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Autore: Terre_del_Nord    20/02/2009    11 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Hogwarts - II.004 -  Il Primo Giorno

II.004


Severus Snape
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 2 settembre 1971

Aprii gli occhi: un soffuso chiarore verde smeraldo permeava persino l’aria che respiravo. Non riuscivo ancora a crederci: i miei desideri più profondi si erano trasformati in realtà. Avevo fatto una serie di sogni confusi eppure bellissimi, ero così sereno, tutta la tensione della sera precedente sembrava essersi dissolta con l’oscurità. Per un momento, persino il pensiero di lei si era fatto più tenue. Mi guardai intorno, stupito, pieno di ammirazione e devozione per la meraviglia dei dettagli argentei che ornavano le colonne del mio baldacchino, per il buon odore che emanavano le lenzuola di seta nera, - mai avevo dormito in un letto come quello- , per il tepore quasi materno della coperta verde smeraldo e il senso di protezione che m’ispiravano i tendaggi di broccato su cui erano ricamati gli stemmi di Salazar. Mossi piano la tenda per non svegliare gli altri quattro ragazzi che dividevano la stanza con me: Mulciber, Flitt e Yaxley, dei purosangue, e Bullstrode, un mezzosangue come me. La sera prima non avevamo parlato molto, a dire il vero mi avevano guardato con una certa sufficienza e avevano fatto comunella tra loro, di certo già si conoscevano: a me non importava, essere lì per me era già la realizzazione di un sogno, il resto non contava. Una volta ritrovata Lily, saremmo stati insieme, avremmo studiato insieme, avremmo fatto insieme tutto quello che avevamo programmato e previsto, organizzandoci in modo lievemente diverso, vero, ma tra noi nulla sarebbe cambiato… Tutto il resto non avrebbe contato nulla per me. Né per lei. La stanza era di forma esagonale, con i letti e gli arredi privati disposti all’interno degli spazi lobati, che si aprivano lungo i cinque lati, lasciando uno spazio ampio al centro dominato da una stufa dalle forme eleganti, intorno alla quale si disponevano dei tavoli e delle poltrone, rigorosamente neri. Le pareti erano addobbate con i simboli serpenteschi di Salazar e con dei quadri raffiguranti alcuni vecchi e gloriosi studenti del passato: giovani divenuti poi grandi nel Quidditch, o al Ministero, o in altre attività legate alla Nobile Arte della Magia. C’erano delle strane finestre a forma di testa di serpe nella parte alta della stanza, chiuse da vetri magici, decorati e colorati nelle varie tonalità del grigio argento e del verde, in cui erano descritte scene della vita di Salazar, un po’ come avveniva con la vita dei santi nelle vetrate delle chiese babbane. Era da lì che entrava quel chiarore strano, soffuso e irreale: come diceva mia madre, i dormitori di Serpeverde stavano sommersi sotto il Lago Oscuro. Eppure la magia teneva lontano il freddo e l’umidità e in quei luoghi, da tempo sognati, l’atmosfera era particolarmente accogliente. Almeno per me. Mi alzai, approfittai del fatto che fosse ancora molto presto per godere in pace e tranquillità del bagno: anche nei miei confronti trovavo un’inconsueta indulgenza, per la prima volta sfiorai il mio corpo, sotto la doccia, guardandomi con rispetto. Non ero più una nullità, anzi non ero mai stato una nullità: ero riuscito a mantenere la prima promessa che avevo fatto a mia madre, ero nella casa del grande Salazar Slytherin, il cappello magico aveva letto in me la determinazione e la propensione a raggiungere alte vette. Proprio come avevo giurato a me stesso. Non sarei mai stato come mio padre.
Era ancora presto ma non avevo più sonno, mi vestii, con somma reverenza mi annodai la cravatta delle Serpi, poi salii le scale e mi ritrovai nella Sala Comune: tirai un sospiro fondo, stavo ammirando quello che sarebbe stato il fulcro della mia vita per sette lunghi anni. La stanza era rettangolare, più lunga che larga, tutto intorno si aprivano delle “cappelline” indicate da coppie di colonnine tortili di pietra, riccamente decorate alla maniera romanica: alcune di quelle nicchie erano cieche e in esse erano alloggiati altri ritratti di grandi Serpeverde del passato, altre davano invece alle scale che portavano ai dormitori. A destra c’erano quelli delle femmine, a sinistra quelli dei maschi. In fondo, prossima all’ingresso da cui eravamo entrati la sera prima, stava la stanza riservata al Caposcuola. Ripensai alla sera precedente, quando quel ragazzo, alto e incredibilmente biondo, con la spilla fissata al petto, mi aveva stretto la mano dandomi il benvenuto: ero stato talmente orgoglioso di quel gesto, che per un momento avevo smesso di pensare persino a Lily, anche se l’aveva riservato a tutti coloro che mi avevano preceduto. Tranne forse Meissa Sherton che, chissà perchè, era corsa tra le braccia di suo fratello ignorandolo. Mortificato dalla mia distrazione, ero poi corso con lo sguardo verso il tavolo dei Grifondoro, ritrovando il suo viso serio e triste. Nessuno di noi due aveva mai immaginato, in tutti quei i mesi, che gli eventi potessero dividerci.
Tornai in me, al presente, mi resi conto che, ammirato, fissavo da fuori la stanza del Caposcuola e immaginavo me stesso là dentro: un giorno magari sarei stato io, il figlio di un babbano derelitto, a poter godere di quella stanza e degli altri dovuti onori. Onori che avrebbe meritato uno come me, portato per lo studio e devoto a Salazar. Continuai a guardarmi attorno: sul lato di fronte all’ingresso c’era l’immenso camino di marmo decorato con statuine e teschi, e ai lati serpi intarsiate d’argento e smeraldi, in alto, a sovrastarlo, il ritratto di Salazar; sui lati lunghi, in alto, altre cornici racchiudevano ritratti distribuiti pressoché ovunque. Il resto dell’arredamento era costituito da divani neri, tendaggi e tappeti verde e argento, tavoli per studiare e fermarsi a parlare, librerie stracariche di libri interessanti, - come potei appurare quando mi avvicinai e scorsi quelle copertine ricche di storia con appena la punta dell’indice, preda di un vero e proprio timore reverenziale. C’era poi una tavola già imbandita con frutta, scatole di scacchi magici e altri giochi, e infine una teca piena di coppe: mi avvicinai, sapevo che no erano gli originali, i trofei veri erano conservati in una stanza cui si accedeva dalla Sala Grande, ma anche quelle copie mi davano i brividi. Forse un giorno tra quei trofei ci sarebbe stata anche una traccia del mio passaggio a Hogwarts. Scorsi nomi e facce, pieni di sano orgoglio Slytherin, riconobbi tra i molti, il volto di Alshain Sherton: era stato per tre anni capitano della squadra di Quidditch. Notai che non era cambiato poi molto in quegli anni, non c’erano molte differenze tra l’uomo che avevo visto quel mattino d’inverno in casa mia e il ragazzo orgoglioso che sollevava la Coppa nella foto. Rimasi a lungo a guardare tutto questo, alla luce verdastra di lampade, torce e bracieri a forma di serpi, finché la porta del Caposcuola Malfoy non si aprì, e quasi contemporaneamente sentii voci uscire dai corridoi e riemergere dal piano sottostante. Con un brivido per la schiena smisi di distrarmi e m’irrigidii in una posa poco naturale e sostenuta.
Ero uno Slytherin, stava iniziando finalmente la mia nuova vita. Quella che mi avrebbe ripagato di tutto. Quella che, unica, meritava di essere vissuta.

