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by Alvin
Miller
4
– La Tana
Silver
Sprint cominciava a sentire l’urgenza farsi strada attraverso
di lui.
Stavano
volando sulle tracce del mostro da più di un’ora,
viaggiando in formazione attraverso gli altopiani di Hollow Shades,
spediti tanto quanto il suo squadrone riusciva a stargli appresso. Si
erano ricollegati al Sentiero grazie alle impronte che il mostro aveva lasciato nel terreno una volta approdato sulla costa (profonde
fosse, quanto quelle che solcavano le strade in città),
risparmiandosi così il gravoso compito di capire da quale
parte si fosse diretto. Ma anche così, nonostante la sua mole stesse chiaramente giocando a loro favore,
l’assenza di una reazione tempestiva da parte
dell’aviazione gli aveva dato ormai tempo di allontanarsi
dalla zona.
A
quel punto poteva trovarsi dovunque nel regno, forse perfino in
procinto di assaltare una nuova città. Fillydelphia, per
esempio, era poco più a sud rispetto alla direzione che
stavano intraprendendo, ma se anche la creatura avesse seguito la via,
attraversando la catena montuosa e superando le Neighara Falls, la
tappa successiva erano direttamente le Crystal Mountains, che celavano
l’Impero di Cristallo e tutti i suoi antichi segreti. Per non
parlare dei tanti piccoli paeselli (Hollow Shades stessa, per esempio)
che sorgevano tra quelle alture e che in ogni momento correvano il
rischio di essere incrociate dal titano.
«Forza,
ricordatevi che cosa siamo venuti a fare!» Spronava
il Luogotenente incitando gli altri a dare il massimo, bruciando i
secondi di distacco, ma sapeva bene che nessun altro pegaso (a
eccezione forse di Bullseye e di quella Custode degli Elementi, Rainbow
Dash) aveva la stamina per stare dietro ai suoi poderosi muscoli alari,
così dovette limitarsi a un ritmo che per lui era poco
più che una blanda svolazzata.
La
verità era che dentro di lui si agitava un grande tumulto,
che non accennava a diminuire. Davanti alla gente il suo retaggio gli
imponeva di dare di sé un’immagine fiera e
perentoria, con la testa ben piantata sulle spalle e gli occhi sempre
puntati alla prossima meta, ma la verità era leggermente
diversa: lontano dalla folla, libero dal travestimento che era
costretto a esibire in situazioni formali, anche lui era un pony
facilmente soggetto alle emozioni equine, laddove erano coinvolte
persone a lui care. In particolare in quel momento non era la missione
a preoccuparlo (non completamente, almeno), bensì le sorti
di sua figlia, che in quelle ore era distesa a letto in balia di una
forte influenza.
La
piccola Lil’ Wing era sempre ammalata, questo bisognava
dirlo. Era sfuggita miracolosamente alla distruzione perpetrata dal
mostro, dal momento che la loro casa si trovava al di fuori dal raggio
d’azione del Sentiero. Così com’era
successo alla sua Foalsitter, che fortuna voleva che proprio quel
giorno dovesse badare a lei. Questa era una studentessa della MHU,
l’università locale, i cui dormitori erano
annoverati nell’elenco dei palazzi rasi al suolo dalla
creatura. Ogni tanto teneva la piccola per sbarcare il lunario e
pagarsi gli studi, e Silver Sprint era sempre lieto di poterle dare uno
zoccolo.
Quel
giorno doveva prepararsi per un importante esame, e non aveva accettato
di buona volontà di stare accanto alla bambina, ma il
Wonderbolt aveva insistito; da quando sua moglie era perita in un
disgraziato incidente un anno prima, investita da una carrozza trainata
da un folle, si era sempre rivolto a lei quando doveva lasciarla alle
cure di un paio di zampe fidate, in particolare, quando Lil’
Wing era costretta a letto per qualche malanno. Così la
ragazza aveva finito per accettare l’incarico, e di questo ne
sarebbe rimasta grata fino alla sua vita successiva. Si poteva quasi
affermare che la malattia della puledrina l’aveva salvata da
morte sicura!
Solo
che adesso toccava al padre fare la sua parte in quella giornata.
Doveva guidare i suoi aviatori alla ricerca del mostro, e impedire con
ogni mezzo che ad altre città toccasse la stessa sorte di
Manehattan.
