L'albero del male
L'albero del male
Thomas osservò il panorama che si estendeva davanti a lui:
un'infinita marea di stelle. Dopo sei anni la maggior parte degli
astronauti cominciava ad annoiarsi della visione, ma lui no, non si
sfamava mai dello spazio profondo. Lo aiutava a concentrarsi sui propri
pensieri e, se era solo, senza nessuno che lo disturbasse, era ancora
meglio. Si isolava spesso dagli altri, tanto che lo ritenevano strano.
Non che gli importasse molto, era sempre stato trattato come un
diverso. Anche se non era una cosa inusuale che due persone dello
stesso sesso adottassero un bambino, si era sempre sentito isolato
dagli altri, come facente parte di un altro mondo.
E infondo così era.
Non era un terrestre, anche se la sua specie era talmente simile che
poteva confondersi. L'unica differenza erano i simboli che aveva su
tutto il corpo, esclusi mani e volto, una specie di strano tatuaggio
che molti gli invidiavano, ma che lui avrebbe volentieri cancellato. I
suoi genitori terrestri, Claude e Joshua, non avevano voluto, quando era
minorenne, eliminarlo, dicendo che faceva parte di lui, del suo
passato, poi, appena avuta l'età per fare ciò che
desiderava, si era reso conto di non desiderarlo più..
Ora era lì a pentirsi di quella decisione e a chiedersi se non fosse ancora in tempo a tornare sui propri passi.
Una mano posata sulla spalla lo fece sussultare dallo spavento e si portò una mano al cuore, voltandosi all'indietro.
"La smetti di venirmi alle spalle? Un giorno mi farai venire un
infarto." esclamò. Il suo sorriso dimostrò che,
nonostante le rimostranze, era contento di vedere il suo compagno di
viaggio. Era uno dei pochi esseri viventi di cui si fidava, forse
perché anche lui aveva avuto un'infanzia difficile, anche se non
per i suoi stessi motivi. "Mi chiedo come fai a essere così
silenzioso!"
"Le mie ossa non scricchiolano come le tue, caro." lo canzonò
Pilar. "Allora, ancora perso nei tuoi pensieri? Spero che tu ne sia
venuto a capo dopo un giorno di solitudine."
"Davvero è passato così tanto tempo? Non me ne sono reso
conto. Ciò significa che è parecchio che non mangio e
bevo."
"E che non caghi. Si capisce da lì che non sei terreste al cento per cento."
La battuta non rallegrò affatto l'umore di Thomas che continuò ad osservare lo spazio infinito.
"Tu non capisci. Potrebbe essere stato un errore mortale, per me,
accettare questa missione. Quando Cinthia ha saputo che mi volevano
spedire su Triton, il mio pianeta natio, ha dovuto raccontarmi la
storia della mia nascita. Fino a qualche mese fa aveva taciuto
tutto, forse per non rendere ancora più difficile la mia
esistenza, ma non ha potuto farlo oltre."
Pilar si sedette accanto a lui.
"Me lo hai già detto, ma perché non mi racconti i
particolari? O non ti fidi neppure di me?" La sua voce aveva un che di
offeso, come se si sentisse tradito nei sentimenti più profondi.
Thomas sapeva che Pilar era innamorato di lui, ma preferiva non
prenderlo in giro. In realtà provava qualcosa nei suoi
confronti, ma non sapeva ancora esattamente cosa, se amore o solo
amicizia e, prima di illuderlo, voleva sincerarsi dei propri sentimenti.
"I tatuaggi che ricoprono il mio corpo sono considerati malefici nel pianeta in
cui ci stiamo dirigendo, quello su cui sono nato. Zia Cinthia ha
rischiato la propria vita pur di salvare la mia, venticinque anni fa, e
non ti dico il casino che è successo a livello diplomatico. Ha
corso il rischio di far saltare tutti i contatti con quel pianeta
retrogrado. Solo la finta notizia della mia morte ha rimesso tutto in
gioco. Il pensiero di mettere piede in quel posto mi da i brividi."
Pilar lo aveva ascoltato senza fiatare. Gli credeva: era uno studioso
e, ogni volta che doveva partire per una missione in un pianeta nuovo,
s'informava su ciò che avrebbe potuto incontrare e il racconto
che gli aveva accennato Thomas corrispondeva perfettamente alle
caratteristiche degli abitanti. Contadini e marinai ignoranti che
consideravano ancora uno starnuto fatto senza ragione un cattivo
auspicio.
"Così sei tu il bambino che è descritto nella guida ai pianeti? Pensavo che fosse una leggenda."
Thomas lo guardò per la prima volta in faccia.
"La guida parla di me?" chiese come se non volesse comprendere appieno quello che gli stava raccontando.
"Certo."
Pilar prese il palmare che portava sempre con sé, dal quale non
si separava neppure per andare in bagno, e accedette alla Guida dei
Pianeti. Premette il pulsante dell'ultima ricerca effettuata e le
immagini e la storia di Triton apparvero sullo schermo. Un altro tocco
e lo porse a Thomas.
