quale
non
restavano che le macerie bruciacchiate.
Dovette spostare
alcune tavole e alcuni lenzuoli per trovare quanto cercava.
Allora
si accostò ad
Elena, di fronte a Sisifo, il quale alzò il capo per osservare. Ma
Cancer eluse
il suo sguardo.Posò il rosario che
apparteneva alla donna sul suo petto insanguinato; ella lo aveva
stretto e vi
aveva pianto con tanto dolore all’inizio di quella notte.
Si alzò subito in
piedi, e guardò solo di sfuggita e con freddezza quel
corpo martoriato.
Allora sì, scoccò
un’occhiata a Sisifo cercando il suo beneplacito. Egli comprese e
assentì con
un cenno del capo.
Il
corpo della donna
si sollevò a mezz’aria, i due Gold si allontanarono di un paio di passi.
Manigoldo schioccò
le dita e il corpo arse in una fiamma blu che divampò violenta; poi si
concentrò sulle finestre e le aprì.
Entrò un’aria
frizzante, un venticello che scompigliò i capelli, che li rese
finalmente
consapevoli dell’aria pesante all’interno della stanza.
Quando la pira
avesse finito di bruciare, sarebbe stato compito del vento portare via
le
ceneri e concedere l’ultima – inutile – libertà ad un corpo che
probabilmente
non l’aveva conosciuta mai.
Manigoldo
uscì prima
dalla stanza, senza attendere ulteriormente.
Non gli interessava
assistere al funerale di una donna che non conosceva nemmeno, pensò
aspramente.
Non gli
interessavano i funerali. Bisognava guardare avanti, stringere la vita
e
festeggiarla.
Sisifo
lo seguì
immediatamente, ma egli fino all’ultimo si guardò indietro.
E vide in quel fuoco un cadavere
uguale identico a quelli di tutti coloro ai quali era sopravvissuto.
Un giorno anche il
suo corpo sarebbe stato avvolto dalle fiamme senza provare dolore –
pensò a ciò
senza tristezza.
Senza
dolore – un giorno.
***
Quando
scesero le
scale dell’edificio, tutto taceva e le candele erano spente.
All’uscita li
attendeva solamente la maman; di giorno sembrava più brutta ma
meno
cattiva che di notte.
Il suo sguardo
lasciava intendere che sapeva. Non disse nulla, ma si chinò in un
inchino di
dolorosa gratitudine.
In
un angolo del
giardino, proprio sotto le finestre della grande sala all’ultimo piano,
era già
stata eretta una piccola croce di legno, già vi era posato un giglio
bianco.
Manigoldo
sorrise al simbolo della purezza posto alle soglie
di un bordello.
Così
è la morte,
pensò. Non le si nega nulla, ricongiunge tutti gli
opposti.
***
“Ofiuco…” disse Sage, assorto. Tra le labbra sembrò
assaporare ogni lettera di quel nome.
Poi il suo viso si illuminò di una improvvisa giovinezza,
perché giovane doveva essere stato il ricordo che gli era sovvenuto.
“Sì… Conoscevo bene quella Surplice: nella passata guerra
santa l’aveva indossata un uomo dalla grande saggezza.
Era stata la punta di diamante dell’esercito di Hades, ci ha
fatto piangere lacrime amare”, disse. Ma dalla sua espressione sembrò
solo un
uomo che rimpiange i bei tempi passati.
Sage era ancora il giovane e irruento guerriero di quei
giorni, malgrado gli anni.
“Non
ha fatto nulla per schivare o difendersi dal colpo,
dunque?”
Sisifo e Manigoldo negarono in silenzio.
Sage sorrise tra sé e sé, vecchia
volpe, pensò.
“Pensate
che lo abbia fatto in funzione di un piano più
grande?”, chiese Sisifo preoccupato.
Il Gran Sacerdote aveva un’espressione furba, nei suoi occhi
guizzavano la vita e la curiosità.
“Oh no, Sisifo. Se l’ho conosciuto abbastanza bene – e così è
stato -, l’Ofiuco è un guerriero egoista.
È figlio di Apollo, non combatte realmente per Hades. Fa ciò
che fa per se stesso, per la conoscenza.”
Nella sala entrava una brezza salmastra. Le pesanti tende che
incorniciavano la sala della Tredicesima Casa, quella del Gran
Sacerdote, erano
aperte e si vedeva brillare il mare sulla distanza.
“Gli
avete mostrato un mirabile spettacolo, sapete. Un
attacco coordinato con cosmi allo stato puro non è qualcosa che si vede
tutti i
giorni.
In favore della conoscenza avrà voluto vedere cosa accadeva a
ricevere tale colpo.”
Manigoldo ridacchiò: “Sono dei grandi empiristi, i guerrieri
dell’Ofiuco.”
Sage
assentì con un sorriso, “ottimo lavoro”, disse infine, e
poi voltò le spalle, tornando alle sue stanze, sparendo dietro al
pesante
tendaggio bianco.
Sembrò un attore che esce di scena in teatro.
Sisifo e Manigoldo si congedarono con un inchino.
Finita,
pensarono tutti e tre con sollievo.
|