Ed eccoci
qui con il primo vero capitolo! ^w^
Suppongo
che i capitoli di questa fanfic saranno un po' più corti
rispetto a quelli delle altre mie storie, ma va bene così. ^w^
Sinceramente,
gente, sarei davvero curiosa di sapere cosa ne pensate, visto che è
la prima volta che scrivo su questo manga, e destreggiarmi fra due
tizi come Sena e Shin, che finalmente qui fa la sua comparsa e che
spero di aver reso decentemente, maledetto lui (XD), non è poi
così facile e scontato come sembra. °-°
Quindi se
commentate mi farete davvero felice, anche solo per dirmi che la
storia non vi piace: offese a parte, è sempre costruttivo
ricevere delle critiche. ^^
Intanto
però, buona lettura! ^3^
First Down: Incontro
Sena si guardò criticamente allo specchio con
occhi inquieti: la divisa bianca dell'Ojou gli andava leggermente
larga sulle spalle e le maniche gli scendevano fino alle nocche delle
mani. In qualche modo, il ragazzino si sentiva come uno scudiero
novello o un monaco apprendista con tutto quel bianco addosso.
Rimpicciolito, quasi. Più piccolo di quello che era, comunque.
Distolse lo sguardo dalla propria immagine per impedirsi
di piangersi ancora addosso e si affrettò a prendere la
cartella pesante di libri: ancora il solo ricordare i titoli
spaventosi di quei grossi volumi dall'aria ostica gli metteva i
brividi. E dire che aveva fatto così tanta fatica solo ad
entrare, figurarsi a stare al passo con il programma!
La felicità di qualche settimana prima, quando
aveva scoperto di essere stato miracolosamente ammesso al liceo Ojou,
era svanita in fretta con la consapevolezza di dover affrontare uno
dei tirocini più duri e impegnativi delle scuole del Kanto.
Neppure Mamori-nee-san se l'era sentita di affrontarla, e lei era una
delle persone più intelligenti che Sena avesse mai visto.
In confronto a lei, Sena si era sempre sentito privo di
valore.
Lo stava ancora pensando quando scese dal treno alla
fermata vicina alla sua nuova scuola. Ora che finalmente poteva
vederla come propria, doveva ammettere che era un edificio veramente
impressionante, che parlava di grandezza, di mete alte quanto le sue
guglie. Non era una scuola adatta a tutti e non era una scuola che
mirava a poco. Sena lo capì, e se ne sentì affascinato
e intimorito assieme. Si chiese se quella sarebbe diventata davvero
come una seconda casa per lui, o se quell'enorme edificio altero lo
avrebbe sputato fuori come una nocciolina andata a male.
Poco a poco, le persone attorno a lui furono solo
vestite con la sua stessa divisa bianca a bordi azzurri, e in qualche
maniera Sena si sentì leggermente rassicurato di non essere
l'unica persona in strada vestito in quel modo bizzarro. Quando fu ai
cancelli della scuola, iniziò a vedere i primi esponenti dei
club che cercavano di attrarre quanta più gente possibile,
distribuendo volantini a destra e manca, rivaleggiando gli uni con
gli altri per stupire con maschere, divise, cartelloni e chissà
quant'altro i nuovi arrivati. Sena vide diversi ragazzi della sua età
fermarsi interessati a questo o a quel padiglione, e si chiese se
sarebbe stata una buona idea per lui iscriversi ad un club
pomeridiano.
La risposta gli giunse quasi subito durante il discorso
di benvenuto del preside.
- Se siete venuti in questa scuola, e soprattutto se
siete stati ammessi in questa scuola, avrete certamente capito quale
sia la sua portata e la sua grande difficoltà. L'Ojou come vi
imporrà dei grandi sacrifici e molte fatiche, vi aiuterà
a raggiungere dei grandi obiettivi e vi darà nelle basi solide
sulle quali potrete costruire il vostro futuro. Siate orgogliosi di
appartenere a questa scuola. Buona fortuna a tutti voi-.
