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Autore: Ermal    08/02/2009    4 recensioni
"Sena ebbe quest'impressione solo per un momento, prima di sentirsi definitivamente schiacciato dalla mole di quella scuola incredibile, e non solo dalla mole delle sue guglie altissime, ma anche e soprattutto dalla sua fama di istituto di altissimo livello, ed estremamente, mortalmente selettivo nelle sue ammissioni.
Ojou Private Senior Hight School. E già il nome non era incoraggiante."
Non l'ha fatto di propria volontà, ma Sena si è veramente iscritto al liceo Ojou, e lì dovrà vedersela proprio con quelli che altrimenti sarebbero stati i suoi più acerrimi nemici.
Cosa sarebbe successo se Sena non si fosse mai iscritto alla Deimon?
[ShinSena][TakamiSakuraba]
Genere: Romantico, Drammatico, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Lemon, What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ed eccoci qui con il primo vero capitolo! ^w^

Suppongo che i capitoli di questa fanfic saranno un po' più corti rispetto a quelli delle altre mie storie, ma va bene così. ^w^

Sinceramente, gente, sarei davvero curiosa di sapere cosa ne pensate, visto che è la prima volta che scrivo su questo manga, e destreggiarmi fra due tizi come Sena e Shin, che finalmente qui fa la sua comparsa e che spero di aver reso decentemente, maledetto lui (XD), non è poi così facile e scontato come sembra. °-°

Quindi se commentate mi farete davvero felice, anche solo per dirmi che la storia non vi piace: offese a parte, è sempre costruttivo ricevere delle critiche. ^^

Intanto però, buona lettura! ^3^





First Down: Incontro




Sena si guardò criticamente allo specchio con occhi inquieti: la divisa bianca dell'Ojou gli andava leggermente larga sulle spalle e le maniche gli scendevano fino alle nocche delle mani. In qualche modo, il ragazzino si sentiva come uno scudiero novello o un monaco apprendista con tutto quel bianco addosso. Rimpicciolito, quasi. Più piccolo di quello che era, comunque.

Distolse lo sguardo dalla propria immagine per impedirsi di piangersi ancora addosso e si affrettò a prendere la cartella pesante di libri: ancora il solo ricordare i titoli spaventosi di quei grossi volumi dall'aria ostica gli metteva i brividi. E dire che aveva fatto così tanta fatica solo ad entrare, figurarsi a stare al passo con il programma!

La felicità di qualche settimana prima, quando aveva scoperto di essere stato miracolosamente ammesso al liceo Ojou, era svanita in fretta con la consapevolezza di dover affrontare uno dei tirocini più duri e impegnativi delle scuole del Kanto. Neppure Mamori-nee-san se l'era sentita di affrontarla, e lei era una delle persone più intelligenti che Sena avesse mai visto.

In confronto a lei, Sena si era sempre sentito privo di valore.

Lo stava ancora pensando quando scese dal treno alla fermata vicina alla sua nuova scuola. Ora che finalmente poteva vederla come propria, doveva ammettere che era un edificio veramente impressionante, che parlava di grandezza, di mete alte quanto le sue guglie. Non era una scuola adatta a tutti e non era una scuola che mirava a poco. Sena lo capì, e se ne sentì affascinato e intimorito assieme. Si chiese se quella sarebbe diventata davvero come una seconda casa per lui, o se quell'enorme edificio altero lo avrebbe sputato fuori come una nocciolina andata a male.

Poco a poco, le persone attorno a lui furono solo vestite con la sua stessa divisa bianca a bordi azzurri, e in qualche maniera Sena si sentì leggermente rassicurato di non essere l'unica persona in strada vestito in quel modo bizzarro. Quando fu ai cancelli della scuola, iniziò a vedere i primi esponenti dei club che cercavano di attrarre quanta più gente possibile, distribuendo volantini a destra e manca, rivaleggiando gli uni con gli altri per stupire con maschere, divise, cartelloni e chissà quant'altro i nuovi arrivati. Sena vide diversi ragazzi della sua età fermarsi interessati a questo o a quel padiglione, e si chiese se sarebbe stata una buona idea per lui iscriversi ad un club pomeridiano.

