sicut in fabulis 3
Perduellio.
{Il segreto è scoperto.}
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Eppure quel posto aveva
un fascino del tutto irresistibile. Mentre percorrevano a ritroso i corridoi
che ormai considerava suoi compagni di scorribande, il ragazzino si sforzò di
capire il linguaggio dei due Pokémon al suo fianco, per lui ancora piuttosto
ostico. Non che producessero dei suoni netti e ben distinti, i Bisharp, a dirla
tutta. La loro era una lingua fatta più che altro di sensazioni generali e
vaghe trasmissioni di pensiero, all’orecchio umano. Frase intere ed elaborate
non giungevano quasi mai, nemmeno ai più esperti studiosi.
Tuttavia, nonostante questa difficoltà nel comprendere furtivamente ciò che si
stavan dicendosi, non fu difficile cogliere il mezzo ringhio di rabbia che uscì
dalla bocca del maschio. Ora che lo vedeva bene da vicino, si accorgeva che era
più grosso rispetto alla compagna e che il suo corpo era sfregiato in
innumerevoli punti. Alla femmina,
invece, mancava una delle tipiche lame che fuoriuscivano all’altezza dei
gomiti. Al suo posto, aveva un malinconico buco nero, che per qualche motivo lo
mise a disagio.
Guerra. Re. Questi due vocaboli li colse per bene, il suo orecchio non
ebbe alcun dubbio. A giudicare dal tono basso in cui stava parlando, lo
spadaccino reale stava esprimendo un proprio disagio o una situazione per lui
spiacevole alla femmina, che lo ascoltava silenziosa rispondendo a monosillabi,
quando capitava. Il suo tono non pareva per nulla convinto.
Con l’innocenza tipica dei bambini che ancora non l’aveva abbandonato, nonostante
stesse crescendo a vista d’occhio, trovò il coraggio di tirare appena la mano
del grosso maschio alla sua destra. I suoi occhi scuri si poggiarono sul suo
viso, mentre si arrestava completamente nel proprio discorso.
«Chi è in guerra, signore?»
Di rimando, questi liberò la mano dalla sua stretta. Ma solo per rivolgergli
una delicata carezza fra i capelli, mentre scandiva il più possibile la propria
risposta. Il giovane la comprese senza problemi, ma altrettanto chiaramente
colse quanto fosse una bugia.
«Nessuno, piccolo. Nessuno.»
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Qualcosa, o meglio qualcuno, si sedette sul bordo del
letto, facendo inclinare il materasso sotto al proprio peso. Un nuovo brivido
di freddo la colse, e ciò sembrò divertire l'uomo, sebbene parve anche farlo
decidere definitivamente nel chiudere la finestra, serrando perfino le imposte.
La stanza ripiombò quasi nella completa oscurità, mentre l'aria si
stabilizzava, all'interno di essa, dando un attimo di tregua al suo corpo
infreddolito.
Tale pausa, però, durò poco, presto sostituita dalla mano gelida dell’amante
che si insinuò sotto alla coperte, partendo dalle reni per risalire lungo la
schiena.
Quasi spazientita da quei piccoli dispetti si voltò verso di lui,
attorcigliandosi nelle lenzuola scure come la notte. Incontrare i suoi occhi
era ogni volta un’esperienza nuova e ben conosciuta al tempo stesso. Il viso
giovane non era minimamente scalfito dagli anni, il sorrisetto beffardo che gli
sollevava un angolo delle labbra esangui era ancora intatto nella sua strafottenza.
Per quanto nemmeno lei avesse addosso i segni dell’età, si sentì infinitamente
vecchia al cospetto di un tale spettacolo.
L’uomo sollevò un sopracciglio, reclinando appena la testa mentre assottigliava
lo sguardo, come se la stesse studiando. I bei capelli che gli incorniciavano
sempre il volto scivolarono di lato, seguendo il suo movimento, accarezzandogli
appena una spalla.
«Concedimelo.»
Il sussurro che giunse era un miscuglio indefinito di sensazioni. Sembrava un
ordine, ma la piega erotica del tono lasciava intendere che bramasse allo
stesso modo i risvolti che implicavano tale concessione. E ancora, anche se ben
nascosta dietro a quelle emozioni tanto potenti, c’era una sorta di urgenza,
come se in realtà la stesse implorando.
