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Autore: Terre_del_Nord    21/02/2009    20 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Hogwarts - II.005 -  Lezione di Volo

II.005


Sirius Black
Castello di Hogwarts, Highlands - ven. 3 settembre 1971

Mi svegliai all’alba, scivolai rapido in bagno, mi preparai in fretta e furia e lasciai il dormitorio prima che qualcuno dei miei compagni di stanza si svegliasse. A costo di farmi picchiare dai Serpeverde, quella mattina avrei avvicinato Meissa prima della lezione, perciò, evitando con maestria i colpi bassi delle scale, raggiunsi la Sala Grande, e da lì imboccai l’ingresso dei Sotterranei correndo lungo la scala a chiocciola che avevo percorso il giorno prima per andare a lezione di Pozioni. Avevo notato, la sera prima, che la maggior parte dei ragazzi spariva là sotto e questo andava a confermare i racconti che avevo sentito fare da Sherton e dalle mie cugine. Mi appostai in prossimità di un vecchio ritratto che probabilmente celava la porta della loro Sala Comune. Dovevo solo portare pazienza, virtù di cui evidentemente non ero molto provvisto in quei giorni. Iniziai a pregare di non incrociare Malfoy o Snape, entrambi odiosi anche se per motivi diversi, perché ero nelle stesse condizioni di un agnello che si era diretto volontariamente nella tana del lupo. In breve, numerosi Serpeverde più grandi iniziarono a uscire, quando si resero conto che ero lì, alcuni mi guardarono in cagnesco, altri mi derisero apertamente, io cercai di non farmi coinvolgere e non raccolsi, con notevole sforzo, le loro provocazioni. Aspettai quasi mezzora prima di vedere apparire Malfoy in compagnia di mia cugina: lo sguardo di Lucius mi fece gelare il sangue ma, anche se in fondo me l’aspettavo, fu il totale disprezzo e l’atteggiamento distaccato e schifato di mia cugina che mi fece più male. Stavo vivendo un anticipo di quello che mi avrebbe atteso a casa. Quando vidi emergere la figura di Rigel, sentii quasi un desiderio disperato di fuggire, non avrei sopportato che m’ignorasse anche lui. Resistetti, però, e mi feci avanti, benché fosse in compagnia di altri due tizi, enormi come lui e dall’aria poco raccomandabile, come si avvicinarono, riconobbi Avery e Lestrange, sapevo che erano due dei suoi migliori amici. Presi coraggio e mi mossi verso di loro.

    “Ciao Sherton!”
    “Toh, che ci fa qui un Grifondoro?”

Avery mi squadrò pronto a ridermi in faccia, Lestrange mi girò attorno e mi guardò come se stesse osservando un animale esotico, io mi addossai alla parete pentito di averci provato, di sicuro Rigel non mi avrebbe mai salutato davanti ai suoi amici, tantomeno mi avrebbe difeso da loro. Il giovane invece si fermò, salutò i suoi amici e mi prese da parte, passandomi un braccio attorno alle spalle, con la solita aria complice e amichevole.

    “Sirius, che cosa ci fai qui? Non ti sarai mica perso?”

Lo conoscevo abbastanza da sapere che, pur ironico, non mi stava prendendo in giro, tirai un sospiro di sollievo e mi feci coraggio.

    “No… io… volevo solo vedere Meissa…”

Diventai rosso fuoco, mi aveva già preso in giro a sufficienza a Herrengton, per questa storia. Rigel mi spinse verso l’uscita del corridoio sotterraneo, addossandomi alla parete così da non ostacolare il flusso ormai sostenuto dei Serpeverde che stavano andando a colazione.

    “Meissa è ancora dentro, aspettava che Malfoy… beh… la conosci la storia no?”

Annuii con la testa, sapevo fin troppo bene, soprattutto dopo quello che avevo visto il giorno prima.

    “Da quanto stai qui?”
    “Mi sono svegliato presto…”

Mi morsi un labbro, di nuovo porpora, mi resi conto che mi stavo comportando in modo a dir poco ridicolo.

    “Va tutto bene, Sirius?”
    “Sì, certo, perché?”

Lo guardai spavaldo, mostrando un coraggio che non avevo: la verità era che nulla stava andando bene.

    “Ho saputo che ieri pomeriggio ti sei picchiato con una delle nostre matricole… Gazza ti ha quasi beccato…”
    “Mi hanno salvato in tempo!”

Ero stato fortunato ad avere incontrato un tipo come Remus, in effetti…

    “Sirius… fai attenzione, d’accordo? Non corre buon sangue tra grifoni e serpi, lo sai, non farti tirare in mezzo, anche perché, visto da quale famiglia vieni, potrebbero esserci grifoni pronti a girarti le spalle, al momento sbagliato… l’invidia fa fare cose strane… capisci cosa voglio dire?”
    “Ma guarda che…”
    “Sirius… stai attento, d’accordo? E cerca di non combinare guai… tuo padre non è molto comprensivo, e questo…”

Mi prese il cravattino di Grifondoro, ma senza l’aria schifata che mostravano gli altri Serpeverde.

    “… è qualcosa che gli starà sullo stomaco per un bel pezzo… cerca di non farlo incattivire anche di più …”
    “Grazie, Rigel… pensavo che non volessi parlarmi più nemmeno tu e che volessi che anche Meissa...”

Mi guardò come se cadesse dalle nuvole.

    “Ma che cosa dici? Sirius… Non hai proprio capito niente, di noi, se ci vedi così! Credi che se Meissa fosse finita a Corvonero avremmo smesso di amarla? Mio padre ti considera un figlio, tu per me sei un fratello… e non sarà certo quel cravattino a cambiare le cose…”

Sembrava offeso, un altro aspetto di Rigel Sherton che non mi sarei mai aspettato, io lo immaginavo come un grandioso piantagrane, non un maestro di saggezza… e non avevo idea che mi considerasse come un fratello.

