That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Hogwarts - II.004
- Il Primo Giorno
Severus
Snape
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 2
settembre 1971
Aprii gli occhi: un soffuso chiarore verde smeraldo permeava persino
l’aria che respiravo. Non riuscivo ancora a crederci: i miei
desideri più profondi si erano trasformati in
realtà. Avevo fatto una serie di sogni confusi eppure
bellissimi, ero così sereno, tutta la tensione della sera
precedente sembrava essersi dissolta con
l’oscurità. Per un momento, persino il pensiero di
lei si era fatto più tenue. Mi guardai intorno, stupito,
pieno di ammirazione e devozione per la meraviglia dei dettagli
argentei che ornavano le colonne del mio baldacchino, per il buon odore
che emanavano le lenzuola di seta nera, - mai avevo dormito in un letto
come quello- , per il tepore quasi materno della coperta verde smeraldo
e il senso di protezione che m’ispiravano i tendaggi di
broccato su cui erano ricamati gli stemmi di Salazar. Mossi piano la
tenda per non svegliare gli altri quattro ragazzi che dividevano la
stanza con me: Mulciber, Flitt e Yaxley, dei purosangue, e Bullstrode,
un mezzosangue come me. La sera prima non avevamo parlato molto, a dire
il vero mi avevano guardato con una certa sufficienza e avevano fatto
comunella tra loro, di certo già si conoscevano: a me non
importava, essere lì per me era già la
realizzazione di un sogno, il resto non contava. Una volta ritrovata
Lily, saremmo stati insieme, avremmo studiato insieme, avremmo fatto
insieme tutto quello che avevamo programmato e previsto, organizzandoci
in modo lievemente diverso, vero, ma tra noi nulla sarebbe
cambiato… Tutto il resto non avrebbe contato nulla per me.
Né per lei. La stanza era di forma esagonale, con i letti e
gli arredi privati disposti all’interno degli spazi lobati,
che si aprivano lungo i cinque lati, lasciando uno spazio ampio al
centro dominato da una stufa dalle forme eleganti, intorno alla quale
si disponevano dei tavoli e delle poltrone, rigorosamente neri. Le
pareti erano addobbate con i simboli serpenteschi di Salazar e con dei
quadri raffiguranti alcuni vecchi e gloriosi studenti del passato:
giovani divenuti poi grandi nel Quidditch, o al Ministero, o in altre
attività legate alla Nobile Arte della Magia.
C’erano delle strane finestre a forma di testa di serpe nella
parte alta della stanza, chiuse da vetri magici, decorati e colorati
nelle varie tonalità del grigio argento e del verde, in cui
erano descritte scene della vita di Salazar, un po’ come
avveniva con la vita dei santi nelle vetrate delle chiese babbane. Era
da lì che entrava quel chiarore strano, soffuso e irreale:
come diceva mia madre, i dormitori di Serpeverde stavano sommersi sotto
il Lago Oscuro. Eppure la magia teneva lontano il freddo e
l’umidità e in quei luoghi, da tempo sognati,
l’atmosfera era particolarmente accogliente. Almeno per me.
Mi alzai, approfittai del fatto che fosse ancora molto presto per
godere in pace e tranquillità del bagno: anche nei miei
confronti trovavo un’inconsueta indulgenza, per la prima
volta sfiorai il mio corpo, sotto la doccia, guardandomi con rispetto.
Non ero più una nullità, anzi non ero mai stato
una nullità: ero riuscito a mantenere la prima promessa che
avevo fatto a mia madre, ero nella casa del grande Salazar Slytherin,
il cappello magico aveva letto in me la determinazione e la propensione
a raggiungere alte vette. Proprio come avevo giurato a me stesso. Non
sarei mai stato come mio padre.
Era ancora presto ma non avevo più sonno, mi vestii, con
somma reverenza mi annodai la cravatta delle Serpi, poi salii le scale
e mi ritrovai nella Sala Comune: tirai un sospiro fondo, stavo
ammirando quello che sarebbe stato il fulcro della mia vita per sette
lunghi anni. La stanza era rettangolare, più lunga che
larga, tutto intorno si aprivano delle “cappelline”
indicate da coppie di colonnine tortili di pietra, riccamente decorate
alla maniera romanica: alcune di quelle nicchie erano cieche e in esse
erano alloggiati altri ritratti di grandi Serpeverde del passato, altre
davano invece alle scale che portavano ai dormitori. A destra
c’erano quelli delle femmine, a sinistra quelli dei maschi.
In fondo, prossima all’ingresso da cui eravamo entrati la
sera prima, stava la stanza riservata al Caposcuola. Ripensai alla sera
precedente, quando quel ragazzo, alto e incredibilmente biondo, con la
spilla fissata al petto, mi aveva stretto la mano dandomi il benvenuto:
ero stato talmente orgoglioso di quel gesto, che per un momento avevo
smesso di pensare persino a Lily, anche se l’aveva riservato
a tutti coloro che mi avevano preceduto. Tranne forse Meissa Sherton
che, chissà perchè, era corsa tra le braccia di
suo fratello ignorandolo. Mortificato dalla mia distrazione, ero poi
corso con lo sguardo verso il tavolo dei Grifondoro, ritrovando il suo
viso serio e triste. Nessuno di noi due aveva mai immaginato, in tutti
quei i mesi, che gli eventi potessero dividerci.
Tornai in me, al presente, mi resi conto che, ammirato, fissavo da
fuori la stanza del Caposcuola e immaginavo me stesso là
dentro: un giorno magari sarei stato io, il figlio di un babbano
derelitto, a poter godere di quella stanza e degli altri dovuti onori.