Per quanto fu sbagliato, scostò le coperte senza dire una parola. Le forme
dell’uomo non esitarono un istante ad insinuarsi contro alle proprie.
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Non seppe dire se lo pensassero più sprovveduto o più sordo, ma colse
perfettamente anche lui il monito ripetuto come una sorta di memento dal
servitore in mezzo alla folla. Bastò tuttavia spostare i propri occhi gelidi
verso di lui, cercando di immaginare chi fosse stato, per mettere a tacere
qualsiasi lievissimo brusio. Tutti ricambiarono il suo sguardo, colmi di
soggezione e colpevolezza. Quelle parole le aveva sentite per troppo tempo. Lui
alle leggende prive di fondamento non credeva.
«Sono lusingato del favore che volete farmi, padre, e della fiducia che in me
riponete. Sarò molto lieto di aiutarvi in un compito così importante, e allo
stesso modo aspetterò impaziente il raggiungimento della maggiore età e
l'inizio della mia formazione.» - Mormorò, voltando il capo nella sua
direzione, dopo essere rimasto qualche istante a fissare la calca con sguardo
truce.
Attendere una sua risposta sarebbe stato superfluo, perché già sapeva cosa gli
sarebbe stato detto. Il padre l'avrebbe ringraziato a propria volta per il suo
zelo nell'essere figlio e servitore del regno, e l'avrebbe congedato ponendo
fine al colloquio. O meglio, alla parte di incontro cui gli era concesso di
assistere.
Era certo, infatti, che dopo la sua dipartita il sovrano avrebbe fatto
disperdere le genti, rinchiudendosi poi in quella sala con una strettissima
élite di fidatissimi. Un paio di servitori, il suo amato Houndoom, la moglie e
i sommi cavalieri, sia umani che Pokémon. Le questioni di cui discutevano in
quel luogo erano segreti di portata immensa, e ogni singolo orecchio avrebbe
dovuto portarseli dietro fin nella propria tomba. Peccato, però, che due
persone possono mantenere un segreto solo se una delle parti è morta. Figurarsi
un gruppo formato da una buona dozzina di individui.
Senza indugiare oltre su cosa si sarebbe detto al di là di quelle porte
sbarrate girò sui tacchi dopo un breve inchino e si avviò per i corridoi
stracolmi di gente che andava ritirandosi nei propri appartamenti, proprio come
stava facendo lui. Era divertente osservare come fossero una massa compatta e
omogenea, sebbene ognuno si credesse superiore all'altro. Visti dall'alto del
soffitto, nessuno di loro sarebbe sembrato diverso.
Elisio seguì la marea di gente solo fino ad un certo punto, tagliando poi verso
quello che veniva definito il corridoio dei riflessi. In realtà, tale passatoio
era fatto di specchi solo da un lato, mentre dall'altro c'erano le grosse
vetrate che davano sulle immense distese di verde. Boschi lussureggianti, il
corso silente di un paio di rigagnoli che confluivano in un laghetto
cristallino e le cime delle montagne in lontananza. Tutte queste viste invasero
il suo campo visivo non appena mise piede sull'enorme balconata, ignorando la
fresca aria autunnale che gli sferzò il viso e lo costrinse a pentirsi di non
aver preso con sé il proprio mantello. Simbolo del proprio lignaggio, era
assieme al diadema regale qualcosa che portava a stento. Inutile dire che molta
gente disapprovasse completamente.
Pyroar distrasse la sua attenzione quando produsse un lievissimo soffio, più
giocoso che altro, in direzione del cielo. Bastò scorgere un'ombra scura che
nascose il sole per una frazione di secondo per identificarne l'appartenenza.
«Honchkrow, mio fidato. Sai già cosa devi fare, immagino.»
Il Pokémon gonfiò il petto, sotto alla carezza che il principe gli rivolse sul
capo, guardandolo fieramente negli occhi con i propri rossi. Si scostò per un
istante solo per chinare la testa e becchettare affettuosamente il capo di
Pyroar, che per tutta risposta ruggì scuotendo la criniera. Una sorta di
dimostrazione di fiducia reciproca.
