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Autore: HolyBlackSpear    05/10/2015    1 recensioni
La bella regione della Mega Evoluzione, in antichità, non è sempre stata rigogliosa e pacifica come oggi. Teatrino di guerre e conflitti, il suo passato ha molto più da raccontare di quanto in realtà non sia scritto sui libri di storia o inciso nella memoria delle persone.
Perché ciò che va oltre la comprensione umana sparisce nel tempo, la certezza presto diventa la mera proiezione dell'onirico. Ci sono però delle anime, dei ricordi rinchiusi nel cuore della mente, che non sono ancora pronti ad andarsene, che resistono strenuamente e che presto si desteranno.
Un figlio sacrilego, un’antica profezia, il divino che si confonde all'umano, giudice e giudicato che si fondono in un unico errore.
Benvenuti nella Kalos di 3000 anni fa.
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Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Elisio, Professor Platan
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Videogioco
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sicut in fabulis 3
Perduellio.
{Il segreto è scoperto.}
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Eppure quel posto aveva un fascino del tutto irresistibile. Mentre percorrevano a ritroso i corridoi che ormai considerava suoi compagni di scorribande, il ragazzino si sforzò di capire il linguaggio dei due Pokémon al suo fianco, per lui ancora piuttosto ostico. Non che producessero dei suoni netti e ben distinti, i Bisharp, a dirla tutta. La loro era una lingua fatta più che altro di sensazioni generali e vaghe trasmissioni di pensiero, all’orecchio umano. Frase intere ed elaborate non giungevano quasi mai, nemmeno ai più esperti studiosi.
Tuttavia, nonostante questa difficoltà nel comprendere furtivamente ciò che si stavan dicendosi, non fu difficile cogliere il mezzo ringhio di rabbia che uscì dalla bocca del maschio. Ora che lo vedeva bene da vicino, si accorgeva che era più grosso rispetto alla compagna e che il suo corpo era sfregiato in innumerevoli  punti. Alla femmina, invece, mancava una delle tipiche lame che fuoriuscivano all’altezza dei gomiti. Al suo posto, aveva un malinconico buco nero, che per qualche motivo lo mise a disagio.
Guerra. Re. Questi due vocaboli li colse per bene, il suo orecchio non ebbe alcun dubbio. A giudicare dal tono basso in cui stava parlando, lo spadaccino reale stava esprimendo un proprio disagio o una situazione per lui spiacevole alla femmina, che lo ascoltava silenziosa rispondendo a monosillabi, quando capitava. Il suo tono non pareva per nulla convinto.
Con l’innocenza tipica dei bambini che ancora non l’aveva abbandonato, nonostante stesse crescendo a vista d’occhio, trovò il coraggio di tirare appena la mano del grosso maschio alla sua destra. I suoi occhi scuri si poggiarono sul suo viso, mentre si arrestava completamente nel proprio discorso.
«Chi è in guerra, signore?»
Di rimando, questi liberò la mano dalla sua stretta. Ma solo per rivolgergli una delicata carezza fra i capelli, mentre scandiva il più possibile la propria risposta. Il giovane la comprese senza problemi, ma altrettanto chiaramente colse quanto fosse una bugia.
«Nessuno, piccolo. Nessuno.»


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Qualcosa, o meglio qualcuno, si sedette sul bordo del letto, facendo inclinare il materasso sotto al proprio peso. Un nuovo brivido di freddo la colse, e ciò sembrò divertire l'uomo, sebbene parve anche farlo decidere definitivamente nel chiudere la finestra, serrando perfino le imposte. La stanza ripiombò quasi nella completa oscurità, mentre l'aria si stabilizzava, all'interno di essa, dando un attimo di tregua al suo corpo infreddolito.
Tale pausa, però, durò poco, presto sostituita dalla mano gelida dell’amante che si insinuò sotto alla coperte, partendo dalle reni per risalire lungo la schiena.
Quasi spazientita da quei piccoli dispetti si voltò verso di lui, attorcigliandosi nelle lenzuola scure come la notte. Incontrare i suoi occhi era ogni volta un’esperienza nuova e ben conosciuta al tempo stesso. Il viso giovane non era minimamente scalfito dagli anni, il sorrisetto beffardo che gli sollevava un angolo delle labbra esangui era ancora intatto nella sua strafottenza. Per quanto nemmeno lei avesse addosso i segni dell’età, si sentì infinitamente vecchia al cospetto di un tale spettacolo.