***

Sirius Black
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 2 settembre 1971

Avevo sentito Remus lamentarsi piano per ore, senza però capire se fosse sveglio o addormentato, e questo contribuì ulteriormente a non farmi prendere sonno per buona parte della notte; alla fine, per un po’, avevo ceduto alla stanchezza e mi ero concesso il mio primo sonno nella torre dei Grifondoro, ma il sogno nel quale mia madre m’inseguiva, furibonda, per le scale di Grimmauld Place, con intenti chiaramente omicidi, mi aveva ridestato di soprassalto. Avevo ancora il cuore in gola. Ormai da un po’ mi rigiravo nel letto senza più la possibilità di addormentarmi di nuovo, dalla tenda rosso borgogna, che mi ero chiuso addosso, filtrava una timida luce, probabilmente arrivava proprio dalla cara Herrengton: come aveva detto Meissa il giorno prima sul treno, le terre del Nord si estendevano appena di là delle montagne. Non sprecai tempo a guardarmi ancora attorno, non era stato solo un sogno, mi trovavo davvero nella torre dei Grifoni, e lì sarei rimasto per i successivi sette anni della mia vita, quindi avrei avuto molto tempo per osservare, studiare e abituarmi a quel luogo. Avevo finito col dividere la stanza con i ragazzi già conosciuti sul treno, James, Peter, Remus e Frank Longbottom, con cui avevo diviso la barca per attraversare il Lago Oscuro insieme a Meissa. Non mi ero comportato proprio in maniera simpatica, quella sera, ma non avevo la forza di fare il brillante, pieno com’ero di pensieri confusi in cui la felicità per Mei si scontrava con l’ansia per le reazioni della mia famiglia e dei miei amici. Sherton in testa. Entrai in bagno, mi lavai con cura, mi rivestii cercando di non pensare a tutte le battute che per undici anni avevo sentito sui Grifoni, ma, quando mi annodai la cravatta rossooro, non riuscii a non rimanere sgomento: stavo indossando proprio quei colori che mi avevano insegnato a disprezzare. Mi chiedevo se fosse uno scherzo del destino, l’effetto di quello strano patto, o davvero ci fosse in me tanto poco della famiglia Black, se ero finito nella casa che loro più disprezzavano. Nel giro di poco, probabilmente già a colazione, sarebbe arrivata la lettera dei miei. Non potevano farmi nulla, in fondo erano lontani km e km, ma non mi sentivo per niente sereno. Immaginavo chiaramente come avrebbe reagito mia madre, il sogno si poteva considerare premonitore, ma, per quanto riguardava mio padre, ero leggermente confuso: forse tutti i discorsi, che Sherton mi aveva fatto su di lui, mi portavano a illudermi che potesse prenderla meglio di quanto fosse prevedibile e giusto. O forse… avevo iniziato a guardare mio padre in modo diverso dopo quel pomeriggio e ora m’illudevo che ci fosse qualcosa tra di noi, che non avevo mai percepito prima…
Presi la bacchetta e mi fiondai fuori. Sentii James borbottare qualcosa, forse una qualche protesta per il rumore che stavo facendo, ma non me ne curai, se volevo smettere di farmi sbranare dai foschi pensieri dovuti alla vendetta dei Black, dovevo trovare l’ingresso di Serpeverde e vedere Meissa il prima possibile. Avevo ascoltato numerosi discorsi a casa perciò sapevo dove cercare: non mi sarebbe sfuggita, avevo troppo da dirle, troppo da chiederle, non potevo aspettare oltre. Scesi per le scale e lì iniziò un nuovo incubo: si muovevano, animate di vita propria, una vita sicuramente demoniaca, visto quanto si divertivano a farmi dispetto. Io sapevo bene fino a quale piano scendere e da che parte andare, ma presto il caos creato da quei demoni di pietra fu tale che non ci capii più niente. Persi non so quanto tempo, saltando come uno stambecco di scala in scala, ma quando chiesi ai ritratti a che livello fossi arrivato, mi resi conto di non riuscire mai a scendere oltre il terzo piano. Deluso e sconfortato, presi a risalire verso il mio dormitorio, ma le cose non migliorarono, anzi, rimasi bloccato praticamente a metà. Odiavo quel castello, lo odiavo davvero, sembrava si divertisse a tenermi lontano da Mei, inoltre ero certo che presto sarebbero usciti i prefetti e sarei stato subito punito… Tanto per dare alla mia famiglia ulteriori motivi per disprezzarmi. Come se ce ne fosse stato bisogno... Mi sedetti a terra, pronto ad accettare il mio destino, quando le scale finalmente si allinearono nel modo giusto e, prima che ci ripensassero, mi misi a correre finché mi ritrovai davanti alla Sala Grande. Aprii la pesante porta di legno antico, riccamente intagliata, e rividi la stanza che aveva segnato profondamente la mia vita poche ore prima: era anche più immensa di come mi era apparsa, in alto il finto cielo era tinto di un rosa tenue, imitando l’alba che si stava stagliando di là delle montagne. Il mio primo giorno a Hogwarts sembrava baciato dal sole, forse dovevo prenderlo come un buon segno: per la prima volta dal momento dello smistamento di Meissa un timido sorriso andò a incresparmi le labbra, infondo a parte alcuni piccoli dettagli, tutto stava andando come volevo io. Mi appoggiai allo stipite della porta e continuai lo studio dell’immensa sala che mi si apriva davanti: oltre le gigantesche travi di legno a carena di nave, che sostenevano quel magico soffitto, scendendo con lo sguardo, stavano gli stendardi gonfi e colorati delle quattro case. Mi scoprii a guardare con uno strano orgoglio sia quello che mi avevano imposto di stimare da quando ero ragazzino, che a dire il vero mi aveva sempre lasciato indifferente, almeno fino a quando, quell’estate, non avevo imparato a vederlo in modo diverso grazie agli Sherton, sia quello che sarebbe stato il mio futuro.