Si
sentì urtare il fianco da una gomitata. Non era un colpo
violento, anzi avrebbe riconosciuto quel particolare tocco fosse stato
anche bendato e in mezzo a una folla: era Bullseye, il suo migliore
amico e l’unico che non si lasciava influenzare dalla
particolare aura di mito che aleggiava intorno al Luogotenente. Era di
un manto bianco, candido e brillante, con una criniera rosso lampone
sulla quale dominava sporgente un generoso ciuffo a banana, il suo
cutie mark rappresentava un bersaglio per il gioco delle freccette.
«Tutto
ok Young Dart? Hai bisogno di parlare?»
Silver
lo guardò accigliandosi. «Perché me lo
chiedi?»
«Beh,
tanto per dirne una, qui dietro lo si nota che non sei particolarmente
su di giri.» Gli fece notare in tono scanzonato, quello che
si dedica solo agli amici di lunga data.
Il
pegaso dalla criniera d’argento diede uno scorcio ai due
Wonderbolts che li seguivano sotto pesante sforzo. Suoi loro volti,
oltre alla fatica, era tangibile l’angustia per gli
avvenimenti recenti. Chissà che aspetto doveva avere lui, si
domandò.
«Sono
preoccupato» Disse a voce più bassa, abbastanza
per non essere udito dagli altri.
«Per
la missione o per… » sospese la frase.
Con
un cenno del capo, Silver confermò la seconda.
«Non riesce a riprendersi, e sono ormai quattro giorni che
è bloccata a letto. Non so proprio come comportarmi quando
fa così.»
Il
timore per la salute di sua figlia era presto spiegato anche a causa
della scomparsa della moglie. Ai tempi l’impatto della
notizia lo aveva sconvolto fin nel profondo, e più volte si
era trovato a pensare che se fosse stato uno stallone con uno spirito
combattivo più debole del suo, sarebbe crollato dinanzi agli
eventi senza alcuna possibilità di risalire.
Da
quel giorno divenne più arduo mostrarsi composto in
pubblico, e questo Bullseye lo sapeva bene.
«Te
lo dico da sempre: secondo me dovresti solo lasciare che la malattia
faccia il suo corso. Sono bambini, ogni giorno sono a contatto con non
so nemmeno quanti milioni di germi diversi, è normale che si
ammalino. È il sistema immunitario che deve farsi i muscoli
per quando cresceranno, o qualcosa del genere.»
Sì,
era quello che ai tempi aveva riferito il pediatra a Silver, e che lui
a sua volta aveva raccontato a Bullseye, ed ora Bullseye glielo stava
restituendo.
Il
Luogotenente annuì, continuando ad aprirsi. «Poi
questa storia dell’attacco non ha certo migliorato le cose. A
noi è andata di lusso, ma gli altri? Quelli che sono stati
presi in pieno?»
Senza accorgersene stavano rallentando, e nel frattempo udivano i battiti delle ali dei due pegasi dietro farsi sempre più vicini. A quella distanza lo avevano quasi certamente sentito, nonostante il fischio dell’aria stesse ammantando la sua voce.
«È
un casino sì. Ho dei cugini che stanno dalle parti di
Columbine Circle.» Confessò Bullseye.
Silver
Sprint sgranò gli occhi per lo stupore.
«Stanno
bene, ho chiesto un po’ in giro prima di partire.» Lo rassicurò, e a quel punto la
velocità di entrambi riprese il s scatto regolare.
«Quello che è successo in città non lo
augurerei a nessuno. Ma lo sai? Voglio essere ottimista! Quella bestia
è stata pure così gentile da lasciarci una pista
da seguire… » infatti non c'rano solo delle
impronte a testimoniare il suo passaggio: talvolta allo squadrone
capitava d’imbattersi in interi boschetti sventrati, oppure
in enormi frane che erano crollate dal fianco di una montagna.
«Dobbiamo solo trovarlo, e a quel punto ci penseranno le
Principesse a toglierlo di mezzo!»
“E
le Custodi” pensò
Silver tra sé e sé, ricordandosi di quella
Rainbow Dash e del suo Elemento della Lealtà.
«Senti
amico, te la ricordi quella serata al Warm Flank?» Uno strano
sorriso si tracciò sulla bocca di Bullseye.
«Aha…
» rispose l’altro in tono ambiguo.
