17. My Perfect
Distraction
Prese la cornetta del
telefono e compose il suo numero, attendendo che Jonny rispondesse.
Lo fece Arianna che, dopo averla chiamata, gliela passò dopo un
saluto. Un paio di giorni non potevano esserle stati sufficienti per
passare oltre la litigata con Danny, o quello che era stato. Non
aveva conosciuto i particolari: Danny non glieli aveva voluti
raccontare, preferendo fare l’irascibile con tutti quelli intorno a
lui; Jonny aveva fatto altrettanto, isolandosi e concentrandosi sullo
studio. Si chiedeva quanto a lungo potesse durare quella nuova
situazione. Sperò poco, altrimenti ci avrebbe pensato lui stesso a
farla affrontare ad entrambi.
“Come ti senti?”,
le domandò.
“Stanca.”,
rispose lei, con uno sbadiglio, “Il
mio cervello si sta liquefacendo.”
“Uhm... E’ una cosa
alquanto fastidiosa.”, cercò di ironizzare con una piccola battuta
ed una risata.
“Abbastanza... A
te come va?”
“Così così.”, le
fece, “Potrà anche essere piena estate, ma non mi sento tanto
bene.”
“Hai la voce
nasale, vedi di prendere meno freddo quando esci alla sera, per fare
baldoria...”,
lo prese in giro lei.
“Lo terrò a mente.”,
tagliò corto la disquisizione sul suo stato di salute, non l’aveva
certo chiamata per farsi dare consigli in quel campo, “Senti,
Jonny, ormai tutti noi sappiamo che sei qua... Tom ed Harry
vorrebbero salutarti.”
“Sono lì con te,
adesso?”
“Non salutarti ora,
per telefono.”, le fece, “Ma una di queste sere, vorrebbero
sapere se possono invitarti a cena.”
“Uhm...”,
rifletteva, “Beh,
mi piacerebbe...”
“No, Danny non ci
sarà, te lo prometto.”, disse, roteando gli occhi con
rassegnazione.
“Ma non intendevo
quello...”,
lo corresse lei, con tono stizzito, “Va
bene, ci sto. Posso dirlo anche ad Arianna?”
“Perché no?”, le
disse, con entusiasmo, “Sarebbe un’idea magnifica!”
Guardò verso il suo
soffitto, notando un ragno abbastanza gigantesco che gli camminava
sopra la testa. Lo ignorò, passando oltre il suo copro ad otto
zampe, e ringraziò anche il cielo per averla convinta con pochissime
parole. Si era preparato ad una serie infinita di preghiere in tutte
le lingue.
“Quando siete
libere?”, le domandò, “Per noi una serata vale l’altra, non
abbiamo così tanti impegni mondani ultimante...”
“Bella domanda...
Ne parlo con Arianna e ti faccio sapere, va bene?”
“Perfetto... Aspetto
una tua chiamata, non farmi crescere la barba troppo lunga!”
***
Attendevano che la
porta di casa Judd si aprisse ad entrambe, che se ne stavano con un
paio di bottiglie di buon vino importato tra le mani. Arianna ne
approfittò per darsi una sistemata, guardandosi nel riflesso
storpiato del vetro scuro e cilindrico.
“Si ricorderanno di
me?”, le chiese incerta, “Non è che passo per l’imbucata alla
festa?”
“Ci hanno invitate
entrambe...”, le rammentò Joanna, “Non è una cena per pochi
eletti.”
In quello stesso
attimo, un Harry vistosamente sorridente le accolse.
“Buonasera signore!”,
esclamò, con fare elegante, “E benvenute nella mia umile dimora.”
Fece uno svolazzo con
la mano, si scostò dall’entrata e lasciò libero il passo.
“Judd?”, gli fece
Joanna, “Tutta questa gentilezza dove l’hai trovata?”
“Frugando nella borsa
di Mary Poppins.”, rispose lui, imperturbabile, “Ora, vi prego,
datemi le vostre cose, così le riporrò...”
“Harry!”, squillò
lontana ma stridula la voce di Giovanna, “Sta andando a fuoco
tutto!”
“Oh, cazzo!”
Fuggì verso la cucina,
lasciando le due donne sulla soglia di casa, sbalordite.
“Che dici,
entriamo?”, disse poi Arianna.
“Direi di sì...”,
le rispose.
Un passo dopo l’altro,
si fecero strada nel corridoio. Sentirono la risata di Dougie, poi
un’esclamazione di Tom: li scovarono nel salotto, seduti sul
pavimento come bimbi, intenti nello sfidarsi ad un qualche gioco di
lotta all’ultimo sangue, con gli occhi fissi sullo schermo della tv
e le mani impegnate con i joystick.
“In cucina c’è un
incendio e ve ne state a giocare alla playstation?”, li sgridò
Joanna scherzosamente.
“Ma quale incendio!”,
rispose Dougie, “Gi voleva solo farsi dare una mano!”
“Non poteva
chiederglielo normalmente?”, domandò Arianna.
“In questo modo si è
assicurata che arrivasse.”, rispose Tom, “Harry fa di tutto per
schivare gli affari di cucina.”
“Non dirmelo...”,
ironizzò Joanna.
Infatti, di lì a poco
il batterista apparve con un grembiule rosa confetto legato in vita.
“Non osate ridere!”,
disse, vedendo le facce sorprese e pronte all'esplosione, ed
indicandole con tono accusatorio, “Non osate ridere!”
“No, non lo
faremo...”, balbettò Joanna, cercando di trattenersi.
“Bene!”, Harry
strinse i pugni, verde dalla rabbia.
“Non puoi lasciare
tutto nelle mani di Giovanna!”, lo rimbeccò Tom, “Sei tu il
padrone di casa!”
“Fino a prova
contraria, non lo nego.”, rispose Judd, “Ma non sono stato io a
farle venire qua a cena!”
“Beh, non ci siamo
auto-invitate!”, si difese Joanna.
“Sì, ma è stato
Dougie a impormi di farvi venire qui!”, ringhiò lui, “E io odio
cucinare!”
“Suvvia...”, disse
Arianna, finora stranamente a disagio, “Bevi che ti passa!”
Prese entrambe le
bottiglie e gliele mise sotto il naso, con un sorriso sornione.
“Con gli omaggi delle
tue ospiti indesiderate!”, gli disse, invitandolo a prenderle.
“Grazie del
pensiero...”, borbottò l'altro, sempre scocciato.
“Comunque molto
piacere, io sono Arianna, ti ricordi di me?”, gli disse.
“Sì, mi ricordo
eccome.”, rispose Harry, “Ti trovai davanti del mio camerino che
provavi ad appiccicare la stella con il mio nome sulla porta.”
Arianna rimase
lievemente spiazzata, ma non tradì il suo sorriso; Harry, invece,
prese le bottiglie e se ne tornò in cucina, a fare il suo dovere.
Nell'attimo che seguì la sua nervosa dipartita, ci fu un breve
silenzio che Tom ruppe con un abbraccio ed un 'come
stai?'
che scaldarono il cuore di Joanna. Poi passò ad Arianna, alla quale
strinse cordialmente la mano, e Joanna fu sicura che sarebbe andata
d'accordo con tutti loro; la conosceva bene e sapeva che non era
difficile entrare nelle sue simpatie, ed al contempo era altrettanto
semplice rimanerle antipatici.
Le due donne si
sedettero poi alle spalle dei due sfidanti, che tornarono
indisturbati a giocare, divertendosi.
“Scusatemi!”,
sentirono esclamare.
Si voltarono, trovando
una Giovanna mortificata. Si scusò per non essere venuta a
salutarle, incolpando Harry per la sua ben poca buona educazione, e
si presentò con il suo solito entusiasmo, che colpì anche Arianna.
La abbracciò e, con lo stesso calore che le aveva infuso Tom, le
chiese come si trovasse.
“Abbastanza bene.”,
le rispose, “E tu?”
“Starei meglio se
venissi trattata come ospite, e non come sguattera, ma va bene lo
stesso.”, borbottò Gi, “Tra poco è tutto pronto.”
L'ultimo piatto, che
aveva ospitato il dolce portato da Tom e da Giovanna, giaceva davanti
a tutti loro, ospitava ormai solo briciole e rimasugli vari. Buono
come sempre, non c'erano dubbi, tanto che Arianna aveva proposto a Gi
di farle da cuoca, ma lei aveva gentilmente rifiutato, sentendosi
lusingata ma comunque più portata per la recitazione.