Sena se l'era aspettato, e mentre saliva con i propri
nuovi compagni di classe ai piani superiori, gli fu chiaro che, a
meno di ricevere per miracolo un'intelligenza prodigiosa, in quei tre
anni avrebbe fatto meglio a scordarsi dei club e a mettersi sotto con
lo studio. La prospettiva lo rese triste.
La prima mattina di lezione confermò i suoi
sospetti sulla severità dei professori: ognuno di essi tenne
un breve discorso prima di incominciare a spiegare la propria materia
e tutti, uomini o donne, giovani o vecchi che fossero, avevano
un'aria severa e assolutamente non disposta a tollerare sgarri alle
regole o nello studio. Sena tentò fin da subito di non
mostrare i tremiti che gli percorrevano le mani e si premurò
di rimanere concentrato e di tenere una faccia seria e diligente per
tutto il tempo. A metà mattina, però, durante
l'intervallo delle undici, si rifugiò subito nel bagno più
vicino per calmare l'ansia.
Merda.
Era inutile quanto tentasse di convincere sé
stesso: quella scuola era decisamente troppo sopra la sua portata.
Lui, che era così abituato a distrarsi e a far vagare la mente
fuori dalla finestra durante le ore di lezione, o a poltrire di
pomeriggio per finire i compiti di sera. Erano passate solo tre ore,
e già aveva un carico non indifferente di esercizi e test da
svolgere entro quella settimana.
Iniziava a sentire le tempie pulsare dolorosamente.
Le tre ore successive furono dedicate alla matematica. E
Sena si sentì disperato quando scoprì che il programma
di quell'anno prevedeva argomenti spaventosi. E si sentì
ancora più disperato quando capì che no, in quelle tre
ore non aveva capito praticamente nulla dell'argomento spiegato. E
aveva cinquanta esercizi da svolgere entro tre giorni.
L'unica cosa positiva in quella mattinata, era il fatto
di essere capitato in una classe formata da persone tranquille e
dalle facce gentili.
- Sena, vai a comprarci dei toast-.
L'ordine perentorio, e nemmeno poi così
velatamente minaccioso, era uscito proprio dalla bocca di una di
queste persone dal viso pulito, curato e amichevole. Ma se le labbra
erano rivolte all'insù, gli occhi gelidi del suo nuovo
compagno di classe erano chiari: o ubbidiva, o ne avrebbe pagato
delle care conseguenze.
- Ci trovi nel cortile sul retro. Hai cinque minuti-.
Merda.
Sentendo anche quell'ultima nota positiva crollare in
mille pezzi, l'unica, piccola speranza che si era mai permesso di
avere di non essere in classe con quei bulli che puntualmente lo
usavano come schiavetto, Sena corse a perdifiato verso quello che
aveva riconosciuto subito come bar della scuola. Si chiese perché
toccasse sempre a lui, perché lo prendessero sempre,
puntualmente di mira.
Forse era il suo fisico gracile, forse era il suo
ridicolo metro e cinquanta di altezza, forse era la sua faccia da
bambino, o forse era la paura che non era mai veramente riuscito a
reprimere e a non far trapelare dai propri occhi, dai propri gesti.
Forse era questo che li rendeva così aggressivi con lui.
Perché lo vedevano come una preda facile, un preda naturale
che era scontato sottomettere, o schiacciare.
Sena non era felice di essere uno schiavo, ma preferiva
essere usato così, piuttosto che essere pestato a sangue, come
già altre volte, in passato, era accaduto.
Quasi urlò di disperazione quando vide che tutti
i toast, di qualsiasi tipo fossero, erano finiti.
Non potendo non tornare, sfrecciò verso il
cortile sul retro per avvertire i suoi nuovi padroni di quel
disastroso imprevisto, zigzagando come una scheggia fra la folla,
cercando di non far caso alle urla spaventate delle ragazze e alle
imprecazioni dei ragazzi e di qualche professore. Sperò solo
che non lo riconoscessero.