    “Scusami… io…”
    “Lascia stare, Sirius... Stai lontano da Malfoy ed evita di girare per i sotterranei da solo, capito? Dillo anche ai tuoi amici…”

Lo guardai rosso in viso, mentre mi rilanciava un’occhiata significativa. Mi lasciò davanti alla Sala Grande,

    “Ora vado a chiamarti Meissa… In bocca al lupo!”
    “Crepi…”

Mi sorrise e mi fece un occhietto, lo guardai mentre rientrava nei sotterranei, immergendosi nella folla festosa e affamata delle serpi che stavano salendo, vidi molte ragazze sghignazzare al suo passaggio e fargli gli occhi dolci: quel ragazzo era davvero un mito per me. Poco dopo riemerse con Meissa e Zelda, che lo guardava adorante, ci salutò rapido e fece finalmente il suo ingresso in sala per mangiare e tornare dai suoi amici. Zelda si dileguò sulla scia di Rigel. Ormai non badavo più a nessuno dei due, vedere Meissa mi aveva riaperto il cuore: era una gioia per gli occhi, con i capelli raccolti da un fermaglio d’argento, la bella divisa verde argento scaldata da un raggio di sole che penetrava dalla vetrata sopra l’ingresso.

    “Scusami per ieri…”
    “Sai solo dire scusa, Black…”

Me l’aspettavo: sguardo duro e triste, un tono di voce tagliente, un brivido mi percorse la schiena, ripensai al sogno in cui… Era scontrosa e gelida ed io mi sentivo ormai steso a tappetino, pronto a fare qualsiasi cosa purché mi perdonasse.

    “E’ che…”
    “Per favore! So benissimo che cosa è successo, non rifilarmi patetiche scuse! T’interessa più azzuffarti con la gente che parlare con me… Mi basta saperlo, e ora lo so…”

Fece per entrare in Sala Grande anche lei.

    “No, Mey aspetta!”
    “Devo fare colazione e andare a lezione… se davvero vuoi scusarti e parlarmi, sono certa che troverai il modo di essere convincente…”

Sparì dentro la sala, la seguii ma fui sommerso dal vociare di tutti gli altri, lei era già arrivata alla tavolata di Serpeverde: la vidi lanciare uno sguardo disgustato a Lestrange, chinato su Rigel per chiedergli chissà cosa, costringendola a passargli vicino per potersi sedere. Che tristezza! Dovevo trovare un modo per farmi perdonare: per prima cosa dovevo evitare altre stupide situazioni come quella del pomeriggio precedente. Quando, però, guardai verso Snivellus che, altezzoso, se ne stava al tavolo e poteva godere al mio posto della sua vicinanza, un attacco di bile mi prese nuovamente allo stomaco.

*

    “Come detto ieri, la radice di mola è utilizzata per molte preparazioni, vediamo chi può dirmene una… signor Black?”
    “Sir… Sir…”
    “Signor Black! “
    “Sirius!”
    “Si sente bene, signor Black?”

Presi una gomitata al fianco da James, che ormai da cinque minuti buoni mi sibilava qualcosa all’orecchio, lo guardai furente, mi aveva distratto mentre pensavo di invitare Meissa a passeggiare vicino al lago con me: il discorso che mi stavo preparando nella mente mi sembrava convincente…

    “Che cosa c’è?”
    “Rispondi a Slughorn!”
    “Cosa?”
    “Signor Black!”

Alzai il viso, la figura panciuta del professore incombeva su di me: si stava tirando le bretelle con i pollici e mi guardava tutto scandalizzato, il viso rubizzo e gli occhi porcini che mi sbirciavano da dietro il monocolo.

    “Meno male! Stava solo dormendo a occhi aperti! Dico bene, signor Black?”

Da tutta la classe, le risatine che finora erano rimaste sommesse, si levarono alte, trasformandosi in risate sguaiate, mentre io diventavo color porpora.

    “Mi scusi… stavo pensando… mi sono distratto…”

Chinai lo sguardo, umiliato come non mai.

    “Chissà a cosa pensava, anzi a chi... ”

Sentii James soffiare piano a bassa voce, ma non abbastanza perché non lo udissi, lo fulminai con odio, poi preda dell’angoscia, saettai lo sguardo per la stanza, alla ricerca di Meissa, ma lei non mi stava proprio calcolando, sembrava presa da un’accesa discussione con la sua amica Zelda. Al contrario Snivellus mi guardava beffardo, con una certa dose di “gaudente” soddisfazione.

    “Per oggi sarò magnanimo, signor Black, ma faccia in modo che non ci sia una prossima volta, o sarò costretto a togliere punti a Grifondoro per colpa sua! Siamo intesi, signor Black?”
    “Ecco che cosa ci fa qui un Serpeverde, vuol farci togliere punti!”

Non capii chi lo disse, ma sentii sibilare qualcosa del genere da qualcuno dietro di me: un ulteriore senso di sgomento, nel rendermi conto che non mi accettavano nemmeno i miei compagni, mi fece gelare il sangue.

    “Sì, signore, mi scusi…”
    “A posto, a posto…. Ora mi dica almeno un uso della radice di mola…”

Naturalmente risposi bene, con tutto il tempo passato con Sherton non poteva essere altrimenti, ma la lezione proseguì piuttosto nervosa, ero pieno di rabbia e angoscia, scattai nervoso contro James più volte, alla fine decise che fosse meglio lasciarmi perdere e rimase in silenzio per tutto il resto della lezione, chiaramente mortificato. Io mi sentii ancora più colpevole, in fondo mi aveva avvertito lui che Slughorn stava incombendo su di me.

    “Scusami… io…”

Appena finita la lezione dovevo chiedergli scusa.

    “Non fa nulla Black… Immagino che questi siano giorni strani per te… Vai dalla tua principessa, prima che ti sfugga di nuovo, magari poi smetti di essere così strano…”

Ero già pronto a rispondergli di nuovo male, ma quando lo guardai, mi stava rivolgendo non il solito ghigno beffardo, che ormai ben conoscevo da quel giorno sul treno, piuttosto un sorriso complice e amichevole.

    “Noi dopo andiamo a fare una passeggiata fino al campo di Quidditch… Se non hai di meglio da fare, potresti venire con noi… o potresti portare anche lei… insomma… Fai tu… io te l’ho detto… ciao!”
    “Grazie Potter…”

Ci scambiammo una stretta di mano, poi rapidamente lo lasciai lì al banco, di corsa mi posizionai sulla porta, deciso a non farla passare: avevamo lezione di Erbologia insieme, dovevo fare in modo di poterci andare con lei.