    Il cappello mi ha trovato impavido e coraggioso, diverso dalla mia famiglia, mentre Sherton mi ha detto che potrei prendere le Rune... è possibile che ci sia in me qualcosa sia dell’uno che dell’altro? Non è assurda una cosa del genere?

In basso osservai le tavolate ancora vuote e i caminetti accesi, che già espandevano calore e gradevoli essenze di pino e resina. Avanzai con timore di un passo: per i sette anni seguenti avrei ammirato tutti i giorni quella meraviglia al mio risveglio, anche se sapevo bene che presto ci avrei fatto l’abitudine e non mi avrebbe più colpito come in quel momento. Approfittai del fatto di essere ancora solo per farmi avanti e osservare da vicino: volevo che ogni particolare e ogni sensazione si fissassero nel profondo del mio animo, sentivo che era necessario assorbire qualsiasi cosa venisse da quelle antiche mura. Mi mossi lentamente, fin quasi dietro la tavolata degli insegnanti, attirato dalle quattro gigantesche clessidre che segnavano i punti delle case, determinando alla fine dell’anno quale fosse la vincitrice della Coppa delle Case. Infine, all’angolo estremo, la vidi. E un brivido di eccitazione mi corse per la schiena: Sherton ce ne aveva parlato, fin da piccoli, nelle famose serate a Grimmuald Place, quando ci raccontava storie meravigliose davanti al caminetto. Sapevo che non era il caso di provare a entrare, ero solo e non avevo il permesso, eppure una voce in me mi spingeva a farlo: non era solo curiosità, era una specie di fuoco che m’invadeva da dentro, contro ogni briciola di ragionevolezza. La porta che immetteva nella Sala dei Trofei. Scesi le scale, rapido eppure guardingo, era immensa, carica di storia quanto di ori, mi avvicinai alle bacheche e scorrendo rapido lo sguardo tra facce e storie ignote, arrivai fino a ciò che conoscevo da tempo, ciò che mi aveva chiamato a sé: l’immagine di Alshain con la coppa e mio padre al suo fianco, tra gli altri Serpeverde che festeggiavano la vittoria finale nel torneo di Quidditch. Mi scese una lacrima, che subito raccolsi al pensiero di aver deluso anche lui, oltre la mia famiglia, di cui non m’importava assolutamente niente. Sarebbe venuto il giorno in cui gli avrei spiegato il perché, e forse allora mi avrebbe perdonato e mi avrebbe riaccolto con un sorriso. Sentii in lontananza il rumore di voci, passi e risate, che si avvicinavano, con un sospiro me ne andai di corsa, per evitare, se possibile, di mettermi subito in guai seri, e con la speranza di avere ancora tempo a sufficienza per trovare Meissa. Come rientrai nella Sala Grande, però, intercettai due occhi celesti che mi sbirciavano da dietro due curiosi occhialetti tondi, un viso sereno poggiato su due mani dalle dita lunghe e delicate, anziane ma ancora piene di energia. Sentii il viso in fiamme: ero stato beccato non dal custode o da un prefetto, ma addirittura dal preside di Hogwarts. E così finia la mia permanenza a Hogwarts: la sera prima ero stato smistato a Grifondoro, la mattina seguente venivo espulso dalla scuola. Mia madre mi avrebbe fatto evanescere all’istante, o forse mi avrebbe semplicemente trasfigurato in un cavatappi. Deglutii a stento, pronto alla punizione, ma il viso incorniciato dalla barba candida, lunga almeno quanto la chioma fluente e bianchissima, si aprì in uno strano ed enigmatico sorriso, ed io, rincuorato e al tempo stesso inquieto per quello sguardo indecifrabile, andai a prendere posto alla tavola dei Grifondoro, mentre lentamente tutta la sala si riempiva intorno a me.