La sua storia, come gli aveva raccontato Cinthia, era impressa
lì, compresi i nomi dei protagonisti. Era la prima volta che
sentiva il suo vero nome, Lonar. Lei era stata cacciata con
infamia dalla Confederazione dei Pianeti e non poté più partecipare a nessun
altra missione interplanetaria, da nessuna parte dello spazio, almeno
non quelle convenzionali. Ora capiva anche perché non era
stata lei ad adottarlo, dopo averlo salvato. Già era stato un
rischio cederlo, parola grossa ma che rendeva l'idea, al
fratello gay e al suo compagno, pur di non perderlo di vista.
"Tua zia ha avuto davvero un gran fegato quella volta." si
complimentò Pilar "Alla fine è riuscita a salvare te e la
situazione politica, anche se ci sono voluti altri vent'anni, prima che
firmassero il vero accordo. Credo che abbiano abolito quella legge che
permetteva di uccidere i bambini solo per le voglie che hanno sul
corpo, altrimenti non gli avrebbero permesso di entrare nella
Confederazione. In realtà si dice che non li trattino molto
bene, ma almeno non li fanno più morire d'inedia come prima."
Lo sguardo di Thomas, penetrante e triste, gli fece capire che questo non migliorava il suo umore.
"Questo spiega perché hai scelto di occuparti dell'orfanotrofio.
Ok, ti lascio stare, ma promettimi di mangiare qualcosa prima
dell'atterraggio, altrimenti non avrai la forza di scappare se
attenteranno alla tua vita." sbottò poi fuggì, prima che
la mano dell'amico si avventasse sulla sua faccia.
Alla fine si lasciò convincere e riempì il suo stomaco
con quello che chiamavano cibo, mentre in realtà erano solo
pasticche che avevano poco sapore ma tutta l'energia che serviva.
-Non so che darei per un bel piatto di lasagne.- pensò Tommaso,
inghiottendo l'ultima pillola. Erano lisce e morbide, in maniera che
potessero andare giù senza acqua, poiché non ne avevano a
disposizione e riempivano lo stomaco in maniera eccezionale, ma non
sapevano di nulla. Entro qualche minuto sarebbero atterrati sul pianeta
e voleva essere in forma per affrontare il suo pianeta d'origine,
soprattutto dal punto di visto psicologico. Per quanto riguardava il
fatto di dover fuggire, la battuta di Pilar non era così capata
per aria. Su suggerimento di Cinthia, si era preparato anche a
quell'evenienza. Una navetta di salvataggio, che lo avrebbe trasportato
nella stazione di rifornimento più vicina, era già
pronta, con tutti i programmi attivi. Forse sarebbe stato inutile, ma
era meglio prevenire.
Scesero tutti senza casco, solo con la tuta leggera, poiché
l'aria era paragonabile a quella terrestre, forse solo molto più
umida. Fu proprio in quell'aria tropicale, quasi irrespirabile, che
pensò che la sua idea della navicella fosse ottima. I suoi
compagni già chiedevano ai superiori se potevano levarsi le tute
e lui non poteva neppure sollevare di un millimetro la stoffa senza che
si intravvedessero i suoi tatuaggi. Dovettero camminare qualche miglio
terrestre prima di arrivare a destinazione, una foresta formata solo da
alberi millenari cavi, grandi come condomini, che veniva usati proprio
a scopo abitativo. Il più grande di tutti, al centro di quella
straordinaria foresta, era la loro meta. Vi si diressero, mentre i
compagni di Tommaso si spogliavano della parte superiore della tuta.
All'arrivo, solo lui, i superiori per darsi contegno e Pilar per
solidarietà con l'amico, erano rimasti intatti.
Gli altri presero in giro il compagno a bassa voce, per non farsi
sentire dal comandante. A ogni passo, Thomas si rese sempre
più conto dell'errore che aveva fatto. La situazione stava
diventando sempre più ingestibile ed erano appena arrivati.
Durante i sei mesi seguenti, tanto sarebbe dovuta durare la missione
per avvicinarsi al popolo di Triton, avrebbero dovuto imparare a vivere
come loro e mangiato i cibi che preparavano. In cambio, la
Confederazione Spaziale, avrebbe ceduto la tecnologia necessaria per
facilitare i lavori del pianeta, senza alterarne la morfologia, com'era
invece accaduto con la Terra. Capì che non poteva nascondere a
lungo i suoi tatuaggi e si preparò al peggio. Per prima cosa,
decise di scoprire se c'erano altri come lui, con i tatuaggi del male,
come li chiamavano. Raggiunse l'albero in cui c'era l'orfanotrofio. Vi
venivano allevati i bambini che rimanevano senza genitori e coloro che
venivano ritenuti idonei a vivere nella società. Si era reso
disponibile volontariamente a controllare la situazione proprio per
quello.
"Salve, devo controllare lo stato dell'orfanotrofio." annunciò
alla direttrice che era venuto ad accoglierlo. Era una donna alta,
magra e dall'aspetto arcigno. Gli ricordò la descrizione che gli
aveva fatto Cinthia e in realtà dimostrava settant'anni, quindi
poteva essere sempre la stessa a cui era stato rapito.
"Lo crede necessario?" gli disse, osservandolo da capo a piedi con fare
disgustato "Non ha caldo, così coperto? Se vuole posso
recuperarle qualche veste più comoda."
"Per ora sto bene, grazie, ci penserò più avanti." la
rassicurò "E sì, è necessario. Il punto
principale, per cui la trattativa è durata tanto tempo, è
che il vostro governo si rifiutava di trattare come esseri umani certi
bambini. D'ora in poi, anche quando non ci saremo più,
arriverà qualcun altro che sarà il controllore. Comunque
mi chiamo Thomas Tryner."