Era ormai nel cortile sul retro, quando per poco non si
scontrò con due persone che stavano parlando sulla porta. Notò
di sfuggita che uno doveva essere un professore, con tutti quei
capelli bianchi, mentre l'altro lo riconobbe come uno studente dalla
divisa.
Non potendoli raggirare, scheggiò a tutta
velocità nello stretto varco che c'era fra loro, superandoli
come un fulmine e girando l'angolo per trovare i suoi nuovi padroni.
-L'hai visto, Shin?-.
- Sì-.
- Dio santo...-.
- Vado a prenderlo-.
- Prima che lo faccia qualcun altro, sì-.
Sena aveva il fiatone quando raggiunse il gruppetto dei
suoi compagni di classe, riuniti a cerchio a chiacchierare
tranquillamente, chi mangiando dal proprio bento e chi
semplicemente in piedi. Alcuni stavano fumando. Sena li trovò
un gruppo ben affiatato: probabilmente avevano frequentato le medie
assieme.
- Allora, tappetto? Dov'è il nostro pranzo?- lo
apostrofò uno di loro, vedendolo tornare a mani vuote.
- M-mi dispiace tanto...-incominciò pigolando
Sena, torcendosi le mani- ...i toast erano tutti finiti e...- non
fece in tempo a finire che uno di loro lo afferrò con forza
per un braccio.
- Ti sembriamo così idioti da crederci?- gli
ringhiò ad un palmo dal viso- Anche se fossero finiti, hai
impiegato troppo poco tempo per essere credibile, idiota!-.
Sena si sentì gelare e cercò
disperatamente di spiegarsi, di essere credibile- N-no! Ve lo giuro,
erano finiti sul serio! Ne sono sicuro!- vide uno di quelli che
stavano fumando sbuffare incredulo e avvicinarglisi con la sigaretta
fra le dita- Fa-faccio lo schiavetto dall'asilo, sono abituato ad
essere ve-veloce!-.
Il tizio con la sigaretta lo guardò con le
sopracciglia inarcate- Ma senti!- fece- Allora avrai bisogno di un
incentivo per far meglio il tuo lavoro!-.
Prima ancora di poter replicare, Sena sentì il
ragazzo che lo stringeva afferrarlo saldamente per le spalle,
abbastanza forte da tenerlo fermo, da fargli male; l'altro tizio
invece gli afferrò il polso destro e gli sollevò
velocemente la manica della giacca, scoprendo la tenera pelle
dell'interno del braccio. La sigaretta ora era tremendamente,
spaventosamente vicina alla sua pelle, proprio sotto il gomito, e già
lo scottava con il suo calore. Sena sgranò gli occhi,
incredulo e terrorizzato, il cuore che gli batteva all'impazzata: lo
avevano picchiato ben più di una volta durante la sua carriera
scolastica, lo avevano riempito di lividi fino a farlo zoppicare, ma
mai una cosa del genere. Per quanto piccola ed insignificante, ora la
punta di quella sigaretta gli pareva spaventosa come un ferro
arroventato.
- Credi che così riuscirai a ricordartene?-
ghignò il ragazzo, e abbassò la cicca accesa sul
braccio scoperto della sua vittima.
Sena aveva già chiuso gli occhi, pronto al
dolore, alle lacrime e ai singhiozzi, forse persino alle botte che
sarebbero venute subito dopo, giusto quel che ci voleva per rendergli
un inferno il primo giorno di scuola e ricordargli come sarebbero
stati tutti i giorni dei tre anni successivi. E maledetto lui che
aveva avuto la sfrontatezza di superare l'esame, e più che
maledetta sua madre che lo aveva costretto ad andare in quella scuola
per piccoli, ricchi genietti.