L’uomo sollevò un sopracciglio, reclinando appena la testa mentre assottigliava lo sguardo, come se la stesse studiando. I bei capelli che gli incorniciavano sempre il volto scivolarono di lato, seguendo il suo movimento, accarezzandogli appena una spalla.
«Concedimelo.»
Il sussurro che giunse era un miscuglio indefinito di sensazioni. Sembrava un ordine, ma la piega erotica del tono lasciava intendere che bramasse allo stesso modo i risvolti che implicavano tale concessione. E ancora, anche se ben nascosta dietro a quelle emozioni tanto potenti, c’era una sorta di urgenza, come se in realtà la stesse implorando.
Per quanto fu sbagliato, scostò le coperte senza dire una parola. Le forme dell’uomo non esitarono un istante ad insinuarsi contro alle proprie.

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Non seppe dire se lo pensassero più sprovveduto o più sordo, ma colse perfettamente anche lui il monito ripetuto come una sorta di memento dal servitore in mezzo alla folla. Bastò tuttavia spostare i propri occhi gelidi verso di lui, cercando di immaginare chi fosse stato, per mettere a tacere qualsiasi lievissimo brusio. Tutti ricambiarono il suo sguardo, colmi di soggezione e colpevolezza. Quelle parole le aveva sentite per troppo tempo. Lui alle leggende prive di fondamento non credeva.
«Sono lusingato del favore che volete farmi, padre, e della fiducia che in me riponete. Sarò molto lieto di aiutarvi in un compito così importante, e allo stesso modo aspetterò impaziente il raggiungimento della maggiore età e l'inizio della mia formazione.» - Mormorò, voltando il capo nella sua direzione, dopo essere rimasto qualche istante a fissare la calca con sguardo truce.
Attendere una sua risposta sarebbe stato superfluo, perché già sapeva cosa gli sarebbe stato detto. Il padre l'avrebbe ringraziato a propria volta per il suo zelo nell'essere figlio e servitore del regno, e l'avrebbe congedato ponendo fine al colloquio. O meglio, alla parte di incontro cui gli era concesso di assistere.
Era certo, infatti, che dopo la sua dipartita il sovrano avrebbe fatto disperdere le genti, rinchiudendosi poi in quella sala con una strettissima élite di fidatissimi. Un paio di servitori, il suo amato Houndoom, la moglie e i sommi cavalieri, sia umani che Pokémon. Le questioni di cui discutevano in quel luogo erano segreti di portata immensa, e ogni singolo orecchio avrebbe dovuto portarseli dietro fin nella propria tomba. Peccato, però, che due persone possono mantenere un segreto solo se una delle parti è morta. Figurarsi un gruppo formato da una buona dozzina di individui.
Senza indugiare oltre su cosa si sarebbe detto al di là di quelle porte sbarrate girò sui tacchi dopo un breve inchino e si avviò per i corridoi stracolmi di gente che andava ritirandosi nei propri appartamenti, proprio come stava facendo lui. Era divertente osservare come fossero una massa compatta e omogenea, sebbene ognuno si credesse superiore all'altro. Visti dall'alto del soffitto, nessuno di loro sarebbe sembrato diverso.
Elisio seguì la marea di gente solo fino ad un certo punto, tagliando poi verso quello che veniva definito il corridoio dei riflessi. In realtà, tale passatoio era fatto di specchi solo da un lato, mentre dall'altro c'erano le grosse vetrate che davano sulle immense distese di verde. Boschi lussureggianti, il corso silente di un paio di rigagnoli che confluivano in un laghetto cristallino e le cime delle montagne in lontananza. Tutte queste viste invasero il suo campo visivo non appena mise piede sull'enorme balconata, ignorando la fresca aria autunnale che gli sferzò il viso e lo costrinse a pentirsi di non aver preso con sé il proprio mantello. Simbolo del proprio lignaggio, era assieme al diadema regale qualcosa che portava a stento. Inutile dire che molta gente disapprovasse completamente.
Pyroar distrasse la sua attenzione quando produsse un lievissimo soffio, più giocoso che altro, in direzione del cielo. Bastò scorgere un'ombra scura che nascose il sole per una frazione di secondo per identificarne l'appartenenza.