"Io sono Miss Dravania Krader e potete chiamarmi Miss Krader e darmi
del voi." ribatté lei piccata "Questi significa che io non
conterò più nulla, suppongo."
"Dipende da voi. Le regole sono cambiate da tempo e per fortuna che vi
siete adeguati o rischiavate delle repressioni fisiche. Io comincerei
subito con i bambini con il tatuaggio particolare, giusto per mettere
le cose in chiaro."
La donna sbuffò scocciata e, senza aggiungere altro,
entrò e lo precedette. Camminava svelta per le stanze che
conosceva bene e Thomas dovette faticare a starle dietro.
All'improvviso, dopo aver percorso molta strada e aver lasciato quella
che sembrava la zona abitata, si ritrovarono davanti a un enorme
recinto. La zona era esterna all'albero, una costruzione fatta negli
ultimi anni, come se contenesse qualcosa che non doveva contaminare gli
abitanti della casa. Tipo i portatori di certi tatuaggi malefici. Per tutto
il viaggio aveva osservato i disegni sulla pelle della donna e si era
chiesto che differenza ci fosse con i suoi, da essere considerati
demoniaci. Forse avevano una forma diversa, meno appuntita, ma non per
questo riusciva a credere che li trovassero pericolosi.
"Perché è chiuso a chiave?" chiese a Miss Krader.
"L'unico maniera per convincere i tritoniani ad accettare di non
eliminare questi esseri pericolosi, è stato che non potessero
venire a contatto diretto con loro. Noi diamo loro cibo, vestiti, acqua
per pulirsi. Non gli facciamo mancare nulla, ma non li vogliamo
attorno. Mi sembra un buon compromesso." Il tono freddo della donna gli
fece venire i brividi, ma cercò di non darlo vedere.
"Suppongo che l'affetto non sia tra le cose che voi ritenete
necessarie." commentò alla fine, prima di mettere piede dentro
il recinto.
Erano state costruite tante piccole casette tutte uguali. Erano almeno venti e alcune sembravano disabitate.
"Ci risulta che abbiate dodici bambini al momento, tutti sotto i
ventuno anni, perciò minorenni." lesse Thomas su un tablet che
gli avevano consegnato "Che succede a quelli che raggiungono la
maggiore età?"
"Vengono pregati, con le buone, di abbandonare un pianeta in cui
nessuno li desidera." raccontò la donna "Fino a questo momento
non abbiamo problemi a cacciarli."
"Questo significa che potrebbe nascere una o più progenie di tatuati in un altra parte dell'Universo?"
"So che i sette che sono andati via finora si sono riuniti in seguito.
Probabilmente anche gli altri andranno con loro, sperando che non
appestino qualche pianeta."
"Chi si occupa dei piccoli?"
"Si arrangiano tra di loro. All'inizio abbiamo tentato di metterci
qualcuno, ma non abbiamo avuto molta fortuna. Nessuno li voleva.
Abbiamo anche tentato di darli in adozioni in altri pianeti, ma quando
vedono i loro tatuaggi scappano."
-Allora scapperebbero anche per i tuoi, deficiente.- pensò Thomas che
si stava irritando sempre di più del tono superiore di quella
donna.
"Va bene." disse, trattenendo l'istinto di strozzarla. "Lasciatemi
con loro. Chiudetemi pure dentro a chiave, non ho paura di rimanere solo."
Miss Krader chiuse a chiave la porta e Thomas si ritrovò in una
gran distesa di prato. Il pianto di un bambino piccolo attrasse la sua
attenzione e si
avvicinò a una delle casette. Dentro una bambina, che non doveva
avere più di sette anni, stava cullando un lattante. Entrambi
avevano i tatuaggi appuntiti come i suoi.
"Ora il latte arriva, non preoccuparti, non possono più farci
morire di fame, lo sai." sussurrò la bambina per consolarlo, ma
il piccolino sembrava non comprendere quelle parole e continuava a
frignare. Si voltò verso la finestra e vide Thomas che la
fissava stupito.
"Chi va là? Come avete fatto a entrare?" lo rimproverò la
bambina, stringendo di più il neonato come per proteggerlo.
Il ragazzo si scosse e si chiese se Miss Krader lo aveva fatto apposta o si era davvero dimenticata di sfamare quel bambino.
"Sono l'addetto della Confederazione Spaziale. Devo controllare le
vostre condizioni e tentare di migliorarle, dove è possibile."
La bambina sorrise, ma non parve davvero divertita.
"Capita spesso che vi lascino senza cibo?"
Lei alzò le spalle, come se la cosa non le importasse davvero.
"Si tratta di una specie di congiura psicologica. Ho fatto il conto:
ogni giorno ritardano di qualche minuto. Ormai riceviamo la cena per il
pranzo, ma ci siamo abituati. Siamo troppo orgogliosi per lamentarci,
tanto nessuno ci ascolta. Però Seon è troppo piccolo,
ancora non capisce che vincerebbero loro se li pregassimo."
Thomas si chiese se lo facevano apposta come gli era stato appena
raccontato, ma sarebbero stati davvero idioti a farlo proprio mentre
c'era il Controllore, o era talmente grande la loro ignoranza che non
se ne rendevano conto?