    “Che cosa credi di fare fermo lì?”
    “Vorrei che andassimo alle serre insieme… e magari possiamo anche parlare… per favore…”

Feci la mia migliore faccia pentita, quella che in genere ingannava i miei nonni ma non i miei genitori: Meissa mi squadrò, poi, sbuffando, fece sì con la testa, poco convinta, anzi decisamente rassegnata.

    “Solo perché non voglio che continui a farti riprendere come prima da Slughorn!”
    “Ti sei accorta?”
    “Tutti se ne sono accorti, Sirius… Anche il tuo amico occhialuto! Adesso di sicuro mi prenderà in giro ancora di più, per colpa tua…”
    “Guarda che non è come credi tu! James è a posto, mi ha pure detto di invitarti con noi, per fare una passeggiata insieme fino al campo da Quidditch!”

Si bloccò e dovetti tornare indietro, avevo una faccia cupa che prometteva tempesta: non capivo proprio dove stesse il problema, l’avevo semplicemente invitata a fare una passeggiata con noi.

    “Che cosa c’è adesso?”
    “Non sei obbligato a stare con me! Se devi andare col tuo Potter dove cavolo ti pare, non c’è bisogno che mi metti in mezzo!”
    “Mei! Non ho detto che voglio andarci, ho solo detto che lui non è antipatico come dici tu!”
    “Allora corri da lui… se ti muovi, magari lo riprendi sulla strada delle serre!”
    “Mei...”
    “Se a te sta bene farti prendere in giro da quello, fai pure, io non ci sto… ho già tanti problemi…”

Si era fermata di nuovo, di punto in bianco, ostile, con le braccia incrociate e un’aria di sfida che avevo imparato a riconoscere: l’aria di quando era pronta alla zuffa con suo fratello…

    “Io voglio andarci con te, alle serre e al campo di Quidditch e in qualsiasi altro posto di questo stramaledetto castello! Io voglio parlare con te… e soprattutto, voglio smettere di litigare con te, per colpa di duemila cose di cui non m’importa niente!”

Ero furioso, ma anche determinato, le offrii la mano, ben sapendo che non c’erano molte possibilità che avrebbe accettato l’invito, e, in effetti, lei rimase a braccia conserte. Ma si avvicinò. Sembrava sorpresa, di certo non si aspettava tutta quella decisione da parte mia, avevo sorpreso persino me stesso.

    “Che cosa dovevi dirmi, ieri, di tanto importante, che hai preferito fare a botte con Snape?”

Notai il tono acido, sapevo che voleva comunque l’ultima parola, ma per lo meno mi parlava ancora e non stava fuggendo via, potevo dirmi abbastanza fortunato; lasciai da parte quel poco di orgoglio che mi restava, da quando la conoscevo, in effetti, l’orgoglio era diventato un dettaglio inutile, più effimero di una spira di fumo. Ripresi a camminare al suo fianco, osservando le nostre ombre sull’erba e ricordando con nostalgia quando, a Herrengton, mi deliziavo a far in modo che non si allontanassero mai troppo.

    “Volevo raccontarti il mio primo giorno da rinnegato e sapere come andava, giù, tra le serpi… e…"
    “E…?”
    “Volevo essere sicuro che fosse tutto a posto…”

Mi guardò di nuovo e il broncio si dileguò, forse ero abbastanza bravo da riuscirci anche quando non ero al massimo della forma. Le sorrisi e le ridiedi la mano, lei la guardò e questa volta la strinse.

    “Farò capire a Potter che deve lasciarti in pace… e cercherò di non saltare addosso a Snape… se ti fa contenta…”
    “Dovresti farlo per te stesso, non per me…”
    “Corvina… non hai ancora capito che per te farei di tutto?”

Risi e, lasciandole la mano, corsi dentro la serra come un fulmine: non volevo che James la prendesse ancora in giro per colpa mia.

***

Meissa Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - ven. 3 settembre 1971

    “La gente non è un granché, ma questo lo sapevo già dall’inverno scorso…”
    “Malfoy ti dà sempre fastidio?”
    “Lucius si sfoga su mio fratello, e Rigel… beh… almeno per ora, è magnifico, sembra proprio un' altra persona…”

Gli sorrisi, dopo la lezione alle serre, Sirius aveva preso dei panini in Sala Grande ed eravamo andati a mangiare su al Cortile della Torre dell’Orologio: era una bella giornata di sole, anche se più ventosa del giorno prima, in lontananza svettava la Torre della Guferia e in basso potevamo ammirare, da lontano, le acque placide appena increspate del Lago Oscuro. Intorno a noi quelle figure alate, che componevano un maestoso giardino di pietra, attiravano la mia curiosità e la mia attenzione, permettendomi di evitare di fissare Sirius, cosa che avevo sempre più difficoltà a fare.

    “Non dirmi che ti sei pentita di non essere a Corvonero…”
    “No… quello no… però sai… quel cappello… è stato strano…”
    “Che cosa vuoi dire?”
    “Ha fatto tutto un discorso strano: ha detto che non sono come le mie antenate, forse vuol dire che sono una stupida…
    “Non dire sciocchezze, Meissa!”

Mi uscì un sorriso sghembo, ero felice che Sirius mi vedesse meglio di come mi vedevo io, ma soprattutto volevo dirgli qualcosa che non avevo ancora confidato a nessuno, nemmeno a mio padre nella lettera.

    “Sirius… il cappello ha detto che in me c’era qualcosa di adatto a Grifondoro… e per un momento, io… io ci ho quasi sperato…”

Non potevo dirgli di più, forse avrebbe capito da solo quello che gli stavo dicendo. E quello che non avevo il coraggio di dirgli.

    “Voleva mandarti a Grifondoro?”
    “Sì, ma non ho capito perché, mi sono distratta e, alla fine, mi ha spedita a Serpeverde…”

Sirius sembrava perplesso e un po’ preoccupato, forse stava riflettendo su quello che gli stavo nascondendo e che lui stava intuendo.

    “Anche con te, ci ha messo tanto a decidersi... Che cosa ti ha detto?”
    “Nulla d’importante, Meissa, ha solo capito che sono diverso dai miei, voleva farmi riflettere sui guai in cui mi stavo cacciando, ma io gli ho detto che non volevo assomigliare alla mia famiglia!”
    “Sirius!”