Eccome se
la ricordava, quella serata! Si trattava di un Club notturno nel
quale avevano festeggiato l’addio al celibato di un loro
sotto-ufficiale, quasi due anni prima (data antecedente di qualche mese
al terribile lutto che si sarebbe abbattuto sulla sua famiglia).
Avevano brindato con sidri di ottima qualità,
intrattenendosi poi (alcuni dei partecipanti) con belle e bendisposte
giumente. Poi, dopo aver calato il bicchiere della staffa, lui e
l’amico erano usciti nel cuore della notte, ubriachi ed
euforici, sfidandosi (non ricordavano da chi fosse partita l'idea) a una gara
di velocità. Bullseye era svelto, un aviere molto capace ed
esperto, che tuttavia non era mai riuscito a superare il livello di
Silver Sprint.
Il
Luogotenente era solito prenderlo in giro, affibiandogli la colpa della
disparità al suo ciuffo, che a sua detta era “poco
aerodinamico”.
«Bene,
vedi quel rilievo laggiù?» Indicò la
collina che si frapponeva fra loro e il Sentiero. Il pegaso argentato
temette per ciò che sarebbe successo da lì a
poco, ma decise ugualmente di dare un po’ di spago
all’amico.
«Prova
a starmi dietro!» Lo provocò, schizzando nella
direzione indicata.
“Non
ci credo, vuole farlo sul serio?”. Si
girò verso gli altri due Wonderbolts. «Voi due non
perdete di vista le impronte.» Disse severamente.
Gli
aviatori si scossero, spalancando le bocche, provando quasi a
obbiettare, ma a quel punto Silver aveva già coperto
metà della strada che lo distaccava da Bullseye.
In
realtà sapevano entrambi che ci poteva essere un solo e
unico vincitore in quelle competizioni, ma non erano questi i reali
intenti del pegaso dalla criniera lampone.
Bullseye,
sentendolo arrivare espose un ghigno di trionfo. Era ciò di
cui l’amico aveva bisogno, qualcosa che lo separasse dalle
sue preoccupazioni. Pochi secondi e Silver lo aveva già
superato con un guizzo fulmineo, e la gara continuò a
posizioni invertite. Bullseye non dovette neppure fingere
d’impegnarsi, il suo amico era veramente il
più veloce di tutti.
I
due si conobbero ai tempi dell’Accademia. Stesso plotone ma
caratteri contrapposti. Silver Sprint dai primi giorni era stato un
cadetto modello, sempre attento e ligio agli ordini del Sergente
Istruttore, tanto che ben presto i suoi superiori cominciarono ad
attribuirgli il nomignolo di “Young Dart”,
poiché era ciò che sembrava quando lo vedevano
librarsi tra gli ostacoli del campo d’addestramento.
Bullseye
era invece uno dei massimi esperti in una disciplina molto in voga in
un’ampia fetta di pegasi: la pigrizia. Quando si trattava di
volare era un vero asso, un talento di natura, forse persino migliore
del pony dai capelli argentei. Ma questo lo rendeva esuberante e
spavaldo, troppo sicuro di sé, e di conseguenza, posto sotto
una cattiva luce agli occhi dei Wonderbolts più anziani. I
due finirono per entrare in competizione praticamente dal loro primo
giorno di camerata, in uno scontro di tecnica e talenti che ben presto
si tramutò in una guerra in campo aperto, al punto che da
rivali, i due divennero acerrimi nemici.
La
faida proseguì in una lotta senza quartiere per due
lunghissimi anni, mietendo vittime sia da una che dall’altra
ala. Silver Sprint, per essere al passo con le abilità della
nemesi, decise di sacrificare parte del proprio programma di studi
sviluppando tecniche di volo uniche e audaci, mirate al solo fine di
superare di livello il suo avversario. D’altra parte,
Bullseye cominciò a pagare lo scotto per la sua condotta
poco responsabile. Ancora valente come aviatore, era però
incapace di contrastare la forza di volontà e
l’impegno dell’altro.
Così
accadde che quando non vi fu più spazio per le competizioni,
passarono al vilipendio e alle azioni di sabotaggio reciproco. Furono
richiamati innumerevoli volte e talvolta sospesi
dall’addestramento, fino ad arrivare persino a causare un
grave incidente quando Bullseye manomise il macchinario per la
creazione delle tempeste artificiali, scatenando un nubifragio che per
poco non rase al suolo gli edifici dell’Accademia.