Quando tornò a guardarlo, gli occhi del Pokémon uccello erano piedi di
responsabilità. Sarebbe stato pronto a tutto per il suo Allenatore, e tale
dedizione non poteva che colmare il suo cuore di gioia. I Pokémon non tradivano
come gli umani, come faceva lui. Loro sarebbero rimasti fedeli per sempre.
«Dovrai ascoltare attentamente quello che si dirà nella sala del trono. Mio
padre da l'impressione di star nascondendo molte, troppe cose, al futuro erede
di questa nazione. Va' e raccontami tutto una volta terminato, e sta' molto
attento a non farti scoprire. Non sei più un Murkrow, le ombre non ti celano
più come un tempo.»
Ma l'indole subdola e calcolatrice del compagno piumato non se n'era andata,
anzi ... tutt'altro. L'evoluzione lo aveva reso soltanto più astuto, e
quell'ultimo monito parve stizzirlo appena. La sua espressione pareva proprio
dire "Hey, ma per chi mi hai preso? Per uno sprovveduto?".
Con un'ultima carezza fra le ali e una parola di buon augurio nell'antica
lingua del luogo lo osservò spiccare il volo, rapido come una saetta,
silenzioso come una nuvola. Non poté fare a meno di sorridere, anche se con una
certa gravità, mentre si chinava affianco del proprio Pyroar, passando piano la
mano sul morbido pelo della schiena. Forse avrebbe dovuto spazzolarlo ancora,
c'era qualche no-...
Un ringhio improvviso dell'animale lo mise immediatamente sull'attenti,
facendolo scattare in piedi nello stesso istante in cui il pelo dorato del
possente leone si rizzava con prepotenza sulla schiena. Proprio di fronte a
lui, ritto e sottile come palo, c'era la sua potenziale condanna a morte.
Che lo fissava con occhi altrettanto sbarrati.
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«Vostra grazia, vogliate...»
Non era stata sua intenzione. Il motivo per cui si era diretto lì, seguendolo,
era egoistico, e una vocina nella sua testa gli aveva ripetuto per tutto il
tragitto che non era permesso seguire il principe senza il suo consenso, che se
un altro servitore l'avesse scovato sarebbero stati guai, ma che il principe
allo stesso modo avrebbe potuto punirlo per tale affronto.
Eppure l'aveva seguito, insistentemente, cercando di non farsi ne vedere ne
sentire. Non che fosse troppo difficile, con l'aspetto del tutto ordinario che
aveva. Voleva a tutti costi dirgli che lui era felicissimo che sarebbe
diventato re in un prossimo futuro, che per lui sarebbe stato un onore
diventare il suo servitore personale anche in qualità di scudiero e
maggiordomo, che era pronto a fare qualsiasi cosa pur di mostrargli la propria
devozione.
Ciò che aveva scoperto, però, avrebbe avuto un peso ben maggiore del suo
capriccio infantile se fosse venuto a galla.
Per quanto potesse ammirare il principe, così austero nella sua figura
impenetrabile di serietà, eleganza e compostezza, l'alto tradimento al re era
punibile con la morte. L'esecuzione poteva essere istantanea, e avvenire in
diversi modi. La ghigliottina era un'opzione, anche se caduta un po' in disuso.
C'era poi la lapidazione, l'impiccagione, le frustate seguite dalla spada del
re in persona. L'unico tratto che accomunava tutte queste possibili vie era
che, solitamente, la cosa era di dominio pubblico e sarebbe accaduta sotto agli
occhi della gente.
Ecco quindi che lui, un servitore da niente con zero possibilità sociali e zero
rilevanza sia nel piccolo ecosistema di quel castello che nel mondo, era
diventato l'inconsapevole portatore di un segreto estremamente importante. Cosa
fare, si era chiesto, mentre lo sentiva parlare e gli si gelava il sangue?
Rivelarlo al re avrebbe posto fine alla vita dei Pokémon dell'uomo e del
principe stesso. Tenerlo per sè, allo stesso tempo, lo avrebbe reso complice
del complotto. E allora, se qualcuno fosse venuto a saperlo...
Improvvisamente, però, il futuro sovrano si era girato, avvisato dal ringhio
basso e minaccioso del proprio Pyroar. E ogni pensiero era stato spazzato via,
il cuore aveva perso un paio di battiti prima di incominciare a correre
completamente impazzito. La sua bocca già poco capace perse totalmente la
capacità di comunicare, riducendosi a un muscolo inutile e balbettante.