La risposta gli giunse quasi subito durante il discorso di benvenuto del preside.

- Se siete venuti in questa scuola, e soprattutto se siete stati ammessi in questa scuola, avrete certamente capito quale sia la sua portata e la sua grande difficoltà. L'Ojou come vi imporrà dei grandi sacrifici e molte fatiche, vi aiuterà a raggiungere dei grandi obiettivi e vi darà nelle basi solide sulle quali potrete costruire il vostro futuro. Siate orgogliosi di appartenere a questa scuola. Buona fortuna a tutti voi-.

Sena se l'era aspettato, e mentre saliva con i propri nuovi compagni di classe ai piani superiori, gli fu chiaro che, a meno di ricevere per miracolo un'intelligenza prodigiosa, in quei tre anni avrebbe fatto meglio a scordarsi dei club e a mettersi sotto con lo studio. La prospettiva lo rese triste.

La prima mattina di lezione confermò i suoi sospetti sulla severità dei professori: ognuno di essi tenne un breve discorso prima di incominciare a spiegare la propria materia e tutti, uomini o donne, giovani o vecchi che fossero, avevano un'aria severa e assolutamente non disposta a tollerare sgarri alle regole o nello studio. Sena tentò fin da subito di non mostrare i tremiti che gli percorrevano le mani e si premurò di rimanere concentrato e di tenere una faccia seria e diligente per tutto il tempo. A metà mattina, però, durante l'intervallo delle undici, si rifugiò subito nel bagno più vicino per calmare l'ansia.

Merda.

Era inutile quanto tentasse di convincere sé stesso: quella scuola era decisamente troppo sopra la sua portata. Lui, che era così abituato a distrarsi e a far vagare la mente fuori dalla finestra durante le ore di lezione, o a poltrire di pomeriggio per finire i compiti di sera. Erano passate solo tre ore, e già aveva un carico non indifferente di esercizi e test da svolgere entro quella settimana.

Iniziava a sentire le tempie pulsare dolorosamente.

Le tre ore successive furono dedicate alla matematica. E Sena si sentì disperato quando scoprì che il programma di quell'anno prevedeva argomenti spaventosi. E si sentì ancora più disperato quando capì che no, in quelle tre ore non aveva capito praticamente nulla dell'argomento spiegato. E aveva cinquanta esercizi da svolgere entro tre giorni.

L'unica cosa positiva in quella mattinata, era il fatto di essere capitato in una classe formata da persone tranquille e dalle facce gentili.

- Sena, vai a comprarci dei toast-.

L'ordine perentorio, e nemmeno poi così velatamente minaccioso, era uscito proprio dalla bocca di una di queste persone dal viso pulito, curato e amichevole. Ma se le labbra erano rivolte all'insù, gli occhi gelidi del suo nuovo compagno di classe erano chiari: o ubbidiva, o ne avrebbe pagato delle care conseguenze.

- Ci trovi nel cortile sul retro. Hai cinque minuti-.

Merda.

Sentendo anche quell'ultima nota positiva crollare in mille pezzi, l'unica, piccola speranza che si era mai permesso di avere di non essere in classe con quei bulli che puntualmente lo usavano come schiavetto, Sena corse a perdifiato verso quello che aveva riconosciuto subito come bar della scuola. Si chiese perché toccasse sempre a lui, perché lo prendessero sempre, puntualmente di mira.

Forse era il suo fisico gracile, forse era il suo ridicolo metro e cinquanta di altezza, forse era la sua faccia da bambino, o forse era la paura che non era mai veramente riuscito a reprimere e a non far trapelare dai propri occhi, dai propri gesti. Forse era questo che li rendeva così aggressivi con lui. Perché lo vedevano come una preda facile, un preda naturale che era scontato sottomettere, o schiacciare.

