Note dell'autrice:
Scusate per il ritardo, ma salvo cambiamenti i tempi di aggiornamento
potrebbero rimanere questi, circa uno al mese. Vi auguro
buona Domenica e sopratutto buona lettura!
16^Capitolo:
Tra passato e presente
La
corsia dell'ospedale era
immersa nel più totale silenzio, quella situazione era quasi
surreale. E anche se non avrebbe mai voluto, gli sembrò di
vivere un
deja-vu. Il pensiero di quella dannata notte di qualche anno addietro
tornò prepotente in lui. E le circostanze in
realtà molto simili
non lo aiutavano affatto. L'ambulanza era arrivata in tempi
relativamente brevi, e i soccorritori dopo aver tirato fuori Michiru,
l'avevano messa su una barella immobilizzandole il collo. Procedura
necessaria quando vi era un sospetto di trauma cranico, e i sintomi
caratteristici della patologia c'erano tutti. Per sapere quanto fosse
grave però avrebbero dovuto aspettare il risultato degli
esami.
Arrivati
in ospedale l'aveva
potuta accompagnare fino all'ingresso del reparto di terapia
intensiva, poi i medici lo avevano costretto a rimanere fuori, in
attesa di notizie. Da quel momento erano passati esattamente novanta
minuti, aveva la sensazione che il tempo si fosse fermato. Le
lancette dell'orlogio appeso al muro di fronte, tuttavia,
funzionavano e anche bene.
Cazzo
di orologio, il
tempo passa e qua nessuno si fa vivo. Se le succede qualcosa io...
Scosse
violentemente la
testa nel tentativo di scacciare quell'ipotesi.
Un
rumore di passi solleticò
il suo condotto uditivo, cadenze che conosceva fin troppo bene visto
che con loro aveva passato intere serate. Le sue iridi verdi si
posarono sul trio che avanzava nel corridoio verso di lui, le aveva
chiamate non appena era arrivato in ospedale. Erano le uniche che
avrebbe accettato di avere vicino in quei momenti. Sua madre avrebbe
solo iniziato a fargli la predica su cosa e chi aveva causato
l'incidente. Ed erano le uniche cazzate che non voleva sentire:
probabilmente quella volta la colpa era solamente sua, e di nessun
altro. Sua e dell'impulsività che lo contraddistingueva e
che ogni
tanto emergeva facendogli combinare danni potenzialmente
irreparabili.
Se
a Michiru dovesse
succedere qualcosa a causa mia...se per colpa di quella fottuta gara
lei non ci fosse più ...
"Cosa
è successo?"
la voce di Setsuna interruppe il flusso dei pensieri di lui
improvvisamente. Come se in realtà si fosse estraniato dal
mondo
circostante, per essere riportato brutalmente a terra dalla voce
della ragazza.
"Non
lo so, stavo
sfuggendo a Takeshi.. siamo arrivati all'incrocio eppoi non ho capito
più niente, ci siamo trovati una macchina che viaggiava ad
alta
velocità da destra o sinistra ora non ricordo bene..ho
cercato di
schivarla e il risultato e che ho perso aderenza..." mormorò
il
biondo.
"Takeshi?
Ma sei sicuro
fosse lui?"mormorò la bruna con un espressione incredula.
"Ti
rendi conto di che
casino hai combinato? Ora i Kaioh vi rovinano e vi sbattono sotto un
qualsiasi ponte, se vi va bene."esclamò Rei preoccupata per
la
sorte della famiglia di lui.
"Non
dire sciocchezze
Rei, al massimo distruggono la mia carriera da automobilista, e a
riguardo sai benissimo come la penso.." tagliò corto. Non
poteva nascondere che quell'ipotesi non lo avrebbe di certo fatto
dispiacere. Se lui correva, in fondo, era solamente per fare un
piacere alla sua famiglia, per continuare a mantenerla. Ma non era la
vita che desiderava, non lo era mai stata.
"Non
ne sarei molto
sicura, gli aristocratici possono ottenere tutto ciò che
vogliono"
mormorò Hotaru pensierosa "Ti hanno detto come sta?"
chiese.