"Cerco di recuperare il cibo, poi parleremo." Ritornò verso
l'entrata e suonò il campanello che Miss Krander gli aveva
indicato per uscire. La donna aprì uno spioncino per controllare
chi suonava, poi fece un ghigno che stava perfettamente sulla sua
faccia sterile.
"Si è già stancato, vedo." sogghignò "Sapevo che
non potevano farle che cattive impressioni, a causa di quei disegni."
"Apriamo una parentesi. Io non vedo alcuna differenza fra quei segni e
i vostri, quindi non mi fanno paura, né schifo, nessuno dei
due." la apostrofò stufo di quel tono di sufficienza "Se sono
qui è perché la prima cosa che ho visto, è un
neonato che piange per la fame. Non so se lei ha figli, ma di certo non
è informata del fatto che a quell'età devono mangiare
ogni tre, quattro ore. Quindi se non mi fa portare del latte
immediatamente, oltre che un rimprovero si avvererà la sua
previsione di essere sollevata dall'incarico di direttrice. E poi
parleremo anche della regolarità dei pasti per gli altri
bambini."
Il tono di Thomas, che si era a malapena trattenuto nel primo dialogo
con la donna, risultò talmente sgradevole che si diede i brividi
da solo e sperò che non perdesse tempo a lamentarsi con
qualcuno, piuttosto che si sbrigasse.
"Farò del mio meglio. La cucina è un po' lenta."
"Non si preoccupi per questo, da domani saranno i ragazzi più
grandi a preparare i pasti, così non ci saranno più
problemi."
"Non capisco."
"Non importa, faccia quello che lo ho detto e faccia presto."
Raggiunse di nuovo la casetta e avvertì la bambina che presto
sarebbe arrivato il latte per il piccolo e la pregò di chiamare
gli altri per poter parlare anche con loro, poi si guardò
attorno.
C'era molto spazio, a sufficienza perché potessero piantare un
orto e un piccolo allevamento, compresa una capra per il latte del
piccolo. I ragazzi avrebbero potuto imparare qualche mestiere, che non
fosse quello del babysitter e avrebbero avuto più speranza di
uscire da quell'inferno. Era ancora lì a rimuginare, quando fu
raggiunto dagli altri abitanti di quella specie di prigione.
Dodici minorenni tatuati, come del resto gli altri Tritoniani, solo con disegni diversi dagli altri.
"Bene, vi dispiace presentarvi in ordine di età decrescente? Non
ho ancora avuto occasione di vedere i vostri incartamenti. Comincio io.
Mi chiamo Thomas Tryner, ma potete chiamarmi Tom."
I ragazzi si guardarono fra di loro, indecisi, poi uno di quelli che sembrava più grande mosse un passo in avanti.
"Mi chiamo Randar, ho quasi vent'anni." disse, con voce atona, quasi rassegnata.
"Quindi fra poco sarai maggiorenne? Dove hai intenzione di andare appena potrai?"
Randar si guardò attorno, nel recinto che era la sua casa da quando era nato, poi tornò a fissare di nuovo Thomas.
"Da nessuna parte. Rimarrò qui e mi occuperò dei miei fratellini."
La parola usata per descrivere gli altri lo commosse fino al punto che
temette di non riuscire a parlare senza che la voce si rompesse.
Riteneva suoi fratelli dei ragazzi con cui non aveva nessun legame di
sangue, solo un disegno sulla pelle simile. Un carattere secondario raro
che veniva trattato come simbolo del male. Respirò a fondo prima
di continuare, non prima di aver preso appunto sul suo tablet.
"Potrebbero non mantenerti, una volta che non ne saranno obbligati."
Il ragazzo abbassò la testa, rendendosi conto che aveva ragione
ed era certo che nessuno gli avrebbe dato un lavoro e la
possibilità di vivere degnamente.
"Non mi hai detto il tuo cognome?"
"Non ne abbiamo. Il nostro stato ci rende figli indesiderati."
"Non è mai capitato che un genitore si sia rifiutato di consegnare il proprio figlio?"
"Da quando non veniamo più lasciati morire di fame, no. Almeno
sanno che siamo vivi. Prima è capitato spesso che alcune madri
abbiano cercato, in ogni modo, di nascondere il difetto del figlio, ma
non si sa di nessuna che ci sia riuscita. L'ultima volta, prima che il
bambino fosse rapito da una donna che ebbe pietà di lui, la madre
cercò in ogni maniera di convincere tutti che la creatura che
aveva portato in grembo per nove mesi non poteva essere malvagia, ma
non ci fu verso. Alla notizia della fuga e dalla successiva morte, tentò il suicidio."
Thomas impallidì: stava parlando di sua madre?
"Sta male, signore?" chiese la bambina con il neonato in braccio.
"No, non vi preoccupate, è che queste storie mi fanno venire
l'angoscia." si scusò Thomas "E non chiamarmi signore, ti prego,
mi fai sentire vecchio. continuate a presentarvi."
"Elsia, ho diciotto anni." Femmina.
"Venimer, quindici." Maschio.
"Jenima, quindici." Maschio.
"Wendel, quattordici." Maschio.
"Polita, tredici." Femmina.
"Erbal, dieci." Maschio.
"Tenis, otto." Maschio.
"Grandia, sette." Femmina, che stringeva sempre il piccolo.