Ero scandalizzata, non mi era nemmeno passato per la testa che si fosse messo da solo in quei guai, per puro capriccio, rendendo tutto così difficile.

    “Perché l’hai fatto? Perché?”
    “Da sempre so di essere diverso dagli altri… a me non interessa quello che interessa a mio padre…”
    “Allora a Herrengton hai finto! Hai finto tutto il tempo!”
    “Che cosa c’entra Herrengton con mio padre? Io adoro la tua famiglia, soprattutto Alshain, e m’interessa davvero il Cammino… ma non voglio diventare come Bellatrix o come mia madre… io non voglio morire dentro come loro…”
    “Mio padre ti sembra morto, Sirius?”
    “Tuo padre e voi tutti… siete diversi… se…”
    “Se?”
    “… se a casa mia fossero come voi… forse sarei stato felice a Serpeverde, ma ho questo dannato sangue dei Black nelle vene, Meissa, ed io farò di tutto per non assomigliargli…”

Chinai lo sguardo, non potevo certo dirgli alcune cose, che l’avrebbero rafforzato ancora di più nelle sue strane convinzioni: avevo sentito dei discorsi strani di mio padre, riguardo Walburga e Bellatrix, discorsi rubati che in un certo senso sembravano confermare le riflessioni di Sirius.

    “Mio padre che cosa ti ha scritto?”

Divenne rosso papavero e distolse lo sguardo, poi si alzò e iniziò a camminare avanti e indietro, poco lontano da me.

    “Ho perso la lettera…”
    “Che cosa? Ti avevo detto che era importante che nessuno la vedesse! Sirius!”
    “Non l’ha letta nessuno, tranquilla, ma è tutta rovinata, non sono riuscito a leggerla…”
    “Se ce l’hai dietro posso provare con “Reparo”…”
    “Ma non abbiamo ancora…”
    “Sirius! È come per Pozioni, entrambi siamo molto più avanti degli altri, lo sappiamo bene tutti e due…”

Mi diede i frammenti della pergamena, poi si mise dietro di me, a farmi da palo, mentre con la bacchetta cercavo di essere convincente e ridare forma a quel puzzle: al terzo tentativo la pergamena era di nuovo intatta.

    “Tieni…”

Sirius prese il foglio e in piedi di fronte a me s’immerse nella lettura, vidi il suo volto rasserenarsi, poi incupirsi di nuovo, infine mentre lo guardavo preoccupata, si sedette al mio fianco e me la porse.

    “Hai ragione tu, non l’ha presa male come temevo…”

La lessi, mio padre si definiva solo preoccupato e gli consigliava di usare prudenza nella scelta degli amici e di provare a non cacciarsi nei guai; poi lo rassicurava circa Herrengton, ma lo invitava a non parlare con nessuno di quello che aveva intenzione di affrontare, e per lo stesso motivo gli faceva sapere che le comunicazioni tra loro sarebbero passate attraverso me, per metterlo al sicuro era opportuno che Alshain Sherton non si mostrasse troppo soddisfatto dello smistamento del suo figlioccio. Ci guardammo, questo atteggiamento non era tipico di mio padre, lui non si curava mai di quello che gli altri potevano pensare di lui, era davvero assurdo.

    “Credi che sia un modo gentile e falso per farmi capire che anche lui è deluso di me?”
    “No, credo ci sia qualcos’altro sotto, credo che stia davvero cercando di metterti al sicuro, ma non ho idea di cosa gli passi per la testa.”

Era preoccupato e un po’ lo ero anch’io.

    “Non so che cosa mi aspetta a casa, Meissa… sinceramente, temevo parole dure e definitive da tuo padre, ma… queste mi preoccupano forse anche di più...”
    “Scrivigli, sono certa che ti darà le spiegazioni che possono esserti utili.”
    “Tu che cosa ne pensi di tutta questa storia, Mei?”
    “Vuole solo proteggerti, come ha sempre fatto…”
    “E tu?”

Lo guardai, quanto era diverso da quel ragazzino odioso che avevo preso a schiaffi il giorno del suo undicesimo compleanno!

    “Quanto sei sconvolta da questo cravattino rosso/oro?”
    “Mi hai promesso che non sarebbe cambiato nulla se fossi finita a Corvonero, Sir… che saremmo stati sempre e solo Sirius e Meissa... per me non è cambiato nulla…”

Mi diede la mano, stavolta la presi con decisione e lo attirai a me, ci abbracciammo con la stessa complicità di quella notte a Grimmauld Place. L’orologio della torre batteva le 13, nel cortile deserto il sole pallido di quella fine estate scozzese riscaldava le figure di pietra, riecheggiandone il chiarore da un lato all’altro del porticato. Il fruscio delle foglie secche che si accartocciavano ai nostri piedi era l’unico suono udibile dal mondo intero. L’altro era una concessione fatta a noi due soltanto: potevamo sentirlo solo noi quel respiro che mi ridava fiducia e coraggio, il respiro dei nostri cuori che battevano all'unisono. L’orario di scuola ci divideva di nuovo, io avevo Storia della Magia, Sirius Trasfigurazione. Ora sapevamo però che non era cambiato niente, che degli stupidi colori e sette piani di scale non significavano niente. Che quell'odioso cappello non era riuscito a mettersi in mezzo e non aveva rovinato la nostra amicizia.

    ... o forse... non ancora ...

***

Meissa Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 4 settembre 1971

Il sole... I cinghiali alati... Risate... Il cuore in gola.
Sto correndo. C’è qualcosa di strano... la prospettiva. Sto guardando da un punto più alto del normale.
Sono io. Sono io... più alta.
Arrivo al ponte di legno, diretta alla Guferia: so che dovrei voltarmi ma non lo faccio. Qualcosa, anzi qualcuno, mi trattiene, sono attirata indietro, ma non cado. Vado a sbattere su un corpo dietro il mio.
E un bacio caldo e umido va a stamparsi sul mio collo.
Non sono sorpresa. Non ho paura, non sto gridando. Anzi...
Sorrido.
Vorrei voltarmi ma non me lo permette, mi cinge i fianchi con la sua mano, io vado a stringerla nella mia. Sì, sono certamente cresciuta, la mano che vedo non è la mia, è più grande e all’anulare c’è un anello che non conosco. Lo stesso anello che vedo sulla sua mano. Un brivido mi percorre la schiena, un misto di paura ed eccitazione.
Il volto sconosciuto si abbassa di nuovo verso di me, bramo un altro bacio ma mi sussurra leggero un “Seguimi” all’orecchio. Le mie gambe si muovono a comando.
Corriamo insieme, o forse, addirittura, voliamo.
Le figure dei cinghiali alati si deformano, le siepi e i giardini di Hogwarts scompaiono. Serpi di pietra s’innalzano attorno a me, formando un labirinto che ho già visto. Il sole scorre rapido di là dei filari di alberi, guardo oltre le siepi e scorgo le imponenti cancellate con i fregi serpenteschi. La figura che mi accompagna scivola via da me, andando a raggiungere le ombre oscure che sembrano sgorgare dalla terra. Sento freddo e, per la prima volta, paura.