In
quell'istante nuovi passi
risuonarono nel corridoio, questa volta però non avevano
nulla di
particolarmente famigliare ai suoi timpani.
"Hai
idea di chi è
quello?" bisbigliò Setsuna. Il biondo volse lo sguardo nella
direzione indicatogli dalla bruna, e i suoi occhi si posarono su una
figura maschile slanciata e già vista per puro caso qualche
giorno
prima.
O
no, sto coglione qua
no. Chi lo ha avvisato? Quei capelli neri tirati in un
codino e
quella camminata, sebbene lo avesse visto di striscio solamente una
volta, erano ben impressi nella sua mente.
"Si
Sets... è uno che
ci prova con Michiru, ma lei non sembra troppo entusiasta delle sue
attenzioni" spiegò senza togliere lo sguardo dal nuovo
arrivato. Non aveva mai visto una persona più viscida di
quel
soggetto in tutta la sua vita. Spocchioso e arrogante, era stato
cresciuto con tutti gli agi. Viziato da mamma e papà fino
all'inverosimile.
In
quel momento il dottore
che era entrato nel reparto in compagnia della violinista fece
capolino dalle porte, poteva essere coetaneo di sua madre, lo sguardo
severo e distaccato di chi ha già visto troppo durante lo
svolgimento delle sue mansioni lavorative.
"Chi
di voi è Kou?"
chiese l'uomo scrutando il quartetto.
***
"Sono
io dottore mi
dica, i genitori della ragazza sono fuori città per un tour
ma sono
già stati avvisati nonostante l'ora tarda e rientreranno nel
più
breve tempo a loro concesso. Intanto mi hanno dato il permesso di
informarmi delle sue condizioni di salute." rispose all'uomo. Lo
sguardo si posò sul trio seduto a lato del corridoio, non
ebbe
nessuna difficoltà nel capire chi di loro era Haruka. Non
gli fu
nemmeno difficile capire il motivo della cotta che aveva preso
Michiru nei suoi confronti, totalmente ignara del fatto che quello
che a tutti sembrava un giovane uomo, in realtà fosse una
donna. I
suoi occhi neri si incrociarono con quelli verdi dell'altro.
"Mi
segua all'interno
signor Kou" si sentì dire dall'uomo.
"Possiamo
parlare pure
qua dottore, credo che le amiche di Michiru
abbiano diritto di
sapere in che condizioni versa" rispose.
"Come
vuole, la
paziente nell'incidente ha subito un trauma cranico piuttosto
importante, e non essendoci rotture dello strato epidermico deve
essere tenuta in osservazione almeno fino a domani per intervenire
nel caso insorgano complicazioni. È stata effettuata anche
una tac
in modo da avere un quadro completo ma per i risultati ci
vorrà un
pò. Non oltre la mattinata comunque.." spiegò
rivolgendosi al
gruppo.
"Dottore"
la voce
femminile di un'infermiera lo interruppe "La paziente ha ripreso
conoscenza, ha chiesto di un certo Haruka" disse. La ragazza
aveva gli occhi color cioccolato e i capelli biondo cenere, indossava
l'uniforme di servizio che tuttavia fasciava splendidamente le sue
forme.
Giustamente
chiede di lui
e nemmeno di me. Quella
constatazione gli provocò un leggero nervoso, che decise
comunque di
tenere per se: presto o tardi avrebbe avrebbe chiuso quella
situazione del tutto surreale. E i Kaioh avrebbero avuto pane da
mordere per i loro denti.
***
Flash
back
La
stanza in cui fu
accompagnato aveva i muri candidi e il pavimento grigio antracite,
l'odore di disinfettante rispetto al corridoio persisteva in
quantità
maggiori. Al centro delle quattro mura i suoi occhi verdi si posarono
su colui che era sdraiato quasi inerme sul letto. Intorno macchinari
sconosciuti registravano i parametri vitali del paziente ad ogni suo
faticoso respiro. Vedere Harumoto in quelle condizioni
provocò un
nodo alla gola difficile da ricacciare indietro, e non era nemmeno
sicuro che fosse la cosa giusta relegarlo nello stomaco.