***

Meissa Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 2 settembre 1971

La mia prima mattina a Hogwarts,  un sole stupendo era pronto a illuminare il nostro risveglio. Io purtroppo non ne avevo idea, visto che ero murata sottoterra. Anzi, se avevo ben capito i racconti dei miei familiari, sott’acqua. Non avevo dormito per tutta la notte, pensando alla lettera che avrei ricevuto dai miei, al fatto che stessi iniziando la mia nuova vita, e al terrore d’incontrare Malfoy. E, soprattutto, pensando che non avrei avuto Sirius al mio fianco. Dopo che Rigel mi aveva rispedita in camera, avevo scritto una lettera ai miei, raccontando del viaggio, dello smistamento e delle prime impressioni sulle mie compagne di stanza, poi Zelda, molto gentilmente, era andata all’ingresso e gliel’avevo data da parte mia. Non avevo tenuto conto di alcune cose, nel formulare le mie preghiere e le mie speranze, non avevo tenuto conto della presenza ancora per un anno di mio cugino, né del fatto che mio fratello fosse davvero un rompiscatole. Ma sopra ogni cosa, non avrei mai immaginato che Sirius non sarebbe stato nei sotterranei di Serpeverde con me. Indossai la mia divisa sopra la tunica, mi annodai i capelli in una coda, scrissi altre due righe a casa sperando di trovare, in Sala Grande, Ginevra e, legata la bacchetta alla cintola come faceva mio padre, ero salita con Zelda in Sala Comune, per aspettare mio fratello e andare insieme a colazione. In attesa del suo arrivo, vidi le altre matricole osservare la Sala Comune con occhi carichi di meraviglia e una certa soggezione: io, in realtà, avevo già un’idea di cosa aspettarmi, perchè le parti più antiche del maniero di Herrengton erano state realizzate prendendo a modello la Sala Comune degli Slytherin a Hogwarts. Il professor Slughorn, direttore della casa di Serpeverde, ci distribuì l’orario delle lezioni, quel mattino avrei iniziato con Erbologia e Storia della magia con i Corvonero, mentre di pomeriggio avrei fatto sia Pozioni sia Trasfigurazione con i Grifondoro. Salii per la colazione scortata da Rigel e i suoi amici Beckett e Cox, e passai la maggior parte del tempo a torturare il cibo nel mio piatto, mangiando poco o niente, in attesa di un gufo di mio padre, che non arrivò, e maledicendo Lestrange che, con fare incurante, aveva preso posto di fronte a me, alla mia sinistra, impedendomi così di controllare liberamente quello che accadeva al tavolo dei Grifondoro. Magari quello era da sempre il suo posto, ma io ero troppo nervosa e infastidita per affrontare la situazione in maniera logica e obiettiva. Non appena Zelda fu pronta, sibilai un saluto stizzito a mio fratello, che mi rilanciò uno sguardo carico di domande e mi avviai alle serre con passo quasi militaresco. Nemmeno mi resi pienamente conto di come passarono quelle prime due ore, riconobbi solo i due insegnanti dalle descrizioni dei miei fratelli: la professoressa Sprite e il professor Ruf, entrambi seri e severi, ma giusti e competenti.
Per l’ora di pranzo avevo già fatto conoscenza con metà delle ragazze della mia classe, tutte smorfiose petulanti alla ricerca della mia amicizia solo per avvicinare mio fratello Rigel: rimasi sbigottita, non conoscevo molte ragazzine della mia età, ma sembrava che là dentro fossero tutte molto più grandi di me, discutevano solo di argomenti di cui mio padre non voleva sentirmi parlare, facevano continue allusioni a questo o quel ragazzo. Capii da subito che non sarebbe stata una convivenza facile… Durante la lezione di Erbologia divisi il tavolo con Zelda, figlia mezzosangue di un mezzosangue Slytherin e una purosangue Corvonero, e due ragazze di Corvonero, scoprendo subito che con loro l’atmosfera era molto più piacevole: in quella casa ero nota come la nipote di una strega della loro casa tra le più celebri e affermate, più che come la figlia di mio padre. Quelle ragazze sembravano più alla mano, meno altezzose, pur se purosangue, ed io mi sentii molto più a mio agio, potendo parlare con loro di cose stupide come i dolci di Dulcitus senza sentirmi fare la morale da ragazzine idiote come le mie compagne di stanza, la Dickens su tutte. Sembrava quasi che a Serpeverde ci fosse un’alta concentrazione di quei ragazzi “strusciosi” di cui avevo una ridicola memoria a Spinner’s End: mi sembrava assurdo che già dal primo giorno di scuola per alcune l’unico interesse fosse farsi notare dai ragazzi più grandi, soprattutto dai due che personalmente cercavo di rifuggire come la peste. Ma forse era perché nella mia testa avevo già le idee più che chiare su un certo mio coetaneo dagli occhi grigi come il mio mare. Sospirai. A pranzo Rigel mi consegnò la posta, il gufo era arrivato non appena mi ero diretta alle serre: c’erano una lettera da parte dei miei, che naturalmente si complimentavano per il risultato dello smistamento, e un pacchetto di Mirzam, contenente uno dei suoi libri di poesie più cari, come segno del suo incoraggiamento, perché nella foga della partenza non era riuscito a salutarmi con grazia. E in mezzo al libro il regalo vero: una foto di Mir, dei bambini e dei miei genitori che, abbracciati, mi sorridevano.

    “E’ una foto della tua famiglia?”

Zelda mi si era avvicinata da dietro e mi sorrideva.

    “Sì, sono i miei genitori e i miei fratelli…manchiamo solo io e Rigel.”
    “Ho visto tante ragazze di Serpeverde fermarsi davanti alla bacheca delle coppe, per ammirare la foto di quell’uomo, non sapevo fosse tuo padre!”

Sorrise ancora, arrossendo un po’. Sorrisi anch’io, felice di sapere che in quella scuola ammiravano mio padre non solo per la ricchezza e la potenza della sua magia e del suo nome, ma anche per alcune delle doti che io stessa apprezzavo di più in lui, come la bellezza e la bravura. Rimisi a posto i doni e mangiando con scarso entusiasmo, passai il tempo a guardare con insistenza il tavolo dei Grifondoro, visto che almeno a pranzo quell’idiota di Lestrange non si era presentato, in attesa dell’apparizione di Sirius; ma di lui sembravano essere sparite tutte le tracce, iniziai a temere che nottetempo a Grifondoro l’avessero fatto a pezzettini e nascosto sotto i loro tappeti rosso/oro. Stando all’orario delle lezioni, dopo pranzo l’avrei visto a Pozioni, però avevo voglia di parlargli con calma, preferibilmente subito e da soli: l’idea di vederlo davanti a quel Potter mi faceva andare il sangue al cervello, l’avrei schiantato o ridotto a un rospo, tanto non ci vedevo una gran differenza! Quando capii che di Sir non c’era nemmeno l’ombra, feci un cenno a mio fratello che mi teneva sempre d’occhio a distanza e me ne andai in camera a prendere i libri per il pomeriggio. Poi risalii mesta e delusa, in attesa della lezione: saltata l’opportunità di incontrare Sirius, mi restava la curiosità di vedere Slughorn nelle vesti d’insegnante e di verificare quanto io fossi realmente più avanti dei miei compagni nella preparazione. Come fu possibile entrare nell’aula, mi sistemai a metà della stanza, disponendo le mie cose in ordine, in attesa d’iniziare, dopo non molto entrò la banda di Potter, con Sirius defilato nelle retrovie, vagamente cupo e impegnato a complottare qualcosa con Remus: notai subito che con Snape si guardavano in cagnesco, e, preso com’era da quella battaglia silenziosa, m’ignorò completamente, lasciandomi triste e basita. Vidi anche che, in barba alla diversa casa di appartenenza, Severus si era seduto a fianco della sua Lily e un moto di profonda invidia s’insinuò in me, al pensiero che se non fosse stato per quell’odioso Potter, magari anch'io potevo sedermi accanto a Sirius senza troppi problemi: che male c’era? Tutti sapevano quanto fossero amiche le nostre famiglie. Sospirai ancora, e cercai di concentrarmi sui discorsi del professore. Slughorn fece un’interessante lezione, durante la quale a ogni domanda avrei saputo rispondere con facilità, ma mi trattenni, secondo i consigli di mio padre; nonostante la mia riservatezza, però, il professore mi aveva notata e mi chiese di trattenermi cinque minuti a fine lezione.