Onori che avrebbe meritato uno come me, portato per lo studio e devoto
a Salazar. Continuai a guardarmi attorno: sul lato di fronte
all’ingresso c’era l’immenso camino di
marmo decorato con statuine e teschi, e ai lati serpi intarsiate
d’argento e smeraldi, in alto, a sovrastarlo, il ritratto di
Salazar; sui lati lunghi, in alto, altre cornici racchiudevano ritratti
distribuiti pressoché ovunque. Il resto
dell’arredamento era costituito da divani neri, tendaggi e
tappeti verde e argento, tavoli per studiare e fermarsi a parlare,
librerie stracariche di libri interessanti, - come potei appurare
quando mi avvicinai e scorsi quelle copertine ricche di storia con
appena la punta dell’indice, preda di un vero e proprio
timore reverenziale. C’era poi una tavola già
imbandita con frutta, scatole di scacchi magici e altri giochi, e
infine una teca piena di coppe: mi avvicinai, sapevo che no erano gli
originali, i trofei veri erano conservati in una stanza cui si accedeva
dalla Sala Grande, ma anche quelle copie mi davano i brividi. Forse un
giorno tra quei trofei ci sarebbe stata anche una traccia del mio
passaggio a Hogwarts. Scorsi nomi e facce, pieni di sano orgoglio
Slytherin, riconobbi tra i molti, il volto di Alshain Sherton: era
stato per tre anni capitano della squadra di Quidditch. Notai che non
era cambiato poi molto in quegli anni, non c’erano molte
differenze tra l’uomo che avevo visto quel mattino
d’inverno in casa mia e il ragazzo orgoglioso che sollevava
la Coppa nella foto. Rimasi a lungo a guardare tutto questo, alla luce
verdastra di lampade, torce e bracieri a forma di serpi,
finché la porta del Caposcuola Malfoy non si
aprì, e quasi contemporaneamente sentii voci uscire dai
corridoi e riemergere dal piano sottostante. Con un brivido per la
schiena smisi di distrarmi e m’irrigidii in una posa poco
naturale e sostenuta.
Ero uno Slytherin, stava iniziando finalmente la mia nuova vita. Quella
che mi avrebbe ripagato di tutto. Quella che, unica, meritava di essere
vissuta.
***
Sirius
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 2
settembre 1971
Avevo sentito Remus lamentarsi piano per ore, senza però
capire se fosse sveglio o addormentato, e questo contribuì
ulteriormente a non farmi prendere sonno per buona parte della notte;
alla fine, per un po’, avevo ceduto alla stanchezza e mi ero
concesso il mio primo sonno nella torre dei Grifondoro, ma il sogno nel
quale mia madre m’inseguiva, furibonda, per le scale di
Grimmauld Place, con intenti chiaramente omicidi, mi aveva ridestato di
soprassalto. Avevo ancora il cuore in gola. Ormai da un po’
mi rigiravo nel letto senza più la possibilità di
addormentarmi di nuovo, dalla tenda rosso borgogna, che mi ero chiuso
addosso, filtrava una timida luce, probabilmente arrivava proprio dalla
cara Herrengton: come aveva detto Meissa il giorno prima sul treno, le
terre del Nord si estendevano appena di là delle montagne.
Non sprecai tempo a guardarmi ancora attorno, non era stato solo un
sogno, mi trovavo davvero nella torre dei Grifoni, e lì
sarei rimasto per i successivi sette anni della mia vita, quindi avrei
avuto molto tempo per osservare, studiare e abituarmi a quel luogo.
Avevo finito col dividere la stanza con i ragazzi già
conosciuti sul treno, James, Peter, Remus e Frank Longbottom, con cui
avevo diviso la barca per attraversare il Lago Oscuro insieme a Meissa.
Non mi ero comportato proprio in maniera simpatica, quella sera, ma non
avevo la forza di fare il brillante, pieno com’ero di
pensieri confusi in cui la felicità per Mei si scontrava con
l’ansia per le reazioni della mia famiglia e dei miei amici.
Sherton in testa. Entrai in bagno, mi lavai con cura, mi rivestii
cercando di non pensare a tutte le battute che per undici anni avevo
sentito sui Grifoni, ma, quando mi annodai la cravatta rossooro, non
riuscii a non rimanere sgomento: stavo indossando proprio quei colori
che mi avevano insegnato a disprezzare. Mi chiedevo se fosse uno
scherzo del destino, l’effetto di quello strano patto, o
davvero ci fosse in me tanto poco della famiglia Black, se ero finito
nella casa che loro più disprezzavano. Nel giro di poco,
probabilmente già a colazione, sarebbe arrivata la lettera
dei miei. Non potevano farmi nulla, in fondo erano lontani km e km, ma
non mi sentivo per niente sereno. Immaginavo chiaramente come avrebbe
reagito mia madre, il sogno si poteva considerare premonitore, ma, per
quanto riguardava mio padre, ero leggermente confuso: forse tutti i
discorsi, che Sherton mi aveva fatto su di lui, mi portavano a
illudermi che potesse prenderla meglio di quanto fosse prevedibile e
giusto. O forse… avevo iniziato a guardare mio padre in modo
diverso dopo quel pomeriggio e ora m’illudevo che ci fosse
qualcosa tra di noi, che non avevo mai percepito prima…
Presi la bacchetta e mi fiondai fuori. Sentii James borbottare
qualcosa, forse una qualche protesta per il rumore che stavo facendo,
ma non me ne curai, se volevo smettere di farmi sbranare dai foschi
pensieri dovuti alla vendetta dei Black, dovevo trovare
l’ingresso di Serpeverde e vedere Meissa il prima possibile.
Avevo ascoltato numerosi discorsi a casa perciò sapevo dove
cercare: non mi sarebbe sfuggita, avevo troppo da dirle, troppo da
chiederle, non potevo aspettare oltre. Scesi per le scale e
lì iniziò un nuovo incubo: si muovevano, animate
di vita propria, una vita sicuramente demoniaca, visto quanto si
divertivano a farmi dispetto. Io sapevo bene fino a quale piano
scendere e da che parte andare, ma presto il caos creato da quei demoni
di pietra fu tale che non ci capii più niente. Persi non so
quanto tempo, saltando come uno stambecco di scala in scala, ma quando
chiesi ai ritratti a che livello fossi arrivato, mi resi conto di non
riuscire mai a scendere oltre il terzo piano. Deluso e sconfortato,
presi a risalire verso il mio dormitorio, ma le cose non migliorarono,
anzi, rimasi bloccato praticamente a metà. Odiavo quel
castello, lo odiavo davvero, sembrava si divertisse a tenermi lontano
da Mei, inoltre ero certo che presto sarebbero usciti i prefetti e
sarei stato subito punito… Tanto per dare alla mia famiglia
ulteriori motivi per disprezzarmi. Come se ce ne fosse stato bisogno...