Sena non era felice di essere uno schiavo, ma preferiva essere usato così, piuttosto che essere pestato a sangue, come già altre volte, in passato, era accaduto.

Quasi urlò di disperazione quando vide che tutti i toast, di qualsiasi tipo fossero, erano finiti.

Non potendo non tornare, sfrecciò verso il cortile sul retro per avvertire i suoi nuovi padroni di quel disastroso imprevisto, zigzagando come una scheggia fra la folla, cercando di non far caso alle urla spaventate delle ragazze e alle imprecazioni dei ragazzi e di qualche professore. Sperò solo che non lo riconoscessero.

Era ormai nel cortile sul retro, quando per poco non si scontrò con due persone che stavano parlando sulla porta. Notò di sfuggita che uno doveva essere un professore, con tutti quei capelli bianchi, mentre l'altro lo riconobbe come uno studente dalla divisa.

Non potendoli raggirare, scheggiò a tutta velocità nello stretto varco che c'era fra loro, superandoli come un fulmine e girando l'angolo per trovare i suoi nuovi padroni.



-L'hai visto, Shin?-.

- Sì-.

- Dio santo...-.

- Vado a prenderlo-.

- Prima che lo faccia qualcun altro, sì-.



Sena aveva il fiatone quando raggiunse il gruppetto dei suoi compagni di classe, riuniti a cerchio a chiacchierare tranquillamente, chi mangiando dal proprio bento e chi semplicemente in piedi. Alcuni stavano fumando. Sena li trovò un gruppo ben affiatato: probabilmente avevano frequentato le medie assieme.

- Allora, tappetto? Dov'è il nostro pranzo?- lo apostrofò uno di loro, vedendolo tornare a mani vuote.

- M-mi dispiace tanto...-incominciò pigolando Sena, torcendosi le mani- ...i toast erano tutti finiti e...- non fece in tempo a finire che uno di loro lo afferrò con forza per un braccio.

- Ti sembriamo così idioti da crederci?- gli ringhiò ad un palmo dal viso- Anche se fossero finiti, hai impiegato troppo poco tempo per essere credibile, idiota!-.

Sena si sentì gelare e cercò disperatamente di spiegarsi, di essere credibile- N-no! Ve lo giuro, erano finiti sul serio! Ne sono sicuro!- vide uno di quelli che stavano fumando sbuffare incredulo e avvicinarglisi con la sigaretta fra le dita- Fa-faccio lo schiavetto dall'asilo, sono abituato ad essere ve-veloce!-.

Il tizio con la sigaretta lo guardò con le sopracciglia inarcate- Ma senti!- fece- Allora avrai bisogno di un incentivo per far meglio il tuo lavoro!-.

Prima ancora di poter replicare, Sena sentì il ragazzo che lo stringeva afferrarlo saldamente per le spalle, abbastanza forte da tenerlo fermo, da fargli male; l'altro tizio invece gli afferrò il polso destro e gli sollevò velocemente la manica della giacca, scoprendo la tenera pelle dell'interno del braccio. La sigaretta ora era tremendamente, spaventosamente vicina alla sua pelle, proprio sotto il gomito, e già lo scottava con il suo calore. Sena sgranò gli occhi, incredulo e terrorizzato, il cuore che gli batteva all'impazzata: lo avevano picchiato ben più di una volta durante la sua carriera scolastica, lo avevano riempito di lividi fino a farlo zoppicare, ma mai una cosa del genere. Per quanto piccola ed insignificante, ora la punta di quella sigaretta gli pareva spaventosa come un ferro arroventato.

- Credi che così riuscirai a ricordartene?- ghignò il ragazzo, e abbassò la cicca accesa sul braccio scoperto della sua vittima.