    “Bentornata a casa, Meissa Sherton…”

Urlo, mentre dita lunghe e bianche cercano di ghermirmi, mi ritraggo e provo a scappare... Mi sveglio col cuore in gola stringendo la tenda del mio baldacchino. La risata isterica di Bellatrix Lestrange è ancora impigliata nei miei ricordi.

***

Severus Snape
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 4 settembre 1971

“1^ LEZIONE DI VOLO SABATO 4 SETTEMBRE ALLE ORE 10.00, PRESSO I CORTILI MERIDIONALI!”

C’era quest’annuncio affisso dalla sera prima nella bacheca della Sala Comune. L’idea del volo mi aveva fatto perdere il sonno e la serenità: mia madre mi aveva spiegato e insegnato molto, ma volare era una di quelle attività poco consone a maghi e streghe che vivevano tra i babbani. Non era qualcosa facile da nascondere! Quando ne avevo parlato con Lily, lei ne era parsa entusiasta, soprattutto quando avevamo appurato che avremmo avuto lezione insieme: un’altra occasione per stare con lei! Fu quello a farmi tornare il sorriso. Finora eravamo riusciti a sfruttare quasi tutte le occasioni, anche per questo apprezzavo Pozioni più delle altre materie: era l’unica che potevamo seguire insieme due volte per settimana, invece di una soltanto. E Slughorn sembrava un tipo a posto, certo un po’ strano a volte, e con la fissazione per le solite famiglie potenti, ma abbastanza giusto da riconoscere anche il valore dei singoli: il giorno prima avevo guadagnato cinque punti per Serpeverde, grazie alle mie risposte, e già i miei compagni iniziavano a guardarmi con maggiore rispetto, anche se non ero famoso. Naturalmente le cose sarebbero cambiate enormemente dopo quella lezione di volo: mi avrebbero riso dietro di certo, probabilmente ero uno dei pochi che non aveva mai tenuto in mano un manico di scopa, se non per spazzare il pavimento. Sospirai ancora, ormai c’eravamo quasi: stavo sbocconcellando la colazione con aria assente, speravo di vedere Lily ma non era ancora scesa. Il sabato avevamo orari meno rigorosi e anche la tavolata di Serpeverde era ancora piuttosto deserta: delle matricole, oltre a me, c’era solo Meissa Sherton. Sembrava anche più preoccupata di me, ma era impossibile che lei non sapesse volare, doveva avere il volo nel sangue. Forse, anzi sicuramente, c’era qualcos’altro. In quei pochi giorni non c’eravamo parlati mai, soprattutto perché l’avevo vista spesso con quell’odioso di Black, ma anche perché io non avevo il coraggio di farmi insultare da lei di fronte a tutti avvicinandomi per primo e spontaneamente. Anche se, a dire il vero, non aveva mai fatto o detto nulla che potesse giustificare questa mia paura, anzi. Lei spesso mi aveva sorriso e salutato per prima, sorprendendomi e, soprattutto, avevo saputo che la sera prima aveva passato un’ora in biblioteca con Lily e le sue amiche: non credevo volesse avere a che fare con mezzosangue e nati babbani. E invece… Lily ne era già entusiasta, diceva che era diversa dalle altre Serpeverde… In effetti… La guardavo e mi chiedevo che cosa avesse…

    “Ciao…”

Mi ero avvicinato, la scusa era ottima: eravamo le due sole matricole al tavolo e a me serviva un po’ di marmellata.

    “Ciao, Severus… sei pronto per la lezione di volo?”

Il solito sorriso gentile, offuscato da una leggera preoccupazione.

    “Non molto, sai… non ho mai volato… e tu? Ti vedo un po’… sovrappensiero…”

Sorrise ancora, con un gesto minimizzò.

    “Ho solo dormito male, Snape… ti va di avviarci al cortile? Manca ancora mezz’ora, possiamo chiacchierare un po’…”

Mi guardò speranzosa, io mi voltai verso il tavolo di Grifondoro, ma ancora non c’era nessuno.

    “… oppure andiamo ad aspettare Lily vicino alla sua torre…”
    “No, non credo sia una buona idea…”

Ricordavo ancora la zuffa di due sere prima con Black, lo odiavo, mi faceva ricordare fin troppo bene quello che succedeva tutti i santi giorni nella mia vecchia scuola babbana: ma l’avevo colpito anch’io, non era tanto più grosso di me, e forse se non fosse stato per il custode, potevo essere io a dargli una lezione! Non capivo davvero che cosa volesse da me, dal giorno del treno era sempre stato una spina nel fianco.

    “Ok, Snape… io mi avvio, ci vediamo là…”

Meissa aveva voglia di andarsene il più rapidamente possibile, scorsi lo sguardo fino a capotavola, mi resi conto che per la prima volta non c’era suo fratello pronto a proteggerla, non solo, ma tra i pochi presenti c’era quel ragazzo inquietante del 5^ anno, il battitore della squadra di Quidditch, Lestrange, che parlava con i suoi amici, vero, ma non le staccava gli occhi di dosso. Per un attimo pensai che, in fondo, anche nell’essere figli di persone famose e potenti, ci fosse un lato nascosto e poco invidiabile.

    “Possiamo aspettarla insieme, da qualche parte, in cortile, se vuoi…”

Avevo detto la parola magica, subito la sua faccia si aprì in un sorriso grato, e uscimmo rapidamente, all’ingresso incrociammo Zelda, stranamente in ritardo, sembrava si fosse accapigliata per una stupidaggine con la Dickens, che avanzava in mezzo alla sua corte d’amiche starnazzanti tutta gonfia e trionfante. Le lasciammo l’incarico di avvertire Lily che ci avrebbe trovato nel cortile d’ingresso, era uno degli ultimi giorni di sole di quella fine estate scozzese, valeva la pena approfittarne, come mi consigliò allegramente Meissa.