    “Eccellente, eccellente, è davvero meraviglioso avere la figlia di due dei miei migliori studenti di Pozioni di tutta la mia carriera… Stando a suo padre, dovrebbe avere una perfetta padronanza della teoria, signorina, perciò la prego, non sia troppo timida, non vedo l’ora di farmi incantare da lei al calderone…”

Sorrisi, fortemente intimidita, avrei avuto molto da scrivere quella sera nella nuova lettera, tutte cose che avrebbero sicuramente rallegrato e rasserenato i miei genitori… tutte cose che mi avrebbero distratto da qualche triste pensiero. Poi accadde ciò in cui non speravo più… A metà del pomeriggio, mentre correvo per le scale diretta all’aula di Trasfigurazione, le cose non mi sembravano più tanto tremende quanto al mattino, e mi avviai felice e serena verso l’ultima lezione di quella prima giornata. Al mio fianco, a tenermi per mano, c’era Sirius Black.
 
***

Sirius Black
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 2 settembre 1971

La lettera, fortunatamente solo una lettera non una strillettera come avevo temuto, arrivò via gufo al termine della colazione e, più o meno, diceva quello che mi aspettavo: che mi avrebbero diseredato, che ero un insulto alla mia famiglia, un incapace, un rinnegato, che avrei fatto bene a restare a Hogwarts a Natale, perché tanto non sapevano che cosa farsene ormai di me, che tutti li avrebbero derisi per colpa mia, che avevo tradito il mio ruolo di erede designato, ecc ecc. Questa era la lettera di mia madre, mio padre si era limitato a scrivere poche parole in calce:

    “Sono profondamente deluso”.

Anche su questo non avevo alcun dubbio. Mi sembrava davvero strano, però, che si fosse limitato a scrivermi questo. Non sapevo se leggere una nota positiva o il baratro più nero, in quelle tre parole, mio padre, per quanto ne dicesse Sherton, si rivelava ancora una volta una sfinge la cui mente per me era davvero impenetrabile. Era indubbio che ci fossero rimasti male, che nonostante mi considerassero già prima una calamità, non si aspettavano nulla del genere. Com’era indubbio che a me non importasse più niente delle loro lagne! Dopo lo shock iniziale, la lauta colazione e le prime due materie, una interessante come Erbologia e l’altra mortifera e micidiale come Storia della magia, insegnata da un maestro della noia, mi distolsero dal pensiero di Grimmauld Place. Riflettendo con un po’ di lucidità, mi resi conto che avevo quasi tutto quello che desideravo, la libertà agognata, innanzitutto, poi un gruppetto di amici che, opportunamente educati, sembrava promettere bene. Avevo una vista stupenda sul parco, la foresta proibita, un nome, una garanzia, che m’invitava a mettere in pratica quello che avevo imparato da Sherton quell’estate. No a essere sinceri non potevo lamentarmi, ero persino incappato nel vegliardo e me l’ero cavata con una semplice occhiata enigmatica… C’erano solo due note negative in tutta questa storia, la prima era che Meissa stava sette piani più in basso, nella casa di Serpeverde, cosa che lei desiderava tanto, ma che creava alcune difficoltà, visto che per tutto il giorno non ero riuscito a incontrarla, e non avevo garanzie di poter completare il cammino, se ero un Grifone. Mi rotolai sul letto, avevo saltato il pranzo, questo dilemma mi aveva toto l’appetito: gli altri erano scesi entusiasti, io avrei voluto farlo solo per vedere Mey e parlarle, ma il timore di quello che Potter poteva dirle, facendola arrabbiare prima che riuscissimo a spiegarci, mi aveva bloccato.
Guardai fuori, il vento soffiava leggero increspando appena la superficie del lago. No, non era Potter il problema, era che… avevo paura… paura di essere rifiutato anche da lei, sentire che essendo un Grifondoro, non mi voleva più come amico, che suo padre non voleva più saperne di me, che tutto il mio futuro radioso si era spento con quella parola: “Grifondoro…” Riflettei e pensai che se c’era davvero un legame tra quella scelta e la sorte di Meissa, valeva la pena affrontare qualsiasi ostacolo. Non me ne sarei pentito mai. Sospirai, mi stiracchiai sul letto, preparai il libro e tutto il necessario per Pozioni, poi scesi, avendo cura di non rimanere intrappolato negli scherzi di quelle scale pazze. Quando entrai nei sotterranei, sentii un tocco di nostalgia, là sotto sembrava proprio di essere in una delle case degli Sherton.

    “Visto cosa ti sei perso, ragazzino?”

Mi voltai, il prefetto Malfoy era appoggiato a una colonna, non l’avevo mai visto così da vicino e mi si gelò immediatamente il sangue, ricordando la discussione tra suo padre e Sherton, e tutte le altre occasioni in cui l’avevo visto all’opera.

    “Ti sei mangiato la lingua?”
    “No, certo che no, io…”
    “Tu sei Sirius Black, il figlio di Orion e Walburga Black… immagino che anche tu mi conosca…”

Annuii, tutto purché sparisse il prima possibile, aveva un che di pericoloso e inquietante.

    “Ti consiglio di rigare dritto… so che hai la nomea di essere un piccolo anarchico come tua cugina, e infatti…”

Si avvicinò e mi prese il cravattino di Grifondoro, tutto schifato.

    “Cerca di non fare altri danni, perché già ti sei messo nei guai abbastanza con questo, ricordati che io ti tengo d’occhio…”

Mi squadrò, con quegli occhi di ghiaccio a pochi centimetri dai miei, l’alito profumato di pesche a scaldarmi la faccia. Mi divincolai e mi risistemai la divisa, mi riavviai i capelli, squadrandolo con occhi carichi d’odio, Lucius per un attimo mi osservò serio, poi si mise a ridermi in faccia.