“Tra pochi giorni ho
il test di ammissione.”, spiegò Joanna, rispondendo alla domanda
di Tom in argomento, “Sono abbastanza tesa.”
“Sicuramente andrà
bene.”, la incoraggiò Fletcher, sorridendole.
“Si vede lontano un
miglio che sei una secchiona...”, disse Harry, sempre educatamente
bastardo nei suoi confronti.
“Santa Maria!”,
esclamò Arianna, “Sei un concentrato di acidità!”
Era la terza volta che
glielo diceva.
“Comunque non lo
sono, Judd.”, lo corresse Joanna, “Me la cavo, non sempre bene ma
ce la faccio.”
“Sei una secchiona.”,
ribatté l'altro.
“Ok, una flebo di
dolcezza per Harry!”, disse Dougie, scherzando.
Risero tutti insieme e
fu molto piacevole. Amava stare con loro, non c'era alcun dubbio, li
adorava davvero. Quasi
come una fan,
pensò sorridendo, ma le ammiratrici non venivano di certo invitate a
cena come lei ed Arianna. Di certo, ora che si trovava così vicino a
loro non avrebbe perso l'occasione di approfondire il rapporto. Lo
avrebbe fatto indipendentemente da tutto.
E da tutti.
“E come mai hai
scelto quel particolare indirizzo?”, le domandò Giovanna.
“All'inizio avevo
pensato di tornare dalle lingue straniere, come ho fatto al liceo.”,
le spiegò, “Poi ho valutato anche altri corsi di studio e, alla
fine, ho eliminato tutto tranne quello.”
“Sicuramente è molto
interessante.”, disse Dougie, “E vedi di non farmi pentire!”
Joanna imbronciò le
labbra, facendoli tornare a ridere.
“Ok, papà.”, lo
prese in giro, mettendosi una mano sul petto ed alzando la destra, a
mo’ di giuramento, “Prometto che mi impegnerò per prendere dei
buoni voti.”
“Dio, Dougie!”,
esclamò Harry, “L'unica cosa che sei capace di mantenere è il tuo
rettilario, e ti sei preso la briga di pagarle gli studi? Sei pazzo!”
“Volevi farlo tu, per
caso?”, gli rispose Arianna, al posto del bassista.
Quel continuo ribattere
alle frasi acide di Harry era stata la parte più comica della
serata. Arianna si divertiva a zittirlo, lui sembrava provarci gusto
nel giocare altre carte.
“No, lo farò solo
con i miei figli.”, disse, incrociando le braccia dietro alla testa
e sbadigliando, “Se mai ne avrò uno.”
“Se mai troverai
qualcuno favorevole a partorire per te.”, assestò un bel colpo
Arianna.
“Credimi, ce ne sono
migliaia.”, fece, lievemente risentito.
“Escluse le fan?”,
continuò lei.
“Ovviamente!”,
disse Harry, gonfiandosi.
“Escluse tutte le
cugine dal secondo grado di parentela in poi?”, aggiunse un altro
filtro alla schiera di pretendenti del batterista.
Gli occhi dei quattro
rimbalzavano tra i due, come se fossero stati i giocatori di una
partita di tennis, e loro i giudici arbitri.
“Harry, arrenditi.”,
gli consigliò Joanna, “E' una che non molla...”
Era la verità, Arianna
non lasciava l'osso finché non era il suo sfidante a farlo, e anche
in quei casi preferiva tenerlo sopra la testa e sventolarlo in alto
come una coppa di trionfo. Harry avrebbe trovato pane per i suoi
denti, se avesse avuto la forza per affrontarla, oppure se non li
avessero fermati, ma loro erano troppo impegnati ad ascoltare come si
passassero la palla avvelenata e si divertivano a vedere Judd
sbraitare come una donna con il ciclo.
“Escludo le mie
cugine, le amiche delle cugine e anche quelle di mia sorella, di mia
madre, di mia zia e di mia nonna.”, disse, conteggiando sulla punta
delle dita.
“Chi altro ti
rimane?”, gli domandò Arianna.
“Il resto del genere
femminile!”
“Frequentano almeno
l'asilo nido?”
“Oh, mi arrendo!”,
disse Harry, alzando le braccia e segnando così la fine del
contenzioso, “Te la do vinta.”
“Potresti pensare ad
un'adozione!”, rincarò la dose Arianna.
“Ok, vado a lavare i
piatti!”, si inviperì il ragazzo.
In un batter d'occhio
la tavola fu sparecchiata ed Harry, piuttosto che sottoporsi ancora
alle angherie di Arianna, infilò le mani nude nell'acqua calda ed
insaponata, strofinando via con forza tutti i residui di cibo.
Nessuno ebbe il coraggio né la voglia di dargli una mano, sembrava
più che autosufficiente. Presero i loro bicchieri, le bottiglie di
vino e di acqua, e si spostarono dove potevano stare più comodi e
non essere disturbati dal gorgogliare infastidito di Judd.
“Ti trovi bene qua?”,
le chiese Giovanna, una volta seduti al fresco del verde sul retro.
Quelle case inglesi
erano tutte stramaledette uguali e prevedibili, pensò Joanna, che
avrebbe potuto camminare ad occhi chiusi senza sbattere sugli spigoli
dei mobili.
“Molto.”, le
rispose, “Anche se non ho ancora avuto modo di ambientarmi
perfettamente, forse perché sono sempre chiusa in casa a studiare.”
“Londra è caotica
quanto Firenze?”, fece Tom, “Oppure molto di più?”
“Per quello che ho
visto, posso dirti che è come la mia città... Ma all'ennesima
potenza!”, gli rispose, con occhi sbarrati al ricordo di essere
stata imprigionata per un'ora in un imbottigliamento, con Arianna che
imprecava come una pazza, “Ci sono milioni e milioni di auto,
persone...”
“Beh, quando
inizierai i corsi, inizierai a farti miliardi di amici.”, le disse
Dougie, “E vedi di non dimenticarti di me!”
“Dougie, sei peggio
di uno strozzino...”, gli fece, con una pacca sul braccio, “Metti
gli interessi sui sentimenti!”
“Scusami, Jo.”, la
riprese Tom, “Non sono ancora riuscito a capire da quanto tempo ti
sei trasferita.”
Quella domanda la
spiazzò. Poteva rispondere con la verità, ma non sapeva quale
effetto avrebbe sortito su di loro. Non voleva che pensassero male di
lei o che fraintendessero la sua decisione. Titubò, guardando Dougie
per chiedere aiuto. Lui alzò le spalle.
Cosa doveva dire
allora?
“Da diverso tempo,
ormai...”, disse, con un sospiro e gli occhi bassi, “Da poco più
di un mese...”
Al che seguì un corto
silenzio, in cui si pentì di aver smascherato la sua bugia.
“Me lo ha detto poco
dopo, a cosa fatte.”, intervenne allora Poynter, togliendola
dall'imbarazzo, “Ha avuto i suoi buoni e intuibili motivi per
farlo.”
“Sì, certamente,
niente da obiettare in proposito.”
Tom le sorrise, ed
anche Giovanna. Harry, se fosse stato presente, avrebbe borbottato
una risposta delle sue; Joanna fu grata ai piatti da lavare, che lo
impegnavano in cucina e lo tenevano lontano.
“Vi chiedo scusa.”,
disse ai due fidanzati, “Avreste dovuto saperlo.”
“Non ti
preoccupare!”, la rassicurò Giovanna con un sorriso, “Non è
stata una decisione facile da prendere e la rispettiamo.”
“E poi non siamo in
diritto di dirti cosa è giusto o sbagliato.”, aggiunse Tom, “Se
non volevi che Danny lo sapesse...”
Sentire il suo nome,
per quei giorni taciuto totalmente, le fece fare uno sbalzo al cuore.
“Grazie...”, disse
loro, “Grazie di cuore.”
Le sorrisero ancora.
Dougie, seduto accanto a lei, ne approfittò per strizzarle un
occhiolino. Ultimamente si sentiva molto figlia di tutti, adottata
da
persone che si potevano classificare in ogni modo, tranne che nei
limiti della normalità. Non aveva mai avuto una vera famiglia, e
quella che pensava fosse diventata sua a tutti gli effetti non era
composta dalle classiche figure genitoriali. Si sarebbe mai
lamentata? Mai, appunto. Joanna sorseggiò un po' di acqua, si
sentiva la gola terribilmente arida e secca.