Sena aveva già chiuso gli occhi, pronto al dolore, alle lacrime e ai singhiozzi, forse persino alle botte che sarebbero venute subito dopo, giusto quel che ci voleva per rendergli un inferno il primo giorno di scuola e ricordargli come sarebbero stati tutti i giorni dei tre anni successivi. E maledetto lui che aveva avuto la sfrontatezza di superare l'esame, e più che maledetta sua madre che lo aveva costretto ad andare in quella scuola per piccoli, ricchi genietti.

Era pronto a tutto e ne era terrorizzato, ma non ci fu nessun bruciore sul suo braccio, nessun dolore, nessun fastidio. Semplicemente, nulla.

Sena aprì gli occhi lentamente, come per paura che il dolore sarebbe arrivato se lui avesse osato guardare, e ciò che vide lo lasciò privo di parole.

La mano del suo carnefice era ora ad un palmo di distanza dal suo braccio, aperta, tesa, le vene a fior di pelle, e la sigaretta giaceva dimenticata a terra. Sulla pelle abbronzata del suo compagno di classe spiccava quella più chiara della mano che gli aveva afferrato il polso. Per un attimo Sena non riuscì a guardare nient'altro a parte quella mano, quelle cinque dita che lo avevano appena salvato: in confronto alla tensione dell'altra, quella mano sembrava quasi rilassata nella sua stretta, assolutamente calma e prima di aggressività. Eppure il ragazzino capì che la morsa sul polso dell'altro doveva essere davvero ferrea, se lo stava trattenendo persino ora.

- E tu chi diavolo sei?-.

Solo al ringhio nervoso del proprio compagno di classe Sena si riscosse e, finalmente, alzò lo sguardo.

Il tizio che aveva cercato di bruciarlo aveva gli occhi sgranati, le sopracciglia aggrottate e già una certa inquietudine aveva preso a nascere nei suoi occhi.

Davanti a lui c'era un ragazzo dai capelli scuri e dal viso calmo, i tratti eleganti e leggermente affilati, virili; nonostante stesse tenendo saldamente stretto il polso dell'altro giovane, nel suo corpo non c'era traccia di tensione o di aggressività. Sembrava una statua greca, o un cavaliere in armatura.

- Shin Seijuro, del secondo anno- fu la semplice risposta- Stavo cercando questo ragazzino-.

E Sena capì subito che si stava riferendo proprio a lui.

- Non ti conosco- ringhiò il più giovane, cercando di liberare il polso dalla presa ferrea dell'altro, inutilmente- E anche se sei un mio senpai dovresti imparare a non intrometterti in faccende che non ti riguardano!-.

Shin inarcò leggermente un sopracciglio- Gomen. Ed ora posso avere questo ragazzo?-.

La prima risposta che l'altro aveva pensato probabilmente non ebbe il coraggio di uscirgli di bocca, forse perché all'ultimo momento vide una leggera luce di minaccia negli occhi scuri del ragazzo più grande e bastò un'occhiata veloce alle sue spalle larghe per scoraggiare qualsiasi tentativo di rissa. Per qualche strana ragione, dubitava di poterla vincere.

- Fai quel che ti pare- sbottò il tizio, liberandosi con uno strattone dalla presa del suo senpai e dirigendosi nervosamente verso l'entrata della scuola, seguito a ruota dagli altri, tutti assolutamente non desiderosi di approfondire la conoscenza con quel ragazzo spaventoso.

I due rimasero soli nel cortile, circondati da alti alberi di chissà quanti anni, ombre morbide e fresche e voci lontane di altri studenti. Sena, finalmente libero, fece vagare nervosamente e con ancora un po' di incredulità gli occhi nei pressi della porta nella quale erano spariti i suoi aguzzini. Poi, come attratto da una calamita, il suo sguardo si alzò sul ragazzo che lo aveva salvato, e come lo guardò timidamente in viso scoprì che l'altro lo stava fissando a sua volta. Colto alla sprovvista, Sena sentì il cuore saltargli in gola, le guance diventare leggermente rosse, e, per qualche strana ragione, di non riuscire a distogliere lo sguardo da quello dell'altro. Nella penombra del cortile, gli occhi del ragazzo più grande erano neri come l'inchiostro.