Mi sedetti a terra, pronto ad accettare il mio destino, quando le scale
finalmente si allinearono nel modo giusto e, prima che ci ripensassero,
mi misi a correre finché mi ritrovai davanti alla Sala
Grande. Aprii la pesante porta di legno antico, riccamente intagliata,
e rividi la stanza che aveva segnato profondamente la mia vita poche
ore prima: era anche più immensa di come mi era apparsa, in
alto il finto cielo era tinto di un rosa tenue, imitando
l’alba che si stava stagliando di là delle
montagne. Il mio primo giorno a Hogwarts sembrava baciato dal sole,
forse dovevo prenderlo come un buon segno: per la prima volta dal
momento dello smistamento di Meissa un timido sorriso andò a
incresparmi le labbra, infondo a parte alcuni piccoli dettagli, tutto
stava andando come volevo io. Mi appoggiai allo stipite della porta e
continuai lo studio dell’immensa sala che mi si apriva
davanti: oltre le gigantesche travi di legno a carena di nave, che
sostenevano quel magico soffitto, scendendo con lo sguardo, stavano gli
stendardi gonfi e colorati delle quattro case. Mi scoprii a guardare
con uno strano orgoglio sia quello che mi avevano imposto di stimare da
quando ero ragazzino, che a dire il vero mi aveva sempre lasciato
indifferente, almeno fino a quando, quell’estate, non avevo
imparato a vederlo in modo diverso grazie agli Sherton, sia quello che
sarebbe stato il mio futuro.
Il cappello mi ha trovato impavido e coraggioso, diverso dalla mia
famiglia, mentre Sherton mi ha detto che potrei prendere le Rune...
è possibile che ci sia in me qualcosa sia dell’uno
che dell’altro? Non è assurda una cosa del genere?
In basso osservai le tavolate ancora vuote e i caminetti accesi, che
già espandevano calore e gradevoli essenze di pino e resina.
Avanzai con timore di un passo: per i sette anni seguenti avrei
ammirato tutti i giorni quella meraviglia al mio risveglio, anche se
sapevo bene che presto ci avrei fatto l’abitudine e non mi
avrebbe più colpito come in quel momento. Approfittai del
fatto di essere ancora solo per farmi avanti e osservare da vicino:
volevo che ogni particolare e ogni sensazione si fissassero nel
profondo del mio animo, sentivo che era necessario assorbire qualsiasi
cosa venisse da quelle antiche mura. Mi mossi lentamente, fin quasi
dietro la tavolata degli insegnanti, attirato dalle quattro gigantesche
clessidre che segnavano i punti delle case, determinando alla fine
dell’anno quale fosse la vincitrice della Coppa delle Case.
Infine, all’angolo estremo, la vidi. E un brivido di
eccitazione mi corse per la schiena: Sherton ce ne aveva parlato, fin
da piccoli, nelle famose serate a Grimmuald Place, quando ci raccontava
storie meravigliose davanti al caminetto. Sapevo che non era il caso di
provare a entrare, ero solo e non avevo il permesso, eppure una voce in
me mi spingeva a farlo: non era solo curiosità, era una
specie di fuoco che m’invadeva da dentro, contro ogni
briciola di ragionevolezza. La porta che immetteva nella Sala dei
Trofei. Scesi le scale, rapido eppure guardingo, era immensa, carica di
storia quanto di ori, mi avvicinai alle bacheche e scorrendo rapido lo
sguardo tra facce e storie ignote, arrivai fino a ciò che
conoscevo da tempo, ciò che mi aveva chiamato a
sé: l’immagine di Alshain con la coppa e mio padre
al suo fianco, tra gli altri Serpeverde che festeggiavano la vittoria
finale nel torneo di Quidditch. Mi scese una lacrima, che subito
raccolsi al pensiero di aver deluso anche lui, oltre la mia famiglia,
di cui non m’importava assolutamente niente. Sarebbe venuto
il giorno in cui gli avrei spiegato il perché, e forse
allora mi avrebbe perdonato e mi avrebbe riaccolto con un sorriso.
Sentii in lontananza il rumore di voci, passi e risate, che si
avvicinavano, con un sospiro me ne andai di corsa, per evitare, se
possibile, di mettermi subito in guai seri, e con la speranza di avere
ancora tempo a sufficienza per trovare Meissa. Come rientrai nella Sala
Grande, però, intercettai due occhi celesti che mi
sbirciavano da dietro due curiosi occhialetti tondi, un viso sereno
poggiato su due mani dalle dita lunghe e delicate, anziane ma ancora
piene di energia. Sentii il viso in fiamme: ero stato beccato non dal
custode o da un prefetto, ma addirittura dal preside di Hogwarts. E
così finia la mia permanenza a Hogwarts: la sera prima ero
stato smistato a Grifondoro, la mattina seguente venivo espulso dalla
scuola. Mia madre mi avrebbe fatto evanescere all’istante, o
forse mi avrebbe semplicemente trasfigurato in un cavatappi. Deglutii a
stento, pronto alla punizione, ma il viso incorniciato dalla barba
candida, lunga almeno quanto la chioma fluente e bianchissima, si
aprì in uno strano ed enigmatico sorriso, ed io, rincuorato
e al tempo stesso inquieto per quello sguardo indecifrabile, andai a
prendere posto alla tavola dei Grifondoro, mentre lentamente tutta la
sala si riempiva intorno a me.
***
Meissa
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 2
settembre 1971
La mia prima mattina a Hogwarts, un sole stupendo era pronto
a illuminare il nostro risveglio. Io purtroppo non ne avevo idea, visto
che ero murata sottoterra. Anzi, se avevo ben capito i racconti dei
miei familiari, sott’acqua. Non avevo dormito per tutta la
notte, pensando alla lettera che avrei ricevuto dai miei, al fatto che
stessi iniziando la mia nuova vita, e al terrore d’incontrare
Malfoy. E, soprattutto, pensando che non avrei avuto Sirius al mio
fianco. Dopo che Rigel mi aveva rispedita in camera, avevo scritto una
lettera ai miei, raccontando del viaggio, dello smistamento e delle
prime impressioni sulle mie compagne di stanza, poi Zelda, molto
gentilmente, era andata all’ingresso e gliel’avevo
data da parte mia. Non avevo tenuto conto di alcune cose, nel formulare
le mie preghiere e le mie speranze, non avevo tenuto conto della
presenza ancora per un anno di mio cugino, né del fatto che
mio fratello fosse davvero un rompiscatole. Ma sopra ogni cosa, non
avrei mai immaginato che Sirius non sarebbe stato nei sotterranei di
Serpeverde con me. Indossai la mia divisa sopra la tunica, mi annodai i
capelli in una coda, scrissi altre due righe a casa sperando di
trovare, in Sala Grande, Ginevra e, legata la bacchetta alla cintola
come faceva mio padre, ero salita con Zelda in Sala Comune, per
aspettare mio fratello e andare insieme a colazione. In attesa del suo
arrivo, vidi le altre matricole osservare la Sala Comune con occhi
carichi di meraviglia e una certa soggezione: io, in realtà,
avevo già un’idea di cosa aspettarmi,
perchè le parti più antiche del maniero di
Herrengton erano state realizzate prendendo a modello la Sala Comune
degli Slytherin a Hogwarts. Il professor Slughorn, direttore della casa
di Serpeverde, ci distribuì l’orario delle
lezioni, quel mattino avrei iniziato con Erbologia e Storia della magia
con i Corvonero, mentre di pomeriggio avrei fatto sia Pozioni sia
Trasfigurazione con i Grifondoro. Salii per la colazione scortata da
Rigel e i suoi amici Beckett e Cox, e passai la maggior parte del tempo
a torturare il cibo nel mio piatto, mangiando poco o niente, in attesa
di un gufo di mio padre, che non arrivò, e maledicendo
Lestrange che, con fare incurante, aveva preso posto di fronte a me,
alla mia sinistra, impedendomi così di controllare
liberamente quello che accadeva al tavolo dei Grifondoro. Magari quello
era da sempre il suo posto, ma io ero troppo nervosa e infastidita per
affrontare la situazione in maniera logica e obiettiva. Non appena
Zelda fu pronta, sibilai un saluto stizzito a mio fratello, che mi
rilanciò uno sguardo carico di domande e mi avviai alle
serre con passo quasi militaresco. Nemmeno mi resi pienamente conto di
come passarono quelle prime due ore, riconobbi solo i due insegnanti
dalle descrizioni dei miei fratelli: la professoressa Sprite e il
professor Ruf, entrambi seri e severi, ma giusti e competenti.