    “Allora Prince, che te ne pare di Hogwarts!”

Mi colpì il modo in cui mi aveva chiamato, ma non volevo offenderla facendo il prezioso, quindi feci finta di nulla.

    “E’ un sogno, la realizzazione di tutti i miei desideri…”

Ci affacciamo dal portico, ammirando il Lago Oscuro sullo sfondo e la scalinata di pietra che portava fino all’approdo delle barche. Era una sensazione strana e inaspettata, eppure ero sicuro di non essere in errore: stavo scoprendo di avere un’amica in più, un’amica davvero insospettabile.

    “Magari tu ci sei abituata, a tutto questo, e non ti sembra nulla di speciale…”
    “Ti sbagli, Severus, anche a me piace stare qui, non vedevo l’ora di iniziare a fare sul serio: vorrei diventare il più presto possibile una vera strega, abile come mia madre, vorrei diventare una pozionista come lei, un giorno e poi…. Io voglio curare le persone!”

La guardai stupito, diceva evidentemente sul serio, gli occhi persi all’orizzonte, nella direzione in cui, a quanto pareva, si trovava la sua terra.

    “Davvero? Ma tu non hai bisogno di lavorare!”
    “E allora? Io voglio farlo per me, mica per i soldi!”

Era radiosa, già proiettata verso un futuro lontano in cui evidentemente credeva con forza.

    “Mmm…”
    “Non mi credi?”
    “Sì, ti credo, certo, ma… in genere… avevo capito che per le famiglie come la tua… lavorare non è necessario, e che… per voi è più importante il futuro delle vostre famiglie, fare figli purosangue e procurare solide alleanze con buoni matrimoni…”
    “Beh… ho quattro fratelli, possono pensarci loro anche per me… io curerò la gente…”

Mi veniva da ridere, sapevo benissimo che tutta quella sicurezza non aveva fondamento, mia madre mi aveva raccontato delle leggende relative agli Sherton, maledizioni e profezie comprese, tutti sapevano che, da quando era nata, le principali famiglie purosangue facevano una corte spietata a suo padre solo per potersela accaparrare: per la seconda volta in pochi minuti mi sentii più fortunato di lei. Mi trattenni però dal dire quello che pensavo, era talmente e inaspettatamente gentile e diversa dagli altri che non meritava certo che io la prendessi in giro: magari si rifugiava in quei sogni proprio per non pensare alla realtà che l’attendeva, qualcosa cui aggrapparsi per non soffrire.

    “E tu Snape? Che cosa vorresti fare da grande?”
    “Io? Non lo so… qui è tutto così bello e affascinante, diverso da… tu lo sai… l’hai visto…”

Annuì ma non disse nulla, le fui grato per quello sguardo, non c’era pietà per me, ma comprensione e rispetto.

    “Qui è… come se fossi finalmente a casa: se potessi scegliere fin da ora, io vorrei restare qui per sempre…”

Non ebbi difficoltà a esprimere i miei desideri in maniera così decisa quando vidi Lily uscire radiosa con Zelda e altri tre ragazzi: Alice, la sua migliore amica e compagna di stanza, una ragazzina minuta e mora, con un sorriso simpatico e l’aria sempre un po’ trasognata, Frank Longbottom, uno dei pochi grifoni a posto che avevo conosciuto fino a quel momento, un ragazzo serio, purosangue e gentile, e Peter Minus, uno dei quattro del treno, un ragazzino grassottello, esageratamente timido e impacciato, spesso vittima degli scherzi dei suoi stessi compagni di casa.

    “Per fortuna sei arrivata, Zelda, o saremmo finiti in pericolosa minoranza, dico bene Severus?”

Con stupore vidi che abbracciava Alice e Lily, come fossero amiche di lunga data e dava la mano a Frank e Peter, come se per lei non avesse alcuna importanza la purezza di sangue o la casa di appartenenza. Ci avviammo verso il cortile come un gruppetto piuttosto disomogeneo, Lily stava tra me e Meissa, ci seguivano Frank e Peter, infine Zelda e Alice che ci seguivano ridendo.

    “Che cosa dobbiamo aspettarci da questa lezione?”

Lily la osservava curiosa, Meissa guardò per aria poi si girò verso Frank come a chiedere conferma di quanto stava per dire: doveva aver già saputo in qualche modo che era, insieme a lei e Alice, l’unico purosangue del nostro gruppetto, probabilmente erano gli unici tre che avessero un’idea chiara di cosa sarebbe successo durante la lezione.

    “Cosa dobbiamo aspettarci, Lily? Di cadere!”

Risero quasi tutti, tranne Peter ed io, troppo preoccupati da quelle parole per sospettare che fossero uno scherzo.

    “Durante il mio primo volo... ho voluto strafare e mi sono schiantata a terra: una cosa davvero indecorosa…”

Rise mentre Frank la guardava con ammirazione, forse nemmeno lui si aspettava che proprio lei annunciasse con una tale leggerezza un fallimento in un’attività che doveva esserle semplice come respirare.

    “Ferite di guerra?”

Frank ormai non le toglieva gli occhi di dosso, io mi chiesi con un ghignetto perfido e feroce che cosa avrebbe pensato Black di quella scenetta.

    “Solo una distorsione alla caviglia…”
    “Io mi sono rotto il polso e il naso…”

Ne sembrava davvero fiero, mentre si massaggiava il profilo del naso.

    “E tu Alice? A te com’è andata?”
    “Io? Io non mi sono mai fatta niente… perché non sono mai riuscita a sollevarmi più di trenta centimetri da terra!”
    “Buuuuu!”

Fece un visino sconsolato e tutti risero di nuovo. Frank la sfotteva, io deglutii a stento: ossa rotte, risate di scherno e, quello che era peggio, tutto si sarebbe compiuto davanti agli occhi di Lily.

    “Ma siete stati a lungo all’ospedale? Voglio dire… non possiamo perdere troppe lezioni…”
    “Non ti preoccupare, Lily, per noi quelle ferite non sono altro che graffi, guariscono nel giro di una notte, dico bene Mei?”