"Zibet, cinque." Maschio.
"Anira, tre:" disse con voce squillante e infantile una bambina piccola.
"E questo," aggiunse Grandia, " è Seon. Ha tre mesi."
Thomas osservò i nomi che aveva inserito nel computer portatile
e si chiese se poteva fare qualcosa per loro, per renderli più
umani e meno diffidenti. Era logico che guardassero tutti con timore,
essendo considerati scarti della società. Espose loro la sua
idea di trasformare quel posto immenso in una piccola fattoria. Mentre
raccontava di come avrebbero potuto coltivare verdure e allevare
piccoli animali da cortile, tipo anche caprette che dessero il latte ai
neonati, vide nascere sul volto dei più grandi un sorriso che
poteva definirsi finalmente rilassato.
"Sarebbe bello." commentò infine Randar, che essendo il
maggiore era stato scelto come portavoce. "Ci ritengono degli
inetti buoni a nulla, solo a
causa dei segni che abbiamo sul corpo. Passiamo la nostra giornata a
zonzo, come unico compito solo quello di badare l'uno all'altro. Non
puoi immaginare che significa vedere da vent'anni la faccia di una sola
persona e sapere che questa ti odia per partito preso. Non abbiamo mai
incontrato nessuno, a parte Miss Krander. Quando ci sono dei lavori da
completare in una delle casette, ci chiude tutti in un'altra,
perché nessuno possa rimanere offeso della nostra vista e non
risparmia mai di ricordarci che saremmo tutti all'inferno da un pezzo,
se fosse stato per lei."
"Davvero una santa donna." commentò sarcastico Thomas,
strappando qualche risolino ai ragazzi "Le proporrò le mie idee
e obbligherò qualcuno dei vostri amati concittadini a farmi
qualche lavoretto e a regalarmi degli animali. Dovranno anche avere
qualche contatto con voi, poiché voglio che vi insegnino tutto,
per poi proseguire da soli."
Il campanello suonò e tutti i ragazzi rizzarono le orecchie.
Corsero verso la porta e Miss Krander entrò spingendo un
carrello stracolmo di roba. Grandia prese subito il latte cercando poi
di svegliare Seon che, stremato, aveva finito per addormentarsi. Il
piccolo, appena si rese conto di avere la tanta agognata pappa tra le
manine, cominciò a succhiare con tanta foga, rischiando di
rimanere soffocato. Gli altri si trattennero e attesero che la donna se
ne andasse. Prima di farlo, però, Thomas le ricordò la
regolarità nei pasti dei ragazzi e il latte per il neonato ogni
quattro ore, notte compresa.
Miss Krander uscì a testa alta, cercando di mantenere un contegno.
I ragazzi approfittarono della bella giornata e mangiarono all'aperto,
sopra a delle coperte non troppo pulite. Stavano borbottando tra loro,
chiedendosi quanto sarebbe durato quello stato di grazia. Non
riuscivano a fidarsi fino in fondo e poteva capirli. Nessuno aveva mai
lottato per quei piccoli, non che si ricordasse, almeno e, chi lo aveva
fatto, aveva avuto dei grossi problemi con la giustizia locale.
Assaggiò un poco dei piatti che erano stati preparati e fu sul
punto di rimettere. Ridendo uno dei maschi chiese se non fosse troppo
delicato di stomaco e dovette ammettere che i loro anticorpi anticorpi
naturali dovessero essere davvero forti. Aveva già assaggiato
pietanze locali, fatte con materie prime ottime e non gli aveva fatto
quell'effetto.
O si trattava d un effetto secondario del viaggio, anche se non gli era mai accaduto personalmente, poteva succedere.
Oppure davano da mangiare a quei ragazzi i loro scarti, l'immondizia.
La seconda ipotesi gli diede la nausea e si chiese cosa potesse esserci nel latte che il Seon trangugiava con ingordigia.
Per un attimo la testa gli girò. Quel caldo, unito al cibo
scadente e allo sporco presente ovunque, rischiò di farlo
svenire e non c'era neppure una fontanella cui rinfrescarsi.
"Non stai bene?" chiese Randar, avvicinandosi preoccupato e cercando di sbottonargli la tuta,
A quel gesto Thomas si riebbe: non era ancora tempo che loro sapessero chi era e lo fermò.
"Ma non hai caldo con quell'affare addosso? Dovresti metterti qualcosa
di più leggero. Se vuoi ti presto qualcuno dei miei abiti,
dovrebbero starti." propose ancora il maggiore.
Thomas scosse energicamente la testa e si rialzò.
"Devo discutere di alcune faccende che vi riguardano con i miei
superiori, prima lo faccio, prima avremo un riscontro positivo." si
scusò abbandonandoli. Era vero, ma voleva
anche a controllare di persona se il cibo che mangiavano fuori di
lì era altrettanto disgustoso. Il suo stomaco brontolava, ma non era così disperato da mangiare quello schifo.
-Quasi, quasi, rimpiango le pillole, il che è tutto dire.-
Si avvicinò alla porta e suonò il campanello. Una scocciatissima Miss Krander, tornò da lui.
"Che cosa vuole questa vola? Non è ancora soddisfatto? Mi faccia
una lista di tutte le sua lamentele, ho un sacco di amici che hanno
voglia di ridere." lo apostrofò, secca.