Per l’ora di pranzo avevo già fatto conoscenza con
metà delle ragazze della mia classe, tutte smorfiose
petulanti alla ricerca della mia amicizia solo per avvicinare mio
fratello Rigel: rimasi sbigottita, non conoscevo molte ragazzine della
mia età, ma sembrava che là dentro fossero tutte
molto più grandi di me, discutevano solo di argomenti di cui
mio padre non voleva sentirmi parlare, facevano continue allusioni a
questo o quel ragazzo. Capii da subito che non sarebbe stata una
convivenza facile… Durante la lezione di Erbologia divisi il
tavolo con Zelda, figlia mezzosangue di un mezzosangue Slytherin e una
purosangue Corvonero, e due ragazze di Corvonero, scoprendo subito che
con loro l’atmosfera era molto più piacevole: in
quella casa ero nota come la nipote di una strega della loro casa tra
le più celebri e affermate, più che come la
figlia di mio padre. Quelle ragazze sembravano più alla
mano, meno altezzose, pur se purosangue, ed io mi sentii molto
più a mio agio, potendo parlare con loro di cose stupide
come i dolci di Dulcitus senza sentirmi fare la morale da ragazzine
idiote come le mie compagne di stanza, la Dickens su tutte. Sembrava
quasi che a Serpeverde ci fosse un’alta concentrazione di
quei ragazzi “strusciosi” di cui avevo una ridicola
memoria a Spinner’s End: mi sembrava assurdo che
già dal primo giorno di scuola per alcune l’unico
interesse fosse farsi notare dai ragazzi più grandi,
soprattutto dai due che personalmente cercavo di rifuggire come la
peste. Ma forse era perché nella mia testa avevo
già le idee più che chiare su un certo mio
coetaneo dagli occhi grigi come il mio mare. Sospirai. A pranzo Rigel
mi consegnò la posta, il gufo era arrivato non appena mi ero
diretta alle serre: c’erano una lettera da parte dei miei,
che naturalmente si complimentavano per il risultato dello smistamento,
e un pacchetto di Mirzam, contenente uno dei suoi libri di poesie
più cari, come segno del suo incoraggiamento,
perché nella foga della partenza non era riuscito a
salutarmi con grazia. E in mezzo al libro il regalo vero: una foto di
Mir, dei bambini e dei miei genitori che, abbracciati, mi sorridevano.
“E’ una foto della
tua famiglia?”
Zelda mi si era avvicinata da dietro e mi sorrideva.
“Sì, sono i miei
genitori e i miei fratelli…manchiamo solo io e
Rigel.”
“Ho visto tante ragazze di
Serpeverde fermarsi davanti alla bacheca delle coppe, per ammirare la
foto di quell’uomo, non sapevo fosse tuo padre!”
Sorrise ancora, arrossendo un po’. Sorrisi anch’io,
felice di sapere che in quella scuola ammiravano mio padre non solo per
la ricchezza e la potenza della sua magia e del suo nome, ma anche per
alcune delle doti che io stessa apprezzavo di più in lui,
come la bellezza e la bravura. Rimisi a posto i doni e mangiando con
scarso entusiasmo, passai il tempo a guardare con insistenza il tavolo
dei Grifondoro, visto che almeno a pranzo quell’idiota di
Lestrange non si era presentato, in attesa dell’apparizione
di Sirius; ma di lui sembravano essere sparite tutte le tracce, iniziai
a temere che nottetempo a Grifondoro l’avessero fatto a
pezzettini e nascosto sotto i loro tappeti rosso/oro. Stando
all’orario delle lezioni, dopo pranzo l’avrei visto
a Pozioni, però avevo voglia di parlargli con calma,
preferibilmente subito e da soli: l’idea di vederlo davanti a
quel Potter mi faceva andare il sangue al cervello, l’avrei
schiantato o ridotto a un rospo, tanto non ci vedevo una gran
differenza! Quando capii che di Sir non c’era nemmeno
l’ombra, feci un cenno a mio fratello che mi teneva sempre
d’occhio a distanza e me ne andai in camera a prendere i
libri per il pomeriggio. Poi risalii mesta e delusa, in attesa della
lezione: saltata l’opportunità di incontrare
Sirius, mi restava la curiosità di vedere Slughorn nelle
vesti d’insegnante e di verificare quanto io fossi realmente
più avanti dei miei compagni nella preparazione. Come fu
possibile entrare nell’aula, mi sistemai a metà
della stanza, disponendo le mie cose in ordine, in attesa
d’iniziare, dopo non molto entrò la banda di
Potter, con Sirius defilato nelle retrovie, vagamente cupo e impegnato
a complottare qualcosa con Remus: notai subito che con Snape si
guardavano in cagnesco, e, preso com’era da quella battaglia
silenziosa, m’ignorò completamente, lasciandomi
triste e basita. Vidi anche che, in barba alla diversa casa di
appartenenza, Severus si era seduto a fianco della sua Lily e un moto
di profonda invidia s’insinuò in me, al pensiero
che se non fosse stato per quell’odioso Potter, magari
anch'io potevo sedermi accanto a Sirius senza troppi problemi: che male
c’era? Tutti sapevano quanto fossero amiche le nostre
famiglie. Sospirai ancora, e cercai di concentrarmi sui discorsi del
professore. Slughorn fece un’interessante lezione, durante la
quale a ogni domanda avrei saputo rispondere con facilità,
ma mi trattenni, secondo i consigli di mio padre; nonostante la mia
riservatezza, però, il professore mi aveva notata e mi
chiese di trattenermi cinque minuti a fine lezione.