    “Ma che sguardo minaccioso! Eppure non ci metterei molto a…”

Si leccò le labbra e mi fulminò con un’occhiataccia strana, io lo guardavo inebetito, poi capii e mi prese un senso di nausea. Mentre quello ghignava con fare sinistro, sentii dei passi lenti e ritmati provenire dal corridoio per cui ero appena passato, stava arrivando qualcuno, non sapevo se rallegrarmene o meno: con la fortuna che avevo, poteva essere solo uno dei suoi scagnozzi.

    “Che cosa stai facendo Malfoy?”

Riconobbi la voce di Rigel risuonare per il corridoio deserto, e il cuore mi riprese a battere, Malfoy si voltò, io ci misi un po’ a riprendermi, poi mentre quei due iniziavano a bisticciare, me ne andai come se avessi il diavolo alle spalle. Quando vidi James e Remus, mi nascosi nel gruppo, facendo finta di nulla, dissi agli altri che mi ero quasi addormentato, e che ero sceso di corsa temendo di arrivare tardi a lezione. Potter mi squadrò con l’aria di chi ha capito subito che stavo dicendo una balla: avevo il viso in fiamme, molto più di quando Mey mi aveva baciato. Iniziavo a capire il senso di sgomento di Mey ogni volta che incontrava suo cugino, quel ragazzo era il demonio e come tutta la sua famiglia era indubbiamente pericoloso. La lezione di Slughorn passò senza che mi coinvolgesse più di tanto, passai la maggior parte del tempo ad ammirare la mia corvina di sottecchi, sperando che Potter non si accorgesse e non ricominciasse a rendermi le cose difficili, dovevo parlarle e non volevo averlo tra i piedi. Poi c’erano quell’assurdo ragnetto e la sua amichetta rossa che sembravano non staccarmi gli occhi da dosso, che volevano da me due nullità come quelle? Continuai a guardarmi attorno, quello era il luogo dove tutti si aspettavano che io finissi, quelle erano le facce dei figli degli amici di mio padre, che ora per lo più mi squadravano con disgusto, o con una certa sfacciata derisione: le ragazze di Serpeverde, così ammiccanti e svenevoli, erano talmente simili alle mie cugine che difficilmente avrebbero potuto essere amiche di Mey… più che altro quella era una mia speranza. Rabbrividivo all’idea che quella ragazzina meravigliosa e piena d’interessi che avevo conosciuto a Herrengton potesse diventare una stupida noiosa come quelle che stavo osservando: ce n’era una, da quando ero entrato, che non mi toglieva gli occhi di dosso, mi aveva pure mandato un bacio, era la figlia di Elija Dickens, uno degli “amici” di mio padre, incredibilmente ricchi, evidentemente purosangue, e notoriamente bastardi… Sospirai.

    “Che c’è Sirius?”

Remus era accanto a me, tutto preso dalla lezione e stanco evidentemente di sentirmi sospirare come un’anima in pena.

    “Nulla…”
    “La sua Sherton ancora non l’ha degnato di uno sguardo! E i suoi simili lo stanno deridendo!”
    “Potter finiscila, o rapo a zero quella foresta che tieni in testa!”
    “Ragazzi! Un po’ di silenzio per favore! Signor Black, basta rumoreggiare!”

Perfetto! Ci mancava pure quella! Slughorn non poteva ricordarsi i nomi di ragazzi appena visti, ma con me aveva passato tutta la notte di Habarcat, quindi era difficile che non mi riconoscesse. Sprofondai nella vergogna più nera, soprattutto quando Snivellus si girò con ghigno canzonatorio e Mey mi rivolse appena uno sguardo: non ero proprio nello stato mentale adatto a decifrarlo. A fine lezione vidi il professore avvicinarsi a lei per farle i complimenti, così avevo perso ancora un’occasione per parlarle, dovevo prendere provvedimenti, non potevo lasciare che gli eventi ci separassero così facilmente.

    “Signor Black, si fermi anche lei un momento…”

Il mio cuore per un attimo si alzò in volo, avevo una scusa per avvicinarmi a Mey e potevo poi parlarle per qualche minuto da solo, se quel tricheco panciuto ci avesse lasciati andare in fretta.

    “Ho l’abitudine di organizzare cene per conoscere meglio, e far familiarizzare tra loro, i giovani più promettenti che frequentano i miei corsi, indipendentemente dalla casa di appartenenza ed età. Vorrei invitare giovedì prossimo alcuni studenti, tra i quali voi due, alle 19.30 nel mio appartamento, suo fratello e sua cugina sapranno indicarvi come arrivarci…”

Annuimmo un po’ presi alla sprovvista e pieni di domande, e ci dirigemmo all’uscita dell’aula.

    “Mey…”

Lei si voltò un po’ tesa, o almeno era quello che mi sembrava.

    “Dobbiamo andare a lezione di Trasfigurazione, Sir, ed è già tardi, non so nemmeno se ho capito bene come ci si arriva…”
    “Andiamo insieme, me lo sono fatto spiegare dal mio prefetto stamattina…”
    “Ok”

Corremmo per le scale, ridendo, anche se un po’ preoccupati per l’evidente ritardo, io andai a sbattere contro un paio di Serpeverde del quinto anno che m’insultarono, mentre Mey, con estrema leggiadria, era sempre diversi passi avanti a me, saltando gli ostacoli come l’avevo vista fare nei boschi di Herrengton. Era bello vederla così serena e felice, finalmente, e soprattutto era meraviglioso essere lontani da tutti quelli che finora ci avevano tenuti separati.

    “Non siamo così in ritardo da farmi prendere un colpo per queste scale!”

Mey si girò verso di me, ridendo.

    “Sei un mollaccione, Sirius Black!”

Poi tornò indietro e mi prese per mano, bastò quello a ridarmi l’energia, la guardai, era stupenda, con le guance appena rosate dalla corsa.

    “Pensi che avremo mai due minuti per parlare in pace da soli, Mey? Ho tante cose da raccontarti, e anche tu, immagino…”
    “Sì, io speravo di vederti a pranzo…”
    “Possiamo vederci dopo la lezione di Trasfigurazione, magari… possiamo studiare insieme in biblioteca…”
    “Studiare o far finta?”

Rise, mi conosceva così bene.

    “Dai, è solo il primo giorno, possiamo anche ritagliarci cinque minuti, non credi?”
    “Ti hanno già scritto i tuoi?”
    “Appunto, vedi che ne ho di cose da dirti? E da chiederti: ho paura che tuo padre ritirerà l’invito che mi ha fatto…”

Si fece seria e si mise una mano in tasca, estrasse una lettera destinata a lei, dalla calligrafia era di suo padre.