«Honchkrow, mio fidato. Sai già cosa devi fare, immagino.»
Il Pokémon gonfiò il petto, sotto alla carezza che il principe gli rivolse sul capo, guardandolo fieramente negli occhi con i propri rossi. Si scostò per un istante solo per chinare la testa e becchettare affettuosamente il capo di Pyroar, che per tutta risposta ruggì scuotendo la criniera. Una sorta di dimostrazione di fiducia reciproca.
Quando tornò a guardarlo, gli occhi del Pokémon uccello erano piedi di responsabilità. Sarebbe stato pronto a tutto per il suo Allenatore, e tale dedizione non poteva che colmare il suo cuore di gioia. I Pokémon non tradivano come gli umani, come faceva lui. Loro sarebbero rimasti fedeli per sempre.
«Dovrai ascoltare attentamente quello che si dirà nella sala del trono. Mio padre da l'impressione di star nascondendo molte, troppe cose, al futuro erede di questa nazione. Va' e raccontami tutto una volta terminato, e sta' molto attento a non farti scoprire. Non sei più un Murkrow, le ombre non ti celano più come un tempo.»
Ma l'indole subdola e calcolatrice del compagno piumato non se n'era andata, anzi ... tutt'altro. L'evoluzione lo aveva reso soltanto più astuto, e quell'ultimo monito parve stizzirlo appena. La sua espressione pareva proprio dire "Hey, ma per chi mi hai preso? Per uno sprovveduto?".
Con un'ultima carezza fra le ali e una parola di buon augurio nell'antica lingua del luogo lo osservò spiccare il volo, rapido come una saetta, silenzioso come una nuvola. Non poté fare a meno di sorridere, anche se con una certa gravità, mentre si chinava affianco del proprio Pyroar, passando piano la mano sul morbido pelo della schiena. Forse avrebbe dovuto spazzolarlo ancora, c'era qualche no-...
Un ringhio improvviso dell'animale lo mise immediatamente sull'attenti, facendolo scattare in piedi nello stesso istante in cui il pelo dorato del possente leone si rizzava con prepotenza sulla schiena. Proprio di fronte a lui, ritto e sottile come palo, c'era la sua potenziale condanna a morte.
Che lo fissava con occhi altrettanto sbarrati.

__

«Vostra grazia, vogliate...»
Non era stata sua intenzione. Il motivo per cui si era diretto lì, seguendolo, era egoistico, e una vocina nella sua testa gli aveva ripetuto per tutto il tragitto che non era permesso seguire il principe senza il suo consenso, che se un altro servitore l'avesse scovato sarebbero stati guai, ma che il principe allo stesso modo avrebbe potuto punirlo per tale affronto.
Eppure l'aveva seguito, insistentemente, cercando di non farsi ne vedere ne sentire. Non che fosse troppo difficile, con l'aspetto del tutto ordinario che aveva. Voleva a tutti costi dirgli che lui era felicissimo che sarebbe diventato re in un prossimo futuro, che per lui sarebbe stato un onore diventare il suo servitore personale anche in qualità di scudiero e maggiordomo, che era pronto a fare qualsiasi cosa pur di mostrargli la propria devozione.
Ciò che aveva scoperto, però, avrebbe avuto un peso ben maggiore del suo capriccio infantile se fosse venuto a galla.
Per quanto potesse ammirare il principe, così austero nella sua figura impenetrabile di serietà, eleganza e compostezza, l'alto tradimento al re era punibile con la morte. L'esecuzione poteva essere istantanea, e avvenire in diversi modi. La ghigliottina era un'opzione, anche se caduta un po' in disuso. C'era poi la lapidazione, l'impiccagione, le frustate seguite dalla spada del re in persona. L'unico tratto che accomunava tutte queste possibili vie era che, solitamente, la cosa era di dominio pubblico e sarebbe accaduta sotto agli occhi della gente.
Ecco quindi che lui, un servitore da niente con zero possibilità sociali e zero rilevanza sia nel piccolo ecosistema di quel castello che nel mondo, era diventato l'inconsapevole portatore di un segreto estremamente importante. Cosa fare, si era chiesto, mentre lo sentiva parlare e gli si gelava il sangue?