Quel
giorno Silver Sprint e Bullseye furono costretti a mettere ordine al
disastro che avevano combinato, il tutto mentre il Capitano, dal suo
sconquassato ufficio, decideva per il loro futuro.
Erano
all’aperto, tenuti sotto rigida osservazione da un ufficiale
incaricato a supervisionare la pulizia, che proibiva loro qualsiasi
forma di contatto o interazione, perfino visiva (non voleva rischiare
che sfociassero in ulteriori conflitti). Meglio così, aveva
pensato Silver, perché non era nell’umore di
discutere col compagno.
Per
passare il tempo, cominciò a rimuginare con
intensità su quanto era avvenuto, e solo allora si rese
conto di quanto stupidamente si stava scavando la fossa da solo, dopo
aver toccato il fondo già da un sacco di tempo. Essere in
competizione con un altro pegaso, anche solo odiandolo con tutto il
cuore, non valeva il suo futuro come Wonderbolt in Accademia, tanto
più se quell’odio rischiava di mettere in pericolo
la sicurezza degli altri pony, sprecando i proprio sogni e macchiando
la propria reputazione in nome di una rivalità infantile che
non portava da nessuna parte.
Promise
a se stesso che non ci sarebbe più ricascato,
così decise di fare qualcosa che avrebbe dovuto pensare
già da tempo. Fu una decisione importante, che se avesse
raccolto prima, avrebbe evitato molto di ciò che era
successo nei mesi precedenti.
Arrivò
il momento della pausa pranzo. Ogni pegaso sa che per volare in forma
deve nutrirsi bene e bilanciare attentamente la propria dieta, e a
nessuno, per quanto rinnegato che fosse, dovrebbe essere negato il
proprio diritto a volare, pertanto il cibo era sempre garantito, anche
al più insubordinato dei cadetti. Ai due era stato
però proibito di avvicinarsi alla mensa, pertanto si
dovettero organizzare all’aperto, seduti per terra e distanti
l’uno dall’altro. L’ordine era di
consumare il loro rancio di fretta per poi rimettersi immediatamente al
lavoro, ma per una negligenza del loro sovrintendente, che aveva
anticipato l’ora del cambio-turno, si erano ritrovati per
alcuni minuti da soli.
Silver
Sprint mangiò velocemente il proprio, quindi si
alzò e si mosse con fare prudente verso lo storico nemico.
Il
Pegaso dalla criniera lampone se ne accorse, mettendosi subito sulla
difensiva. La sua espressione divenne un quadro truce e minaccioso,
ringhiando come fosse un lupo del legno. «Che vuoi?! Vattene
o mi metto a fare casino, lo giuro su Celestia!»
Erano
entrambi tesi, vedendoli da fuori qualcuno avrebbero pensato che
stessero per venire agli zoccoli di nuovo.
«Ho
pensato a quello che è successo ieri. A quello che hai
fatto… » disse Silver, ma poi si
arrestò «a quello che IO ti ho costretto a
fare.» Aggiustò il tiro. Se erano arrivati a quel
punto, infatti, la colpa era stata anche sua.
Bullseye
lo ispezionò scettico, chiedendosi cosa stesse tramando, ma
dopo un po’ che erano rimasti entrambi in sospeso, qualcosa
cominciò a smuoversi. Anche lui, dopo averci riflettuto a
lungo, aveva intuito che erano arrivati sul bordo del precipizio, e se
fossero caduti insieme, non ci sarebbero state ali capaci di
risollevarli.
«Già,
ho un po’ esagerato stavolta.» Ammise calando lo
sguardo.
Silver
fece una smorfia, interrogandosi se fosse sufficiente definirlo
“esagerato”, ma non glielo disse.
«No,
sai… » continuò «avevo girato
quella manopola credendo di metterla su “Uragano”.
Ma si vede che è si è fermata su
“Maelström”, o qualcosa del
genere.»
Era
una battuta. Il pegaso argenteo provò l’impulso di
ridire, ma di nuovo non si sentì pronto a condividere con
lui una simile apertura.
L’altro
notò la sua mancanza di reazioni, e gli chiese:
«Volevi dirmi altro?» Ora il tono era
sorprendentemente cordiale e rilassato.
«Credo
di sì. Credo che sia arrivato il momento di finirla.
All’inizio era divertente avere qualcuno con cui
confrontarsi, con cui mettersi alla prova. Ma sai, questa cosa ci
è sfuggita di zoccolo ormai! Quello che è
successo ne è la prova.»