Il
fratello volse appena il
capo nella sua direzione facendogli lieve cenno di avvicinarsi.
"Come
ti senti?"
gli chiese. Era una domanda sicuramente stupida, perchè era
palese
lo stato del fratello. Forse era solo un tentativo di sfuggire alla
dura realtà.
"Mi
sento come ...se mi
fosse..passato..sopra ...un camion" fu la risposta del ragazzo
attravverso la mascherina dell'ossigeno. "Haruka... credo che
sta volta non uscirò da qua... " continuò.
"Ma
non dirlo nemmeno
per scherzo!!" esclamò "Vedrai che andrà tutto
bene i
medici faranno il possibile per sistemare tutto, a casa abbiamo
bisogno di te, sai benissimo che stiamo passando un brutto
periodo..papà non sarà con noi ancora per troppo
tempo. Non puoi
abbandonarci anche te" nel dire ciò si dimenticò
quasi di
prendere fiato. Deglutì rumorosamente nel tentativo di
ricacciare
dentro le lacrime. Era forte. Non doveva piangere. Il suo tentativo
non andò a buon fine: piccoli rivoli d'acqua ne rigarono le
guance
senza la possibilità di essere fermati.
"Haru..
per favore
...non rendere tutto più difficile... serve che tu non perda
lucidità a casa..hanno bisogno di te... promettimi solo che
ti
occuperai sia della mamma che di Usagi...promettimi che farai di
tutto...per renderle felici...anche dopo che papà non ci
sarà
più..." un debole sospiro uscì dalle sue labbra.
"Non
ti prometto nulla
perché verrai a casa con me... devi venire a casa con tutti
noi!!!"
la disperazione che sentiva crescere dentro era più grande
di quanto
era convinto potesse sopportare. La situazione del padre era
già
abbastanza, non era sicuro di poter reggere anche quel nuovo ostacolo
che il destino aveva scelto di porre davanti alla sua famiglia.
Un
improvviso fischio si
librò da uno degli strumenti di monitoraggio delle funzioni
vitali,
i suoi occhi verdi colmi di disperazione si posarono sul quadrante
del cardiografo sul quale la linea a zig-zag improvvisamente era
diventata piatta.
Non
ci volle molto tempo
prima che nella camera piombasse il medico seguito da due infermiere.
Una di queste, la più anziana, gli si avvicinò
con fare tranquillo.
"Forse
è meglio che
esci dalla stanza" le parole dell'infermiera dal volto rotondo e
paffutto incorniciati da capelli tendenti al grigio risuonarono in
lui come un eco lontano. Improvvisamente le sue gambe sembravano
fatte di piombo, ed era convinto che anche un solo passo gli sarebbe
costato immensa fatica. Si limitò a guardare la donna che
ricambiò
lo sguardo a sua volta con un espressione dolce e comprensiva di
quelle che potevano essere le sue sensazioni in quel momento.
Non
riuscì a dirle nemmeno
una parola. Sapeva che doveva concentrare le uniche forze celebrali
che gli rimanevano per riuscire a varcare la porta di quella stanza e
uscire dal reparto in attesa che gli facessero sapere qualcosa.
Come
unico accompagnamento
il rumore proveniente dal cardiografo.
***
Scosse
la testa come se
volesse scacciare una fastidiosa zanzara: vano tentativo di
rinchiudere i pensieri nel pozzo in cui li aveva riposti anni prima
per sfuggire alla presa soffocante del dolore che aveva provato e
sentito mentre era cosciente che suo fratello stava volando via e che
nessuno, nemmeno i medici, avrebbe potuto salvarlo. E ancora
pensò a
come quegli eventi si stavano ripetendo quella stessa notte, la
similarità tra passato e presente lo spiazzava come poche
cose prima
d'ora.
No
questa volta andrà
tutto bene, me lo sento.
Pensò
tra se e se. Il solo pensiero di perdere anche lei era
insopportabile. Era convinto che se lei se ne fosse andata, non
avrebbe avuto remore a seguirla, per le sue amiche poteva sembrare un
qualcosa di esagerato. Magari anche di incomprensibile, in fin dei
conti lui la violinista la conosceva da poco. Non avevano nemmeno
tutti i torti a pensarlo. Ma era ciò che gli sembrava
più giusto
fare, piuttosto che vivere una vita in cui era imprigionato.