Rivelarlo al re avrebbe posto fine alla vita dei Pokémon dell'uomo e del principe stesso. Tenerlo per sè, allo stesso tempo, lo avrebbe reso complice del complotto. E allora, se qualcuno fosse venuto a saperlo...
Improvvisamente, però, il futuro sovrano si era girato, avvisato dal ringhio basso e minaccioso del proprio Pyroar. E ogni pensiero era stato spazzato via, il cuore aveva perso un paio di battiti prima di incominciare a correre completamente impazzito. La sua bocca già poco capace perse totalmente la capacità di comunicare, riducendosi a un muscolo inutile e balbettante.
«V-vostra maestà, vi giuro che...»
«Una parola e ti sgozzo. Seduta stante.»
Non l'aveva nemmeno visto arrivare, tanto era stato veloce a muoversi. La coscienza della sua mano maschile e infreddolita ostinatamente premuta sulla bocca arrivò con un po' di ritardo, così come il calore asfissiante della criniera del leone vicino alla gamba. Abbassare lo sguardo servì solo ad aumentare il proprio terrore, poiché incontrò le zanne digrignate dell'animale, sicuramente bramose di farlo a fettine.
Il principe imprecò, guardandosi rapidamente in giro prima di afferrargli la nuca con la mano libera e trascinarlo lungo il corridoio il più in fretta possibile, entrando nella prima camera disponibile. Tenere il passo con lui, seppur solo per una decina di metri, fu impossibile. Sia per il terrore che gli paralizzava i muscoli, sia per le lunghe falcate dell'uomo che lui non sarebbe comunque riuscito a coprire con le proprie gambe corte e sottili.
Le mura della stanza avvolsero i loro tre corpi come una coperta tanto agognata. Per quanto la situazione lo permettesse, il servitore colse negli occhi del giovane nobile un lampo di sollievo, nel sapere che erano finalmente in un posto dove nessuno poteva scovarli. Risolvere la situazione in due -tre, contando il bonus quadrupede- era meglio che in quattro. O dieci.
La chiave girò nella toppa più o meno nello stesso istante in cui lui si sentiva lanciare contro al pavimento, in un gesto di prepotenza che parve non calibrato. Impattare con il suolo freddo gli sembrò in qualche modo la giusta punizione per la sua ostinazione. La morte sarebbe stata probabilmente la seconda per il suo origliare.
Gli occhi glaciali dell'uomo gli arrivarono addosso come una secchiata d'acqua. Impossibile per scienza, ma quell'azzurro ardeva, d'ira e di terrore. Se fosse stato in un altro frangente avrebbe trovato divertente poter essere la fonte del suo terrore nonostante fosse piccolo come uno scricciolo a suo confronto. Dio, quanto era grosso? Anche se fosse stato in piedi sarebbe arrivato a malapena alla sua spalla! A vedersi da lontano non pareva così enorme, eppure lo era: La mano che gli aveva piazzato prima sulla faccia era abbastanza grande da coprirgliela tutta senza problemi, e le spalle erano larghe almeno il doppio delle proprie. Uno schiaffo da parte sua, o un bel calcio da uno di quegli stivali enormi, e potevi dire addio alle tue giunture. O a tutti i denti e al tuo bel nasino, a seconda della sua predilezione.
«Cosa hai sentito? Parlami da uomo senza balbettare, perché la questione in cui ti sei cacciato è tutto fuorché per pappe molli.»
Nonostante il tono minaccioso e le parole cattive, alle sue orecchie quella frase giunse come qualcosa di assolutamente forzato, una sorta di parte recitata su cui ci si è allenati più volte e che si tiene nel cassettino della mente, pronta per essere sfoderata all'occorrenza. Per questo non si sentì offeso o minacciato, almeno ... non più di quanto non si sentisse già prima.
Trovò quindi il coraggio di alzare gli occhi nei suoi, raddrizzandosi in fretta gli spessi occhiali sul naso che erano scivolati da un orecchio nella foga del movimento.
«Ordinavate al vostro Honchkrow di spiare il re e le sue riunioni segrete, vostra maestà. Questo ho sentito.»
«Chi ti manda?»
«Nessuno, sire, io...»
La spiegazione non parve soddisfare né lui né il suo Pokémon, che avvicinò il muso al suo viso, ringhiando ferocemente. Gli arti erano piegati in posizione di attacco. Come minimo, aspettava solo di potergli saltare alla gola.