Era pronto a tutto e ne era terrorizzato, ma non ci fu
nessun bruciore sul suo braccio, nessun dolore, nessun fastidio.
Semplicemente, nulla.
Sena aprì gli occhi lentamente, come per paura
che il dolore sarebbe arrivato se lui avesse osato guardare, e ciò
che vide lo lasciò privo di parole.
La mano del suo carnefice era ora ad un palmo di
distanza dal suo braccio, aperta, tesa, le vene a fior di pelle, e la
sigaretta giaceva dimenticata a terra. Sulla pelle abbronzata del suo
compagno di classe spiccava quella più chiara della mano che
gli aveva afferrato il polso. Per un attimo Sena non riuscì a
guardare nient'altro a parte quella mano, quelle cinque dita che lo
avevano appena salvato: in confronto alla tensione dell'altra, quella
mano sembrava quasi rilassata nella sua stretta, assolutamente calma
e prima di aggressività. Eppure il ragazzino capì che
la morsa sul polso dell'altro doveva essere davvero ferrea, se lo
stava trattenendo persino ora.
- E tu chi diavolo sei?-.
Solo al ringhio nervoso del proprio compagno di classe
Sena si riscosse e, finalmente, alzò lo sguardo.
Il tizio che aveva cercato di bruciarlo aveva gli occhi
sgranati, le sopracciglia aggrottate e già una certa
inquietudine aveva preso a nascere nei suoi occhi.
Davanti a lui c'era un ragazzo dai capelli scuri e dal
viso calmo, i tratti eleganti e leggermente affilati, virili;
nonostante stesse tenendo saldamente stretto il polso dell'altro
giovane, nel suo corpo non c'era traccia di tensione o di
aggressività. Sembrava una statua greca, o un cavaliere in
armatura.
- Shin Seijuro, del secondo anno- fu la semplice
risposta- Stavo cercando questo ragazzino-.
E Sena capì subito che si stava riferendo proprio
a lui.
- Non ti conosco- ringhiò il più giovane,
cercando di liberare il polso dalla presa ferrea dell'altro,
inutilmente- E anche se sei un mio senpai dovresti imparare a
non intrometterti in faccende che non ti riguardano!-.
Shin inarcò leggermente un sopracciglio- Gomen.
Ed ora posso avere questo ragazzo?-.
La prima risposta che l'altro aveva pensato
probabilmente non ebbe il coraggio di uscirgli di bocca, forse perché
all'ultimo momento vide una leggera luce di minaccia negli occhi
scuri del ragazzo più grande e bastò un'occhiata veloce
alle sue spalle larghe per scoraggiare qualsiasi tentativo di rissa.
Per qualche strana ragione, dubitava di poterla vincere.
- Fai quel che ti pare- sbottò il tizio,
liberandosi con uno strattone dalla presa del suo senpai e
dirigendosi nervosamente verso l'entrata della scuola, seguito a
ruota dagli altri, tutti assolutamente non desiderosi di approfondire
la conoscenza con quel ragazzo spaventoso.
I due rimasero soli nel cortile, circondati da alti
alberi di chissà quanti anni, ombre morbide e fresche e voci
lontane di altri studenti. Sena, finalmente libero, fece vagare
nervosamente e con ancora un po' di incredulità gli occhi nei
pressi della porta nella quale erano spariti i suoi aguzzini. Poi,
come attratto da una calamita, il suo sguardo si alzò sul
ragazzo che lo aveva salvato, e come lo guardò timidamente in
viso scoprì che l'altro lo stava fissando a sua volta. Colto
alla sprovvista, Sena sentì il cuore saltargli in gola, le
guance diventare leggermente rosse, e, per qualche strana ragione, di
non riuscire a distogliere lo sguardo da quello dell'altro. Nella
penombra del cortile, gli occhi del ragazzo più grande erano
neri come l'inchiostro.
- Tutto bene?- gli chiese... Shin, aveva detto di
chiamarsi?