«V-vostra maestà, vi giuro che...»
«Una parola e ti sgozzo. Seduta stante.»
Non l'aveva nemmeno visto arrivare, tanto era stato veloce a muoversi. La
coscienza della sua mano maschile e infreddolita ostinatamente premuta sulla
bocca arrivò con un po' di ritardo, così come il calore asfissiante della
criniera del leone vicino alla gamba. Abbassare lo sguardo servì solo ad
aumentare il proprio terrore, poiché incontrò le zanne digrignate dell'animale,
sicuramente bramose di farlo a fettine.
Il principe imprecò, guardandosi rapidamente in giro prima di afferrargli la
nuca con la mano libera e trascinarlo lungo il corridoio il più in fretta
possibile, entrando nella prima camera disponibile. Tenere il passo con lui,
seppur solo per una decina di metri, fu impossibile. Sia per il terrore che gli
paralizzava i muscoli, sia per le lunghe falcate dell'uomo che lui non sarebbe
comunque riuscito a coprire con le proprie gambe corte e sottili.
Le mura della stanza avvolsero i loro tre corpi come una coperta tanto
agognata. Per quanto la situazione lo permettesse, il servitore colse negli
occhi del giovane nobile un lampo di sollievo, nel sapere che erano finalmente
in un posto dove nessuno poteva scovarli. Risolvere la situazione in due -tre,
contando il bonus quadrupede- era meglio che in quattro. O dieci.
La chiave girò nella toppa più o meno nello stesso istante in cui lui si
sentiva lanciare contro al pavimento, in un gesto di prepotenza che parve non
calibrato. Impattare con il suolo freddo gli sembrò in qualche modo la giusta
punizione per la sua ostinazione. La morte sarebbe stata probabilmente la
seconda per il suo origliare.
Gli occhi glaciali dell'uomo gli arrivarono addosso come una secchiata d'acqua.
Impossibile per scienza, ma quell'azzurro ardeva, d'ira e di terrore. Se
fosse stato in un altro frangente avrebbe trovato divertente poter essere la
fonte del suo terrore nonostante fosse piccolo come uno scricciolo a suo
confronto. Dio, quanto era grosso? Anche se fosse stato in piedi sarebbe
arrivato a malapena alla sua spalla! A vedersi da lontano non pareva così enorme,
eppure lo era: La mano che gli aveva piazzato prima sulla faccia era abbastanza
grande da coprirgliela tutta senza problemi, e le spalle erano larghe almeno il
doppio delle proprie. Uno schiaffo da parte sua, o un bel calcio da uno di
quegli stivali enormi, e potevi dire addio alle tue giunture. O a tutti i denti
e al tuo bel nasino, a seconda della sua predilezione.
«Cosa hai sentito? Parlami da uomo senza balbettare, perché la questione in cui
ti sei cacciato è tutto fuorché per pappe molli.»
Nonostante il tono minaccioso e le parole cattive, alle sue orecchie quella
frase giunse come qualcosa di assolutamente forzato, una sorta di parte
recitata su cui ci si è allenati più volte e che si tiene nel cassettino della
mente, pronta per essere sfoderata all'occorrenza. Per questo non si sentì
offeso o minacciato, almeno ... non più di quanto non si sentisse già prima.
Trovò quindi il coraggio di alzare gli occhi nei suoi, raddrizzandosi in fretta
gli spessi occhiali sul naso che erano scivolati da un orecchio nella foga del
movimento.
«Ordinavate al vostro Honchkrow di spiare il re e le sue riunioni segrete,
vostra maestà. Questo ho sentito.»
«Chi ti manda?»
«Nessuno, sire, io...»
La spiegazione non parve soddisfare né lui né il suo Pokémon, che avvicinò il muso
al suo viso, ringhiando ferocemente. Gli arti erano piegati in posizione di
attacco. Come minimo, aspettava solo di potergli saltare alla gola.
«Chi ti ha pagato per seguirmi? Per
quanto ti sei fatto comprare? Poco, scommetto. I servi un tempo non erano così
facilmente corrutt-...»