Le
pareti del corridoio
erano bianco candido, hai lati dello stesso erano presenti sedie per
i visitatori e i vari carrelli con i medicinali e le terapie
necessarie per salvaguardare la salute dei pazienti ospitati in quel
reparto.
Al
suo ingresso nel
corridoio la giovane infermiera gli aveva fatto segno di andare fino
in fondo al corridoio per poi girare a destra. E il corridoio per
quanto stesse procedendo con passo svelto, sembrava interminabile.
***
Le
sue orecchie abituate a
captare qualsiasi rumore nell'ambiente circostante riconobbero subito
la cadenza del passo familiare che l'aveva accompagnata per alcune
ore nei giorni precedenti. Sapeva che lui non se ne sarebbe andato
prima di aver avuto la possibilità di vederla e parlarle.
Così come
sapeva che una volta saputo tutto, i suoi genitori non le avrebbero
mai permesso di continuare a vederlo. E all'idea si sentì
soffocare.
Fu costretta a chiudere gli occhi e respirare una grande
quantità di
ossigeno nella mascherina, non che avesse bisogno della respirazione
assistita, però in quel momento l'ossigeno le
tornò stranamente
utile.
Vai
a capire sti medici,
sto fin troppo bene per quanto mi riguarda.
L'unico
fastidio che
avvertiva era un dolore alla testa quasi permanente che si protendeva
fino alla cervicale per poi scendere sulle spalle. Qui aumentava e
diminuiva al ritmo del respiro.
Non
appena lo vide
sull'uscio della sua stanza, nonostante il viso segnato da qualche
graffio, ebbe come la sensazione di aver visto già tutto
ciò che
gli serviva nella vita. La sua presenza in quella stanza la
rincuorò,
sebbene a pelle sentiva il disagio e il turbamento di lui. Lo
fissò
quasi curiosa mentre lui le si avvicinava.
"Come...come
stai?"
gli chiese, deglutendo rumorosamente un attimo dopo.
"Dolori
vari a parte,
direi piuttosto bene...sto aspettando i risultati della tac per
scongiurare la presenza di lesioni importanti" gli rispose.
"Son
contento che non
stai troppo male" mormorò lui, leggermente più
sollevato.
"Volevo
chiederti
scusa, sono stato stupido ad accogliere la sfida di quel
coglione...avrei potuto farti morire... per colpa della mia
impulsività" la voce gli si incrinò. L'udito di
lei captò
immediatamente il cambiamento, a vederlo in quello stato le
dispiacque.
"Non
preoccuparti, non
potevi immaginare che sarebbe finita così" cerco di
rassicurarlo. Anche se il suo sesto senso capì che il suo
dispiacere
in parte derivava da qualcosa a lei totalmente sconosciuto, il
problema era capire cosa. Lo osservò attentamente. Il volto
contratto come a trattenere le lacrime, gli occhi lucidi e
leggermente arrossati dalla stanchezza, le spalle basse.
L'atteggiamento spavaldo che era abituata a vedere in lui da sempre
era in quel momento un lontano ricordo.
No
tu non stai affatto
bene, fai solamente finta. Ma dentro hai una voragine. Probabilmente
siamo più simili di quanto pensassi.
"Ti
hanno già detto
per quanto tempo ti tengono ricoverata?" si sentì chiedere
con
tono apprensivo.
"Non
ancora, credo
comunque due o tre giorni, in tempo necessario per accertarsi che io
stia veramente bene, visti i dolori che ho di cui sono a conoscenza"
gli spiegò "Haruka lo sai vero che ora i miei genitori
scopriranno tutto e non so come andrà a finire? Non so se mi
daranno
il permesso di vederti? Loro sono a favore di Seiya anche se io non
lo sopporto proprio ultimamente, non è lui quello che cerco"
il
solo nominare i genitori la fece agitare, impedendole di respirare
bene come aveva fatto fino a quel momento a causa dei dolori costali.