«Già,
infatti… »
«Voglio
solo diventare un bravo Wonderbolt un giorno, qualcuno che la gente
guardi con rispetto! Non voglio buttare al vento una grande occasione
solo per colpa di una rivalità che non ho neppure iniziato
io!»
Bullseye
lo guardò storto. «Fermo, stai forse insinuando
che la colpa è mia?!»
Silver
si morse il labbro, punendosi per la sua audacia.
«No… senti, chi se ne frega, ok?! Voglio solo
voltare pagina e fare in modo che non si ripeta! Ho sbagliato a
rispondere al fuoco, lo so, e mi prenderò le mie
responsabilità. Ma se avrò ancora
un’occasione di restare qui, in questa Accademia…
non ho intenzione di sprecarla facendoti la guerra in ogni sacrosanto
momento!»
«No,
infatti. Neanch’io lo voglio se è per
questo… » farfugliò l’altro,
grattando un po’ di terra con la punta dello zoccolo.
«E
allora perché non ci fermiamo? Invece di sbarrarci il passo
a vicenda, perché, che ne so… non diventiamo amici?»
Con
quella frase aveva fatto
centro,
anche se non se ne rendeva ancora conto. In quel momento i muscoli
facciali di Bullseye si distesero, formando nuove espressioni.
«Tu ed io? Cioè, vuoi dire… TU ed
IO?»
«E’
così difficile da immaginare? Tu sei bravo di natura, io
sono uno che si impegna molto. Potremmo continuare a metterci alla
prova insieme, senza però ostacolarci l’un
l’altro!»
«E
continuare lo stesso a frequentare l’Accademia…
» rifletté Bullseye ad alta voce, la proposta in
effetti gli suonava invitante.
«Beh,
questo dipenderà da cosa deciderà il
Capitano… »
Proprio
in quel momento, come se fosse rimasto in ascolto, un ufficiale
Wonderbolt corse verso di loro sbraitando a tutto volume.
«…
a proposito, guarda chi arriva.»
Era
il Sergente Istruttore del loro plotone, che aveva visto sul nascere e
poi evolversi fino a degenerare la loro rivalità. Non
sembrava contento di vederli intavolare una conversazione
così ravvicinata.
Bullseye
nel frattempo si era alzato e aveva colpito Silver con una gomitata.
Lui fece per protestare, ma fu stoppato da un’esclamazione
entusiasta del compagno di punizione.
«Sì!»
Disse Bullseye, esibendo un sorriso raggiante.
«Uh?»
Silver lo guardò, ma non era sicuro di capire a che cosa
alludesse.
«Voglio
essere tuo amico, Young
Dart!»
Gli confermò lui, e a quel punto si trovarono davanti il
faccione incollerito del loro superiore.
Fu
così che cominciò tutto.
In
seguito si rivelò non poco difficile convincere il Capitano
(e con lui tutto l’istituto) dell’improvviso
cambiamento avvenuto nei due pegasi. Nessuno reputava plausibile il
voler diventare amico di qualcuno che per tanto tempo si era solamente
cercato di distruggere. Ma loro dimostrarono a tutti in contrario,
salvando il proprio banco in Accademia e la loro nascente carriera. I
Wonderbolts, tra le altre cose, avevano bisogno di elementi talentuosi
come loro per portare avanti l’orgoglio del corpo militare,
pertanto un’espulsione dal corso era da ritenersi fuori
questione.
Per
tutti gli scettici, il tempo diede presto ragione ai due, e tra Silver
Sprint e Bullseye nacque una profonda fratellanza, che avrebbe
continuato anche dopo il loro periodo di formazione, e che niente al
mondo avrebbe potuto infrangere.
Fu
Bullseye a fargli conoscere la giumenta che un giorno sarebbe divenuta
sua moglie, e aveva di buon grado accettato di essere il padrino di
Lil’ Wing, quando questa era venuta al mondo. In seguito,
quando Silver divenne vedovo in quello sfortunato incidente, fu grazie
al suo supporto che riuscì a resistere, trovando la forza
per andare avanti.
Essere
un modello per le nuove leve, un mito per le masse, e allo stesso tempo
un padre amorevole e attento. Niente di tutto ciò sarebbe
stato possibile senza il sostegno del pegaso dalla chioma lampone, e
dal cutie mark a forma di bersaglio…
Quel
giorno avevano un compito da rispettare, dovevano trovare la creatura e
fare rapporto in città, affinché chi di dovere
sapesse dove andare e cosa aspettarsi una volta arrivato. Ma quella
puledresca gara che stavano ingaggiando nel cielo era allo stesso modo
importante, tanto quanto lo erano gli ordini dei superiori.