“Che ne dici, Tom,
finiamo la partita?”, gli propose Dougie.
“Ci sto!”, esclamò
l’altro entusiasta.
In meno di mezzo
secondo si volatilizzarono, lasciando le tre donne libere.
“Mi chiedo che cosa
trovino in quella Playstation.”, disse Gi, alzando le spalle con
rassegnazione.
“Non dice mai di
no...”, fece Arianna, “Per questo rimarranno sempre fedeli a
quella scatola. E non a noi.”
“Già...”, si
accodò Joanna, “Fortunatamente non sono macchine pensanti.”
“Chi? La Playstation
o quei due?”, sbuffò Arianna, ridendo, “Senza offesa...”, si
rivolse a Giovanna.
“Non sono mai stata
d’accordo su qualcosa come questa volta!”, rispose l’altra,
ridendo, “Odio quella consolle...”
Si godettero il fresco
della serata inglese, guardandosi intorno.
“Devo dire che sono
contenta che tu sia qui, Jo.”, disse poi Gi, “Almeno porti
qualcosa di diverso in questo pazzo mondo!”
“Mi sa che non mi
vedrai molto se continuerò a chiudermi in casa!”, le rispose.
“Potresti vedermi
apparire con un piede di porco alla tua porta.”, le fece l’altra,
con tono fintamente saccente, “E costringerti ad uscire minacciando
di scassinare la serratura!”
“Sei una ragazza che
non ha mezze misure. Mi piaci!”, si complimentò Arianna, anche lei
sempre estremamente diretta nei modi di fare.
“E’ che ho imparato
ad essere abbastanza drastica, talvolta...”, continuò la ragazza,
indicando con un cenno della testa la casa alle sue spalle e facendo
intendere a chi si stesse riferendo, e non era Tom. Harry sembrava
ancora impegnato nella pulizia della sua cucina, a sentire dalle
imprecazioni arabe, che percepivano di tanto in tanto.
“Ed è per questo che
voglio essere ancora diretta.”, disse, con sicurezza nel tono della
voce, “Cosa è successo con Danny?”
Peggio di una striscia
di ceretta, pensò Joanna.
“Beh... E’ successo
che non succederà più niente.”, la informò, “Tutto qui.”
Giovanna sembrava
abbastanza curiosa, come se avesse aspettato tutta la sera per
conoscere i particolari. Ovviamente non si sentiva di parlargliene,
avrebbe cercato di riferire il meno possibile sperando che non
insistesse più del dovuto.
“Mi dispiace...”
“No, lascia
perdere.”, la tranquillizzò, “Credo che sia destino che non
accada niente.”
“Non sono dello
stesso parere.”, obiettò Giovanna, “A me piacevate insieme.”
Che cosa poteva dirle,
se non anche
a me?
“Gli ha chiuso la
porta in faccia.”, la tradì in pieno Arianna.
All’altra spuntarono
due occhi avidi, come davanti ad un tesoro di monete e pietre
preziose, mentre sulla faccia di Joanna c’era soltanto
un’espressione stupita e quasi infastidita.
“Sul serio?!”,
esclamò Gi.
“Sì.”, continuò
Arianna, “Quel ragazzo era venuto per chiederle di dargli un’altra
possibilità, e lei cosa fa?”
“Arianna...”,
borbottò lei, sentendosi le guance avvampare dall’imbarazzo.
Giovanna sembrava
sempre più sbalordita.
“Quel poveraccio ha
incassato tutti i colpi, ribattendo fino allo stremo delle forze, poi
se n’è andato.”, tornò imperterrita a sviolinare quello che era
accaduto.
“Si è presentato a
casa mia ingannandomi!”, cercò di difendersi Joanna “Ha usato
Poynter!”
“Perché? Cosa
c’entra Poynter?”, domandò Gi.
“Sapendo che non le
avrebbe mai aperto la porta di casa”, la anticipò Arianna, “Dougie
ha prestato la sua voce al citofono.”
Giovanna alzò un
sopracciglio, sintomo di una risata imminente, ma si trattenne.
Poteva sembrare divertente al pensiero, ma non lo era affatto. Lei
che l’aveva vissuta, non avrebbe augurato quella comparsata nemmeno
al suo peggior nemico. Arianna non fu in grado di mangiarsi l’ilarità
che aveva scatenato lei stessa, e le scappò una piccola risata.
“Ok, prendimi pure in
giro...”, le fece, innervosita, “Al mio posto non saresti stata
molto contenta.”
“Lo sappiamo, Jo.”,
disse Arianna, “Solo che, a pensarci bene... E’ un po’...
Insomma, fa un po’ ridere.”
Cercò di trovare un
ipotetico lato comico, ma proprio non ci riusciva. Forse si stava
prendendo troppo sul serio, o forse Arianna non era capace di capire
quando lo scherzo non era appropriato.
“Comunque”, Gi
cercò di ristabilire la situazione, “a quanto ho capito, Danny non
l’ha presa bene.”
Scosse la testa.
“Potresti almeno
ricambiargli il brutto scherzo!”, avanzò Arianna, “Se lo
meriterebbe!”
Non aveva trovato
niente di meglio da fare che appisolarsi sul divano. La televisione
era accesa, riproduceva un film con Jack Nicholson che Danny aveva
già visto, almeno fino a metà o poco più. Braccia incrociate sul
petto, sentiva solo un lievissimo rumore di fondo, la voce
gracchiante del pazzo criminale che cercava di sterminare la sua
famiglia. La visione non conciliava il sonno, ma lui ne aveva tanto.
Alla stanchezza, Danny poteva anche aggiungere il fatto che le serate
solitarie erano noiose, non abituato. Non si era certo illuso di
potersi unire al gruppo:
non c’era stato bisogno di dirglielo esplicitamente, aveva capito
da solo quello che era stato giusto fare. Volevano salutare una loro
amica, e per questo l’avevano invitato a cena. Appunto, una loro
amica, non sua. Non erano più amici, quindi non era educato
che lui si presentasse. Oltretutto, non gli andava assolutamente di
vederla.
Si avvicinò di un
altro po’ alla spalliera, come se fosse stata l’unica cosa in
grado di fargli una calda e confortevole compagnia. In un primo
momento, non fu in grado di distinguere il rumore dalle urla basse
del film che risuonavano nel suo soggiorno; poi riconobbe il
campanello, e Danny si costrinse ad alzarsi dal comodo divano ed
accogliere lo scocciatore.
Il viso sorridente di
Giovanna poteva essere l’ultimo occupante della lista mentale delle
facce attese, che aveva scorso rapidamente prima di girare il pomello
della porta.
“Hey...”, le fece
stranito, “Che ci fai qui?”
L’altra alzò le
spalle.
“Facevo una
passeggiata digestiva, mi sono chiesta cosa facevi e ti ho suonato il
campanello.”, disse lei.
Gradì quella
gentilezza, ma non la comprese. Non era usuale per lei suonargli il
campanello con tutta quella spontaneità, ma non ci fece molto caso.
Era stanco.
“Stavi dormendo?”,
gli chiese.
“Beh... Sì.”,
disse, ridendo, “Ma non ti preoccupare, mi ero solo appisolato
davanti alla tv.”
“Cosa guardavi di
bello?”, domandò ancora.
Non poteva lasciarla
ancora sulla soglia.
“Entra pure, Gi.”,
le fece, scostandosi dall’entrata.
“Oh no, torno subito
a camminare.”, rispose la ragazza, scuotendo la testa.
“Non ti fermi nemmeno
per qualcosa? Ti posso offrire da bere.”
“Ti prego, no!”,
esclamò, toccandosi la pancia, “Comunque grazie, Dan, è stato un
piacere romperti le scatole mentre dormivi!”
“Figurati!”, le
disse, sorridendole, “Buona passeggiata!”