"Lo
so Michi, ma ti
prometto che un modo lo troveremo comunque anche se loro non saranno
d'accordo" disse il biondo sorridendole.
Una
terza persona bussò
allo stipite della porta, facendola voltare in quella direzione, era
una delle due infermiere del reparto. L'unica che aveva avuto
già
modo di conoscere da quando era arrivata in quella stanza ed aveva
ripreso conoscenza. Corporatura robusta e capelli raccolti in una
coda.
"Mi
scusi se la
interrompo, ma devo tutelare il benessere della nostra paziente, e le
devo chiedere di uscire per farla riposare" disse la donna
dagli occhi castani.
"Non
si preoccupi esco
subito il tempo di salutarla" fu la risposta del motociclista.
L'interlocutrice annuì per poi sparire nel corridoio.
"Meglio
che io vada, ci teniamo in contatto, nella tua borsa c'è il
cellulare ti scrivo li appena mi sveglio. Quando vado a casa cerco di
dormire un pò anche se sarà difficile. Ormai ho
perso il sonno"
"Aspetto
che mi scrivi
allora" mormorò la violinista, oggettivamente si sentiva
piuttosto stanca e debilitata, in fondo anche quando suonava a
qualche concerto, a quell'ora dormiva ormai da un pezzo.
"Buona
notte Michi"
furono le ultime parole di lui, prima che egli si abbassasse per
darle un bacio sulla fronte e dirigersi verso l'uscita del corridoio.
***
Flash
back
Alla
fine del corridoio
trovò le loro amiche di sempre ad aspettare. Sui loro volti
i segni
dell'angoscia che la faceva da padrone in quei terribili momenti.
Appena riconobbero il suo passo stanco alzarono lo sguardo su di lui.
"Allora?"
era
Setsuna, nonostante tutto trovava ancora la forza di chiedere, di
continuare a sperare che tutto si risolvesse per il meglio.
Continuare a sperare che Harumoto tornasse con loro a casa prima o
poi, con le proprie gambe. Magari con qualcosa di ingessato ancora,
ma vivo e vegeto.
Si
limitò a scuotere la
testa senza riuscire a dire nulla, mentre le lacrime tornarono
copiose a segnarne il volto.
"Che
vuol dire Ruka?"
esclamò lei, quasi incredula. Non poteva credere a
ciò che quel
modo di comportarsi della persona davanti a lei stava a significare.
O forse non voleva?
"Il
cardiogramma ha
smesso di segnare battito mentre ... mentre ero
dentro....stanno...stanno cercando...di riprenderlo..." disse,
immerso nel pianto. Pochi istanti dopo fu avvolto dal profumo che
sprigionava la chioma nera dell'amica che si era alzata di getto per
abbracciarlo.
"Andrà
tutto bene
vedrai, riusciranno a farlo stare bene" il tentativo dell'amica
di consolarlo, si rivelò essere vano. Non voleva sentire
nient'altro
che il medico che gli dicesse che suo fratello stava bene. In fondo
al cuore però, era conscio che ciò non sarebbe
mai avvenuto. Lui ed
Harumoto erano connessi da un legame viscerale fin da quando era
venuto al mondo. Non si erano mai staccati, e spesso erano capaci di
finire le frasi iniziate dall'altro. Erano in grado di avvertire il
disagio e il dolore reciproco senza il bisogno di particolari parole.
E
anche quella volta le
sensazioni che si erano impadronite di lui erano fin troppo chiare.
Troppo nitide per poter far pensare a qualcosa di positivo. E lui era
stato forte a lungo, e in quel momento era consapevole che sarebbe
crollato, il fiume del dolore aveva rotto la diga dietro alla quale
lo aveva rinchiuso da troppi mesi ormai.
"Chi
di voi è parente
del paziente?" la voce del dottore interruppe il loro discorso,
costringendo tutti a voltarsi nella stessa direzione.