    “Non devi farla vedere a nessuno, non so perché, ma mio padre a quanto pare ti manderà delle lettere solo attraverso me. Comunque non devi preoccuparti, Sirius, il Cammino è qualcosa che va oltre il discorso della casa di appartenenza…”
    “Pensavo valesse solo per chi nasce in Scozia o per chi si sposa con uno Sherton…”
    “Beh, eventualmente, che problema c’è? Se dovrai sposarti con una Sherton per fare il Cammino, basta che aspetti che Adhara sia cresciuta, no?”

Mi sorrise maliziosa mentre rimanevo di sale, non avendo capito se stesse scherzando o dicendo sul serio, la guardai precedermi ed entrare in aula, avanzò nella stanza simile a una principessa e si andò a sedere accanto alla sua amica Zelda. Io raggiunsi non so come il mio banco, accanto a James, mi sembrava di galleggiare tra le nuvole e vidi che il mio compagno non poté fare a meno di sghignazzare a testa bassa mentre mi coloravo di un vistoso rosso pomodoro. Dovevo sopravvivere fino alla fine della lezione, poi finalmente avrei visto se era vera la luce infondo al tunnel della mia disperazione. In mano stringevo, pieno di speranza, la lettera misteriosa di Alshain Sherton.

***

Meissa Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 2 settembre 1971

    “Che cosa sono le cene di Slughorn, Rigel?”
    “Ti ha già invitata?”
    “Ci ha già invitati!”
    “Merlino, che palle! E quando sarà questo strazio?”
    “Giovedì 9… ma perché dici così?”
    “Oltre a noi chi ci sarà? Te lo sei fatta dire?”
    “Sirius, sua cugina Narcissa, Lucius Malfoy e altri tre o quattro nomi che non conosco…”
    “Perfetto! Cercherò di avvelenarmi da solo allora, almeno risparmierò agli altri il disturbo…”
    “Ma davvero è così terribile?”

Ero seduta sul bracciolo del divano nero su cui Rigel stava disteso, in una delle classiche posizioni che lo rendeva ancora più simile a mio padre, si tirò su pigro e sorrise a Cox seduto su una poltrona accanto a me.

    “Dille tu quanto è terribile questa notizia…”

Cox fece semplicemente il cenno di una corda che lo impiccava, poi entrambi si misero a ridere.

    “Siediti qua sorellina, dobbiamo spiegarti alcune cose…”

Il fatto che fossi finita a Serpeverde lo aveva reso molto più morbido con me, pensavo che fosse solo l’effetto momentaneo del sollievo familiare, o per il suo ruolo di guardia del corpo che mio padre gli aveva imposto, ma presto mi sarei resa conto che quella vicinanza avrebbe cambiato definitivamente i miei rapporti con il mio odioso fratello.

    “Quell’uomo ha una specie di fissazione per le collezioni di studenti…”
    “Collezioni?”
    “Sì, ha una specie di piacere perverso nel poter ostentare i suoi commensali, come fossero figurine di giocatori di Quidditch…”

Avery, sulla poltrona di fronte a me, rise, tracannando la sua burrobirra.

    “Certo non colleziona tutti, solo quelli che a lui sembrano esemplari adatti, devi essere speciale ai suoi occhi per qualcosa: o per la famiglia di provenienza, o per le conoscenze che hai, o per il fatto che emergi nello studio, o nel Quidditch, o in Merlino sa cos’altro…”
    “Quindi se invita te, ha come minimo duecento di queste ragioni per farlo!”

Guardai mio fratello mentre prorompevo con quest’osservazione, Rigel sorrise e arrossì un poco, non l’avevo mai visto in imbarazzo, forse perché per la prima volta gli stavo facendo un complimento, invece di dargli dell’idiota, come mio solito.

    “Infatti… l’anno scorso ha dovuto subire almeno quindici di quegli inviti, credo sia un record imbattuto qui a Hogwarts!”
    “Quindici?”

Ero sbalordita da quell’ultimo commento di Avery, che aveva definitivamente reso rosso mio fratello.

    “Beh… però forse è perché Rigel ha anche altre virtù, veramente straordinarie…”

Mio fratello, già rosso paonazzo, peggiorò ulteriormente e gettò uno sguardo di fuoco contro Malfoy, che evidentemente aveva ascoltato la conversazione fino a quel momento, fingendo di essere preso in pensieri tutti suoi, nascosto dietro la sua copia della Gazzetta del Profeta.

    “Ora origli anche le conversazioni altrui, Malfoy? Già stanco di molestare le matricole nei sotterranei?”
    “Sono un Caposcuola, Sherton, devo essere sempre informato di tutto!”
    “Sì, ho visto come cercavi di informarti su Black, oggi pomeriggio! Vedi di informarti lontano da me e mia sorella e stai zitto, nessuno ti ha invitato a parlare!”
    “Beh Meissa dovrebbe essere messa al corrente di certi aspetti di quelle cene, sui quali tu sembri voler soprassedere…”
    “Magari un fratello ha il diritto/dovere di scegliere il momento migliore per dire a sua sorella quello che deve sapere, Malfoy…”
    “Ora di sicuro ti manderà a letto, come ha fatto anche ieri… Si crede tuo padre…”

Serafico si era rivolto a me, come se mi servisse un manuale d’istruzioni per comprendere mio fratello. I due si guardarono con odio, per Rigel la mia presenza significava solo guai, così salutai lui, Avery e Cox, snobbai del tutto Malfoy e approfittando della mezzora ancora disponibile prima del coprifuoco, salii in Sala Grande dove trovai Zelda in compagnia di una sua amica Tassorosso e, niente meno, Lily Evans, l’amica sangue sporco di Snape.

    “Pensavo fossi già in pantofole e vestaglia!”

Zelda mi accolse con un grande sorriso, sicuramente orgogliosa di potermi mostrare alle sue amiche, io le risposi a metà tra l’imbronciato e l’annoiato, quelle ultime ore della giornata erano state diverse da come avevo sperato.

    “No, sono fuggita…”
    “Perché?”
    “Malfoy, chi altri?”
    “Il Prefetto di Serpeverde? Quello bello, alto, biondissimo?”