E chiuse la porta, più
perplesso di prima. Si grattò la testa, in cerca di una
giustificazione a quel gesto. Scrollò le spalle e se ne tornò sul
divano; cercò di riprendere il filo del film ma fu del tutto
inutile, per due motivi: il primo era dovuto al fatto che stavano
scorrendo i titoli di coda. Il secondo, invece, si spiegava da solo:
il campanello aveva suonato ancora. Si alzò e sbuffò annoiato. Non
aveva voglia di avere delle visite, ok? C’era del male in quello?
Trascinando i piedi sul pavimento, tornò alla porta.
“Chi è?”, chiese,
ancora prima di aprire la porta, ma non ebbe risposta.
Aggrottò la fronte.
Attese qualche attimo prima di posare le dita sulla maniglia della
porta ed abbassarla. Aveva quasi paura.
Stupido, hai
guardato un film dove il marito cerca di uccidere il figlio con
un’accetta...
Buttò indietro quella
sceneggiatura, si faceva pena da solo. Non si era mai fatto
impressionare dai film, e non era il caso di iniziare proprio quella
sera. Aprì la porta. Gli aveva fatto molto piacere vedere la faccia
di Giovanna, sorridente e contenta, ma affrontare gli occhi verdi di
Joanna, che si muovevano veloci ed impauriti, come se avessero voluto
essere da qualsiasi altra parte che lì, lo trapassarono da parte a
parte.
Danny incrociò le
braccia e abbassò lo sguardo.
“Cosa fai qua?”, le
chiese, come aveva fatto con Gi, ma in tutt’altro tono.
Joanna nascose una
ciocca di capelli biondi dietro all’orecchio sinistro, e deglutì
con forza.
“Niente... Io...”,
balbettò.
“Niente?”, le fece,
“Non si disturbano gli altri per niente.”
Si morse la lingua. Era
cattiveria, ma non intendeva ritirarla.
“Beh... Come stai?”,
chiese ancora lei.
“Molto bene. Tu?”
Joanna si strinse in un
sorriso flebile, quasi forzato. Capiva che cosa c’era sotto:
solamente uno stupido tentativo di rivalsa. Lui era entrato nel suo
appartamento di soppiatto, sfruttando la voce di Dougie; lei, invece,
aveva chiesto di farsi aiutare da Gi. Molto bene, lo riempiva di
felicità.
“Senti, ho delle cose
da fare in studio.”, le fece, mentendole penosamente, “Degli
accordi da sistemare... Cose così.”
“Ok, va bene.”,
rispose lei, “Scusa se ti ho disturbato.”
Cercò di non sentirsi
in colpa e ne fu capace. Non era capace di trattare così freddamente
una persona, ma ci stava riuscendo perfettamente.
Pensa di me ciò che
vuoi, ma chiamami Little. Perché mi fa stare meglio. Molto meglio.
“Ciao Joanna.”, le
fece.
Si accorse subito
dell’effetto che quel semplice cambiamento di nome causò in lei:
Joanna rimase spiazzata e non controbattè. Danny non provò alcun
piacere in quello, anzi, fece del male a se stesso, più di quanto si
fosse aspettato.
“Ciao...”, rispose
lei.
“Stammi bene.”
E chiuse la porta.
Danny lasciò la
maniglia e fissò il legno davanti a sé. Ebbe un momento di
smarrimento: gli parve quasi di vivere in un film, dentro ad uno dei
loro video, e si trovò ad aspettare il ‘cut’
da parte del regista. Solo che quella stramaledetta parola non
arrivava mai. Non c’erano ciak, non c’erano addetti al trucco, né
assistenti ai cameraman. C’era solo la realtà, nessuno poteva
dirgli che era stato bravo e che la scena appena girata era buona,
nessuno gli chiedeva di rifarla perché aveva accidentalmente
guardato dentro la telecamera.
“Mi dispiace.”
Al di là della porta,
Danny sentì la voce di Joanna alzarsi. Rimase in silenzio, quasi
trattenne il fiato.
“Danny, mi dispiace.”
Sbatté gli occhi più
volte.
“Danny?”, lo
chiamò.
Stava per riprendere
possesso della maniglia, ma non riuscì a toccarla. Se lo avesse
fatto, non avrebbe risolto niente. Ci sarebbe stato solo un altro ‘mi
dispiace’,
e non gli bastava. Si dicevano troppo spesso parole come quelle, che
perdevano così il loro significato.
Sentì Gi bisbigliarle
qualcosa.
“Dai... Provaci
ancora.”.
“No, mi sento una
stupida a parlare con una porta...”, le rispose.
“Sono sicura che sia
lì dietro...”
Joanna sospirò.
“Dan... Rispondimi,
per piacere...”, la sua voce tremava, “Non so più come dirti che
mi dispiace...”
E lui non sapeva più
come dirle che non gli bastava. Forse era il momento giusto di
farglielo capire.
“Gi, andiamo.”, le
fece, “Non c’è.”
“Tenta ancora.”,
insistette l’altra.
“No, basta.”
Era il momento di farla
finita.
“Vi sento... Forte e
chiaro.”, disse alle due ragazze, cogliendole di sorpresa.
Aprì la porta, ma non
vide Giovanna. Danny dovette sporgere la testa fuori dal suo
appartamento: la ragazza lo salutò lievemente imbarazzata, nascosta
dal muro della facciata.
“Potresti lasciarci
da soli?”, le chiese.
Non marcò il tono
infastidito, non ce n’era bisogno, Giovanna si allontanò
salutandoli con un cenno di testa, e con un sorriso rivolto alla sua
amica. Danny attese che attraversasse la strada e tornasse a casa.
“Che cosa hai detto
prima?”, fece a Joanna, “Non ho capito bene.”
Forse era meglio farla
entrare, eppure lasciarla sulla soglia di casa creava quella specie
di rapporto psicologico in cui Danny si sentiva uno scalino sopra di
lei, e ne aveva bisogno. Se fossero stati allo stesso pari, molto
probabilmente avrebbe finito per commettere qualche errore.
“Beh... Ti ho detto
che mi dispiace.”, ripeté lei.
“Oh.”, fece, quasi
con noncuranza, “Non mi sembri molto originale.”
“Danny, per favore.”,
si ribellò Joanna, “Non è facile parlare così…”
Era quello che
aspettava.
“Come pensi che mi
sia sentito, quando sono venuto da te?”
Joanna non ebbe da
controbattere, ma solo da rimanere in silenzio. Bene, si disse Danny,
adesso poteva anche farla entrare ed annullare quella sorta di
superiorità, si sentiva soddisfatto.
Soddisfatto un
cazzo.
Sì, soddisfatto!
Si scostò e la osservò
entrare: le sue braccia erano conserte sul petto, come a volersi
difendere. Danny la accompagnò in soggiorno, e si sedette con lei
sullo stesso sofà su cui avevano già passato alcuni momenti
insieme: quando le aveva presentato Tamara, e chiesto poi cosa avesse
pensato di lei; quando Joanna l'aveva sgridato perché il suono della
sua chitarra, suonata piano durante la notte, l’aveva tenuta
sveglia.
La fece sedere, mentre
lui si accomodò dall'altro lato, il più lontano possibile; attese
che dicesse qualcosa, ma niente.
“Non hai... Alcunché
da aggiungere?”, la esortò.
Joanna si morse le
labbra, in cerca di coraggio, poi scosse la testa. Teneva gli occhi
bassi, le mani unite sul grembo.
“Bene.”, disse
Danny, toccandosi gli occhi con aria stanca, “Mi fa molta rabbia
realizzare ancora che, quando sono io ad invadere la tua vita, sei
sempre pronta a tirare fuori gli artigli e combattere. Mentre quando
sei tu a presentarti alla mia
porta, non fai altro che rimanere in silenzio sul mio
divano, in casa mia.”
Joanna prese a
torturare il lembo della maglietta.
“Ti comporti come una
bambina.”, rincarò la dose di cattiveria nelle sue parole, “Quando
gli altri toccano i tuoi giochi, strilli con tutto il fiato che hai
in gola. Ma quando vuoi giocare, non hai il coraggio di sostenere il
peso della partita.”
La osservava
attentamente. Danny capì che tutto stava accadendo ancora, in un
copione già scritto, letto e recitato. Sapeva cosa sarebbe successo,
quale sarebbe stata la sua reazione, e la cosa lo fece arrabbiare di
più di quanto non lo fosse stato già.
“E poi ti metti
piangere.”
Come non detto, Joanna
asciugò subito una lacrima che era scesa silenziosa.
“Questo è
insopportabile.”, le disse, “Perché farmi sentire in colpa per
quello che faccio è la tua tattica.”
“Non è una
tattica...”, rispose finalmente lei, “Credi che lo faccia
apposta?”
“Sì.”
“Ti sbagli.”
“No, non mi sbaglio
affatto.”, ribatté prontamente, “E’ quello che ti vedo fare
ogni volta!”
“Non lo faccio di
proposito!”, esclamò lei, serrando i pugni con rabbia, “Sono
fatta così!”
“E allora cresci!”,
le disse, “Prendi la vita di petto e smettila di comportarti come
una vittima del mondo! Non sei l’unica che subisce torti ogni
giorno!”
Non voleva scuoterla in
quel modo, non avrebbe mai provato soddisfazione nel trattarla così,
ma doveva farle capire quali erano i suoi errori. Non poteva
chiudersi su se stessa ed escludere il mondo, come aveva fatto per
tutta la vita, per poi pretendere di essere compresa da tutti,
incondizionatamente. Non era così semplice, non era così facile.
Le persone ne
soffrivano e le chiudevano la porta in faccia.
Le persone come
lui ne
soffrivano...
“Ok, ho capito.”,
gli dissemJoanna, “Basta, siamo pari.”
“Pari in cosa?”, le
fece.
“Io ho cacciato te,
ora tu cacci me.”, disse Joanna, “Lo sapevo che non sarei mai
dovuta venire, ma mi sono lasciata convincere lo stesso.”
Si chiese chi tra
Arianna e Giovanna l’avesse spinta a quello.
“Prima di trasferirmi
qua, anch’io ho stabilito la mia scala delle priorità.”, si
riprese lei, “Devo pensare a me. Poi ci sono gli amici e la
famiglia.... E poi tutto il resto.”
La lasciò continuare.
“Tu
sei classificato nel resto.”, fece ancora Joanna, “Non ci si
sente molto bene a scoprire di non essere speciali come si pensava,
vero?”
Lo stava facendo per
stupida rivalsa, ne era sicuro.
“E vuoi sapere il
vero motivo per cui mi sto comportando così?”
Era proprio curioso.
“Avanti, dimmelo.”,
le fece, incrociando le braccia.
“Perché non sono mai
stata davvero indipendente.”, gli disse, “Prima c’era mio
padre, poi c’era mio fratello... E quando loro se ne sono andati,
sei arrivato tu. Sono stufa di essere sempre legata a qualcosa, a
qualcuno... E a un sentimento.”
Le chiese di spiegarsi
meglio, sinceramente non la capiva.
“Danny, voglio con
tutto il cuore realizzare qualcosa nella mia vita. Voglio cercare di
uscire fuori da quello stesso guscio in cui tu mi accusi di rimanere
imprigionata.”
“E allora perché non
lo fai!”, esclamò.
Ormai la rabbia che
provava si era trasformata quasi in calma piatta. Rassegnazione. Era
stanco di combattere.
“Perché sei ci sei
tu, non penso ad altro.”, disse Joanna.
I suoi occhi verdi lo
stavano trapassando da parte a parte, sbucavano al di là di lui
stesso.
“Perché mi riempi la
giornata, perché mi distrai.”, continuò lei, “Perché se ci sei
tu, non c’è tutto il resto. E tu non puoi essere il centro del mio
mondo. Io
sono il centro del mio
mondo.”
Di certo quelle parole
non lo fecero stare meglio, sebbene potessero illuderlo per un solo
istante.
“Io vorrei stare con
te, Dan.”
Vorrei.
“Ma devo pensare a me
stessa.”
Danny appoggiò i
gomiti alle ginocchia e si passò le dita nei capelli.
“Non capisco il
motivo per cui hai paura di me.”, le fece, “Io non ti voglio fare
del male.”
“Saresti una
distrazione.”, ripeté lei ancora.
“E’ una bugia
grossa e ripetuta così tante volte che alla fine niente può
togliertela dalla testa.”, borbottò Danny.
Sospirò, ormai non
aveva più la forza di combattere. Aveva già perso in partenza,
ancora prima di capire di essere innamorato di lei. Era inutile
continuare a sbattere contro un muro che non voleva essere abbattuto,
lui non era un ariete invincibile che poteva sfondare qualsiasi porta
davanti a sé. Alcune di queste erano blindate all’inverosimile e
la tua testa dura non poteva fare altro che scalfirle lievemente.
Poteva abbandonarle, dimenticarle, fare finta che non fossero
esistite.
Ma poteva anche non
arrendersi. Anche le pietre potevano rompersi, anche l’acciaio
poteva essere forgiato, e qualsiasi materiale aveva sempre un
antagonista che poteva modellarlo a suo piacimento.
E credi di avere la
forza per poterlo fare?
“Ok...”, le fece,
non avendo ricevuto alcuna parola in cambio delle sue ultime, “Allora
credo che possiamo anche voltarci le spalle e far finta che niente
sia successo.”
Per qualche attimo lei
esitò.
“Sì...”, disse
poi, “Va bene così.”
“Perfetto...”, le
si avvicinò, “Posso darti un abbraccio, oppure preferisci una
stretta di mano... Che so... Un cenno della testa?”
Si sentiva cattivo e si
odiava. La voleva, non c’era dubbio, ma non era ricambiato. Era
evidente e allora preferiva fare lo stronzo, trattarla come se fosse
stato niente, perché era più facile. Timidamente, fu Joanna a fare
un ultimo passo in avanti ed a stringere le braccia al suo petto.
Danny non voleva
piangere, ma faceva male, cazzo se faceva male. Chiudeva gli occhi e
la sentiva ancora più vicina di quanto non fosse già. Un suo
braccio andò a fermarsi sulle sue spalle, ma ci rinunciò. Non ci
riusciva.
“Non ci riesco.”,
le disse.
Quell’abbraccio era
come un filo sospeso nell’aria. Lei teneva saldamente le forbici
strette su di esso, prima o poi lo avrebbe tagliato e i due capi
morti sarebbero caduti lontani.
E non voglio.
“Per favore.”, le
disse ancora.
Doveva lasciarlo.
Odiava sentire il battito del suo cuore attraverso la pelle, non lo
sopportava. Odiava anche sapere che le sue lacrime gli stavano
bagnando la t-shirt. Odiava sapere che l’abbraccio stava facendo
pesantemente vacillare le sue convinzioni.
Odiava sapere che
dentro di sé voleva ancora provarci.
Odiava sapere che lei
lo avrebbe sempre respinto di nuovo.
Non c’è niente di
più fragile del vetro.
Puoi vederci
attraverso, puoi ammirarlo
ma se lo tocchi nel
suo punto più debole, va in mille pezzi.
E allora fatichi a
rimetterlo in piedi, spesso nessun collante al mondo è sufficiente
per unire
tutte le tessere
taglienti, e qualche piccolo buco rimane sempre vuoto.
Ma se cerchi di
inciderlo, di imprimere qualcosa su di esso, il vetro non te lo
permetterà.
Ci vuole tempo,
pazienza.
E una punta di
diamante.
Con poca gentilezza si
liberò dalle sue braccia, sotto gli occhi scioccati e spalancati di
Joanna. Era stato travalicato un limite, una linea rossa ben precisa.
Al di là di essa c’erano due scelte ben precise: una era quella
voluta da Joanna, quella di cui si era convinta; l’altra era la
sua. Dato che non aveva alcun potere di manomettere in nessun modo
quella di lei, poteva benissimo affrontare la propria.
Le prese le guance e le
avvicinò alle sue, baciandola.
Quella era la sua
decisione, la sua scelta. Voleva provarci ancora ed andava avanti
perché voleva dimostrarle che si sbagliava. Lui non le avrebbe fatto
del male, non era una distrazione; Danny non voleva dimenticare tutto
e trattarla come l’ultima di una lunga lista di ‘cose
da fare’,
ma
non poteva imporlo a Joanna: ci aveva provato, e quale era stata la
sua reazione? Lo aveva completamente escluso. Piuttosto, Danny se ne
sarebbe rimasto ad aspettare, avrebbe affrontato il tempo e cercato
tutta la pazienza che sapeva di possedere. Le sarebbe stato accanto,
convincendola lentamente che poteva tornare a fidarsi di lui.
A fidarsi di loro due.
Forse sbagliava, forse
la decisione giusta non era quella. Forse lei aveva davvero bisogno
di rompere completamente i rapporti con quelli come lui, quelli da
cui dipendeva.
Ma anche lui dipendeva
da
lei, e non voleva che tutto quello cambiasse. Già una volta si era
arreso davanti agli ostacoli e la sua decisione li aveva portati lì.
Non era possibile che
una persona potesse essere in grado di farlo stare così male, ed al
contempo così bene. Neanche Tamara c'era riuscita, Danny dubitava
delle altre prima di lei. Molto probabilmente perché tutto era stato
tutto più facile, dal primo momento fino all'ultimo.
Continuò a baciarla
finché si sentì soddisfatto.
“Sei ancora convinta
che io sia una distrazione?”, le fece.
Lei lo guardò dritta
negli occhi, cercando di capire il senso delle sue parole.
“Sì.”, gli
rispose.
Tornò a baciarla,
anche più di prima. Le passò un braccio attorno alla vita e la
sollevò da terra. Dal giorno successivo Danny avrebbe imparare ad
aspettare, a premere il piede sul freno e lasciarle il tempo che le
serviva per realizzare i suoi progetti. Non avrebbe preteso niente,
tranne il pensarla sua.
“E adesso?”, le
domandò ancora, “Convinta del contrario?”
“No.”
La posò a terra,
tenendola saldamente per i fianchi, come se avesse potuto scappare
sotto ai suoi occhi. Non le liberò neanche le labbra, che continuava
a baciare avidamente, quasi senza respirare. Con delicatezza la
costrinse ad indietreggiare, finché le sue gambe non toccarono il
bordo del divano e furono costrette a piegarsi. La lasciò sedere e
prese posto accanto a lei. Con la punta dell'indice le solleticò il
collo, per poi marcare quella stessa linea con altri baci. La mano
non l'abbandonò, ma scorse con una carezza sulla guancia, sul mento,
fino a sentire il battito del suo cuore, incessante in mezzo al
petto.
“Vuoi che continui a
distrarti?”, insistette ancora.
Voleva che gli
rispondesse di sì, ma lei esitava. Era incerta, ma poteva aiutarla
ad accontentarlo.
“Little?”
Gli occhi giuzzarono
dentro ai suoi.
“Speriamo non si
facciano troppo male.”, borbottò Harry, “Non ho voglia di andare
a raccoglierli con la ramazza.”
Arianna gli dette una
pacca sulla nuca, così forte che la testa del batterista sbalzò in
avanti.
“Dillo che sei geloso
di quei due!”, esclamò poi la donna.
“Dio... E' stato
doloroso!”, protestò lui, toccandosi il collo dolorante, mentre
gli altri ridevano in sottofondo.
Arianna sembrava
tranquilla, sebbene avesse notato in lui una certa aria pensierosa,
mentre Giovanna era anche troppo ottimista. Tom era neutrale, Harry
continuava ad essere acido con tutti. Dougie pensò al futuro e a
quello che avrebbero avuto davanti ai loro occhi.
Forse il suo caro
batterista avrebbe davvero avuto bisogno di una ragazza, e gli
dispiacque quasi che Arianna avesse avuto quasi il doppio della sua
età. Il loro continuo becchettarsi sembrava provocare scintille, ma
era sicuro che lei non si sarebbe mai persa dietro a qualcuno come
lui. Fossero stati coetanei, sicuramente non li avrebbero visti
separati per molto. Ad ogni modo, Harry sembrava felice, anche se
aveva quei picchi di astio verso il mondo, erano una sua
caratteristica peculiare.
Tom, seduto accanto
alla sua Giovanna, le passava un braccio sulla spalla e giocherellava
con una ciocca dei suoi capelli. Si chiese quando quell'imbecille di
Fletcher le avrebbe chiesto di sposarlo... Forse mai, era troppo
imbranato per decidersi. Gli venne da pensare a cosa avrebbe
organizzato per il suo addio al celibato. Di sicuro, qualcosa con
tante, tante, tante donne nude.
Arianna e il suo locale
avrebbero spopolato, lei era una brava intrattenitrice di relazioni
pubbliche e gli inglesi erano troppo affamati di cucina
internazionale, soprattutto buona come quella italiana. Era già
stato al ristorante, aveva visto come procedevano i lavori e con
Arianna avevano stimato che in un mese sarebbe stato tutto pronto per
l'inaugurazione.
Molto probabilmente,
Jonny si sarebbe laureata con il massimo dei voti, aveva proprio
l'aspetto e la maturità di una secchiona con i contro fiocchi.
Poteva diventare una ricercatrice, continuando a varcare i gradini
dell'università, oppure... Boh, non aveva ancora capito cosa andava
a studiare, doveva chiederglielo al più presto. Era importante che
scegliesse un indirizzo con un buono sbocco lavorativo, altrimenti si
sarebbe trovata con un...
Si scosse, dandosi due
schiaffi invisibili. Stava parlando come un adulto! Era
inconcepibile!
Gli scappò un sorriso.
Si chiese davvero che
cosa stesse succedendo là fuori, dall'altra parte della strada, in
casa Jones. Era un po' teso, non sapeva se sperare in bene o in
male... Certo, se l'avesse vista apparire sorridente avrebbe tirato
un sospiro di sollievo lungo un anno intero. Ma se fosse tornata
imbronciata, o in qualche modo triste, si sarebbe innervosito come
poche altre volte.
E lui? Beh, lui stava
bene così. Aveva avuto le sue storie, i suoi flirt, i suoi dolori, e
per il momento cercava solo la pace e la tranquillità dell'essere
single mentre tutti intorno a lui sembravano stare bene, da soli o in
coppia. La sua famiglia si era allargata, ne era entrata a far parte
anche quella piccola testarda e orgogliosa di Jonny, presto ne
avrebbe dato notizia anche a sua mamma, era sicuro che le sarebbe
piaciuta. Non poteva esserne altrettanto certo con sua sorella...
Gran brutto carattere, ma sapeva essere affettuosa, se solo si aveva
la pazienza di far uscire quel suo lato ben nascosto.
Incrociò le dita
dietro alla testa.
Qualsiasi cosa il
destino avesse deciso di mettergli davanti, ormai aveva intorno a sé
tutto ciò di cui sentiva di aver bisogno.
Chiuse il quaderno
degli appunti. Tutti i ragazzi si alzarono, come automi, e presero a
stiracchiarsi. C'era chi sbadigliava, chi faceva fatica a
camminare... Era lunedì per tutti loro e la baldoria della domenica
era sempre difficile da smaltire, anche per lei. Sentiva gli occhi
bruciare, aveva bisogno di dormire ventimila ore per riprendere tutto
il sonno che aveva perso.
Kris le dette una
piccolo colpo sulla spalla.
“Fatto tardi ieri
sera?”, le domandò.
“Sì... E' stato
tremendo...”
Lavorare al locale di
Arianna e servire ai tavoli come una volta era molto stancante.
Soprattutto quando erano assediati da loro connazionali chiassosi e
mezzi ubriachi. Si ricordò perché aveva amato tanto lavorare allo
Strictly
English:
la clientela straniera era sempre molto più educata e composta di
quella italiana. Arianna aveva deciso di chiamare il ristorante con
un nome alquanto bizzarro.
Mina.
Quando le aveva chiesto
perché dedicarlo alla celebre cantante italiana, Arianna le aveva
risposto che la cantante era venuta in sogno, dicendole che le
avrebbe donato fortuna e clienti se avesse dato il suo nome d'arte al
locale. Joanna aveva obiettato dicendole che la signora Mina non era
ancora morta e che doveva aver avuto un'allucinazione da cibo
avariato, ma Arianna si era fermamente convinta di aver ragione e,
forse per dono del cielo, forse per abilità negli affari, il Mina
era
sempre pieno di gente.
Meglio così, si era
detta, era già tanto che non avesse avuto una squallida insegna con
scritto Little
Italy...
Lavorare fino a tardi e
poi seguire le lezioni era uno stress spesso insopportabile, ma era
il suo dovere e doveva rimboccarsi le maniche per andare avanti.
“Odio il mio paese!”,
esclamò Joanna, “Siamo troppo irruenti!”
Kris scoppiò a ridere.
“E io invece mi
trasferirei in Italia anche adesso!”
Era una delle tante
ragazze che aveva conosciuto frequentando i corsi universitari.
Incredibile ma vero, lei che aveva sempre avuto problemi a trovarsi
degli amici, lì dentro non aveva avuto molte difficoltà
nell'attaccare bottone con gli altri. Giorno dopo giorno, mese dopo
mese, appunti dopo appunti, si era costruito un piccolo gruppo di
amiche un po' più fidate, in cui Kris spiccava nel mezzo alle altre.
Lavorava anche lei al
Mina, di solito nel suo stesso turno, ma non la sera precedente.
Aveva chiesto di non lavorare, era il suo compleanno, e Arianna le
aveva ovviamente accordato la giornata libera, da poter spendere con
il suo ragazzo, Adam. Joanna la conosceva da sei mesi ormai, più o
meno dal primo giorno di lezione, era stata Kris stessa a
presentarsi, dopo che le aveva prestato una gomma per cancellare
alcuni appunti. Fisicamente si somigliavano, solo che Kris era
qualche dita più alta di lei, ed era molto più chiacchierona.
Si trovava bene anche
con le altre -Mary, Karol, Brianna e Sam- ma Kris era stata la prima,
e oltretutto aveva in comune con lei qualcosa di particolare.
“Avanti, raccontami
di ieri sera!”, le fece, esortandola a raccontarle della serata
passata con Adam.
L'altra andò in brodo
di giuggiole.
“E' stato fantastico,
Jo, non puoi immaginarlo!”, disse con voce stridula, “Non sai
cosa mi ha regalato!”
“Dio! Cosa?”, le
chiese, curiosissima.
“Te lo mostro per
strada!”
Kris aveva la fortuna
di avere un'auto tutta per sé. Ah, altro particolare che le aveva
legate ancora di più: abitava nel palazzo davanti al suo, lo avevano
scoperto per caso, dopo un mese di lezioni insieme. Così, da quel
giorno Joanna aveva smesso di salire sulla metro e, d'accordo con
Kris, dividevano i costi della benzina. Spesso gliel'aveva anche
prestata, si fidava molto l’una dell’altra.
Camminarono,
raggiungendo il parcheggio del campus e salendo in auto. Faceva
freddo, era gennaio inoltrato, e non tolsero le sciarpe e i guanti
che indossavano, almeno non per il momento. Kris accese il motore,
permettendo così al radiatore di scaldarsi e di far funzionare tutto
l'impianto dell'aria calda. Sarebbero congelate se non avessero fatto
altrimenti.
“Allora! Fammi vedere
il regalo!”, le disse ancora.
“Apri il cassetto
davanti a te!”, le rispose Kris.
Allungò le dita e lo
fece.
Spalancò gli occhi,
poi scoppiò in una risata.
“Ma così non vale!”,
esclamò Joanna, “Con un regalo del genere si va sul sicuro!”
Prese la custodia del
cd, scuotendo la testa. Conosceva la copertina a memoria, così come
tutte le canzoni che conteneva, ed era uscito solamente il giorno
precedente. Aveva avuto il privilegio
di
stringere tra le mani la bozza finale del nuovo lavoro dei McFly con
più di un mese di anticipo su tutto il resto del mondo, fatta
esclusione per gli addetti ai lavori.
Sentì di nuovo quella
punta di dispiacere. Kris si fidava quasi completamente di lei, ma
non riusciva a fare altrettanto... Era una vera
fan
del gruppo, una di quelle con tutte le lettere maiuscole che riempiva
la camera dei loro poster, tanto che quando vi entrava non poteva
fare a meno di sentirsi in soggezione, come se tutti quegli occhi
potessero controllarla. Quando era Kris ad andare in casa sua,
invece, doveva prendere la piccola precauzione di far sparire qualche
fotografia, tanto che ormai neanche le riappendeva.
“E' stato carino
Adam, non credi?”, le domandò, tutta gongolante.
“Per forza!”,
esclamò, “Non parli altro che di loro!”
“Non è vero!”,
protestò l'altra.
“Sì che è vero, me
li hai fatti venire a noia!”, le fece ridendo.
“Infatti tu non sei
normale, sei aliena. I McFly piacciono a tutti, o almeno a quelli
sani di mente!”
Ogni volta che diceva
qualcosa del genere, le veniva la voglia di dirle tutto.
Ma come avrebbe
reagito?
“Lo hai già
ascoltato?”, domandò all'amica.
“Volevo farlo con te,
ho dovuto resistere fino all'ultimo!”, disse, battendo le mani come
una foca per la gioia, “Credo proprio che stavolta te li farò
piacere.”
“Dici?”
Con una rapidità
impressionante, le sfilò il cd dalle dita e lo inserì nello stereo.
Data l'età dell'auto, lo avrebbero ascoltato fino alla fine prima
che il riscaldamento sputasse aria sufficientemente calda. Partì la
prima canzone, Still
Stranger,
una ballata che parlava di due amanti che si incontravano dopo anni
ed anni di lontananza.
“Guardiamo il
booklet! Voglio vedere che cosa hanno scritto nei ringraziamenti!”,
disse Kris.
Conosceva benissimo chi
tra i quattro era la sua fissazione. Saltò a piè pari Harry, che le
stava antipatico, e dette una lettura veloce a Dougie.
“Questo scarafaggio
non crescerà mai...Sempre a scrivere le solite due o tre
cazzate...”, sbuffò.
Le venne da ridere.
“Oh, Tom ringrazia
ancora la sua Gi... Ma che tenero!”, imbronciò le labbra in segno
di commozione.
Tralasciò il resto, e
si dedicò all'ultimo rimasto. Indicò una sua immagine
Joanna aggrottò la
fronte, aspettandosi sempre un commento dei suoi.
“Questo me lo devo
sposare...”, disse, intristendosi, “Vediamo cosa ha scritto...
Poi ti faccio vedere, ma prima tocca a me!”
Kris tornò ai
ringraziamenti e lesse. Erano stati l'unica parte di tutto l’album
a cui Joanna non aveva potuto dare un'occhiata, non erano stati
inclusi nella bozza che aveva visto. Le avevano detto che portava
sfiga.
“Cosa?!?!”, esclamò
con forza Kris.
Si preoccupò.
“Che c'è?”, le
fece, avvicinandosi a lei.
“Ma che... Ma che
cazzo! Non si da' proprio pace quel cristo!”
Si preoccupò ancora di
più.
“Cio... Cioè?”
“Leggi con i tuoi
stessi occhi!”
Un dito puntato sulle
parole.
“Vorrei sapere chi è
questa qua, le tiro il collo! Ti giuro che stavolta lo faccio
davvero!”
“Cosa avrà scritto
mai...”, le fece, con voce tremante.
“Guarda! Guarda!”
Prese sbraitare come
una pazza mentre lei cercava di leggere, sentendosi il cuore in gola.
“Le torco i peli del
culo!”, sentì dire, “E poi perché la chiama Little? Io voglio
sapere il suo vero nome, così la vado a cercare!”
Era frastornata.
Grazie anche a te,
Little. A volte vale davvero la pena aspettare il tuo sorriso.
Joanna sorrise,
sentendosi leggera come una piuma. Se Kris avesse acceso il
riscaldamento sarebbe volata via, sospinta dall'aria che usciva fuori
dalle bocchette. Avrebbe volteggiato per un po', finché il vento
avesse avuto voglia di portarla con sé, poi sarebbe atterrata da
qualche parte. Per partire di nuovo.
“Ma non lo ha capito
che le donne vogliono solo sfruttarlo?”, continuò la sua amica,
“Dio, dovrebbe diventare gay… Anzi, dovrebbe sposarmi!”
Balbettò qualcosa che
cercava di essere sensato ma Kirs non l'ascoltava, era tutta presa ad
inveire contro la nuova disgrazia che si era abbattuta sul suo
doveroso matrimonio con Danny.
“Credo che... Che il
motore sia pronto...”, ripeté Joanna, alzando il tono della voce.
“Sì, sarà meglio
che andiamo!”, fece Kris, “Da te?”
“Da me.”
Arrivò a casa che si
sentiva ancora trasparente come l'aria, mentre quell'altra non la
smetteva di ribollire come una pentola a pressione. Non le dava
udienza, sebbene la stesse offendendo, talvolta anche pesantemente.
Se avesse saputo...
Il destino sapeva
giocare proprio dei brutti scherzi.
“Dai, basta.”, le
disse, mentre infilava le chiavi di casa nella serratura della porta
condominiale, “A quella povera ragazza fischieranno le orecchie
così tanto che...”
“Spero che le esploda
la testa!”, rispose Kris, incrociando le braccia, “Non vedo l'ora
di dedicarmi alla storia medievale, così non penso a quella... E poi
spiegami perché la chiama Little!”
Alzò le spalle,
cercando di non avvampare, ma non ne fu capace.
“Beh... Come faccio a
saperlo io...”
Salirono le scale.
“Potrei capire Tom,
ha scritto Little
Joanna per
la sua Gi...”, riprese Kris, “Ma Danny! Che motivo ha di chiamare
qualcuno in quel modo?”
Non le rispose.
“Avanti, dimmelo tu
che sei l'avvocato del diavolo!”, la esortò.
Joanna sospirò,
chiedendosi se mai quella tortura avesse trovato una fine nei
prossimi secondi.
“Forse... Gli piace
quel soprannome.”
“Non ha comunque
senso!”, ribatté Kris, “Lui deve piantarla con le donne, o
almeno che scelga me, non lo farei soffrire affatto!”
Fortunatamente erano
arrivati all'ingresso di casa.
“Adesso basta.”, le
fece, salendo gli ultimi gradini.
“Ok... Non dico più
niente.”
E fu di parola. Si
chiuse la bocca.
Aprì anche l'ultima
porta.
“Arianna, sono a
casa!”, esclamò entrando e sperando che ci fosse, ma venne presto
smentita.
Non ricevette nessuna
risposta.
“Vado in cucina, ho
bisogno di un po' di acqua.”, disse Kris.
“Ok, ti aspetto in
salotto.”
Si divisero: Kris entrò
nella prima porta alla sua sinistra, Joanna proseguì per la
successiva.
Non appena scorse la
figura seduta sul divano, si sentì gelare il sangue.
“Che cazzo ci fai
qui!”, disse piano, per non farsi sentire.
“Sono arrivato poco
fa, mi ha aperto Arianna.”, rispose Dougie, senza preoccuparsi di
abbassare il tono della voce.
Se ne stava tranquillo
a guardarsi una rivista. Anzi, era uno dei suoi quaderni per gli
appunti.
E lei era nella merda
più totale.
“C'è Kris! Devi
sparire!”, gli fece, liberandosi della borsa e dei libri.
“E allora? Prima o
poi deve saperlo, non credi?”, disse Dougie, scuotendo la testa e
tornando all'esame del suo andamento universitario, “Siamo sempre
alle solite, Jonny...”
Prese un cuscino e lo
colpì in testa.
“Sparisci, verme!
Nasconditi!”
Cercò di colpirlo una
terza volta, ma un grido agghiacciante le fece drizzare i peli del
collo e delle braccia.
“Troppo tardi.”
Ci furono dei passi
veloci.
“Credo di averla
uccisa...”, disse Danny, con aria preoccupata.
Presero la povera Kris,
ancora svenuta, e la portarono nella sua stanza, facendola distendere
sul letto. Dougie si preoccupò di prepararle un po' di acqua
zuccherata, mentre loro due rimasero fuori dalla camera, in attesa
che si riprendesse.
“Le ho solo detto
ciao...”, disse Danny, sottovoce, “Non pensavo di farle questo
effetto.”
“Già…”, disse
Joanna, “Ti vorrebbe sposare…”
Sospirò e incrociò le
braccia.
“Quando eravamo in
auto, ha letto i ringraziamenti sul disco.”, gli spiegò, facendo
volare gli occhi altrove.
Ci fu qualche attimo di
silenzio.
“Tu li hai letti?”,
le chiese Danny.
Annuì con un cenno di
testa.
“E... Cosa hai
pensato?”
Sentì una forte
insicurezza nelle sue parole, e notò con la coda dell'occhio che si
stava torturando le dita, cercando di nasconderlo.
Joanna sospirò, poi
alzò il viso.
E gli sorrise.
Danny ebbe un altro
momento di incertezza, ma presto liberò con lei un sorriso
liberatorio, e si avvicinò per darle un bacio.
Non era facile, non era
assolutamente
facile,
né bello come si poteva credere. Ognuno aveva la propria vita, uno
scopo da seguire, ed era complicato far coincidere il loro tempo
libero. A volte passavano due settimane senza che si fossero visti,
in altri casi passavano tutte le sere insieme. Potevano farci pocoe
le occasioni di scontro erano frequenti, ma era stata la loro scelta,
nessuno dei due si sarebbe mai lamentato.
Avevano passato il
Natale insieme, in compagnia di tutti i McFly al completo, incluse le
loro famiglie. Una lunga tavolata di persone che ridevano e
scherzavano, bevevano e si prendevano in giro, mangiavano e si
complimentavano con le cuoche. Giovanna, Arianna e Joanna, l'unione
faceva la forza, non solo una simpatica rima nell'accostare i loro
nomi. Non era mai stata felice come in quel momento. Aveva tutto: una
famiglia, gli amici, Danny, in più anche la sua carriera
universitaria, appena iniziata, ma che la appassionava come poche
altre cose. C'era pure qualcuno che, da lontano, ogni tanto chiamava
per ricordarle che erano lì, ed aspettava un piccolo gesto che
perdonasse tutto. Non aveva fiducia in quello, ma ogni telefonata la
coglieva sempre meno scocciata, forse era un buon segno.
Era riuscita a passare
quasi del tutto inosservata all'occhio tipicamente curioso degli
inglesi, e non sempre le rare fotografie che li ritraevano insieme
riuscivano a coglierla in volto, ma già da tempo Kris sapeva che il
suo Danny aveva trovato qualcun'altra, dopo Tamara. Quella frase nei
ringraziamenti aveva fatto traboccare l'acqua dal vaso, colmo fino al
bordo già da un pezzo.
Si sentiva felice, ed
era quello che aveva pensato non sarebbe mai successo. Mai.
“Andate in un
albergo! Dio, fate schifo!”, li apostrofò Dougie mentre si
baciavano, comparso con una smorfia ed il bicchiere di acqua
zuccherata in mano.
Risero, guardandosi
negli occhi.
Ce n'è voluto di
tempo...
“Cinque sterline!”,
disse ancora Poynter.
Si voltarono verso di
lui.
“Cosa?”, gli chiese
Joanna.
“Cinque sterline.”,
ripeté, con un sorriso sornione, “E' il prezzo che si paga per
questo spettacolo.”
Non lo capirono.
Guardò perplessa
Danny, che fece spallucce. Un sospetto si annidò nella sua mente.
Si voltò verso la
camera, alla sua destra.
La bocca spalancata di
Kris fu l'ultima cosa che vide, prima che questa crollasse di nuovo a
terra, svenuta per l'ennesima sorpresa.
Joanna sospirò.
“Credo che l'abbiamo
uccisa...”, disse poi.
Danny le sorrise e le
dette un altro bacio.
Little
Joanna's got big green eyes
I could die lying in her arms
where castles are made of sand and we start to dance
but only
the music is bleating when crickets replace the band
She will
always be my sunkissed trampoline.
THE END
E sono arrivata alla
fine :) Chi di voi ha pensato 'se Dio vuole'? XD
E' sempre un dispiacere
arrivare all'ultimo capitolo della storia, attendere gli ultimi
commenti, ma ci si ritrova presto su questi stessi schermi,
tranquille. Non so di preciso quando, né con quale storia (ne ho una
già finita, un'altra in via di termine... si vedrà!), ma tornerò.
Non sentite troppo la mia mancanza, mi raccomando!
Ringrazio tutte le
recensitrici, chi ha letto e chi si è perso per la
strada, ma un abbraccio speciale va a: Ciribiricoccola,
x_blossom_x, Giuly Weasley e ludothebest, tutte
mcflyane convinte come me, ed anche di più! Altrettanti baci anche a
picchia, Cowgirlsara e kit2007, che sono apparse
nei commenti dell'ultimo capitolo, così come in tutti gli altri. Non
dimentico chi mi ha messo tra i preferiti, quindi un grazie va anche
a tutte voi!
Che dire, spero di
ritrovarvi presto :)
RubyChubb
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