Tutti la guardammo per cercare da lei sicurezza, Frank la faceva troppo semplice, e poi non c’era nemmeno un ospedale vicino al castello!

    “Mio padre mi ha sistemato la caviglia in pochi minuti, un colpo di bacchetta, un unguento potente, un massaggio et voilà, passato tutto…”
    “Io ho paura…”

Peter sembrava anche più piccolo del solito ed esprimeva benissimo i miei stessi pensieri e timori.

    “Non temere, Minus, probabilmente oggi nessuno di quelli alla prima esperienza riuscirà nemmeno a staccarsi da terra, sarà un miracolo se riuscirete a far sollevare la scopa fino alla vostra mano! Per me questa lezione è stata messa troppo presto, ci sono persone che hanno visto il libro d’incantesimi ieri per la prima volta!”

Queste ultime parole di Frank, soprattutto quelle relative a scope che nemmeno si sollevavano da terra, furono accolte con una certa speranza.

    “Per quando volerete davvero, avrete assistito tutti quanti almeno a una partita di Quidditch: allora con i vostri occhi vedrete persone che cadono malamente tornare a far danni in giro già il giorno dopo!”
    “Quando sarà la prima partita?”

Frank tornò a considerare solo Meissa, in effetti, quella domanda era strana, chi meglio di lei, tra tutti noi, aveva fonti attendibili riguardo il Quidditch?

    “Non so voi Serpeverde, noi abbiamo la settimana prossima una selezione per scegliere i nuovi componenti, peccato non poter partecipare noi del primo anno!”
    “Credo che la squadra di Serpeverde sia al completo, magari valuteranno le riserve…”

Meissa lo disse con un ghignetto soddisfatto, sicuramente era orgogliosa di suo fratello, avevo sentito dire dai ragazzi più grandi che erano anni che la squadra non aveva un cercatore forte come Rigel Sherton.

    “Tutti sostengono che i Serpeverde siano imbattibili quest’anno, visto che a sorpresa, Malfoy ha deciso di continuare come cacciatore e tuo fratello fa da cercatore, ma secondo me noi Grifoni…”
    “Vuoi scommettere Longbottom?”

Si scambiarono un’occhiata di giocosa sfida, eravamo arrivati al cortile meridionale e non sentii cosa misero in palio in quella sommessa, vidi soltanto quando si strinsero la mano, per sancire il patto.

***

Sirius Black
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 4 settembre 1971

Alla fine della nostra prima settimana, in un bel mattino soleggiato e piacevolmente tiepido ci presentammo nella parte meridionale del castello, in un ampio cortile, pieno di aiuole e siepi ai piedi della torre di Astronomia: vidi con sorpresa e piacere che la prima lezione di volo si sarebbe svolta proprio con i ragazzi di Serpeverde. L’insegnante non c’era ancora, così mollai Remus e James e corsi da Meissa che era apparsa improvvisamente in strana compagnia: Peter e Frank, miei compagni di stanza, Alice e Lily, due ragazze di Grifondoro, la sua inseparabile amica Zelda e… Snivellus. Subito sentii arpionarmi alle viscere, ma decisi di fare buon viso e con un sorriso Black–style ben stampato in faccia le andai incontro. Con piacere mi accorsi che, già sorridente, il suo volto divenne davvero radioso come mi vide avvicinarmi.

    “Tesa Sherton?”
    “No. E tu, Black? Pronto a cadere?”

Feci spallucce e, disdegnando i suoi compagni, mi misi a ridere: sapevamo entrambi che quasi sicuramente sarei caduto, se non altro perché ero distratto da lei e dai suoi occhi verdi. La professoressa, Madame Rolanda Hooch, era poco più che una ragazzina, ma aveva un temperamento spiccio ed energico, ci ordinò di avvicinarci ai manici come ci aveva insegnato Alshain e di chiamare “SU”. Ci riuscii al primo tentativo, visto che a Herrengton l’avevo fatto decine e decine di volte, mi guardai attorno e vidi di fronte a me Meissa e alcuni Serpeverde e al mio fianco James e Frank che avevano il pieno controllo dei loro legni. Eravamo i pochi a esserci riusciti subito, Remus, sotto il nostro incoraggiamento, ci riuscì alla terza volta, mentre Peter ci mise un po’ di più, in media col resto del gruppo. Mme Hooch ci squadrò stizzita, aveva capito subito che non avevamo bisogno di tante lezioni, e appena ordinò di salire sopra e di evitare di fare stupidaggini, si mise davanti a me, per impedire che uno di noi facesse qualche bravata: in effetti, guardando James, notai che aveva un’espressione strafottente e davvero poco rassicurante. Trattenni a stento un sorrisino altrettanto perfido, al pensiero di quanto avremmo potuto divertirci alle spalle di Snivellus.

    “E ora provate a levarvi da terra!”

A quel punto si scatenò il caos, se noi riuscimmo a eseguire senza difficoltà e la maggior parte degli altri non si staccò da terra, alcuni si levarono troppo in alto e furono presi dal panico, costringendo la Hooch a saltare sulla scopa e tirarli giù uno dopo l’altro. Con mio estremo disappunto vidi che le tragedie peggiori con scene di pianto e terrore, occorsero tra le fila dei Grifoni, sotto lo sguardo ironico e le battute taglienti delle Serpi. Meissa non fece commenti, sembrava che lei andasse d’accordo con tutti, a parte la terrificante Dickens, quella che mi faceva sempre gli occhi dolci. In quel momento comunque sembrava concentrata sul suo legno, come se dubitasse ancora delle sue abilità innate e temesse di cadere, ma poi guardai nella direzione verso cui puntavano i suoi occhi e intravidi la bionda testa di Malfoy affacciata da una finestra dei corridoi del secondo piano, sembrava che seguisse pigramente la nostra lezione di volo.

    “Non badare a lui, Meissa!”

Le sorrisi e lei mi rispose quasi timidamente, con occhi che sprizzavano gratitudine, sembrava aver sotterrato l’ascia di guerra, non c’era traccia della piccola furia che mi aveva quasi imposto di strisciare in ginocchio di fronte a lei… Mi percorse un brivido, non mi ero in alcun modo ribellato, anzi, mi era sembrato più che naturale fare qualsiasi cosa per lei… Stentavo davvero a riconoscermi.