“Eccellente, eccellente,
è davvero meraviglioso avere la figlia di due dei miei
migliori studenti di Pozioni di tutta la mia carriera…
Stando a suo padre, dovrebbe avere una perfetta padronanza della
teoria, signorina, perciò la prego, non sia troppo timida,
non vedo l’ora di farmi incantare da lei al
calderone…”
Sorrisi, fortemente intimidita, avrei avuto molto da scrivere quella
sera nella nuova lettera, tutte cose che avrebbero sicuramente
rallegrato e rasserenato i miei genitori… tutte cose che mi
avrebbero distratto da qualche triste pensiero. Poi accadde
ciò in cui non speravo più… A
metà del pomeriggio, mentre correvo per le scale diretta
all’aula di Trasfigurazione, le cose non mi sembravano
più tanto tremende quanto al mattino, e mi avviai felice e
serena verso l’ultima lezione di quella prima giornata. Al
mio fianco, a tenermi per mano, c’era Sirius Black.
***
Sirius
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 2
settembre 1971
La lettera, fortunatamente solo una lettera non una strillettera come
avevo temuto, arrivò via gufo al termine della colazione e,
più o meno, diceva quello che mi aspettavo: che mi avrebbero
diseredato, che ero un insulto alla mia famiglia, un incapace, un
rinnegato, che avrei fatto bene a restare a Hogwarts a Natale,
perché tanto non sapevano che cosa farsene ormai di me, che
tutti li avrebbero derisi per colpa mia, che avevo tradito il mio ruolo
di erede designato, ecc ecc. Questa era la lettera di mia madre, mio
padre si era limitato a scrivere poche parole in calce:
“Sono profondamente
deluso”.
Anche su questo non avevo alcun dubbio. Mi sembrava davvero strano,
però, che si fosse limitato a scrivermi questo. Non sapevo
se leggere una nota positiva o il baratro più nero, in
quelle tre parole, mio padre, per quanto ne dicesse Sherton, si
rivelava ancora una volta una sfinge la cui mente per me era davvero
impenetrabile. Era indubbio che ci fossero rimasti male, che nonostante
mi considerassero già prima una calamità, non si
aspettavano nulla del genere. Com’era indubbio che a me non
importasse più niente delle loro lagne! Dopo lo shock
iniziale, la lauta colazione e le prime due materie, una interessante
come Erbologia e l’altra mortifera e micidiale come Storia
della magia, insegnata da un maestro della noia, mi distolsero dal
pensiero di Grimmauld Place. Riflettendo con un po’ di
lucidità, mi resi conto che avevo quasi tutto quello che
desideravo, la libertà agognata, innanzitutto, poi un
gruppetto di amici che, opportunamente educati, sembrava promettere
bene. Avevo una vista stupenda sul parco, la foresta proibita, un nome,
una garanzia, che m’invitava a mettere in pratica quello che
avevo imparato da Sherton quell’estate. No a essere sinceri
non potevo lamentarmi, ero persino incappato nel vegliardo e me
l’ero cavata con una semplice occhiata enigmatica…
C’erano solo due note negative in tutta questa storia, la
prima era che Meissa stava sette piani più in basso, nella
casa di Serpeverde, cosa che lei desiderava tanto, ma che creava alcune
difficoltà, visto che per tutto il giorno non ero riuscito a
incontrarla, e non avevo garanzie di poter completare il cammino, se
ero un Grifone. Mi rotolai sul letto, avevo saltato il pranzo, questo
dilemma mi aveva toto l’appetito: gli altri erano scesi
entusiasti, io avrei voluto farlo solo per vedere Mey e parlarle, ma il
timore di quello che Potter poteva dirle, facendola arrabbiare prima
che riuscissimo a spiegarci, mi aveva bloccato.
Guardai fuori, il vento soffiava leggero increspando appena la
superficie del lago. No, non era Potter il problema, era
che… avevo paura… paura di essere rifiutato anche
da lei, sentire che essendo un Grifondoro, non mi voleva più
come amico, che suo padre non voleva più saperne di me, che
tutto il mio futuro radioso si era spento con quella parola:
“Grifondoro…” Riflettei e pensai che se
c’era davvero un legame tra quella scelta e la sorte di
Meissa, valeva la pena affrontare qualsiasi ostacolo. Non me ne sarei
pentito mai. Sospirai, mi stiracchiai sul letto, preparai il libro e
tutto il necessario per Pozioni, poi scesi, avendo cura di non rimanere
intrappolato negli scherzi di quelle scale pazze. Quando entrai nei
sotterranei, sentii un tocco di nostalgia, là sotto sembrava
proprio di essere in una delle case degli Sherton.
“Visto cosa ti sei perso,
ragazzino?”
Mi voltai, il prefetto Malfoy era appoggiato a una colonna, non
l’avevo mai visto così da vicino e mi si
gelò immediatamente il sangue, ricordando la discussione tra
suo padre e Sherton, e tutte le altre occasioni in cui
l’avevo visto all’opera.
“Ti sei mangiato la
lingua?”
“No, certo che no,
io…”
“Tu sei Sirius Black, il
figlio di Orion e Walburga Black… immagino che anche tu mi
conosca…”
Annuii, tutto purché sparisse il prima possibile, aveva un
che di pericoloso e inquietante.
“Ti consiglio di rigare
dritto… so che hai la nomea di essere un piccolo anarchico
come tua cugina, e infatti…”
Si avvicinò e mi prese il cravattino di Grifondoro, tutto
schifato.
“Cerca di non fare altri
danni, perché già ti sei messo nei guai
abbastanza con questo, ricordati che io ti tengo
d’occhio…”
Mi squadrò, con quegli occhi di ghiaccio a pochi centimetri
dai miei, l’alito profumato di pesche a scaldarmi la faccia.
Mi divincolai e mi risistemai la divisa, mi riavviai i capelli,
squadrandolo con occhi carichi d’odio, Lucius per un attimo
mi osservò serio, poi si mise a ridermi in faccia.
“Ma che sguardo minaccioso!