"Davvero divertente, dovrebbe fare la comica." ribatté Thomas
"Devo uscire e parlare con i miei superiori, se non le spiace."
"E... di cosa?" La donna sembrava preoccupata, tutto d'un tratto.
Forse quel ragazzino non la spaventava, ma temeva il gruppo che si
sarebbe creato lì.
"Del necessario. Ora mi fa la cortesia di aprirmi?" la invitò,
cercando di essere meno scorbutico possibile, anche se era difficile.
Con riluttanza la donna obbedì e Thomas si sentì libero come non era mai stato.
"Allora, tenente Tryner, cosa ne pensi delle condizioni
dell'orfanotrofio?" gli chiese il comandante della nave, vecchio amico
di famiglia.
"Per ora ho controllato solo gli indesiderati, se posso chiamarli così e mi è sembrato di essere in una galera."
Lo informò di tutto ciò che aveva visto e delle idee che aveva avuto, chiedendo il suo parere.
"Beh, se non trovi nessuno che può aiutarti, potrei
interessarmene io. Avrei fatto il contadino, se mi fosse andata male
come pilota di caccia." rise l'uomo. "E tu, come stai? Cinthia si
è raccomandata di tenerti d'occhio."
"La conosci da molto tempo?" s'informò, invece che rispondere.
"Ero un giovane alla mia prima missione importante, quando lei fece
quella cosa. Non pensavo che sarei mai riuscito a vedere la fine di
questa storia, sono un popolo talmente orgoglioso. Scommetto che hai un
caldo bestiale."
"Non me lo ricordare! Non posso restare così a lungo. Non fanno
che chiedermi se ho caldo, il che peggiora la situazione."
Furono interrotti da un uomo, che si tolse il cappello e li
disturbò con un tossire discreto. I due lo squadrarono un
attimo, poi il comandante Frase lo interpellò.
"Mi dica, cosa vuole che faccia per lei?" chiese.
"Mi chiamo Pertis Dunnar, Miss Krander mi ha detto che cercate qualcuno che aiuti quei ragazzi a
rendersi indipendenti e vorrei rendermi disponibile per quanto riguarda
l'agricoltura e l'allevamento degli animali. Mia moglie, invece,
potrebbe insegnare alle ragazze a cucinare e cucire." L'uomo tacque e
Thomas si ritrovò a bocca aperta, senza riuscire a dire nulla.
"Ci... sono dei problemi a riguardo?" chiese l'uomo timidamente.
"No, no, scusi, ma sono stupito." ammise il giovane "Miss Krander mi
aveva assicurato che sarebbe stato difficilissimo trovare persone
disponibili, e invece non sono passate neppure due ore."
"Potreste trovare altri, come noi. Abbiamo creato un'associazione
segreta che riunisce chi è contrario alla segregazione di quei
bambini. Non abbiamo potuto fare molto finora, ci siamo accontentati
che stessero bene, ma con la vostra presenza contiamo di migliorare le
loro condizioni."
Thomas prese con le mani dal piatto di Frase e si portò il cibo
alla bocca, ignorando lo sguardo di rimprovero dell'uomo.
"Per cominciare, smetterei di sfamarli con quella merda. Certo che
devono avere una salute di ferro, se non si ammalano. Quello che non ti
uccide, ti rende più forte." poi si rivolse a Frase "Sono
ancora in orario per mangiare? Ho fame e devo cavarmi dalla bocca quel
saporaccio."
Frase gli cedette il suo piatto, poi si rivolse all'uomo.
"Gli appartenenti a quest'associazione, sono i genitori dei bambini rinchiusi lì dentro?"
Pertis annuì.
"Quindi anche suo figlio è uno di loro?"
Questa volta la sua testa scosse in un triste dondolio.
"Lui non è più tra noi." ammise "Solo per questo Miss
Krander è venuta da noi, crede che siamo gli unici a voler
contatti con loro."
"Suo figlio è morto d'inedia?" chiese con un filo di voce Frase, commosso.
"Come, non si ricorda? Eppure era presente anche lei, quella volta."
insistette l'uomo "Nostro figlio fu rapito da una dei vostri soldati.
Ci fu detto che erano morti entrambi durante la fuga."
Frase cominciò ad avere qualche flash di quell'uomo e dovette
ammettere che la sua somiglianza con Thomas a quell'età era
imbarazzante. Il ragazzo rischiò di strozzarsi con il boccone
che stava masticando e si mise di spalle all'uomo sentendosi arrossare
in volto. Quello era suo padre!
"Capisco, quindi Miss Krander pensa che voi siate gli unici interessati?"
L'altro stava per rispondere, quando furono interrotti da un giovanotto facente parte della missione.
"La donna di cui parlavate prima è Cinthia Carter, vero?"
s'informò. Prima che qualcuno potesse rispondergli, tirò
fuori il suo Pad e mostrò una foto. "Sono certo che sia questa e
che sia più che viva. L'immagine risale a qualche mese fa. Per
ragranellare qualche soldo, anche se è proibito, ho viaggiato
per alcune compagnie non accreditate e lei era uno dei comandanti."
Vedendo il volto della zia Thomas ebbe un brivido: doveva essere stata
scattata poco prima che lo raggiungesse e gli raccontasse la storia
della sua nascita.