C’era qualcosa di speciale nell’atto di competere
che chi non conosceva i loro trascorsi in Accademia non avrebbe mai
potuto immaginare.
Bullseye
cercò di stare al volo di Silver Sprint, svuotando
progressivamente le proprie riserve d’energia. In cuor suo
s’illudeva di riuscire ancora a vincerlo in una gara, anche
se ne erano trascorse di lune da quando competevano quasi a pari
livello.
Cercò
di trarre una stima di quanto distacco lo divideva dal Luogotenente, e
per un momento gli sembrò di avere quasi guadagnato terreno,
quando… anzi no! Non era un’impressione! Silver
Sprint stava perdendo velocità, e ora la sua sagoma distante
s’ingrandiva, occupando sempre di più il suo campo
visivo. Mancava ancora poco al raggiungimento del
rilievo che Bullseye aveva segnato come punto d’arrivo, e
forse ce la poteva ancora fare se solo si fosse focalizzato sul
superamento dei suoi limiti!
Il
pegaso dalla criniera argentata si fermò tutto
d’un tratto, senza completare la tratta. L’altro
per poco non gli finì addosso, evitandolo per un soffio con
una virata secca verso sinistra.
“Che
gli è preso?” Si
domandò Bullseye, ma non gli diede troppa importanza. Lo
aveva superato finalmente! Ora aveva l’occasione di portare a
casa una vittoria, e di potergli sbattere in faccia che era riuscito
a…
Poi
la vide, la stessa cosa che aveva visto l’amico, e anche lui
si fermò, dimenticandosi completamente della gara.
Oltre
alla collina, tra le punte della catena montuosa di Hollow Shades, le
impronte del mostro proseguivano giù per un avvallamento
dove anemici ciuffi di verde tentavano di crescere su di un terreno
sterile e pietroso, e nel punto in cui s’innalzava un ampio e
sovrano crinale, il Sentiero incontrava il suo termine in un
enorme cunicolo, scavato dentro roccia. La grotta, alta decine di
metri, era occultata sul lato sinistro da un'alta dorsale, la quale
proiettava la propria ombra sulla soglia del varco. Sembrava che il
mostro l’avesse scavato da poco, forse partendo da un
cunicolo più piccolo che era già aperto in
precedenza. Cumuli di terra e roccia alti come una casa ostruivano in
parte il passaggio, che comunque era sufficientemente ampio da lasciare
un varco per qualunque creatura avesse avuto la sfrontata idea di
volerla esplorare.
«Che
Celestia mi colpisca… » commentò
Bullseye, che si era riunito col proprio gruppo. Tutti e quattro
insieme erano poi atterrati a breve distanza, in un punto rialzato dal
quale poterono contemplare il varco in tutta la sua interezza, e con lo
stupore nelle pupille e sulla bocca.
«Ok,
o c’è un’Ursa Major che si dedica
all’edilizia, oppure abbiamo trovato la tana del mostro. Cosa
facciamo, Signore?» Davanti agli altri aviatori, Bullseye si
rivolgeva a lui con l’attributo formale, così come
gli veniva imposto dalla differenza dei gradi.
Silver
Sprint era rimasto con gli occhi sbarrati come tutti gli altri,
sprofondando con la mente nell’oscurità che
emergeva dall’antro. «Proviamo a
entrare.» Disse. «Vediamo fino a che punto si
è addentrato, in caso poi decideremo il da farsi.»
Al
pegaso dalla criniera lampone, però, l’idea non
piacque per niente, e non mancò di farlo notare.
«Signore, non lo so. È sicuro che sia una buona
idea?»
«Preferirei
di no, ma non abbiamo scelta.» Ammise strenuamente.