Haruka
si voltò senza
allontanarsi troppo dalle loro amiche. Aveva bisogno di loro, il viso
del dottore parlava fin troppo chiaro. E non era nemmeno sicuro di
voler sentire cosa aveva da dire loro. Non era sicuro nemmeno di
voler avere il compito di dover chiamare i suoi genitori per dare la
triste notizia. In quel momento avrebbe voluto semplicemente scappare
lontano, come unica consolazione il vento sulla pelle. Ciò
che ci si
sarebbe aspettato da lui da quel momento in poi sapeva non essere
ciò
che in realtà avrebbe voluto.
Il
dottore si avvicinò al
trio molto lentamente, più volte nella sua lunga carriera
era stato
costretto a dare tristi notizie ai parenti dei propri ricoverati.
Ormai era abituato a quel genere di incombenze che facevano parte del
ruolo che ricopriva. Eppure quando si trattava di giovani vite, era
sempre più difficile che in altre situazioni parlare con chi
rimaneva al mondo. Forse perchè anche lui era padre, e
quindi poteva
benissimo immaginare il dolore che andava a infliggere alle persone.
Ad intere famiglie. O forse perchè, anche lui per altre
cause aveva
perso il fratello in giovane età. E doveva colmare ancora
quel
vuoto, nonostante era riuscito a formare una bellissima famiglia. Con
due bambini.
"Abbiamo
fatto il
possibile... ma il cuore non ha ricominciato a battere....mi
dispiace... se vuoi chiamo io i vostri genitori...." disse. Era
inutile cercare le parole migliori, perchè di parole belle e
dolci
per certi messaggi non ne esistevano.
I
singhiozzi del biondo
aumentarono a dismisura mentre la bruna tornò ad
abbracciarlo,
sovrastata anche lei da un pianto silenzioso. La focosa Rei, invece,
si lasciò cadere sulla sedia. Il volto tra le mani. Senza
sapere
cosa aggiungere. "Mi faccia sapere se devo fare io la
telefonata... vi lascio da soli per un pò" disse l'uomo,
prima
di ritirarsi. Aveva tante carte da firmare per il decesso.
***
Cacciò
indietro i ricordi
nel momento esatto in cui vide Seiya fissarlo con insistenza mentre
percorreva l'ultimo tratto di corridoio prima di uscire dal reparto. La
sua mente quella sera gli stava giocando dei brutti scherzi. I
pensieri volavano alla morte del fratello, e non riusciva a essere
sollevato dopo aver constatato di persona che la violinista stesse
tutto sommato bene vista l'entità dell'incidente che avevano
avuto.
La
presenza poi del bruno lo
innervosiva ancor di più. A pelle senza nemmeno sapere
perchè, il
suo istinto sembrava volergli comunicare che egli fosse una minaccia.
"Come
sta?" era
proprio l'oggetto delle sue silenziose considerazioni ad aver
parlato. A malincuore fu costretto a rispondere.
"Bene
solo qualche
dolore diffuso e ora sta aspettando i risultati della tac per vedere
se c'è qualche danno celebrale o altrove, come ha
già detto il
medico che si sta occupando del suo caso" rispose.
"Dai
è una bella
notizia no?" esclamò allegra Setsuna. Allegria sincera, era
consapevole che anche lei era stata in pena per la violinista.
"Si
direi di si"
mormorò lui, avrebbe voluto abbandonare l'ospedale in quel
preciso
istante per cercare di distrarsi e allontanare i brutti pensieri
evocati dall'incidente di qualche ora prima. "Comunque i medici
hanno detto di lasciarla riposare quindi non credo che ti facciano
entrare in questo momento" continuò rivolgendosi al bruno.
Non
appena tutto si fosse
risolto, sarebbe andato da colui che aveva causato loro l'incidente
sfidandolo nella corsa. E lo avrebbe fatto rimpiangere di averci
provato. Takeshi come spesso accadeva era forte se preso in gruppo,
col suo branco. Ma da solo valeva meno di zero, e ne aveva avuto la
conferma svariate volte.
E
lui, sapeva benissimo dove
trovarlo da solo.
"Sarà
meglio che vai a
farti medicare quel brutto taglio, caso mai poi ti rimane la
cicatrice sulla fronte non credi?" disse Setsuna.