"Ehi, ma questa non è tua zia, Tom?" chiese un'altro suo collega, poi lo guardò "Ma non hai caldo?"
"Sembrate tutti molto preoccupati per i miei calori." lo apostrofò secco "In effetti, però, sto davvero morendo."
"Così mostrerai a questi contadini i tuoi di tatuaggi. In fondo non sono molto diversi dai loro." rimarcò l'amico.
"Già." accordò Thomas, poi, senza alcun preavviso, si
sfilò la parte superiore della tuta, rimanendo a petto nudo.
La reazione delle persone presenti, la maggior parte dei quali nativi
del pianeta, fu violenta, soprattutto a livello emotivo. Osservare quei
disegni appuntiti, che molti avevano visto solo in immagini, fece loro
pensare ai loro incubi peggiori. Non c'era nulla che potesse competere
con il perdere un figlio in quella maniera e per una leggenda che non
alcun vero fondamento.
L'uomo che era di fronte a loro li osservò un attimo
imbambolato, non certo che ciò che aveva registrato il suo
cervello fosse vero. Qualcuno alle sue spalle lo scosse e lui
ritrovò la parola.
"Tu sei Lonar?" chiese con un filo di voce, non riuscendo a dirlo
più forte. Thomas non rispose a quella domanda, ma neppure negò. "Quando tua madre ti vedrà..."
allungò una mano verso il figlio ritrovato, ma la ritirò
subito "No, glielo devo dire, se non la preparo questa volta le viene
un infarto e muore sul serio." E corse via, lasciando il ragazzo
circondato da persone che lo offendevano, senza osare avvicinarsi. Solo
una donna,con gli occhi umidi, osò allungare il passo verso di
lui.
"Tu... hai visto il mio piccolino? Sta bene?"
Un uomo dietro di lei la rimproverò, ma lei tornò ad
avanzare imperterrita verso Thomas, le mani congiunte come in una
preghiera.
"Lei è la madre di Seon?" chiese Thomas.
La donna annuì, cercando di dominare i suoi sentimenti, anche se si sentiva che faceva fatica.
"Tutti dicono che ci si abitua al dolore, ma credo che solo se mi cavassero il cuore dal petto, ci riuscirei."
Thomas si commosse per la dichiarazione d'amore di quella donna verso
la creatura a cui aveva dato la vita e cercò di trattenersi.
"I bambini stanno tutti bene, anche se sono malnutriti e trattati come
se non fossero che bestie. I vostri concittadini vogliono che siano
indesiderati ed è così che si sentono. Mi stupisce che
abbiano un linguaggio decente."
"Miss Krander fa loro lezione. Nessuno sembrava volersi occupare di
loro e i genitori non se ne potevano interessare, per non rischiare la
prigione o il manicomio."
"Gran donna! Mi fa paura pensare che starebbero peggio di così,
senza di lei." Il sarcasmo di Thomas non fu ben accolto dai Tritoniani,
che lo osservavano con disgusto. "Qualcuno ha una maglietta? Credo di
aver già dato abbastanza spettacolo per oggi." aggiunse e prese
al volo qualcosa che gli lanciò un compagno. "Torno al lavoro.
Chiunque voglia aggregarsi per aiutarmi è ben accetto. Si rivolga
a Pertis e ci raggiunga... quando tornerà." E uscì.
La reazione di Miss Krander, alla vista di quei tatuaggi, fu violenta
quanto si aspettava. La donna si ritrasse, come se avesse visto un
fantasma e i suoi occhi si inumidirono. Forse stava per piangere dalla
paura. Si bloccò in mezzo alla porta non lasciando alcun
passaggio.
"Miss Krander, le dispiace farmi entrare?" La donna, ancora imbambolata, dondolo da una parte.
"La avverto che fra breve potrebbero arrivare Pertis e qualche altro
per iniziare un sopralluogo. Mi raccomando, faccia passare chiunque
abbia voglia di unirsi a noi. E quando dico chiunque, intendo anche i
genitori dei bambini rinchiusi qui dentro. Intanto mi faccia visitare
il resto dell'orfanotrofio." ordinò.
Miss Krander, contraendo la mascella, precedette il ragazzo nella
visita. Il resto dell'edificio era piuttosto regolare, quanto lo poteva
essere un luogo ricavato da dentro un pianta più che millenaria.
"In che epoca fu costruito questo edificio?" chiese Thomas, mentre
fulminava con gli occhi i bambini che lo osservavano per il suo
tatuaggio strano, diverso dai loro.
"Circa ventimila anni fa, assieme al resto del nostro piccolo pianeta."
raccontò la donna, la cui voce era meno ostile di quanto
s'immaginasse "Ci fu una guerra fra quattro fazioni opposte. Alla
fine si distrussero l'un l'altra, non vincendo nessuna. Questi alberi
enormi, che lo erano già all'epoca, furono gli unici a rimanere
intatti e i sopravvissuti decisero di usarli come casa. Fino a oggi e
spero anche nel futuro, ci hanno protetto da ogni temperatura, dalla
più fredda a quella tropicale, senza che una virgola cambiasse
in loro. Abbiamo imparato dai nostri errori e ora siamo uno dei popoli
più pacifici dell'Universo."
-Anche se siete crudeli con i vostri stessi figli.- pensò il
ragazzo. Non si espresse a voce, supponeva che ormai si capisse quanto
detestava la loro ideologia e anche il perché e non gli sembrava
il caso di infierire. Stranamente fu proprio lei che ne accennò.