Eppure non ci metterei molto a…”
Si leccò le labbra e mi fulminò con
un’occhiataccia strana, io lo guardavo inebetito, poi capii e
mi prese un senso di nausea. Mentre quello ghignava con fare sinistro,
sentii dei passi lenti e ritmati provenire dal corridoio per cui ero
appena passato, stava arrivando qualcuno, non sapevo se rallegrarmene o
meno: con la fortuna che avevo, poteva essere solo uno dei suoi
scagnozzi.
“Che cosa stai facendo
Malfoy?”
Riconobbi la voce di Rigel risuonare per il corridoio deserto, e il
cuore mi riprese a battere, Malfoy si voltò, io ci misi un
po’ a riprendermi, poi mentre quei due iniziavano a
bisticciare, me ne andai come se avessi il diavolo alle spalle. Quando
vidi James e Remus, mi nascosi nel gruppo, facendo finta di nulla,
dissi agli altri che mi ero quasi addormentato, e che ero sceso di
corsa temendo di arrivare tardi a lezione. Potter mi squadrò
con l’aria di chi ha capito subito che stavo dicendo una
balla: avevo il viso in fiamme, molto più di quando Mey mi
aveva baciato. Iniziavo a capire il senso di sgomento di Mey ogni volta
che incontrava suo cugino, quel ragazzo era il demonio e come tutta la
sua famiglia era indubbiamente pericoloso. La lezione di Slughorn
passò senza che mi coinvolgesse più di tanto,
passai la maggior parte del tempo ad ammirare la mia corvina di
sottecchi, sperando che Potter non si accorgesse e non ricominciasse a
rendermi le cose difficili, dovevo parlarle e non volevo averlo tra i
piedi. Poi c’erano quell’assurdo ragnetto e la sua
amichetta rossa che sembravano non staccarmi gli occhi da dosso, che
volevano da me due nullità come quelle? Continuai a
guardarmi attorno, quello era il luogo dove tutti si aspettavano che io
finissi, quelle erano le facce dei figli degli amici di mio padre, che
ora per lo più mi squadravano con disgusto, o con una certa
sfacciata derisione: le ragazze di Serpeverde, così
ammiccanti e svenevoli, erano talmente simili alle mie cugine che
difficilmente avrebbero potuto essere amiche di Mey…
più che altro quella era una mia speranza. Rabbrividivo
all’idea che quella ragazzina meravigliosa e piena
d’interessi che avevo conosciuto a Herrengton potesse
diventare una stupida noiosa come quelle che stavo osservando: ce
n’era una, da quando ero entrato, che non mi toglieva gli
occhi di dosso, mi aveva pure mandato un bacio, era la figlia di Elija
Dickens, uno degli “amici” di mio padre,
incredibilmente ricchi, evidentemente purosangue, e notoriamente
bastardi… Sospirai.
“Che c’è
Sirius?”
Remus era accanto a me, tutto preso dalla lezione e stanco
evidentemente di sentirmi sospirare come un’anima in pena.
“Nulla…”
“La sua Sherton ancora non
l’ha degnato di uno sguardo! E i suoi simili lo stanno
deridendo!”
“Potter finiscila, o rapo a
zero quella foresta che tieni in testa!”
“Ragazzi! Un po’ di
silenzio per favore! Signor Black, basta rumoreggiare!”
Perfetto! Ci mancava pure quella! Slughorn non poteva ricordarsi i nomi
di ragazzi appena visti, ma con me aveva passato tutta la notte di
Habarcat, quindi era difficile che non mi riconoscesse. Sprofondai
nella vergogna più nera, soprattutto quando Snivellus si
girò con ghigno canzonatorio e Mey mi rivolse appena uno
sguardo: non ero proprio nello stato mentale adatto a decifrarlo. A
fine lezione vidi il professore avvicinarsi a lei per farle i
complimenti, così avevo perso ancora un’occasione
per parlarle, dovevo prendere provvedimenti, non potevo lasciare che
gli eventi ci separassero così facilmente.
“Signor Black, si fermi anche
lei un momento…”
Il mio cuore per un attimo si alzò in volo, avevo una scusa
per avvicinarmi a Mey e potevo poi parlarle per qualche minuto da solo,
se quel tricheco panciuto ci avesse lasciati andare in fretta.
“Ho l’abitudine di
organizzare cene per conoscere meglio, e far familiarizzare tra loro, i
giovani più promettenti che frequentano i miei corsi,
indipendentemente dalla casa di appartenenza ed età. Vorrei
invitare giovedì prossimo alcuni studenti, tra i quali voi
due, alle 19.30 nel mio appartamento, suo fratello e sua cugina
sapranno indicarvi come arrivarci…”
Annuimmo un po’ presi alla sprovvista e pieni di domande, e
ci dirigemmo all’uscita dell’aula.
“Mey…”
Lei si voltò un po’ tesa, o almeno era quello che
mi sembrava.
“Dobbiamo andare a lezione di
Trasfigurazione, Sir, ed è già tardi, non so
nemmeno se ho capito bene come ci si arriva…”
“Andiamo insieme, me lo sono
fatto spiegare dal mio prefetto stamattina…”
“Ok”
Corremmo per le scale, ridendo, anche se un po’ preoccupati
per l’evidente ritardo, io andai a sbattere contro un paio di
Serpeverde del quinto anno che m’insultarono, mentre Mey, con
estrema leggiadria, era sempre diversi passi avanti a me, saltando gli
ostacoli come l’avevo vista fare nei boschi di Herrengton.
Era bello vederla così serena e felice, finalmente, e
soprattutto era meraviglioso essere lontani da tutti quelli che finora
ci avevano tenuti separati.
“Non siamo così in
ritardo da farmi prendere un colpo per queste scale!”
Mey si girò verso di me, ridendo.
“Sei un mollaccione, Sirius
Black!”
Poi tornò indietro e mi prese per mano, bastò
quello a ridarmi l’energia, la guardai, era stupenda, con le
guance appena rosate dalla corsa.
“Pensi che avremo mai due
minuti per parlare in pace da soli, Mey? Ho tante cose da raccontarti,
e anche tu, immagino…”
“Sì, io speravo di
vederti a pranzo…”
“Possiamo vederci dopo la
lezione di Trasfigurazione, magari… possiamo studiare
insieme in biblioteca…”
“Studiare o far
finta?”
Rise, mi conosceva così bene.
“Dai, è solo il
primo giorno, possiamo anche ritagliarci cinque minuti, non
credi?”
“Ti hanno già
scritto i tuoi?”