Sena deglutì un paio di volte prima di riuscire a
parlare- Sì- disse a bassa voce, poi aggiunse- Grazie- e si
precipitò ad inchinarsi il più profondamente possibile-
Grazie mille. Non so come sdebitarmi, davvero...-.
Se in quel momento avesse potuto, Sena si sarebbe
gettato al collo di quel ragazzo e si sarebbe messo a piangere come
un moccioso, tanto era il sollievo e la gratitudine che provava: era
da quando aveva finito le elementari e Mamori era andata in una
scuola diversa dalla sua che nessuno prendeva le sue difese contro i
bulletti di turno che quotidianamente lo perseguitavano. E
Mamori-nee-san era una sua cara amica d'infanzia, mentre questo
ragazzo... Sena era sicuro di non averlo mai incontrato prima.
- Non hai nulla per cui sdebitarti- replicò
stoicamente Shin, insensibile a qualsiasi forma di ringraziamento-
Posso invece sapere come ti chiami?-.
Sena si rialzò all'istante, il cuore che gli
batteva all'impazzata per la felicità e le ginocchia
leggermente molli- Kobayakawa Sena, del primo anno!- disse con gli
occhi che brillavano- P-piacere di conoscerti, Shin-san!- e gli tese
una mano tremante, stupito di tutta quell'intraprendenza.
- Piacere mio- il suo senpai ricambiò la
stretta e il ragazzino la scoprì incredibilmente forte, ma
rimase stupito quando si accorse che non gli stava facendo
assolutamente male: era forte, sì, ma non brutale. Per un
momento Sena sentì la propria mano enormemente fragile contro
quel palmo molto più grande del suo, leggermente ruvido, e
caldo.
Poi il ragazzino sorrise, per la prima volta veramente
felice in quella giornata, e fu quasi come se quel sorriso
illuminasse la penombra attorno a loro.
L'unico che però non sorrideva era proprio Shin,
e Sena se ne chiese mortificato il perché: non che il ragazzo
più grande sembrasse triste, o crucciato, solo non sorrideva.
Il suo viso era calmo, tranquillo, ma c'era una strana luce nei suoi
occhi, attenta e quasi predatrice, e il ragazzino si sentiva come
spogliato sotto di essa. Come se Shin gli stesse guardando dentro,
dietro alla faccia da bambino spaventato che ormai Sena era così
abituato ad indossare, come se stesse cercando di portare alla luce
qualcosa di profondamente nascosto nell'intimo del ragazzino. Questi
arrossì, imbarazzato come se fosse stato nudo davanti
all'altro.
- Ti stavo cercando- disse improvvisamente Shin, senza
smettere di fissarlo- Devi venire un attimo con me-.
A quelle parole, Sena sgranò gli occhi, il
respiro bloccato in gola: lo stava cercando? Doveva andare con lui?
Deglutì. Cercò di calmarsi, ma si rese conto di non
riuscirci, di avere improvvisamente paura.
Cosa poteva volere quel ragazzo da lui? Aveva davvero
fatto qualcosa di male solo il primo giorno di scuola? Poteva essere
così disgraziato?
Gli tornarono subito in mente le imprecazioni dei
professori mentre lui sfrecciava disperato nei corridoi, le due
persone sulla porta che non aveva travolto per puro miracolo.
- Mi-mi dispiace molto di essere stato così
maleducato e imprudente prima nei corridoi!- disse ancor prima che il
suo senpai avesse modo di spiegarsi, certo come non mai di
aver sbagliato proprio lì- Ma quei ragazzi mi avevano chiesto
dei toast, e i toast erano finiti e dovevo assolutamente tornare da
loro entro cinque minuti e...-.
- Non era questo che intendevo- lo interruppe Shin, con
l'aria leggermente sconcertata, forse sbalordito da quella sbrodolata
di parole mortificate.