«Chi ti ha pagato per seguirmi? Per quanto ti sei fatto comprare? Poco, scommetto. I servi un tempo non erano così facilmente corrutt-...»
«Elisio, basta
Una voce sottile come la lama di un coltello fendette l'aria, attraversandogli la mente come una folata di vento. Sbatté le palpebre, sbigottito e confuso, guardandosi attorno alla ricerca dell'origine del suono. Un testimone! Qualcuno li aveva scoperti!
Il principe, però, non dava il minimo segno di preoccupazione. Pareva invece più irritato per l'interruzione che in ansia per l'arrivo di qualcuno. Che conoscesse chi aveva parlato?
«Potrebbe farmi uccidere, merda
«Innanzitutto modera il linguaggio, il mio nome non è "merda".»
Tale osservazione sarcastica lasciò entrambi, servitore e principe, a bocca aperta. Se avesse potuto dare forma a quella voce, di sicuro si sarebbe immaginato un uomo alto ma sottile, dai lineamenti taglienti come un pezzo di vetro. E un bel sorriso innocente a trentadue denti stampato in faccia, neanche sfidasse l'avversario a provare a resistere all'impulso di spaccarci contro una sedia.
Più o meno allo stesso modo il rosso fremette visibilmente, serrando la bocca in una posa rigida. Ridurre al silenzio il principe! Chi diavolo poteva permettersi di parlargli a quel modo?
«E poi calmati. Non è nelle sue intenzioni. Sei qualcosa come il suo idolo, e non lo pagherebbero nemmeno per avere la tua testa servita su un piatto d'argento. Varresti relativamente poco sul mercato qui a palazzo, lo sai? Al massimo una decina di monete, a giudicare da quanto ti amano.»
«Io invece scommetto che se dovessi farti fondere ricaverei un bel po' di grana, razza di ...»
Una risata fragorosa scoppiò improvvisamente nella stanza, inondando le loro orecchie. Anche se il servo seppe con certezza che nessuno stava parlando all'esterno, bensì dentro alla loro testa.
«Sono uno spettro. Non puoi semplicemente fondermi. Ora, sii cortese e tira su questo ragazzo. Sbatterlo a terra è stata l'ennesima dimostrazione della tua scarsa educazione.»
«Quando sei nato dall'uovo eri più simpatico.»
«Anche tu da piccolo eri più piacevole, ma non mi sono mai lamentato.»
Lo scambio di battute fra sua Altezza Elisio e l'uomo sconosciuto adesso stava prendendo una piega comica. Non sapeva se era più divertente la totale calma con cui replicava il soggetto misterioso o il modo in cui l'intelletto del rosso veniva messo alla prova. Ad ogni modo, questi parve preferire chiudere la questione con un'occhiataccia rivolta chissà dove, prima di abbassare gli occhi su di lui. Il piccolo sorriso che gli era nato nel sentirli becchettarsi a vicenda si spense subito.
Le parole del principe furono secche e dirette. Ma per lo meno non promettevano morte.
«Perdona la mia irruenza. Penso che dovremmo discutere in maniera un po' più civile. Difficilmente Aegislash sbaglia nei suoi giudizi, quindi ti darò una possibilità. Qual è il tuo nome?»
Quelle frasi, tutte assieme, parvero come la più grande delle rassicurazioni. Pur non sapendo dove guardare, cercò il profilo della lama di Aegislash. Un guizzo dorato lo fece sorridere, facendolo riportare gli occhi sul suo futuro sovrano. Quel Pokémon lo avrebbe protetto, perché conosceva le sue intenzioni. Avevano sempre avuto la grazia di riconoscere gli animi puri.
«Augustine, vostra altezza. Mi chiamo Augustine.»
__


{Post scriptum:
Eccoci al nuovo capitolo di Sicut in Fabulis. Ammetto di divertirmi un sacco a scrivere di Aegislash, nuovo mito di Seshiiru.
Spero che come al solito sia all'altezza delle aspettative, e che io sia riuscita ad insinuarvi nuovi dubbi.  Adoro intrecciare più storie e lasciare gli interrogativi fino alla fine!
Ringrazio tutti i lettori, sia quelli che decideranno di recensire che quelli silenziosi per aver letto il capitolo. Ci vediamo presto con il prossimo!


Perduellio = Alto tradimento
   
 
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