“Appunto, vedi che ne ho di
cose da dirti? E da chiederti: ho paura che tuo padre
ritirerà l’invito che mi ha
fatto…”
Si fece seria e si mise una mano in tasca, estrasse una lettera
destinata a lei, dalla calligrafia era di suo padre.
“Non devi farla vedere a
nessuno, non so perché, ma mio padre a quanto pare ti
manderà delle lettere solo attraverso me. Comunque non devi
preoccuparti, Sirius, il Cammino è qualcosa che va oltre il
discorso della casa di appartenenza…”
“Pensavo valesse solo per chi
nasce in Scozia o per chi si sposa con uno
Sherton…”
“Beh, eventualmente, che
problema c’è? Se dovrai sposarti con una Sherton
per fare il Cammino, basta che aspetti che Adhara sia cresciuta,
no?”
Mi sorrise maliziosa mentre rimanevo di sale, non avendo capito se
stesse scherzando o dicendo sul serio, la guardai precedermi ed entrare
in aula, avanzò nella stanza simile a una principessa e si
andò a sedere accanto alla sua amica Zelda. Io raggiunsi non
so come il mio banco, accanto a James, mi sembrava di galleggiare tra
le nuvole e vidi che il mio compagno non poté fare a meno di
sghignazzare a testa bassa mentre mi coloravo di un vistoso rosso
pomodoro. Dovevo sopravvivere fino alla fine della lezione, poi
finalmente avrei visto se era vera la luce infondo al tunnel della mia
disperazione. In mano stringevo, pieno di speranza, la lettera
misteriosa di Alshain Sherton.
***
Meissa
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 2
settembre 1971
“Che cosa sono le cene di
Slughorn, Rigel?”
“Ti ha già
invitata?”
“Ci ha già
invitati!”
“Merlino, che palle! E quando
sarà questo strazio?”
“Giovedì
9… ma perché dici così?”
“Oltre a noi chi ci
sarà? Te lo sei fatta dire?”
“Sirius, sua cugina Narcissa,
Lucius Malfoy e altri tre o quattro nomi che non
conosco…”
“Perfetto! Cercherò
di avvelenarmi da solo allora, almeno risparmierò agli altri
il disturbo…”
“Ma davvero è
così terribile?”
Ero seduta sul bracciolo del divano nero su cui Rigel stava disteso, in
una delle classiche posizioni che lo rendeva ancora più
simile a mio padre, si tirò su pigro e sorrise a Cox seduto
su una poltrona accanto a me.
“Dille tu quanto è
terribile questa notizia…”
Cox fece semplicemente il cenno di una corda che lo impiccava, poi
entrambi si misero a ridere.
“Siediti qua sorellina,
dobbiamo spiegarti alcune cose…”
Il fatto che fossi finita a Serpeverde lo aveva reso molto
più morbido con me, pensavo che fosse solo
l’effetto momentaneo del sollievo familiare, o per il suo
ruolo di guardia del corpo che mio padre gli aveva imposto, ma presto
mi sarei resa conto che quella vicinanza avrebbe cambiato
definitivamente i miei rapporti con il mio odioso fratello.
“Quell’uomo ha una
specie di fissazione per le collezioni di
studenti…”
“Collezioni?”
“Sì, ha una specie
di piacere perverso nel poter ostentare i suoi commensali, come fossero
figurine di giocatori di Quidditch…”
Avery, sulla poltrona di fronte a me, rise, tracannando la sua
burrobirra.
“Certo non colleziona tutti,
solo quelli che a lui sembrano esemplari adatti, devi essere speciale
ai suoi occhi per qualcosa: o per la famiglia di provenienza, o per le
conoscenze che hai, o per il fatto che emergi nello studio, o nel
Quidditch, o in Merlino sa cos’altro…”
“Quindi se invita te, ha come
minimo duecento di queste ragioni per farlo!”
Guardai mio fratello mentre prorompevo con
quest’osservazione, Rigel sorrise e arrossì un
poco, non l’avevo mai visto in imbarazzo, forse
perché per la prima volta gli stavo facendo un complimento,
invece di dargli dell’idiota, come mio solito.
“Infatti…
l’anno scorso ha dovuto subire almeno quindici di quegli
inviti, credo sia un record imbattuto qui a Hogwarts!”
“Quindici?”
Ero sbalordita da quell’ultimo commento di Avery, che aveva
definitivamente reso rosso mio fratello.
“Beh…
però forse è perché Rigel ha anche
altre virtù, veramente straordinarie…”
Mio fratello, già rosso paonazzo, peggiorò
ulteriormente e gettò uno sguardo di fuoco contro Malfoy,
che evidentemente aveva ascoltato la conversazione fino a quel momento,
fingendo di essere preso in pensieri tutti suoi, nascosto dietro la sua
copia della Gazzetta del Profeta.
“Ora origli anche le
conversazioni altrui, Malfoy? Già stanco di molestare le
matricole nei sotterranei?”
“Sono un Caposcuola, Sherton,
devo essere sempre informato di tutto!”
“Sì, ho visto come
cercavi di informarti su Black, oggi pomeriggio! Vedi di informarti
lontano da me e mia sorella e stai zitto, nessuno ti ha invitato a
parlare!”
“Beh Meissa dovrebbe essere
messa al corrente di certi aspetti di quelle cene, sui quali tu sembri
voler soprassedere…”
“Magari un fratello ha il
diritto/dovere di scegliere il momento migliore per dire a sua sorella
quello che deve sapere, Malfoy…”
“Ora di sicuro ti
manderà a letto, come ha fatto anche ieri… Si
crede tuo padre…”
Serafico si era rivolto a me, come se mi servisse un manuale
d’istruzioni per comprendere mio fratello. I due si
guardarono con odio, per Rigel la mia presenza significava solo guai,
così salutai lui, Avery e Cox, snobbai del tutto Malfoy e
approfittando della mezzora ancora disponibile prima del coprifuoco,
salii in Sala Grande dove trovai Zelda in compagnia di una sua amica
Tassorosso e, niente meno, Lily Evans, l’amica sangue sporco
di Snape.
“Pensavo fossi già
in pantofole e vestaglia!”
Zelda mi accolse con un grande sorriso, sicuramente orgogliosa di
potermi mostrare alle sue amiche, io le risposi a metà tra
l’imbronciato e l’annoiato, quelle ultime ore della
giornata erano state diverse da come avevo sperato.
“No, sono
fuggita…”
“Perché?”
“Malfoy, chi altri?”
“Il Prefetto di Serpeverde?
Quello bello, alto, biondissimo?”