Sena tacque di colpo e alzò il viso, stupito e
anche leggermente preoccupato, chiedendosi cosa diavolo avesse fatto
di peggio, oltre al tentativo di travolgere una mezza dozzina di
persone nel giro di cinque minuti.
- Parlavo della tua velocità- gli spiegò
Shin- Mi interessa-.
Per qualche assurdo motivo, Sena si sentì
arrossire fino alla punta delle orecchie.
Da parte sua, in quel momento Shin non sapeva davvero
cosa pensare.
Intimamente, si chiedeva se non si fosse sbagliato, se
non avesse trovato la persona sbagliata; ma la precedente sequenza di
scuse disperate pronunciata da quel ragazzino aveva fugato ogni
singolo dubbio: quel turbine di vento che per poco non si era
scontrato con lui e Shoji-sensei era veramente quel ragazzino
imbarazzato. Imbarazzato e spesso, anche senza motivo, spaventato.
Quando si era visto passare davanti agli occhi un'arruffata chioma
castana, così veloce da togliergli il fiato, Shin per un
singolo istante si era sentito gelare dalla testa ai piedi, ma
l'attimo dopo una scarica di adrenalina lo aveva fatto voltare per
cogliere giusto il profilo di una schiena piccola, di una spalla
magra e di un braccio sottile sparire dietro all'angolo
dell'edificio. In quel momento il ragazzo si ritrovò senza
fiato e senza parole, anche se il resto del suo corpo praticamente
smaniava di muoversi, di inseguire quel ragazzo così
spaventosamente veloce per scoprire chi fosse. Se per volerlo sfidare
o per volergli chiedere di unirsi ai White Knights, nemmeno lui lo
sapeva. Semplicemente non aveva mai visto nessuno correre in quel
modo, ed era sinceramente curioso di accertarsi quanto quel
ragazzo fosse veloce, e soprattutto, se fosse più
veloce di lui.
Ora quel ragazzo era davanti a lui e si era rivelato un
ragazzino dal viso da bambino, di un'altezza irrisoria e
incredibilmente sottile. Un ragazzino timido, spaventato, insicuro,
nei cui occhi si leggeva subito una diffidenza intimorita, rivolta
inconsciamente verso chiunque, amico o nemico che fosse.
Shin era semplicemente sconcertato, e improvvisamente
non si sentiva più così sicuro che portare la sua preda
al campo di allenamento fosse una buona idea. Assomigliava più
ad un buco nell'acqua. Perché, onestamente, come sarebbe mai
stato capace di sopravvivere un ragazzino del genere in una partita
di football americano? Non a causa della sua stazza, ma per quel suo
continuo timore e per quella... cos'era? Totale mancanza di
autostima?
Decisamente, era quasi una scelta penosa portare con sé
quel piccoletto, ma Shoji-sensei glielo aveva chiesto esplicitamente,
e nel dubbio Shin preferì attenersi agli ordini.
Anche perché, in qualche modo, ancora sperava di
aver finalmente trovato un compagno che gli fosse pari, o superiore,
in velocità.
- M-ma...- balbettò Sena, improvvisamente preso
da una strana ansia, un nervosismo non del tutto spiacevole,
leggermente lusingato- Ma... ma in che senso ti interessa? Per cosa,
intendo?-.
- Faccio parte della squadra di football americano di
questa scuola, i White Knights. La tua velocità ci serve- gli
spiegò stringatamente Shin, sperando di non spaventarlo più
di quel che già era.
Sena era senza parole. Forse era perché si
sentiva allo stesso tempo intimorito, terrorizzato e, cosa più
incredibile e spaventosa di tutte, assurdamente lusingato.