- Tutto bene?- gli chiese... Shin, aveva detto di chiamarsi?

Sena deglutì un paio di volte prima di riuscire a parlare- Sì- disse a bassa voce, poi aggiunse- Grazie- e si precipitò ad inchinarsi il più profondamente possibile- Grazie mille. Non so come sdebitarmi, davvero...-.

Se in quel momento avesse potuto, Sena si sarebbe gettato al collo di quel ragazzo e si sarebbe messo a piangere come un moccioso, tanto era il sollievo e la gratitudine che provava: era da quando aveva finito le elementari e Mamori era andata in una scuola diversa dalla sua che nessuno prendeva le sue difese contro i bulletti di turno che quotidianamente lo perseguitavano. E Mamori-nee-san era una sua cara amica d'infanzia, mentre questo ragazzo... Sena era sicuro di non averlo mai incontrato prima.

- Non hai nulla per cui sdebitarti- replicò stoicamente Shin, insensibile a qualsiasi forma di ringraziamento- Posso invece sapere come ti chiami?-.

Sena si rialzò all'istante, il cuore che gli batteva all'impazzata per la felicità e le ginocchia leggermente molli- Kobayakawa Sena, del primo anno!- disse con gli occhi che brillavano- P-piacere di conoscerti, Shin-san!- e gli tese una mano tremante, stupito di tutta quell'intraprendenza.

- Piacere mio- il suo senpai ricambiò la stretta e il ragazzino la scoprì incredibilmente forte, ma rimase stupito quando si accorse che non gli stava facendo assolutamente male: era forte, sì, ma non brutale. Per un momento Sena sentì la propria mano enormemente fragile contro quel palmo molto più grande del suo, leggermente ruvido, e caldo.

Poi il ragazzino sorrise, per la prima volta veramente felice in quella giornata, e fu quasi come se quel sorriso illuminasse la penombra attorno a loro.

L'unico che però non sorrideva era proprio Shin, e Sena se ne chiese mortificato il perché: non che il ragazzo più grande sembrasse triste, o crucciato, solo non sorrideva. Il suo viso era calmo, tranquillo, ma c'era una strana luce nei suoi occhi, attenta e quasi predatrice, e il ragazzino si sentiva come spogliato sotto di essa. Come se Shin gli stesse guardando dentro, dietro alla faccia da bambino spaventato che ormai Sena era così abituato ad indossare, come se stesse cercando di portare alla luce qualcosa di profondamente nascosto nell'intimo del ragazzino. Questi arrossì, imbarazzato come se fosse stato nudo davanti all'altro.

- Ti stavo cercando- disse improvvisamente Shin, senza smettere di fissarlo- Devi venire un attimo con me-.

A quelle parole, Sena sgranò gli occhi, il respiro bloccato in gola: lo stava cercando? Doveva andare con lui? Deglutì. Cercò di calmarsi, ma si rese conto di non riuscirci, di avere improvvisamente paura.

Cosa poteva volere quel ragazzo da lui? Aveva davvero fatto qualcosa di male solo il primo giorno di scuola? Poteva essere così disgraziato?

Gli tornarono subito in mente le imprecazioni dei professori mentre lui sfrecciava disperato nei corridoi, le due persone sulla porta che non aveva travolto per puro miracolo.

- Mi-mi dispiace molto di essere stato così maleducato e imprudente prima nei corridoi!- disse ancor prima che il suo senpai avesse modo di spiegarsi, certo come non mai di aver sbagliato proprio lì- Ma quei ragazzi mi avevano chiesto dei toast, e i toast erano finiti e dovevo assolutamente tornare da loro entro cinque minuti e...-.