«Dobbiamo essere certi che sia davvero là dentro,
che non si sia addentrato nelle viscere della terra. Consideriamo anche
il fatto che potrebbe essere emerso da qualche altra parte. Non
possiamo fare rapporto senza prima avere la certezza che si trovi
realmente laggiù.» Si girò verso gli
altri avieri. «Ascoltate pony, non so che cosa troveremo una
volta entrati, ma qualsiasi cosa sia dobbiamo essere pronti e
affrontarla insieme. Io non intendo lasciarvi, sappiatelo. Ma prima di
procedere devo essere sicuro che voi tutti sarete altrettanto fedeli a
me. Lo sarete, Wonderbolts?» I pegasi, anche se provati dal
ritmo di volo, annuirono energicamente. Silver quindi guardò
di traverso e con un solo occhio l’amico. «E tu,
Bulls?» Chiese aspettando.
Le
labbra di Bullseye si strinsero, mentre lottava contro il disagio.
«Uhm, ho idea che ci cacceremo nella gola del
drago… beh, non posso certo disertare, Signore…
» concluse.
La
caverna era tanto buia quanto immensa. Sembrava quasi che la luce ne
venisse divorata non appena tentasse di penetrarvi.
I
quattro avanzarono a zoccoli, marciando in gruppo senza fare alcun
rumore.
Silver
Sprint, intanto, studiava l’ambiente per quanto la
visibilità glielo permetteva: le pareti erano solcate da
segni di artigli riconducibili alla creatura, simili a quelli
riscontrati su alcuni palazzi in città, e terra e roccia
sulle superfici irregolari erano schiacciate verso i bordi e compresse
da una forza spaventosa. Una nebbiolina sottile e invadente, che in
realtà era polverio, aleggiava nell’aria
impregnandola dell’odore del limo. Tutti segni inconfondibili
che qualcuno vi aveva scavato da poco tempo.
Qualcosa
si staccò dal soffitto, e i quattro si allarmarono quando
udirono l’acuto tuono della roccia che cadeva da qualche
parte più in là. Man mano che avanzavano,
diventava così buio che oramai a fatica riuscivano a
distinguere i contorni del condotto.
«Mi
raccomando, occhi bene aperti! E fate attenzione a cosa vi
circonda!» Bisbigliò Silver.
«Sì,
e soprattutto se vedete il mostro, NON mettetevi a gridare!»
Aggiunse Bullseye. Era un buon consiglio, articolato dalla paura, ma
corretto. Il Luogotenente non obbiettò.
Continuarono
così ancora per un po’, fino a quando il budello
non si allargò in una camera più grande e meglio
illuminata, che al contrario di quanto avevano percorso fino ad allora,
era di origine naturale. Equestria era piena di luoghi come quelli,
scavati dagli elementi nel corso dei millenni. Rifugi ideali per
creature giganti, come quella che stavano cercando.
Un
bagliore azzurrino si propagava da una fonte sconosciuta, merito dei
cristalli di luce molto comuni in posti come quello, che riflettevano i
loro sfavilli da una parte all’altra della grotta.
«Che
meraviglia! Se non fosse che me la sto facendo sotto, sarei quasi tentato
d’incantarmi!»
«Sshh!
Non adesso Bullseye, fai silenzio!» Lo richiamò
Silver.
L’eco
delle loro voci si accompagnò a quello delle gocce di
condensa che precipitavano dal soffitto, contribuendo a generare
un’atmosfera d’isolamento e
d’immensità, come se i quattro pegasi si fossero
estromessi dal proprio posto nell’universo per essere
risucchiati in un differente piano fisico, nel quale erano i primi
a occuparne virtualmente lo spazio.
Ma
non era realmente così, c’era anche qualcos’altro
con loro; suoni e odori estranei, che non ci dovevano essere in un
posto come quello, e qualcosa
che rantolava costantemente nell’ombra, squotendo
l’aria nella caverna.
Lui
era lì, e i Wonderbolts lo capirono subito, anche se non
riuscivano ancora a vederlo. Si congelarono sul posto guardandosi
attorno, cercando disperatamente, prima che fosse Lui a trovare
loro…
Un
lasso di tempo indefinito era trascorso da quando era sfuggito
all’isola grigia e si era ritrovato a vagare per la
terraferma, alla ricerca di un posto che gli ricordasse da dove era
venuto. Delle scene precedenti all’Amnesia ricordava solo
pochi frammenti, schegge di suoni e colori, che talvolta prendevano la
forma d’immagini in movimento.
Era
venuto al mondo all’interno di un utero, per questo sapeva di
essere giovane. Ma dove fosse sua madre e perché si fosse
risvegliato nel bel mezzo di uno scenario da caos, questo gli mancava.