«Elisio, basta.»
Una voce sottile come la lama di un coltello fendette l'aria,
attraversandogli la mente come una folata di vento. Sbatté le palpebre,
sbigottito e confuso, guardandosi attorno alla ricerca dell'origine del suono.
Un testimone! Qualcuno li aveva scoperti!
Il principe, però, non dava il minimo segno di preoccupazione. Pareva invece
più irritato per l'interruzione che in ansia per l'arrivo di qualcuno. Che
conoscesse chi aveva parlato?
«Potrebbe farmi uccidere, merda!»
«Innanzitutto modera il linguaggio, il mio nome non è "merda".»
Tale osservazione sarcastica lasciò entrambi, servitore e principe, a bocca
aperta. Se avesse potuto dare forma a quella voce, di sicuro si sarebbe
immaginato un uomo alto ma sottile, dai lineamenti taglienti come un pezzo di
vetro. E un bel sorriso innocente a trentadue denti stampato in faccia, neanche
sfidasse l'avversario a provare a resistere all'impulso di spaccarci contro una
sedia.
Più o meno allo stesso modo il rosso fremette visibilmente, serrando la bocca
in una posa rigida. Ridurre al silenzio il principe! Chi diavolo poteva
permettersi di parlargli a quel modo?
«E poi calmati. Non è nelle sue intenzioni. Sei qualcosa come il suo idolo,
e non lo pagherebbero nemmeno per avere la tua testa servita su un piatto
d'argento. Varresti relativamente poco sul mercato qui a palazzo, lo sai? Al
massimo una decina di monete, a giudicare da quanto ti amano.»
«Io invece scommetto che se dovessi farti fondere ricaverei un bel po' di
grana, razza di ...»
Una risata fragorosa scoppiò improvvisamente nella stanza, inondando le loro
orecchie. Anche se il servo seppe con certezza che nessuno stava parlando
all'esterno, bensì dentro alla loro testa.
«Sono uno spettro. Non puoi semplicemente fondermi. Ora, sii cortese e tira
su questo ragazzo. Sbatterlo a terra è stata l'ennesima dimostrazione della tua
scarsa educazione.»
«Quando sei nato dall'uovo eri più simpatico.»
«Anche tu da piccolo eri più piacevole, ma non mi sono mai lamentato.»
Lo scambio di battute fra sua Altezza Elisio e l'uomo sconosciuto adesso stava
prendendo una piega comica. Non sapeva se era più divertente la totale calma
con cui replicava il soggetto misterioso o il modo in cui l'intelletto del
rosso veniva messo alla prova. Ad ogni modo, questi parve preferire chiudere la
questione con un'occhiataccia rivolta chissà dove, prima di abbassare gli occhi
su di lui. Il piccolo sorriso che gli era nato nel sentirli becchettarsi a vicenda
si spense subito.
Le parole del principe furono secche e dirette. Ma per lo meno non promettevano
morte.
«Perdona la mia irruenza. Penso che dovremmo discutere in maniera un po' più
civile. Difficilmente Aegislash sbaglia nei suoi giudizi, quindi ti darò una
possibilità. Qual è il tuo nome?»
Quelle frasi, tutte assieme, parvero come la più grande delle rassicurazioni.
Pur non sapendo dove guardare, cercò il profilo della lama di Aegislash. Un
guizzo dorato lo fece sorridere, facendolo riportare gli occhi sul suo futuro
sovrano. Quel Pokémon lo avrebbe protetto, perché conosceva le sue intenzioni.
Avevano sempre avuto la grazia di riconoscere gli animi puri.
«Augustine, vostra altezza. Mi chiamo Augustine.»
__
{Post scriptum:
Eccoci al nuovo capitolo di Sicut in Fabulis. Ammetto di divertirmi un sacco a scrivere di Aegislash, nuovo mito di Seshiiru.
Spero che come al solito sia all'altezza delle aspettative, e che io
sia riuscita ad insinuarvi nuovi dubbi. Adoro intrecciare
più storie e lasciare gli interrogativi fino alla fine!
Ringrazio tutti i lettori, sia quelli che decideranno di recensire che
quelli silenziosi per aver letto il capitolo. Ci vediamo presto con il
prossimo!
Perduellio = Alto tradimento
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