- Non era questo che intendevo- lo interruppe Shin, con l'aria leggermente sconcertata, forse sbalordito da quella sbrodolata di parole mortificate.

Sena tacque di colpo e alzò il viso, stupito e anche leggermente preoccupato, chiedendosi cosa diavolo avesse fatto di peggio, oltre al tentativo di travolgere una mezza dozzina di persone nel giro di cinque minuti.

- Parlavo della tua velocità- gli spiegò Shin- Mi interessa-.

Per qualche assurdo motivo, Sena si sentì arrossire fino alla punta delle orecchie.

Da parte sua, in quel momento Shin non sapeva davvero cosa pensare.

Intimamente, si chiedeva se non si fosse sbagliato, se non avesse trovato la persona sbagliata; ma la precedente sequenza di scuse disperate pronunciata da quel ragazzino aveva fugato ogni singolo dubbio: quel turbine di vento che per poco non si era scontrato con lui e Shoji-sensei era veramente quel ragazzino imbarazzato. Imbarazzato e spesso, anche senza motivo, spaventato. Quando si era visto passare davanti agli occhi un'arruffata chioma castana, così veloce da togliergli il fiato, Shin per un singolo istante si era sentito gelare dalla testa ai piedi, ma l'attimo dopo una scarica di adrenalina lo aveva fatto voltare per cogliere giusto il profilo di una schiena piccola, di una spalla magra e di un braccio sottile sparire dietro all'angolo dell'edificio. In quel momento il ragazzo si ritrovò senza fiato e senza parole, anche se il resto del suo corpo praticamente smaniava di muoversi, di inseguire quel ragazzo così spaventosamente veloce per scoprire chi fosse. Se per volerlo sfidare o per volergli chiedere di unirsi ai White Knights, nemmeno lui lo sapeva. Semplicemente non aveva mai visto nessuno correre in quel modo, ed era sinceramente curioso di accertarsi quanto quel ragazzo fosse veloce, e soprattutto, se fosse più veloce di lui.

Ora quel ragazzo era davanti a lui e si era rivelato un ragazzino dal viso da bambino, di un'altezza irrisoria e incredibilmente sottile. Un ragazzino timido, spaventato, insicuro, nei cui occhi si leggeva subito una diffidenza intimorita, rivolta inconsciamente verso chiunque, amico o nemico che fosse.

Shin era semplicemente sconcertato, e improvvisamente non si sentiva più così sicuro che portare la sua preda al campo di allenamento fosse una buona idea. Assomigliava più ad un buco nell'acqua. Perché, onestamente, come sarebbe mai stato capace di sopravvivere un ragazzino del genere in una partita di football americano? Non a causa della sua stazza, ma per quel suo continuo timore e per quella... cos'era? Totale mancanza di autostima?

Decisamente, era quasi una scelta penosa portare con sé quel piccoletto, ma Shoji-sensei glielo aveva chiesto esplicitamente, e nel dubbio Shin preferì attenersi agli ordini.

Anche perché, in qualche modo, ancora sperava di aver finalmente trovato un compagno che gli fosse pari, o superiore, in velocità.

- M-ma...- balbettò Sena, improvvisamente preso da una strana ansia, un nervosismo non del tutto spiacevole, leggermente lusingato- Ma... ma in che senso ti interessa? Per cosa, intendo?-.

- Faccio parte della squadra di football americano di questa scuola, i White Knights. La tua velocità ci serve- gli spiegò stringatamente Shin, sperando di non spaventarlo più di quel che già era.

Sena era senza parole. Forse era perché si sentiva allo stesso tempo intimorito, terrorizzato e, cosa più incredibile e spaventosa di tutte, assurdamente lusingato.