L’amica Tassorosso di Zelda aveva quasi la bava alla bocca,
ed io non la degnai nemmeno di un cenno di saluto, se era
così entusiasta di Malfoy di certo non avevamo molto in
comune.
“Più che altro,
quello esageratamente stronzo…”
“Abbiamo tutte una specie di
calamita per stronzi e bastardi, o sbaglio?”
Era la prima volta che sentivo la voce di Lily Evans, lì a
Hogwarts, ma non mi colse di sorpresa, avrei saputo riconoscere
facilmente in mezzo a mille quel timbro cristallino che mi aveva
attirato tante volte nel parco babbano di Spinner’s End.
Risi, a metà tra il triste e l’amareggiato.
“Hai avuto un altro scontro
con la banda del treno, Evans?”
Mi guardarono tutte con una certa sorpresa, in fondo era la prima volta
che ci parlavamo. Ed essendo la figlia di Alshain Sherton, sembrava per
lo meno bizzarro che avessi fatto attenzione al nome di una sangue
sporco.
“Ho una buona memoria per i
nomi, e conosco già la storia del
treno…”
Sorrisi sghemba, Evans mi rilanciò un’occhiata
carica di comprensione. Probabilmente fino a quel momento si aspettava
un atteggiamento ruvido e antipatico da parte mia, vedermi diversa da
come si aspettava, sembrò farle abbassare subito la corazza.
Mi sorrise a sua volta, si capiva che aveva voglia di parlarmi, che
Snape doveva averle detto qualcosa di troppo su di me.
“No, io non ho avuto nessuno
scontro con quelli là, ma… hanno teso
un’imboscata a Severus, dopo la lezione di Trasfigurazione. A
quanto pare però, benché sia gracile, sa ben
difendersi…”
Risi di nuovo: avrei dato qualche buon suggerimento a Severus appena ne
avessi avuto l’occasione, anni di pratica con Rigel potevano
essergli utili, e già pregustavo l’idea che
sistemasse quel Potter anche da parte mia… era
così odioso…
“Sì, Potter le
attira proprio …”
“Oh no, Potter si è
defilato subito, Severus si è scontrato solo con Black,
prima di cena…”
La guardai e arrossii appena un po’: avevamo deciso di
parlare dopo la lezione di Trasfigurazione, avevamo un appuntamento in
biblioteca, ma non si era più fatto vedere,
l’avevo aspettato invano fino a che non si era quasi fatto
tardi per la cena. Ero così curiosa di sapere che cosa gli
aveva scritto mio padre. Sospirai. Quindi era tanto importante parlare
con me che aveva preferito azzuffarsi con Snape. Trattenendo a stento
le lacrime, decisi che era il momento di defilarsi.
“Spero che di sotto abbiano
finito di fare i cretini… vorrei andare a letto, come primo
giorno è stato abbastanza impegnativo…”
“Possiamo invitarti domani in
biblioteca per studiare un po’ insieme? Ci stavamo
organizzando, infondo abbiamo tutte quasi lo stesso
orario…”
Guardai Lily e annuii, a quanto pareva non era sbagliata
l’impressione che avevo avuto di lei quei giorni nel parco,
era proprio simpatica. E mio padre aveva detto che potevo farmi le
amicizie che volevo, anche loro erano amici dei Prince,
infondo…
“Ok, ne parliamo con calma
domani a lezione. Ci vediamo a Pozioni alla prima ora. Buona
notte!”
Non aspettai nemmeno Zelda e mi avviai ai sotterranei. Avevo appena
fatto amicizia con delle ragazze simpatiche e gentili, le lezioni erano
state interessanti e semplici, Rigel teneva a bada egregiamente Malfoy
per me, e si comportava in modo più simpatico di quanto
immaginassi. La prima giornata poteva dirsi conclusa piacevolmente.
Sicuramente meglio di com’era iniziata. Ma il comportamento
assurdo di Sirius Black rischiava di rovinare davvero tutto. Per questo
non potei fare a meno di piangere nell'oscurità verdastra
del mio letto.
***
Sirius
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 2
settembre 1971
“Allora, Snivellus, sei caduto
nella pozione? Guarda che capelli che ti ritrovi!”
Tutto era iniziato così ed era finita che ci prendevamo a
pugni nel cortile d’ingresso, per fortuna Remus ci aveva
divisi ed io avevo avuto giusto il tempo di sistemarmi la divisa prima
che Gazza facesse il suo ingresso nel cortile, richiamato dalle urla e
dagli strepiti. Con orrore mi accorsi di aver perso la cognizione del
tempo, Mey mi aspettava in biblioteca, io mi ero perso, avevo
incrociato quello stupido ranocchio e subito avevo perso la testa. Di
sicuro, quando l’avesse scoperto, Mey non mi avrebbe
perdonato… Nella zuffa avevo anche perso la lettera di
Sherton, che ora era ridotta in mille pezzi nelle mie mani. Non sapevo
che cosa fare. Non erano passate nemmeno ventiquattro ore e
già odiavo quel posto, certo c’era Remus, che era
davvero un ragazzo fantastico, a parte il fatto che era così
serio e un po’ impacciato, ma... Mi trascinò a
cena quasi di forza, io a capo chino entrai in sala sperando di non
beccare gli occhi carichi di delusione di Meissa, non l’avrei
retto, di sicuro mi sarei messo a piangere davanti a tutti. Quando
entrai, la vidi accanto a suo fratello, non mi erano sembrati molto
affiatati a Herrengton, ma sembrava che in quella scuola, lui non le
staccasse gli occhi di dosso… e visto che razza di porco
fosse Malfoy, ne capivo fin troppo bene il perché.
“Che cos’era quel
brivido? Snivellus ti ha attaccato qualche malattia strana?”
James scandì bene quelle parole quando vide la Evans passare
dietro di noi per raggiungere il suo posto. Io strinsi le nocche fino a
farmele bianche, per quell’idiota avevo perso la
possibilità di trasformare la mia giornata in maniera
positiva.
“No, niente di che…
solo un po’ di freddo.”
Mangiai mestamente, in attesa che Mey si alzasse per aspettarla al
varco e poterle parlare, ma come mi ero immaginato, Rigel era con lei,
mi passò vicino, mi salutò gentile, poi
l’accompagnò velocemente di sotto…
Magari nella lettera, Sherton mi intimava di starle lontano e Rigel
stava facendo in modo che lei mi evitasse. Non finii nemmeno di cenare,
corsi da solo fino al dormitorio, sentendomi un perfetto cretino.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).
Valeria
Scheda
Immagine
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