L’amica Tassorosso di Zelda aveva quasi la bava alla bocca, ed io non la degnai nemmeno di un cenno di saluto, se era così entusiasta di Malfoy di certo non avevamo molto in comune.

    “Più che altro, quello esageratamente stronzo…”
    “Abbiamo tutte una specie di calamita per stronzi e bastardi, o sbaglio?”

Era la prima volta che sentivo la voce di Lily Evans, lì a Hogwarts, ma non mi colse di sorpresa, avrei saputo riconoscere facilmente in mezzo a mille quel timbro cristallino che mi aveva attirato tante volte nel parco babbano di Spinner’s End. Risi, a metà tra il triste e l’amareggiato.

    “Hai avuto un altro scontro con la banda del treno, Evans?”

Mi guardarono tutte con una certa sorpresa, in fondo era la prima volta che ci parlavamo. Ed essendo la figlia di Alshain Sherton, sembrava per lo meno bizzarro che avessi fatto attenzione al nome di una sangue sporco.

    “Ho una buona memoria per i nomi, e conosco già la storia del treno…”

Sorrisi sghemba, Evans mi rilanciò un’occhiata carica di comprensione. Probabilmente fino a quel momento si aspettava un atteggiamento ruvido e antipatico da parte mia, vedermi diversa da come si aspettava, sembrò farle abbassare subito la corazza. Mi sorrise a sua volta, si capiva che aveva voglia di parlarmi, che Snape doveva averle detto qualcosa di troppo su di me.

    “No, io non ho avuto nessuno scontro con quelli là, ma… hanno teso un’imboscata a Severus, dopo la lezione di Trasfigurazione. A quanto pare però, benché sia gracile, sa ben difendersi…”

Risi di nuovo: avrei dato qualche buon suggerimento a Severus appena ne avessi avuto l’occasione, anni di pratica con Rigel potevano essergli utili, e già pregustavo l’idea che sistemasse quel Potter anche da parte mia… era così odioso…

    “Sì, Potter le attira proprio …”
    “Oh no, Potter si è defilato subito, Severus si è scontrato solo con Black, prima di cena…”

La guardai e arrossii appena un po’: avevamo deciso di parlare dopo la lezione di Trasfigurazione, avevamo un appuntamento in biblioteca, ma non si era più fatto vedere, l’avevo aspettato invano fino a che non si era quasi fatto tardi per la cena. Ero così curiosa di sapere che cosa gli aveva scritto mio padre. Sospirai. Quindi era tanto importante parlare con me che aveva preferito azzuffarsi con Snape. Trattenendo a stento le lacrime, decisi che era il momento di defilarsi.

    “Spero che di sotto abbiano finito di fare i cretini… vorrei andare a letto, come primo giorno è stato abbastanza impegnativo…”
    “Possiamo invitarti domani in biblioteca per studiare un po’ insieme? Ci stavamo organizzando, infondo abbiamo tutte quasi lo stesso orario…”

Guardai Lily e annuii, a quanto pareva non era sbagliata l’impressione che avevo avuto di lei quei giorni nel parco, era proprio simpatica. E mio padre aveva detto che potevo farmi le amicizie che volevo, anche loro erano amici dei Prince, infondo…

    “Ok, ne parliamo con calma domani a lezione. Ci vediamo a Pozioni alla prima ora. Buona notte!”

Non aspettai nemmeno Zelda e mi avviai ai sotterranei. Avevo appena fatto amicizia con delle ragazze simpatiche e gentili, le lezioni erano state interessanti e semplici, Rigel teneva a bada egregiamente Malfoy per me, e si comportava in modo più simpatico di quanto immaginassi. La prima giornata poteva dirsi conclusa piacevolmente. Sicuramente meglio di com’era iniziata. Ma il comportamento assurdo di Sirius Black rischiava di rovinare davvero tutto. Per questo non potei fare a meno di piangere nell'oscurità verdastra del mio letto.

***

Sirius Black
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 2 settembre 1971

    “Allora, Snivellus, sei caduto nella pozione? Guarda che capelli che ti ritrovi!”

Tutto era iniziato così ed era finita che ci prendevamo a pugni nel cortile d’ingresso, per fortuna Remus ci aveva divisi ed io avevo avuto giusto il tempo di sistemarmi la divisa prima che Gazza facesse il suo ingresso nel cortile, richiamato dalle urla e dagli strepiti. Con orrore mi accorsi di aver perso la cognizione del tempo, Mey mi aspettava in biblioteca, io mi ero perso, avevo incrociato quello stupido ranocchio e subito avevo perso la testa. Di sicuro, quando l’avesse scoperto, Mey non mi avrebbe perdonato… Nella zuffa avevo anche perso la lettera di Sherton, che ora era ridotta in mille pezzi nelle mie mani. Non sapevo che cosa fare. Non erano passate nemmeno ventiquattro ore e già odiavo quel posto, certo c’era Remus, che era davvero un ragazzo fantastico, a parte il fatto che era così serio e un po’ impacciato, ma... Mi trascinò a cena quasi di forza, io a capo chino entrai in sala sperando di non beccare gli occhi carichi di delusione di Meissa, non l’avrei retto, di sicuro mi sarei messo a piangere davanti a tutti. Quando entrai, la vidi accanto a suo fratello, non mi erano sembrati molto affiatati a Herrengton, ma sembrava che in quella scuola, lui non le staccasse gli occhi di dosso… e visto che razza di porco fosse Malfoy, ne capivo fin troppo bene il perché.

    “Che cos’era quel brivido? Snivellus ti ha attaccato qualche malattia strana?”

James scandì bene quelle parole quando vide la Evans passare dietro di noi per raggiungere il suo posto. Io strinsi le nocche fino a farmele bianche, per quell’idiota avevo perso la possibilità di trasformare la mia giornata in maniera positiva.

    “No, niente di che… solo un po’ di freddo.”

Mangiai mestamente, in attesa che Mey si alzasse per aspettarla al varco e poterle parlare, ma come mi ero immaginato, Rigel era con lei, mi passò vicino, mi salutò gentile, poi l’accompagnò velocemente di sotto… Magari nella lettera, Sherton mi intimava di starle lontano e Rigel stava facendo in modo che lei mi evitasse. Non finii nemmeno di cenare, corsi da solo fino al dormitorio, sentendomi un perfetto cretino.



*continua*




NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP
(maggio 2010). 
Valeria


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