Nessuno gli aveva mai detto di aver bisogno di lui, che
la sua presenza serviva per qualcosa e a qualcuno, che lo
aveva rincorso proprio per una sua abilità, per qualcosa di
importante e che lui poteva, a differenza di tanti altri, dare. Per
un club sportivo, poi. Sena non sapeva cosa dire, come reagire, se
accettare e andare con quel ragazzo dalla faccia seria, fidandosi di
lui e accontentando il suo neonato ego, oppure rifiutare ed evitare
di illudersi, rimanendo con i piedi per terra e ricordandosi quindi
di essere solo Sena Kobayakawa, un ragazzino assolutamente inutile,
senza nulla di cui vantarsi e di cui nessuno si era mai fidato
veramente dopo averlo visto in faccia e averlo automaticamente
siglato come inetto.
Da una parte Sena voleva crederci, ma dall'altra aveva
paura di ritrovarsi davanti ad una porta chiusa, di ritrovarsi di
nuovo sotto gli occhi di Shin-san, ma di vederli delusi, pieni di
compassione e di malcelato disprezzo. Di sentirlo dire che no, si era
sbagliato, e che lui, piccolo moccioso incapace, avrebbe fatto meglio
a tornarsene alla sua piccola, squallida vita smorta.
Il pensiero gli provocò un profondo dolore
all'altezza del petto.
- Non so se ce la farei a star dietro anche ad un club-
dovette ammettere alla fine, abbassando gli occhi- Non sono una cima
di mio, e il programma è così difficile...-.
- Se hai bisogno di più tempo per studiare, puoi
semplicemente andare a casa prima nel pomeriggio, e nel periodo dei
tornei siamo giustificati dopo ogni partita- se da un lato le parole
di Shin gli accesero una piccola luce di speranza, dall'altro fecero
crollare l'ultima difesa che Sena aveva eretto per potersi evitare
nuove umiliazioni.
Il ragazzino alzò lo sguardo per incrociare
quello del ragazzo più grande, sperando di poter capire in
qualche modo se si potesse fidare davvero del suo senpai, se
avesse veramente potuto affidarglisi.
E negli occhi di Shin, per quanto li scrutasse, non
riuscì davvero a trovare qualche traccia di malevolenza, di
cattiveria, di crudeltà. Non sembrava quel genere di persona.
- Credi davvero che io sia veloce?-.
Lo disse stupidamente e senza rendersene conto, ma non
seppe trattenersi, e le parole gli uscirono basse, fioche, quasi
spaventate, timidamente speranzose.
Qualche attimo di silenzio, in cui Shin si ripose quella
domanda, cercandovi una risposta sincera e onesta, fermamente deciso
a non mentire a quel ragazzino che in quel momento, stranamente, gli
stava dando fiducia e gli chiedeva una rassicurazione, o forse un
aiuto. E nel mentre, lo stava guardando con occhi quasi
supplichevoli.
E in quel momento Shin pensò che, forse, con un
po' di fiducia, con una spinta, quegli occhi avrebbero potuto
riflette qualcosa di più di semplice timore, forse sarebbero
stati gli occhi di una persona consapevole delle proprie capacità,
perché senza alcun dubbio, quella velocità
impareggiabile Shin non se l'era affatto immaginata.
- Sì, lo credo- gli rispose quindi il ragazzo,
serio e senza distogliere lo sguardo da quello del più
piccolo, scoprendosi poi assurdamente sollevato quando vide quei
grandi occhi nocciola sciogliersi in un sorriso che parlava di resa,
di una felice, dolcissima resa.
- Mi fai strada, Shin-san?-.
*§*§*§*§*§*§*
Dizionarietto:
Bento:
è il tipico pranzo al sacco giapponese, ovvero un vassoio
diviso in più parti contenenti svariati tipi di cibo.
Senpai:
usato per indicare ragazzi più grandi.
Gomen:
“scusa”.
Sensei:
“maestro”, usato anche come suffisso.
-san:
suffisso che determina un atteggiamento di rispetto nei confronti
della persona interessata. In ambiente di lavoro significa “signore”
e corrisponde al “Mr/Mrs” inglese, anche se qui non è
il nostro caso.
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