Nessuno gli aveva mai detto di aver bisogno di lui, che la sua presenza serviva per qualcosa e a qualcuno, che lo aveva rincorso proprio per una sua abilità, per qualcosa di importante e che lui poteva, a differenza di tanti altri, dare. Per un club sportivo, poi. Sena non sapeva cosa dire, come reagire, se accettare e andare con quel ragazzo dalla faccia seria, fidandosi di lui e accontentando il suo neonato ego, oppure rifiutare ed evitare di illudersi, rimanendo con i piedi per terra e ricordandosi quindi di essere solo Sena Kobayakawa, un ragazzino assolutamente inutile, senza nulla di cui vantarsi e di cui nessuno si era mai fidato veramente dopo averlo visto in faccia e averlo automaticamente siglato come inetto.

Da una parte Sena voleva crederci, ma dall'altra aveva paura di ritrovarsi davanti ad una porta chiusa, di ritrovarsi di nuovo sotto gli occhi di Shin-san, ma di vederli delusi, pieni di compassione e di malcelato disprezzo. Di sentirlo dire che no, si era sbagliato, e che lui, piccolo moccioso incapace, avrebbe fatto meglio a tornarsene alla sua piccola, squallida vita smorta.

Il pensiero gli provocò un profondo dolore all'altezza del petto.

- Non so se ce la farei a star dietro anche ad un club- dovette ammettere alla fine, abbassando gli occhi- Non sono una cima di mio, e il programma è così difficile...-.

- Se hai bisogno di più tempo per studiare, puoi semplicemente andare a casa prima nel pomeriggio, e nel periodo dei tornei siamo giustificati dopo ogni partita- se da un lato le parole di Shin gli accesero una piccola luce di speranza, dall'altro fecero crollare l'ultima difesa che Sena aveva eretto per potersi evitare nuove umiliazioni.

Il ragazzino alzò lo sguardo per incrociare quello del ragazzo più grande, sperando di poter capire in qualche modo se si potesse fidare davvero del suo senpai, se avesse veramente potuto affidarglisi.

E negli occhi di Shin, per quanto li scrutasse, non riuscì davvero a trovare qualche traccia di malevolenza, di cattiveria, di crudeltà. Non sembrava quel genere di persona.

- Credi davvero che io sia veloce?-.

Lo disse stupidamente e senza rendersene conto, ma non seppe trattenersi, e le parole gli uscirono basse, fioche, quasi spaventate, timidamente speranzose.

Qualche attimo di silenzio, in cui Shin si ripose quella domanda, cercandovi una risposta sincera e onesta, fermamente deciso a non mentire a quel ragazzino che in quel momento, stranamente, gli stava dando fiducia e gli chiedeva una rassicurazione, o forse un aiuto. E nel mentre, lo stava guardando con occhi quasi supplichevoli.

E in quel momento Shin pensò che, forse, con un po' di fiducia, con una spinta, quegli occhi avrebbero potuto riflette qualcosa di più di semplice timore, forse sarebbero stati gli occhi di una persona consapevole delle proprie capacità, perché senza alcun dubbio, quella velocità impareggiabile Shin non se l'era affatto immaginata.

- Sì, lo credo- gli rispose quindi il ragazzo, serio e senza distogliere lo sguardo da quello del più piccolo, scoprendosi poi assurdamente sollevato quando vide quei grandi occhi nocciola sciogliersi in un sorriso che parlava di resa, di una felice, dolcissima resa.

- Mi fai strada, Shin-san?-.


*§*§*§*§*§*§*

Dizionarietto:

Bento: è il tipico pranzo al sacco giapponese, ovvero un vassoio diviso in più parti contenenti svariati tipi di cibo.

Senpai: usato per indicare ragazzi più grandi.

Gomen: “scusa”.

Sensei: “maestro”, usato anche come suffisso.

-san: suffisso che determina un atteggiamento di rispetto nei confronti della persona interessata. In ambiente di lavoro significa “signore” e corrisponde al “Mr/Mrs” inglese, anche se qui non è il nostro caso.



   
 
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