La
grotta in cui si era rintanato era la cosa più simile al
grembo materno in cui cercava di tornare, ma anche lì, a
parte il confortevole buio e l’umidità che lo
teneva idratato, c’era qualcosa di venefico che continuava a
bruciargli la pelle.
Mentre
cercava di dormire, le Voci che fino a poco prima gli gridavano da
dentro la testa, man mano che scorreva il tempo, decrebbero della loro
insistenza, fino a ridursi a dei sussurri velati. Per poi dileguarsi. A
un certo punto cominciò addirittura a convincersi di non
averle mai udite, come se fossero solo frutto della sua immaginazione,
mischiate alla paranoia e alla frustrazione di trovarsi in un pianeta
alieno.
Una
cosa però la ricordava con assoluta certezza: le piccole
creature colorate che aveva conosciuto sull’isola grigia, gli
abitanti nativi di quel mondo inesplorato. E
anche una proiezione di loro che lo attaccavano, sebbene gli sfuggisse
la ragione di una tale condotta ostile. Forse la risposta era celata
nei ricordi che l’Amnesia gli aveva sottratto, anche se non
c’era modo di estrapolare quelle date informazioni dal suo
subconscio frammentato.
Di
queste creature, quattro erano appena entrate nella sua grotta, e i
suoi sensi le avevano captate ancora quando non avevano varcato la
soglia del suo rifugio. Le sue narici ipersensibili al più
piccolo degli odori, e le sue orecchie acute e infallibili, sentivano
meglio di quanto non vedessero i suoi soli occhi cerei.
Nel
buio stretto e avvolgente della grotta, aveva sperato che le piccole
creature se ne andassero prima di arrivare a Lui, desistendo
così dalla loro ricerca. Ma ora che erano dentro, non sapeva
come agire, sentendosi intrappolato in un corpo enorme, inquieto e
goffo.
Avvertì
l’impulso di attaccarle, per salvaguardare così la
propria incolumità, ma soppresse il desiderio, temendo per
le conseguenze delle sue azioni. Dopotutto non sapeva niente di quelle
creature.
Poi
uno strano lampo nel suo cervello gli mise in luce un nuovo pezzo del
mosaico: Lui che attraversava la loro città, e le piccole
creature che fuggivano indifese e spaventate, così impotenti
dinanzi alla sua forza.
Quindi
era Lui l’essere malvagio? Il demone che sfuggiva alle sue
stesse vittime?
Ma
allora perché non stava provando lo stesso desiderio ADESSO?
Quel ricordo non aveva nulla a che spartire con le sue attuali
intenzioni, eppure a giudicare dalla nitidezza di quelle scene, doveva
essere avvenuto per davvero. Non un altro figlio della fantasia,
quindi, ma una testimonianza dei fatti attendibile.
Se
tutto ciò facesse parte di un disegno più
complesso, c’era ancora troppa confusione dentro di Lui
perché potesse vederne i reali contorni.
La
sola cosa che desiderava adesso era di poter restare in quella grotta
ed esser lasciato in pace. E per farlo doveva scacciare quelle quattro
piccole creature, in un modo o nell’altro.
Mosse
in alto una zampa, come per dar loro un avvertimento…
…
e nel farlo urtò il soffitto già incrinato dal
suo primo passaggio, facendo vibrare la grotta in un boato che si
tradusse a sua volta in un ruggito bestiale. Poi tutto
cominciò a implodere in una cascata di rocce e pietrisco,
che minacciò di seppellire i pegasi all’interno.
Silver
Sprint fece giusto in tempo a ordinare agli altri di disperdersi e
cercare un riparo, che la situazione nella caverna diventò
sconnessa e frenetica. Riconobbe la sagoma del mostro che si spostava
nella penombra, e gli sembrò incredibile che proprio quella
silhouette più chiara, che in precedenza gli era parsa solo
una parete di roccia giallastra, fosse in realtà il fianco
di destra dell’animale gigante. Vederlo così
immenso, così rumoroso, gli fece perdere per un attimo la
speranza di riuscire a cancellarlo da Equestria. Poi si
ricordò che il soffitto gli stava letteralmente crollando
sulla testa, e sì unì agli altri nella disperata
ricerca di un riparo, evitando blocchi di pietra grandi come bisonti,
che si sfracellavano a terra rimbombando per tutta la sala.
Pochi
secondi, quanto durò la frana, poi il mostro emise un altro
dei suoi lamenti grotteschi e si accosciò a ridosso della
parete. