That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Hogwarts - II.005
- Lezione di Volo
Sirius
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - ven. 3 settembre
1971
Mi svegliai all’alba, scivolai rapido in bagno, mi preparai
in fretta e furia e lasciai il dormitorio prima che qualcuno dei miei
compagni di stanza si svegliasse. A costo di farmi picchiare dai
Serpeverde, quella mattina avrei avvicinato Meissa prima della lezione,
perciò, evitando con maestria i colpi bassi delle scale,
raggiunsi la Sala Grande, e da lì imboccai
l’ingresso dei Sotterranei correndo lungo la scala a
chiocciola che avevo percorso il giorno prima per andare a lezione di
Pozioni. Avevo notato, la sera prima, che la maggior parte dei ragazzi
spariva là sotto e questo andava a confermare i racconti che
avevo sentito fare da Sherton e dalle mie cugine. Mi appostai in
prossimità di un vecchio ritratto che probabilmente celava
la porta della loro Sala Comune. Dovevo solo portare pazienza,
virtù di cui evidentemente non ero molto provvisto in quei
giorni. Iniziai a pregare di non incrociare Malfoy o Snape, entrambi
odiosi anche se per motivi diversi, perché ero nelle stesse
condizioni di un agnello che si era diretto volontariamente nella tana
del lupo. In breve, numerosi Serpeverde più grandi
iniziarono a uscire, quando si resero conto che ero lì,
alcuni mi guardarono in cagnesco, altri mi derisero apertamente, io
cercai di non farmi coinvolgere e non raccolsi, con notevole sforzo, le
loro provocazioni. Aspettai quasi mezzora prima di vedere apparire
Malfoy in compagnia di mia cugina: lo sguardo di Lucius mi fece gelare
il sangue ma, anche se in fondo me l’aspettavo, fu il totale
disprezzo e l’atteggiamento distaccato e schifato di mia
cugina che mi fece più male. Stavo vivendo un anticipo di
quello che mi avrebbe atteso a casa. Quando vidi emergere la figura di
Rigel, sentii quasi un desiderio disperato di fuggire, non avrei
sopportato che m’ignorasse anche lui. Resistetti,
però, e mi feci avanti, benché fosse in compagnia
di altri due tizi, enormi come lui e dall’aria poco
raccomandabile, come si avvicinarono, riconobbi Avery e Lestrange,
sapevo che erano due dei suoi migliori amici. Presi coraggio e mi mossi
verso di loro.
“Ciao Sherton!”
“Toh, che ci fa qui un
Grifondoro?”
Avery mi squadrò pronto a ridermi in faccia, Lestrange mi
girò attorno e mi guardò come se stesse
osservando un animale esotico, io mi addossai alla parete pentito di
averci provato, di sicuro Rigel non mi avrebbe mai salutato davanti ai
suoi amici, tantomeno mi avrebbe difeso da loro. Il giovane invece si
fermò, salutò i suoi amici e mi prese da parte,
passandomi un braccio attorno alle spalle, con la solita aria complice
e amichevole.
“Sirius, che cosa ci fai qui?
Non ti sarai mica perso?”
Lo conoscevo abbastanza da sapere che, pur ironico, non mi stava
prendendo in giro, tirai un sospiro di sollievo e mi feci coraggio.
“No… io…
volevo solo vedere Meissa…”
Diventai rosso fuoco, mi aveva già preso in giro a
sufficienza a Herrengton, per questa storia. Rigel mi spinse verso
l’uscita del corridoio sotterraneo, addossandomi alla parete
così da non ostacolare il flusso ormai sostenuto dei
Serpeverde che stavano andando a colazione.
“Meissa è ancora
dentro, aspettava che Malfoy… beh… la conosci la
storia no?”
Annuii con la testa, sapevo fin troppo bene, soprattutto dopo quello
che avevo visto il giorno prima.
“Da quanto stai qui?”
“Mi sono svegliato
presto…”
Mi morsi un labbro, di nuovo porpora, mi resi conto che mi stavo
comportando in modo a dir poco ridicolo.
“Va tutto bene,
Sirius?”
“Sì, certo,
perché?”
Lo guardai spavaldo, mostrando un coraggio che non avevo: la
verità era che nulla stava andando bene.
“Ho saputo che ieri pomeriggio
ti sei picchiato con una delle nostre matricole… Gazza ti ha
quasi beccato…”
“Mi hanno salvato in
tempo!”
Ero stato fortunato ad avere incontrato un tipo come Remus, in
effetti…
“Sirius… fai
attenzione, d’accordo? Non corre buon sangue tra grifoni e
serpi, lo sai, non farti tirare in mezzo, anche perché,
visto da quale famiglia vieni, potrebbero esserci grifoni pronti a
girarti le spalle, al momento sbagliato… l’invidia
fa fare cose strane… capisci cosa voglio dire?”
“Ma guarda
che…”
“Sirius… stai
attento, d’accordo? E cerca di non combinare guai…
tuo padre non è molto comprensivo, e
questo…”
Mi prese il cravattino di Grifondoro, ma senza l’aria
schifata che mostravano gli altri Serpeverde.
“… è
qualcosa che gli starà sullo stomaco per un bel
pezzo… cerca di non farlo incattivire anche di
più …”
“Grazie, Rigel…
pensavo che non volessi parlarmi più nemmeno tu e che
volessi che anche Meissa...”
Mi guardò come se cadesse dalle nuvole.
“Ma che cosa dici?
Sirius… Non hai proprio capito niente, di noi, se ci vedi
così! Credi che se Meissa fosse finita a Corvonero avremmo
smesso di amarla? Mio padre ti considera un figlio, tu per me sei un
fratello… e non sarà certo quel cravattino a
cambiare le cose…”
Sembrava offeso, un altro aspetto di Rigel Sherton che non mi sarei mai
aspettato, io lo immaginavo come un grandioso piantagrane, non un
maestro di saggezza… e non avevo idea che mi considerasse
come un fratello.
“Scusami…
io…”
“Lascia stare, Sirius... Stai
lontano da Malfoy ed evita di girare per i sotterranei da solo, capito?
Dillo anche ai tuoi amici…”
Lo guardai rosso in viso, mentre mi rilanciava un’occhiata
significativa. Mi lasciò davanti alla Sala Grande,
“Ora vado a chiamarti
Meissa… In bocca al lupo!”
“Crepi…”
Mi sorrise e mi fece un occhietto, lo guardai mentre rientrava nei
sotterranei, immergendosi nella folla festosa e affamata delle serpi
che stavano salendo, vidi molte ragazze sghignazzare al suo passaggio e
fargli gli occhi dolci: quel ragazzo era davvero un mito per me. Poco
dopo riemerse con Meissa e Zelda, che lo guardava adorante, ci
salutò rapido e fece finalmente il suo ingresso in sala per
mangiare e tornare dai suoi amici. Zelda si dileguò sulla
scia di Rigel. Ormai non badavo più a nessuno dei due,
vedere Meissa mi aveva riaperto il cuore: era una gioia per gli occhi,
con i capelli raccolti da un fermaglio d’argento, la bella
divisa verde argento scaldata da un raggio di sole che penetrava dalla
vetrata sopra l’ingresso.
“Scusami per
ieri…”
“Sai solo dire scusa,
Black…”
Me l’aspettavo: sguardo duro e triste, un tono di voce
tagliente, un brivido mi percorse la schiena, ripensai al sogno in
cui… Era scontrosa e gelida ed io mi sentivo ormai steso a
tappetino, pronto a fare qualsiasi cosa purché mi perdonasse.
“E’
che…”
“Per favore! So benissimo che
cosa è successo, non rifilarmi patetiche scuse!
T’interessa più azzuffarti con la gente che
parlare con me… Mi basta saperlo, e ora lo
so…”
Fece per entrare in Sala Grande anche lei.
“No, Mey aspetta!”
“Devo fare colazione e andare
a lezione… se davvero vuoi scusarti e parlarmi, sono certa
che troverai il modo di essere convincente…”
Sparì dentro la sala, la seguii ma fui sommerso dal vociare
di tutti gli altri, lei era già arrivata alla tavolata di
Serpeverde: la vidi lanciare uno sguardo disgustato a Lestrange,
chinato su Rigel per chiedergli chissà cosa, costringendola
a passargli vicino per potersi sedere. Che tristezza! Dovevo trovare un
modo per farmi perdonare: per prima cosa dovevo evitare altre stupide
situazioni come quella del pomeriggio precedente. Quando,
però, guardai verso Snivellus che, altezzoso, se ne stava al
tavolo e poteva godere al mio posto della sua vicinanza, un attacco di
bile mi prese nuovamente allo stomaco.
*
“Come detto ieri, la radice di
mola è utilizzata per molte preparazioni, vediamo chi
può dirmene una… signor Black?”
“Sir…
Sir…”
“Signor Black! “
“Sirius!”
“Si sente bene, signor
Black?”
Presi una gomitata al fianco da James, che ormai da cinque minuti buoni
mi sibilava qualcosa all’orecchio, lo guardai furente, mi
aveva distratto mentre pensavo di invitare Meissa a passeggiare vicino
al lago con me: il discorso che mi stavo preparando nella mente mi
sembrava convincente…
“Che cosa
c’è?”
“Rispondi a
Slughorn!”
“Cosa?”
“Signor Black!”
Alzai il viso, la figura panciuta del professore incombeva su di me: si
stava tirando le bretelle con i pollici e mi guardava tutto
scandalizzato, il viso rubizzo e gli occhi porcini che mi sbirciavano
da dietro il monocolo.
“Meno male! Stava solo
dormendo a occhi aperti! Dico bene, signor Black?”
Da tutta la classe, le risatine che finora erano rimaste sommesse, si
levarono alte, trasformandosi in risate sguaiate, mentre io diventavo
color porpora.
“Mi scusi… stavo
pensando… mi sono distratto…”
Chinai lo sguardo, umiliato come non mai.
“Chissà a cosa
pensava, anzi a chi... ”
Sentii James soffiare piano a bassa voce, ma non abbastanza
perché non lo udissi, lo fulminai con odio, poi preda
dell’angoscia, saettai lo sguardo per la stanza, alla ricerca
di Meissa, ma lei non mi stava proprio calcolando, sembrava presa da
un’accesa discussione con la sua amica Zelda. Al contrario
Snivellus mi guardava beffardo, con una certa dose di
“gaudente” soddisfazione.
“Per oggi sarò
magnanimo, signor Black, ma faccia in modo che non ci sia una prossima
volta, o sarò costretto a togliere punti a Grifondoro per
colpa sua! Siamo intesi, signor Black?”
“Ecco che cosa ci fa qui un
Serpeverde, vuol farci togliere punti!”
Non capii chi lo disse, ma sentii sibilare qualcosa del genere da
qualcuno dietro di me: un ulteriore senso di sgomento, nel rendermi
conto che non mi accettavano nemmeno i miei compagni, mi fece gelare il
sangue.
“Sì, signore, mi
scusi…”
“A posto, a posto….
Ora mi dica almeno un uso della radice di mola…”
Naturalmente risposi bene, con tutto il tempo passato con Sherton non
poteva essere altrimenti, ma la lezione proseguì piuttosto
nervosa, ero pieno di rabbia e angoscia, scattai nervoso contro James
più volte, alla fine decise che fosse meglio lasciarmi
perdere e rimase in silenzio per tutto il resto della lezione,
chiaramente mortificato. Io mi sentii ancora più colpevole,
in fondo mi aveva avvertito lui che Slughorn stava incombendo su di me.
“Scusami…
io…”
Appena finita la lezione dovevo chiedergli scusa.
“Non fa nulla
Black… Immagino che questi siano giorni strani per
te… Vai dalla tua principessa, prima che ti sfugga di nuovo,
magari poi smetti di essere così
strano…”
Ero già pronto a rispondergli di nuovo male, ma quando lo
guardai, mi stava rivolgendo non il solito ghigno beffardo, che ormai
ben conoscevo da quel giorno sul treno, piuttosto un sorriso complice e
amichevole.
“Noi dopo andiamo a fare una
passeggiata fino al campo di Quidditch… Se non hai di meglio
da fare, potresti venire con noi… o potresti portare anche
lei… insomma… Fai tu… io te
l’ho detto… ciao!”
“Grazie
Potter…”
Ci scambiammo una stretta di mano, poi rapidamente lo lasciai
lì al banco, di corsa mi posizionai sulla porta, deciso a
non farla passare: avevamo lezione di Erbologia insieme, dovevo fare in
modo di poterci andare con lei.
“Che cosa credi di fare fermo
lì?”
“Vorrei che andassimo alle
serre insieme… e magari possiamo anche parlare…
per favore…”
Feci la mia migliore faccia pentita, quella che in genere ingannava i
miei nonni ma non i miei genitori: Meissa mi squadrò, poi,
sbuffando, fece sì con la testa, poco convinta, anzi
decisamente rassegnata.
“Solo perché non
voglio che continui a farti riprendere come prima da
Slughorn!”
“Ti sei accorta?”
“Tutti se ne sono accorti,
Sirius… Anche il tuo amico occhialuto! Adesso di sicuro mi
prenderà in giro ancora di più, per colpa
tua…”
“Guarda che non è
come credi tu! James è a posto, mi ha pure detto di
invitarti con noi, per fare una passeggiata insieme fino al campo da
Quidditch!”
Si bloccò e dovetti tornare indietro, avevo una faccia cupa
che prometteva tempesta: non capivo proprio dove stesse il problema,
l’avevo semplicemente invitata a fare una passeggiata con noi.
“Che cosa
c’è adesso?”
“Non sei obbligato a stare con
me! Se devi andare col tuo Potter dove cavolo ti pare, non
c’è bisogno che mi metti in mezzo!”
“Mei! Non ho detto che voglio
andarci, ho solo detto che lui non è antipatico come dici
tu!”
“Allora corri da
lui… se ti muovi, magari lo riprendi sulla strada delle
serre!”
“Mei...”
“Se a te sta bene farti
prendere in giro da quello, fai pure, io non ci sto… ho
già tanti problemi…”
Si era fermata di nuovo, di punto in bianco, ostile, con le braccia
incrociate e un’aria di sfida che avevo imparato a
riconoscere: l’aria di quando era pronta alla zuffa con suo
fratello…
“Io voglio andarci con te,
alle serre e al campo di Quidditch e in qualsiasi altro posto di questo
stramaledetto castello! Io voglio parlare con te… e
soprattutto, voglio smettere di litigare con te, per colpa di duemila
cose di cui non m’importa niente!”
Ero furioso, ma anche determinato, le offrii la mano, ben sapendo che
non c’erano molte possibilità che avrebbe
accettato l’invito, e, in effetti, lei rimase a braccia
conserte. Ma si avvicinò. Sembrava sorpresa, di certo non si
aspettava tutta quella decisione da parte mia, avevo sorpreso persino
me stesso.
“Che cosa dovevi dirmi, ieri,
di tanto importante, che hai preferito fare a botte con
Snape?”
Notai il tono acido, sapevo che voleva comunque l’ultima
parola, ma per lo meno mi parlava ancora e non stava fuggendo via,
potevo dirmi abbastanza fortunato; lasciai da parte quel poco di
orgoglio che mi restava, da quando la conoscevo, in effetti,
l’orgoglio era diventato un dettaglio inutile, più
effimero di una spira di fumo. Ripresi a camminare al suo fianco,
osservando le nostre ombre sull’erba e ricordando con
nostalgia quando, a Herrengton, mi deliziavo a far in modo che non si
allontanassero mai troppo.
“Volevo raccontarti il mio
primo giorno da rinnegato e sapere come andava, giù, tra le
serpi… e…"
“E…?”
“Volevo essere sicuro che
fosse tutto a posto…”
Mi guardò di nuovo e il broncio si dileguò, forse
ero abbastanza bravo da riuscirci anche quando non ero al massimo della
forma. Le sorrisi e le ridiedi la mano, lei la guardò e
questa volta la strinse.
“Farò capire a
Potter che deve lasciarti in pace… e cercherò di
non saltare addosso a Snape… se ti fa
contenta…”
“Dovresti farlo per te stesso,
non per me…”
“Corvina… non hai
ancora capito che per te farei di tutto?”
Risi e, lasciandole la mano, corsi dentro la serra come un fulmine: non
volevo che James la prendesse ancora in giro per colpa mia.
***
Meissa
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - ven. 3 settembre
1971
“La gente non è un
granché, ma questo lo sapevo già
dall’inverno scorso…”
“Malfoy ti dà
sempre fastidio?”
“Lucius si sfoga su mio
fratello, e Rigel… beh… almeno per ora,
è magnifico, sembra proprio un' altra
persona…”
Gli sorrisi, dopo la lezione alle serre, Sirius aveva preso dei panini
in Sala Grande ed eravamo andati a mangiare su al Cortile della Torre
dell’Orologio: era una bella giornata di sole, anche se
più ventosa del giorno prima, in lontananza svettava la
Torre della Guferia e in basso potevamo ammirare, da lontano, le acque
placide appena increspate del Lago Oscuro. Intorno a noi quelle figure
alate, che componevano un maestoso giardino di pietra, attiravano la
mia curiosità e la mia attenzione, permettendomi di evitare
di fissare Sirius, cosa che avevo sempre più
difficoltà a fare.
“Non dirmi che ti sei pentita
di non essere a Corvonero…”
“No… quello
no… però sai… quel
cappello… è stato strano…”
“Che cosa vuoi dire?”
“Ha fatto tutto un discorso
strano: ha detto che non sono come le mie antenate, forse vuol dire che
sono una stupida…
“Non dire sciocchezze,
Meissa!”
Mi uscì un sorriso sghembo, ero felice che Sirius mi vedesse
meglio di come mi vedevo io, ma soprattutto volevo dirgli qualcosa che
non avevo ancora confidato a nessuno, nemmeno a mio padre nella lettera.
“Sirius… il
cappello ha detto che in me c’era qualcosa di adatto a
Grifondoro… e per un momento, io… io ci ho quasi
sperato…”
Non potevo dirgli di più, forse avrebbe capito da solo
quello che gli stavo dicendo. E quello che non avevo il coraggio di
dirgli.
“Voleva mandarti a
Grifondoro?”
“Sì, ma non ho
capito perché, mi sono distratta e, alla fine, mi ha spedita
a Serpeverde…”
Sirius sembrava perplesso e un po’ preoccupato, forse stava
riflettendo su quello che gli stavo nascondendo e che lui stava
intuendo.
“Anche con te, ci ha messo
tanto a decidersi... Che cosa ti ha detto?”
“Nulla d’importante,
Meissa, ha solo capito che sono diverso dai miei, voleva farmi
riflettere sui guai in cui mi stavo cacciando, ma io gli ho detto che
non volevo assomigliare alla mia famiglia!”
“Sirius!”
Ero scandalizzata, non mi era nemmeno passato per la testa che si fosse
messo da solo in quei guai, per puro capriccio, rendendo tutto
così difficile.
“Perché
l’hai fatto? Perché?”
“Da sempre so di essere
diverso dagli altri… a me non interessa quello che interessa
a mio padre…”
“Allora a Herrengton hai
finto! Hai finto tutto il tempo!”
“Che cosa c’entra
Herrengton con mio padre? Io adoro la tua famiglia, soprattutto
Alshain, e m’interessa davvero il Cammino… ma non
voglio diventare come Bellatrix o come mia madre… io non
voglio morire dentro come loro…”
“Mio padre ti sembra morto,
Sirius?”
“Tuo padre e voi
tutti… siete diversi… se…”
“Se?”
“… se a casa mia
fossero come voi… forse sarei stato felice a Serpeverde, ma
ho questo dannato sangue dei Black nelle vene, Meissa, ed io
farò di tutto per non assomigliargli…”
Chinai lo sguardo, non potevo certo dirgli alcune cose, che
l’avrebbero rafforzato ancora di più nelle sue
strane convinzioni: avevo sentito dei discorsi strani di mio padre,
riguardo Walburga e Bellatrix, discorsi rubati che in un certo senso
sembravano confermare le riflessioni di Sirius.
“Mio padre che cosa ti ha
scritto?”
Divenne rosso papavero e distolse lo sguardo, poi si alzò e
iniziò a camminare avanti e indietro, poco lontano da me.
“Ho perso la
lettera…”
“Che cosa? Ti avevo detto che
era importante che nessuno la vedesse! Sirius!”
“Non l’ha letta
nessuno, tranquilla, ma è tutta rovinata, non sono riuscito
a leggerla…”
“Se ce l’hai dietro
posso provare con “Reparo”…”
“Ma non abbiamo
ancora…”
“Sirius! È come per
Pozioni, entrambi siamo molto più avanti degli altri, lo
sappiamo bene tutti e due…”
Mi diede i frammenti della pergamena, poi si mise dietro di me, a farmi
da palo, mentre con la bacchetta cercavo di essere convincente e ridare
forma a quel puzzle: al terzo tentativo la pergamena era di nuovo
intatta.
“Tieni…”
Sirius prese il foglio e in piedi di fronte a me s’immerse
nella lettura, vidi il suo volto rasserenarsi, poi incupirsi di nuovo,
infine mentre lo guardavo preoccupata, si sedette al mio fianco e me la
porse.
“Hai ragione tu, non
l’ha presa male come temevo…”
La lessi, mio padre si definiva solo preoccupato e gli consigliava di
usare prudenza nella scelta degli amici e di provare a non cacciarsi
nei guai; poi lo rassicurava circa Herrengton, ma lo invitava a non
parlare con nessuno di quello che aveva intenzione di affrontare, e per
lo stesso motivo gli faceva sapere che le comunicazioni tra loro
sarebbero passate attraverso me, per metterlo al sicuro era opportuno
che Alshain Sherton non si mostrasse troppo soddisfatto dello
smistamento del suo figlioccio. Ci guardammo, questo atteggiamento non
era tipico di mio padre, lui non si curava mai di quello che gli altri
potevano pensare di lui, era davvero assurdo.
“Credi che sia un modo gentile
e falso per farmi capire che anche lui è deluso di
me?”
“No, credo ci sia
qualcos’altro sotto, credo che stia davvero cercando di
metterti al sicuro, ma non ho idea di cosa gli passi per la
testa.”
Era preoccupato e un po’ lo ero anch’io.
“Non so che cosa mi aspetta a
casa, Meissa… sinceramente, temevo parole dure e definitive
da tuo padre, ma… queste mi preoccupano forse anche di
più...”
“Scrivigli, sono certa che ti
darà le spiegazioni che possono esserti utili.”
“Tu che cosa ne pensi di tutta
questa storia, Mei?”
“Vuole solo proteggerti, come
ha sempre fatto…”
“E tu?”
Lo guardai, quanto era diverso da quel ragazzino odioso che avevo preso
a schiaffi il giorno del suo undicesimo compleanno!
“Quanto sei sconvolta da
questo cravattino rosso/oro?”
“Mi hai promesso che non
sarebbe cambiato nulla se fossi finita a Corvonero, Sir… che
saremmo stati sempre e solo Sirius e Meissa... per me non è
cambiato nulla…”
Mi diede la mano, stavolta la presi con decisione e lo attirai a me, ci
abbracciammo con la stessa complicità di quella notte a
Grimmauld Place. L’orologio della torre batteva le 13, nel
cortile deserto il sole pallido di quella fine estate scozzese
riscaldava le figure di pietra, riecheggiandone il chiarore da un lato
all’altro del porticato. Il fruscio delle foglie secche che
si accartocciavano ai nostri piedi era l’unico suono udibile
dal mondo intero. L’altro era una concessione fatta a noi due
soltanto: potevamo sentirlo solo noi quel respiro che mi ridava fiducia
e coraggio, il respiro dei nostri cuori che battevano all'unisono.
L’orario di scuola ci divideva di nuovo, io avevo Storia
della Magia, Sirius Trasfigurazione. Ora sapevamo però che
non era cambiato niente, che degli stupidi colori e sette piani di
scale non significavano niente. Che quell'odioso cappello non era
riuscito a mettersi in mezzo e non aveva rovinato la nostra amicizia.
... o forse... non ancora ...
***
Meissa
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 4 settembre
1971
Il sole... I cinghiali
alati... Risate... Il cuore in gola.
Sto correndo.
C’è qualcosa di strano... la prospettiva. Sto
guardando da un punto più alto del normale.
Sono io. Sono io...
più alta.
Arrivo al ponte di
legno, diretta alla Guferia: so che dovrei voltarmi ma non lo faccio.
Qualcosa, anzi qualcuno, mi trattiene, sono attirata indietro, ma non
cado. Vado a sbattere su un corpo dietro il mio.
E un bacio caldo e umido
va a stamparsi sul mio collo.
Non sono sorpresa. Non
ho paura, non sto gridando. Anzi...
Sorrido.
Vorrei voltarmi ma non
me lo permette, mi cinge i fianchi con la sua mano, io vado a
stringerla nella mia. Sì, sono certamente cresciuta, la mano
che vedo non è la mia, è più grande e
all’anulare c’è un anello che non
conosco. Lo stesso anello che vedo sulla sua mano. Un brivido mi
percorre la schiena, un misto di paura ed eccitazione.
Il volto sconosciuto si
abbassa di nuovo verso di me, bramo un altro bacio ma mi sussurra
leggero un “Seguimi” all’orecchio. Le mie
gambe si muovono a comando.
Corriamo insieme, o
forse, addirittura, voliamo.
Le figure dei cinghiali
alati si deformano, le siepi e i giardini di Hogwarts scompaiono. Serpi
di pietra s’innalzano attorno a me, formando un labirinto che
ho già visto. Il sole scorre rapido di là dei
filari di alberi, guardo oltre le siepi e scorgo le imponenti
cancellate con i fregi serpenteschi. La figura che mi accompagna
scivola via da me, andando a raggiungere le ombre oscure che sembrano
sgorgare dalla terra. Sento freddo e, per la prima volta, paura.
“Bentornata a casa, Meissa Sherton…”
Urlo, mentre dita lunghe e bianche cercano di ghermirmi, mi ritraggo e
provo a scappare... Mi sveglio col cuore in gola stringendo la tenda
del mio baldacchino. La risata isterica di Bellatrix Lestrange
è ancora impigliata nei miei ricordi.
***
Severus
Snape
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 4 settembre
1971
“1^ LEZIONE DI VOLO SABATO 4 SETTEMBRE
ALLE ORE 10.00, PRESSO I CORTILI MERIDIONALI!”
C’era quest’annuncio affisso dalla sera prima nella
bacheca della Sala Comune. L’idea del volo mi aveva fatto
perdere il sonno e la serenità: mia madre mi aveva spiegato
e insegnato molto, ma volare era una di quelle attività poco
consone a maghi e streghe che vivevano tra i babbani. Non era qualcosa
facile da nascondere! Quando ne avevo parlato con Lily, lei ne era
parsa entusiasta, soprattutto quando avevamo appurato che avremmo avuto
lezione insieme: un’altra occasione per stare con lei! Fu
quello a farmi tornare il sorriso. Finora eravamo riusciti a sfruttare
quasi tutte le occasioni, anche per questo apprezzavo Pozioni
più delle altre materie: era l’unica che potevamo
seguire insieme due volte per settimana, invece di una soltanto. E
Slughorn sembrava un tipo a posto, certo un po’ strano a
volte, e con la fissazione per le solite famiglie potenti, ma
abbastanza giusto da riconoscere anche il valore dei singoli: il giorno
prima avevo guadagnato cinque punti per Serpeverde, grazie alle mie
risposte, e già i miei compagni iniziavano a guardarmi con
maggiore rispetto, anche se non ero famoso. Naturalmente le cose
sarebbero cambiate enormemente dopo quella lezione di volo: mi
avrebbero riso dietro di certo, probabilmente ero uno dei pochi che non
aveva mai tenuto in mano un manico di scopa, se non per spazzare il
pavimento. Sospirai ancora, ormai c’eravamo quasi: stavo
sbocconcellando la colazione con aria assente, speravo di vedere Lily
ma non era ancora scesa. Il sabato avevamo orari meno rigorosi e anche
la tavolata di Serpeverde era ancora piuttosto deserta: delle
matricole, oltre a me, c’era solo Meissa Sherton. Sembrava
anche più preoccupata di me, ma era impossibile che lei non
sapesse volare, doveva avere il volo nel sangue. Forse, anzi
sicuramente, c’era qualcos’altro. In quei pochi
giorni non c’eravamo parlati mai, soprattutto
perché l’avevo vista spesso con
quell’odioso di Black, ma anche perché io non
avevo il coraggio di farmi insultare da lei di fronte a tutti
avvicinandomi per primo e spontaneamente. Anche se, a dire il vero, non
aveva mai fatto o detto nulla che potesse giustificare questa mia
paura, anzi. Lei spesso mi aveva sorriso e salutato per prima,
sorprendendomi e, soprattutto, avevo saputo che la sera prima aveva
passato un’ora in biblioteca con Lily e le sue amiche: non
credevo volesse avere a che fare con mezzosangue e nati babbani. E
invece… Lily ne era già entusiasta, diceva che
era diversa dalle altre Serpeverde… In effetti…
La guardavo e mi chiedevo che cosa avesse…
“Ciao…”
Mi ero avvicinato, la scusa era ottima: eravamo le due sole matricole
al tavolo e a me serviva un po’ di marmellata.
“Ciao, Severus… sei
pronto per la lezione di volo?”
Il solito sorriso gentile, offuscato da una leggera preoccupazione.
“Non molto, sai…
non ho mai volato… e tu? Ti vedo un
po’… sovrappensiero…”
Sorrise ancora, con un gesto minimizzò.
“Ho solo dormito male,
Snape… ti va di avviarci al cortile? Manca ancora
mezz’ora, possiamo chiacchierare un
po’…”
Mi guardò speranzosa, io mi voltai verso il tavolo di
Grifondoro, ma ancora non c’era nessuno.
“… oppure andiamo
ad aspettare Lily vicino alla sua torre…”
“No, non credo sia una buona
idea…”
Ricordavo ancora la zuffa di due sere prima con Black, lo odiavo, mi
faceva ricordare fin troppo bene quello che succedeva tutti i santi
giorni nella mia vecchia scuola babbana: ma l’avevo colpito
anch’io, non era tanto più grosso di me, e forse
se non fosse stato per il custode, potevo essere io a dargli una
lezione! Non capivo davvero che cosa volesse da me, dal giorno del
treno era sempre stato una spina nel fianco.
“Ok, Snape… io mi
avvio, ci vediamo là…”
Meissa aveva voglia di andarsene il più rapidamente
possibile, scorsi lo sguardo fino a capotavola, mi resi conto che per
la prima volta non c’era suo fratello pronto a proteggerla,
non solo, ma tra i pochi presenti c’era quel ragazzo
inquietante del 5^ anno, il battitore della squadra di Quidditch,
Lestrange, che parlava con i suoi amici, vero, ma non le staccava gli
occhi di dosso. Per un attimo pensai che, in fondo, anche
nell’essere figli di persone famose e potenti, ci fosse un
lato nascosto e poco invidiabile.
“Possiamo aspettarla insieme,
da qualche parte, in cortile, se vuoi…”
Avevo detto la parola magica, subito la sua faccia si aprì
in un sorriso grato, e uscimmo rapidamente, all’ingresso
incrociammo Zelda, stranamente in ritardo, sembrava si fosse
accapigliata per una stupidaggine con la Dickens, che avanzava in mezzo
alla sua corte d’amiche starnazzanti tutta gonfia e
trionfante. Le lasciammo l’incarico di avvertire Lily che ci
avrebbe trovato nel cortile d’ingresso, era uno degli ultimi
giorni di sole di quella fine estate scozzese, valeva la pena
approfittarne, come mi consigliò allegramente Meissa.
“Allora Prince, che te ne pare
di Hogwarts!”
Mi colpì il modo in cui mi aveva chiamato, ma non volevo
offenderla facendo il prezioso, quindi feci finta di nulla.
“E’ un sogno, la
realizzazione di tutti i miei desideri…”
Ci affacciamo dal portico, ammirando il Lago Oscuro sullo sfondo e la
scalinata di pietra che portava fino all’approdo delle barche. Era una
sensazione strana e inaspettata, eppure ero sicuro di non essere in
errore: stavo scoprendo di avere un’amica in più,
un’amica davvero insospettabile.
“Magari tu ci sei abituata, a
tutto questo, e non ti sembra nulla di speciale…”
“Ti sbagli, Severus, anche a
me piace stare qui, non vedevo l’ora di iniziare a fare sul
serio: vorrei diventare il più presto possibile una vera
strega, abile come mia madre, vorrei diventare una pozionista come lei,
un giorno e poi…. Io voglio curare le persone!”
La guardai stupito, diceva evidentemente sul serio, gli occhi persi
all’orizzonte, nella direzione in cui, a quanto pareva, si
trovava la sua terra.
“Davvero? Ma tu non hai
bisogno di lavorare!”
“E allora? Io voglio farlo per
me, mica per i soldi!”
Era radiosa, già proiettata verso un futuro lontano in cui
evidentemente credeva con forza.
“Mmm…”
“Non mi credi?”
“Sì, ti credo,
certo, ma… in genere… avevo capito che per le
famiglie come la tua… lavorare non è necessario,
e che… per voi è più importante il
futuro delle vostre famiglie, fare figli purosangue e procurare solide
alleanze con buoni matrimoni…”
“Beh… ho quattro
fratelli, possono pensarci loro anche per me… io
curerò la gente…”
Mi veniva da ridere, sapevo benissimo che tutta quella sicurezza non
aveva fondamento, mia madre mi aveva raccontato delle leggende relative
agli Sherton, maledizioni e profezie comprese, tutti sapevano che, da
quando era nata, le principali famiglie purosangue facevano una corte
spietata a suo padre solo per potersela accaparrare: per la seconda
volta in pochi minuti mi sentii più fortunato di lei. Mi
trattenni però dal dire quello che pensavo, era talmente e
inaspettatamente gentile e diversa dagli altri che non meritava certo
che io la prendessi in giro: magari si rifugiava in quei sogni proprio
per non pensare alla realtà che l’attendeva,
qualcosa cui aggrapparsi per non soffrire.
“E tu Snape? Che cosa vorresti
fare da grande?”
“Io? Non lo so… qui
è tutto così bello e affascinante, diverso
da… tu lo sai… l’hai
visto…”
Annuì ma non disse nulla, le fui grato per quello sguardo,
non c’era pietà per me, ma comprensione e rispetto.
“Qui è…
come se fossi finalmente a casa: se potessi scegliere fin da ora, io
vorrei restare qui per sempre…”
Non ebbi difficoltà a esprimere i miei desideri in maniera
così decisa quando vidi Lily uscire radiosa con Zelda e
altri tre ragazzi: Alice, la sua migliore amica e compagna di stanza,
una ragazzina minuta e mora, con un sorriso simpatico e
l’aria sempre un po’ trasognata, Frank Longbottom,
uno dei pochi grifoni a posto che avevo conosciuto fino a quel momento,
un ragazzo serio, purosangue e gentile, e Peter Minus, uno dei quattro
del treno, un ragazzino grassottello, esageratamente timido e
impacciato, spesso vittima degli scherzi dei suoi stessi compagni di
casa.
“Per fortuna sei arrivata,
Zelda, o saremmo finiti in pericolosa minoranza, dico bene
Severus?”
Con stupore vidi che abbracciava Alice e Lily, come fossero amiche di
lunga data e dava la mano a Frank e Peter, come se per lei non avesse
alcuna importanza la purezza di sangue o la casa di appartenenza. Ci
avviammo verso il cortile come un gruppetto piuttosto disomogeneo, Lily
stava tra me e Meissa, ci seguivano Frank e Peter, infine Zelda e Alice
che ci seguivano ridendo.
“Che cosa dobbiamo aspettarci
da questa lezione?”
Lily la osservava curiosa, Meissa guardò per aria poi si
girò verso Frank come a chiedere conferma di quanto stava
per dire: doveva aver già saputo in qualche modo che era,
insieme a lei e Alice, l’unico purosangue del nostro
gruppetto, probabilmente erano gli unici tre che avessero
un’idea chiara di cosa sarebbe successo durante la lezione.
“Cosa dobbiamo aspettarci,
Lily? Di cadere!”
Risero quasi tutti, tranne Peter ed io, troppo preoccupati da quelle
parole per sospettare che fossero uno scherzo.
“Durante il mio primo volo...
ho voluto strafare e mi sono schiantata a terra: una cosa davvero
indecorosa…”
Rise mentre Frank la guardava con ammirazione, forse nemmeno lui si
aspettava che proprio lei annunciasse con una tale leggerezza un
fallimento in un’attività che doveva esserle
semplice come respirare.
“Ferite di guerra?”
Frank ormai non le toglieva gli occhi di dosso, io mi chiesi con un
ghignetto perfido e feroce che cosa avrebbe pensato Black di quella
scenetta.
“Solo una distorsione alla
caviglia…”
“Io mi sono rotto il polso e
il naso…”
Ne sembrava davvero fiero, mentre si massaggiava il profilo del naso.
“E tu Alice? A te
com’è andata?”
“Io? Io non mi sono mai fatta
niente… perché non sono mai riuscita a sollevarmi
più di trenta centimetri da terra!”
“Buuuuu!”
Fece un visino sconsolato e tutti risero di nuovo. Frank la sfotteva,
io deglutii a stento: ossa rotte, risate di scherno e, quello che era
peggio, tutto si sarebbe compiuto davanti agli occhi di Lily.
“Ma siete stati a lungo
all’ospedale? Voglio dire… non possiamo perdere
troppe lezioni…”
“Non ti preoccupare, Lily, per
noi quelle ferite non sono altro che graffi, guariscono nel giro di una
notte, dico bene Mei?”
Tutti la guardammo per cercare da lei sicurezza, Frank la faceva troppo
semplice, e poi non c’era nemmeno un ospedale vicino al
castello!
“Mio padre mi ha sistemato la
caviglia in pochi minuti, un colpo di bacchetta, un unguento potente,
un massaggio et voilà, passato tutto…”
“Io ho
paura…”
Peter sembrava anche più piccolo del solito ed esprimeva
benissimo i miei stessi pensieri e timori.
“Non temere, Minus,
probabilmente oggi nessuno di quelli alla prima esperienza
riuscirà nemmeno a staccarsi da terra, sarà un
miracolo se riuscirete a far sollevare la scopa fino alla vostra mano!
Per me questa lezione è stata messa troppo presto, ci sono
persone che hanno visto il libro d’incantesimi ieri per la
prima volta!”
Queste ultime parole di Frank, soprattutto quelle relative a scope che
nemmeno si sollevavano da terra, furono accolte con una certa speranza.
“Per quando volerete davvero,
avrete assistito tutti quanti almeno a una partita di Quidditch: allora
con i vostri occhi vedrete persone che cadono malamente tornare a far
danni in giro già il giorno dopo!”
“Quando sarà la
prima partita?”
Frank tornò a considerare solo Meissa, in effetti, quella
domanda era strana, chi meglio di lei, tra tutti noi, aveva fonti
attendibili riguardo il Quidditch?
“Non so voi Serpeverde, noi
abbiamo la settimana prossima una selezione per scegliere i nuovi
componenti, peccato non poter partecipare noi del primo anno!”
“Credo che la squadra di
Serpeverde sia al completo, magari valuteranno le
riserve…”
Meissa lo disse con un ghignetto soddisfatto, sicuramente era
orgogliosa di suo fratello, avevo sentito dire dai ragazzi
più grandi che erano anni che la squadra non aveva un
cercatore forte come Rigel Sherton.
“Tutti sostengono che i
Serpeverde siano imbattibili quest’anno, visto che a
sorpresa, Malfoy ha deciso di continuare come cacciatore e tuo fratello
fa da cercatore, ma secondo me noi Grifoni…”
“Vuoi scommettere
Longbottom?”
Si scambiarono un’occhiata di giocosa sfida, eravamo arrivati
al cortile meridionale e non sentii cosa misero in palio in quella
sommessa, vidi soltanto quando si strinsero la mano, per sancire il
patto.
***
Sirius
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 4 settembre
1971
Alla fine della nostra prima settimana, in un bel mattino soleggiato e
piacevolmente tiepido ci presentammo nella parte meridionale del
castello, in un ampio cortile, pieno di aiuole e siepi ai piedi della
torre di Astronomia: vidi con sorpresa e piacere che la prima lezione
di volo si sarebbe svolta proprio con i ragazzi di Serpeverde.
L’insegnante non c’era ancora, così
mollai Remus e James e corsi da Meissa che era apparsa improvvisamente
in strana compagnia: Peter e Frank, miei compagni di stanza, Alice e
Lily, due ragazze di Grifondoro, la sua inseparabile amica Zelda
e… Snivellus. Subito sentii arpionarmi alle viscere, ma
decisi di fare buon viso e con un sorriso Black–style ben
stampato in faccia le andai incontro. Con piacere mi accorsi che,
già sorridente, il suo volto divenne davvero radioso come mi
vide avvicinarmi.
“Tesa Sherton?”
“No. E tu, Black? Pronto a
cadere?”
Feci spallucce e, disdegnando i suoi compagni, mi misi a ridere:
sapevamo entrambi che quasi sicuramente sarei caduto, se non altro
perché ero distratto da lei e dai suoi occhi verdi. La
professoressa, Madame Rolanda Hooch, era poco più che una
ragazzina, ma aveva un temperamento spiccio ed energico, ci
ordinò di avvicinarci ai manici come ci aveva insegnato
Alshain e di chiamare “SU”. Ci riuscii al primo
tentativo, visto che a Herrengton l’avevo fatto decine e
decine di volte, mi guardai attorno e vidi di fronte a me Meissa e
alcuni Serpeverde e al mio fianco James e Frank che avevano il pieno
controllo dei loro legni. Eravamo i pochi a esserci riusciti subito,
Remus, sotto il nostro incoraggiamento, ci riuscì alla terza
volta, mentre Peter ci mise un po’ di più, in
media col resto del gruppo. Mme Hooch ci squadrò stizzita,
aveva capito subito che non avevamo bisogno di tante lezioni, e appena
ordinò di salire sopra e di evitare di fare stupidaggini, si
mise davanti a me, per impedire che uno di noi facesse qualche bravata:
in effetti, guardando James, notai che aveva un’espressione
strafottente e davvero poco rassicurante. Trattenni a stento un
sorrisino altrettanto perfido, al pensiero di quanto avremmo potuto
divertirci alle spalle di Snivellus.
“E ora provate a levarvi da
terra!”
A quel punto si scatenò il caos, se noi riuscimmo a eseguire
senza difficoltà e la maggior parte degli altri non si
staccò da terra, alcuni si levarono troppo in alto e furono
presi dal panico, costringendo la Hooch a saltare sulla scopa e tirarli
giù uno dopo l’altro. Con mio estremo disappunto
vidi che le tragedie peggiori con scene di pianto e terrore, occorsero
tra le fila dei Grifoni, sotto lo sguardo ironico e le battute
taglienti delle Serpi. Meissa non fece commenti, sembrava che lei
andasse d’accordo con tutti, a parte la terrificante Dickens,
quella che mi faceva sempre gli occhi dolci. In quel momento comunque
sembrava concentrata sul suo legno, come se dubitasse ancora delle sue
abilità innate e temesse di cadere, ma poi guardai nella
direzione verso cui puntavano i suoi occhi e intravidi la bionda testa
di Malfoy affacciata da una finestra dei corridoi del secondo piano,
sembrava che seguisse pigramente la nostra lezione di volo.
“Non badare a lui,
Meissa!”
Le sorrisi e lei mi rispose quasi timidamente, con occhi che
sprizzavano gratitudine, sembrava aver sotterrato l’ascia di
guerra, non c’era traccia della piccola furia che mi aveva
quasi imposto di strisciare in ginocchio di fronte a lei… Mi
percorse un brivido, non mi ero in alcun modo ribellato, anzi, mi era
sembrato più che naturale fare qualsiasi cosa per
lei… Stentavo davvero a riconoscermi.
“Si può sapere che
cosa vuole quell’idiota da te, Sherton?”
James era straordinariamente sveglio, senza tante parole, sembrava
capire sempre al volo quello che gli succedeva intorno.
“Nulla, Potter, solo rogne di
famiglia!”
“Mmm... ho sentito dire che lo
scorso anno tuo fratello l’ha conciato per le feste negli
spogliatoi e che suo padre ha quasi preteso l’espulsione di
Rigel…”
“Mio fratello a volte
è impulsivo…”
Ghignai, al ricordo di come Rigel l’aveva messo in ridicolo a
Yule.
“Non si deve sapere in giro,
Sherton, ma… per me tuo fratello è un eroe!
”
Ci fece l’occhietto poi scese giù, e noi lo
seguimmo, rispettando l’ultimo ordine della Hooch.
“E ora per chi se la
sente… gli ultimi dieci minuti li dedichiamo a un giro
completo in volo del cortile, non dovete superare l’altezza
del primo piano e occhio a non scontrarvi!”
Ci spingemmo, appena, di nuovo, con i piedi, ci levammo in alto liberi,
stavolta, di svolazzare come volevamo, James si fece prendere la mano e
con orrore lo vidi volare fino al secondo piano, accelerò
fino alla finestra del corridoio cui era affacciato Malfoy e si mise a
parlargli, poi riscese in picchiata, tra noi, allibiti da quanto stava
accadendo. Io mi mantenni basso ed estremamente cauto, ben sapendo di
non avere poi tanta abilità sul manico, mentre Meissa, forse
preoccupata da quanto visto, si alzò in volo verso James,
l’avvicinò e iniziarono a parlare
concitatamente. Dopo poco lui ridiscese scuro in viso. Quei
due aspettavano solo la scusa giusta per litigare furiosamente, era
ormai chiaro che Meissa non lo sopportava, e che James nonostante le
buone intenzioni, non riusciva a farle cambiare idea. Mi voltai verso
Malfoy, fortunatamente era già rientrato, temevo le sue
reazioni se avesse sospettato un legame tra James e Meissa. Cosa
diavolo aveva in testa Potter? Fu allora mentre rimuginavo su quanto
dovevo dire a James perché non facesse danni, che sentii un
grido terrorizzato, mi voltai e vidi Meissa in chiara
difficoltà con il manico, aveva preso velocità e
altezza e sembrava non riuscire a scendere. Anche James se ne accorse e
nonostante gli strepiti della Hooch, si slanciò
all’inseguimento, lo seguii poco dopo, anche se non avevo
idea di cosa potessi fare, oltre a mettermi nei guai, mi sentivo un
perfetto idiota a non aver dato retta a mio fratello! Il manico di
Meissa pareva impazzito, pronto a disarcionarla, mi piazzai sotto di
lei, pronto a recuperarla se fosse caduta, era il massimo che potessi
fare per sistemare la situazione, ma quello che vidi fare a James mi
lasciò senza parole. Le si affiancò, riuscendo a
stento a coordinarsi a quel legno impazzito, convinse Meissa a passare
sulla sua scopa, dietro di lui e la riportò a terra,
praticamente cinerea dalla paura. Una volta a terra fu accolto da
applausi, la Hooch si affrettò a togliere trenta punti a
testa per la disobbedienza e a ridare cinquanta punti a me e James per
eroismo e prontezza, visto soprattutto che Meissa non era della nostra
casa. Lily e Zelda si lanciarono verso Mei, impegnate a farla
riprendere, ma lei si rimise subito in piedi, la vidi sorridere a
James, grata per l’aiuto. Sapevo che era stupido rimanerci
male, l'aeva aiutata, ma mi si strinse lo stesso il cuore e rimasi
stranito per il resto della giornata, quando la vidi allontanarsi con
le sue amiche rivolgendomi solo un semplice “ciao”.
Avrei voluto essere io ad accompagnarla in infermeria, ma evidentemente
non ero più l’unica persona amica su cui poteva
contare nel castello. Sapevo di dover essere felice per lei,
perché molte persone le volevano giustamente bene,
però sentivo anche una nota amara in tutto questo.
***
Severus
Snape
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 4 settembre
1971
“A parte lo spavento,
è tutto ok?”
“E l’amor proprio
dove lo metti, Prince? Mi son resa ridicola, mi sono fatta
“salvare” da quel pallone gonfiato!”
Non potei fare a meno di ridere, scoprendo che Meissa Sherton non
sopportava come me quel ragazzo odioso dai capelli arruffati. Stavamo
in Sala Comune, non c’era ancora nessuno, la maggior parte
delle Serpi si stava godendo la mattinata soleggiata
all’aperto. A me pareva davvero impossibile che la
“Principessa degli Slytherins” come alcuni dei
più grandi la chiamavano alle spalle con intenti
canzonatori, rimanesse ancora a parlare proprio con me. E mi sembrava
altrettanto assurdo che io, di solito così poco propenso a
fidarmi, prendessi un coraggio e una sicurezza totali quando si
trattava di lei, arrivando persino ad aprirmi a proposito di Lily, come
se qualcosa dentro di me mi dicesse che quella ragazzina non mi avrebbe
fatto mai del male. Eppure stando a quello che dicevano le carte, io di
fronte a lei ero meno di niente, quelli come lei consideravano quelli
come me, quasi alla stregua della feccia. E invece quel giorno mi aveva
fatto vedere quanto mi stavo sbagliando.
“Hai perso la lingua, Prince?
A cosa pensi?”
La guardai stranito.
“Perché continui a
chiamarmi così?”
Fece spallucce.
“Non consideri mio padre degno
nemmeno di essere nominato? Perché è
babbano?”
Non parlò, ma pensai di essermi risposto da solo, doveva
essere così, lei riconosceva solo una parte di me, proprio
come facevo io verso me stesso.
“Però sei strana,
Sherton… perché Lily…”
“Vado a pranzo, Severus, mi
aspetta un lungo pomeriggio di studio…”
Non appena comparve suo fratello, si alzò e si diresse da
lui e dal modo concitato con cui Rigel
l’apostrofò, fu chiaro che aveva saputo della sua
disavventura. Poi sparirono insieme, lei mi lanciò un
semplice saluto sulla porta.
Sì, è proprio strana per essere la figlia di
Alshain Sherton.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).
Valeria
Scheda
Immagine
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