    “Si può sapere che cosa vuole quell’idiota da te, Sherton?”

James era straordinariamente sveglio, senza tante parole, sembrava capire sempre al volo quello che gli succedeva intorno.

    “Nulla, Potter, solo rogne di famiglia!”
    “Mmm... ho sentito dire che lo scorso anno tuo fratello l’ha conciato per le feste negli spogliatoi e che suo padre ha quasi preteso l’espulsione di Rigel…”
    “Mio fratello a volte è impulsivo…”

Ghignai, al ricordo di come Rigel l’aveva messo in ridicolo a Yule.

    “Non si deve sapere in giro, Sherton, ma… per me tuo fratello è un eroe! ”

Ci fece l’occhietto poi scese giù, e noi lo seguimmo, rispettando l’ultimo ordine della Hooch.

    “E ora per chi se la sente… gli ultimi dieci minuti li dedichiamo a un giro completo in volo del cortile, non dovete superare l’altezza del primo piano e occhio a non scontrarvi!”

Ci spingemmo, appena, di nuovo, con i piedi, ci levammo in alto liberi, stavolta, di svolazzare come volevamo, James si fece prendere la mano e con orrore lo vidi volare fino al secondo piano, accelerò fino alla finestra del corridoio cui era affacciato Malfoy e si mise a parlargli, poi riscese in picchiata, tra noi, allibiti da quanto stava accadendo. Io mi mantenni basso ed estremamente cauto, ben sapendo di non avere poi tanta abilità sul manico, mentre Meissa, forse preoccupata da quanto visto, si alzò in volo verso James, l’avvicinò e iniziarono a parlare concitatamente. Dopo poco lui ridiscese scuro in viso. Quei due aspettavano solo la scusa giusta per litigare furiosamente, era ormai chiaro che Meissa non lo sopportava, e che James nonostante le buone intenzioni, non riusciva a farle cambiare idea. Mi voltai verso Malfoy, fortunatamente era già rientrato, temevo le sue reazioni se avesse sospettato un legame tra James e Meissa. Cosa diavolo aveva in testa Potter? Fu allora mentre rimuginavo su quanto dovevo dire a James perché non facesse danni, che sentii un grido terrorizzato, mi voltai e vidi Meissa in chiara difficoltà con il manico, aveva preso velocità e altezza e sembrava non riuscire a scendere. Anche James se ne accorse e nonostante gli strepiti della Hooch, si slanciò all’inseguimento, lo seguii poco dopo, anche se non avevo idea di cosa potessi fare, oltre a mettermi nei guai, mi sentivo un perfetto idiota a non aver dato retta a mio fratello! Il manico di Meissa pareva impazzito, pronto a disarcionarla, mi piazzai sotto di lei, pronto a recuperarla se fosse caduta, era il massimo che potessi fare per sistemare la situazione, ma quello che vidi fare a James mi lasciò senza parole. Le si affiancò, riuscendo a stento a coordinarsi a quel legno impazzito, convinse Meissa a passare sulla sua scopa, dietro di lui e la riportò a terra, praticamente cinerea dalla paura. Una volta a terra fu accolto da applausi, la Hooch si affrettò a togliere trenta punti a testa per la disobbedienza e a ridare cinquanta punti a me e James per eroismo e prontezza, visto soprattutto che Meissa non era della nostra casa. Lily e Zelda si lanciarono verso Mei, impegnate a farla riprendere, ma lei si rimise subito in piedi, la vidi sorridere a James, grata per l’aiuto. Sapevo che era stupido rimanerci male, l'aeva aiutata, ma mi si strinse lo stesso il cuore e rimasi stranito per il resto della giornata, quando la vidi allontanarsi con le sue amiche rivolgendomi solo un semplice “ciao”. Avrei voluto essere io ad accompagnarla in infermeria, ma evidentemente non ero più l’unica persona amica su cui poteva contare nel castello. Sapevo di dover essere felice per lei, perché molte persone le volevano giustamente bene, però sentivo anche una nota amara in tutto questo.

***

Severus Snape
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 4 settembre 1971

    “A parte lo spavento, è tutto ok?”
    “E l’amor proprio dove lo metti, Prince? Mi son resa ridicola, mi sono fatta “salvare” da quel pallone gonfiato!”

Non potei fare a meno di ridere, scoprendo che Meissa Sherton non sopportava come me quel ragazzo odioso dai capelli arruffati. Stavamo in Sala Comune, non c’era ancora nessuno, la maggior parte delle Serpi si stava godendo la mattinata soleggiata all’aperto. A me pareva davvero impossibile che la “Principessa degli Slytherins” come alcuni dei più grandi la chiamavano alle spalle con intenti canzonatori, rimanesse ancora a parlare proprio con me. E mi sembrava altrettanto assurdo che io, di solito così poco propenso a fidarmi, prendessi un coraggio e una sicurezza totali quando si trattava di lei, arrivando persino ad aprirmi a proposito di Lily, come se qualcosa dentro di me mi dicesse che quella ragazzina non mi avrebbe fatto mai del male. Eppure stando a quello che dicevano le carte, io di fronte a lei ero meno di niente, quelli come lei consideravano quelli come me, quasi alla stregua della feccia. E invece quel giorno mi aveva fatto vedere quanto mi stavo sbagliando.

    “Hai perso la lingua, Prince? A cosa pensi?”

La guardai stranito.

    “Perché continui a chiamarmi così?”

Fece spallucce.

    “Non consideri mio padre degno nemmeno di essere nominato? Perché è babbano?”

Non parlò, ma pensai di essermi risposto da solo, doveva essere così, lei riconosceva solo una parte di me, proprio come facevo io verso me stesso.

    “Però sei strana, Sherton… perché Lily…”
    “Vado a pranzo, Severus, mi aspetta un lungo pomeriggio di studio…”

Non appena comparve suo fratello, si alzò e si diresse da lui e dal modo concitato con cui Rigel l’apostrofò, fu chiaro che aveva saputo della sua disavventura. Poi sparirono insieme, lei mi lanciò un semplice saluto sulla porta.

    Sì, è proprio strana per essere la figlia di Alshain Sherton.



*continua*




NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP
(maggio 2010). 
Valeria


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