"Lei chi è?" chiese all'improvviso, appena finito il giro di
tutto l'orfanotrofio, prima di tornare dai reclusi "Io sono qui da
tutta la vita, da quanto non possiamo più decidere della sorte
dei bambini, li ho allevati, volente o nolente, eppure non mi ricordo
del suo volto. Perché?"
"Miss Krander, lei non ha davvero idea di chi potrei essere? Il
signor Pertis, invece, l'ha avuta abbastanza chiara fin da subito,
anche se, secondo quello che gli fu detto, avrei dovuto essere morto."
"Tu sei la fonte di ogni male?" chiese inorridita "Sì, avresti
dovuto morire quel giorno, anche se dubito che sarebbe cambiato molto."
Si toccò le meningi. "Sono stanca, mi hanno lasciata da sola a
badare a quelle creature ignobili."
"Miss, sinceramente non vedo la forzo, visto che a fatica gli date da
mangiare e da bere. E non credo che lei da sola si sia occupata di
tutto, quindi la smetta di fare la vittima e prenda coscienza del fatto
che se vuole continuare con questo lavoro, si deve adeguare più
di quanto abbia fatto fino a ora."
La smorfia sul volto della donna, simile a una di un dolore cronico con
cui si è costretti a convivere, lo rassicurò del fatto
che
poteva fidarsi di lei.
"Appena arriveranno i suoi concittadini per aiutarmi a sistemare le
cose, li faccia passare." E si fece chiudere di nuovo con i bambini
maledetti.
Appena messi gli occhi sui suoi tatuaggi, lo sommersero di domande.
Thomas rispose come poté e raccontò loro la sua storia.
Alla fine, il solito Randar, s'intromise.
"Quindi tu non sapevi nulla, prima che ti fosse affidata la missione?" chiese.
"No, la donna che mi portò via da qui e suo fratello, a cui mi
affidò, preferirono non rivelarmi la verità, almeno non
finché non mi proposero di partire. allora capì che
dovevo sapere, per non rischiare inutilmente la vita."
"Quindi anche lei è viva?"
Thomas annuì.
"Finse la morte di entrambi per evitare che la nostra presenza
influisse negativamente sui trattati che stavano proponendo a questo
pianeta. Il vostro imperatore, però, fu costretto da allora a impedire che
uccidessero i bambini con il tatuaggio sbagliato e, per quello che ne
sapiamo noi, nessuno è più morto."
Il campanello suonò. Miss Krander apparve dallo spioncino.
"Quelli sono arrivati." disse senza trattenere un certo disgusto nella voce.
Thomas, capendo che con quelli intendeva
i genitori dei bambini presenti nella prigione, fece subito largo. Con
stupore si accorse che non erano da soli: con loro, la maggior parte,
aveva portato altri bambini di tutte le età, fratelli che erano
cresciuti con l'idea che mai avrebbero conosciuti i congiunti. Una
bambina, che assomigliava in modo impressionante a Grandia, sia per
fisico che per età, si avvicinò e gli tirò un
lembo della maglietta.
"A scuola ci insegnano che i Tatuaggi del Male sono stati la causa
della fine della nostra precedente civiltà. È vero?"
chiese.
"Solo la follia degli uomini, può causare danni del genere. I
bambini non fanno la guerra." cercò di spiegare Thomas, poi
osservò la madre.
"Sono gemelle, vero?"
La donna annuì, le lacrime agli occhi.
"Pensavo che sarebbe stato più facie per me, rinunciando solo a
uno dei miei figli, ma è solo una bugia che mi sono raccontata
per evitare di soffrire. Oltretutto, pur non conoscendola, poiché
abbiamo cercato di nascondere la verità, Ruthy ha sempre sentito
la sua presenza, il suo dolore."
Thomas fece entrare tutti, cercando di ignorare gli sguardi della donna
accanto a Pertis, che era bloccata, forse aspettando un cenno da parte
sua. Lo spettacolo di quelle famiglie che si riunivano fu commovente ma
mai come il primo incontro delle due gemelle. All'inizio Grandia non
reagì, perché aveva ancor Seon in braccio, poi, una volta
che la madre aveva preso con sé il neonato, si buttarono l'una
fra le braccia dell'altra, come se non si fossero mai lasciate. Quindi
le famiglie, rotto il ghiaccio in quella maniera, si riunirono. I
ragazzi più grandi cercavano di rimanere seri, un po' come
Thomas con i suoi, ma alla fine cedettero anche loro.
Thomas si sentì improvvisamente stanco: non si era fermato un
attimo da quando era arrivato lì e aveva mangiato pochissimo. La
rimpatriata, dopo anni di attese, non poteva essere trattenuta. Avrebbe
pensato poi alla realizzazione dei suoi piani. Chiamò con la sua radiolina Fraser che lo raggiunse e prese il suo posto.
La moglie si voltò verso Pertis.
"Sei sicuro che sia lui?" chiese.
"Non sei contenta? Dicevi che era impossibile che fosse morto."
"In fondo forse è meglio così. Si vede che è
cresciuto in una famiglia che l'ha amato. Ma non c'è fretta,
abbiamo tutto il tempo dell'Universo per conoscerlo meglio.
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