"Lo
posso far fare
tranquillamente da mia madre a casa, non importa non è
urgente poi
più tardi la chiamo e la faccio venire" mormorò
lui.
Un
cellulare ruppe il
silenzio del corridoio.
***
Il
suono del suo cellulare
giunse alle sue orecchie, tirò fuori dalla tasca lo
smartphone e
lesse il nome sullo schermo.
I
genitori di Michiru.
Pensò.
"Pronto"
rispose,
cercando di mantenere un tono normale, nonostante la stanchezza.
"Seiya
ciao, ci sono
novità? Michiru come sta?Hai saputo cosa è
successo?" era la
madre della musicista. Il tono della voce era apprensivo e
preoccupato, era la prima volta che la sentiva così in ansia
per la
figlia. Di solito era già tanto che le desse il buongiorno
al
mattino.
"Michiru
sta bene,
stanno aspettando i risultati della tac per escludere il trauma
cranico o qualsiasi altro trauma a carico degli organi interni"
spiegò lui conciso "E a quanto pare sua figlia era in giro
con
un bulletto di quartiere che si diverte a fare le corse clandestine
quando hanno avuto un incidente" si premurò a dire
sorridendo
soddisfato mentre era volto verso la finestra, dando le spalle alla
gentaglia di basso borgo che condivideva il corridoio con lui.
"Ma
come è possibile?
Ma sei sicuro? Non ti sei accorto che era uscita?" chiese la
donna sconcertata, forse anche adirata per il comportamento
disdicevole della sua primogenita.
"Certo
signora,
sicurissimo. E non mi sono accorto di nulla poichè mi
è stato detto
che era andata a dormire" rispose tranquillamente lui. In fondo
era la verità, ma aveva come l'impressione che al ritorno
dei
coniugi l'organico della villa sarebbe cambiato drasticamente.
"Noi
stiamo per
partire, abbiamo annullato il concerto rimanente, in tarda mattinata
o massimo nel tardo pomeriggio dovremmo essere in ospedale, mi
raccomando cerca di prendertene cura tu. Quando veniamo provvederemo
a prendere i provvedimenti necessari nei confronti di Michiru e di
chi doveva tenerla d'occhio" la voce questa volta era tornata
quella autoritaria di sempre.
Bene
la coppietta felice
presto scoppia. E non sarà solamente colpa mia.
***
L'udito
fine di Ten'o non
potè far a meno di ascoltare le parole del giovane rampollo
della
capitale. Avrebbe dovuto farsi gli affari suoi, ma dopotutto lui era
un rivale. E doveva prevedere le sue mosse per cercare di strappargli
Michiru da sotto il naso.
Come
fa a sapere che
abbiamo avuto un incidente durante una corsa clandestina, se nemmeno
ha parlato con la polizia?
Fu
il primo pensiero del
biondo. Quella frase da parte dell'altro non tornava, era impossibile
che lui sapesse già tutto, dato che nemmeno i vigili avevano
ancora
pensato a quell'ipotesi. Dopotutto la Kaioh non era persona da uscire
con chi si guadagnava da vivere in quel genere di corse.
"Qualcosa
non va?"
mormorò Hotaru, notando l'espressione pensierosa sul volto
di lui.
"Qualcosa
non mi
convince in tutta sta storia, ma meglio parlarne poi in seguito e non
qui" rispose lui "Sarà meglio che andiamo a casa,
è quasi
l'alba e abbiamo bisogno di riposare, anche perchè non credo
che
questa storia finisca qua" concluse.
"Direi
di no, faranno
di tutto per schiacciarti lo sai..." questa volta era Rei.
"Lo
so, ma attendo le
loro mosse in primis, eppoi mi muoverò di conseguenza,
inutile
pensarci in questo istante".
Tuttavia
per sicurezza
avrebbe contattato il suo avvocato per avvisarlo
nell'eventualità
che avesse avuto bisogno di lui.
"Buona
giornata!"Esclamò in direzione di Seiya, più per
educazione
che altro. Se avesse potuto lo avrebbe gonfiato come un tamburo, ma
in quel momento non gli sembrava il caso: avrebbe aggravato la sua
situazione e non era affatto necessario.
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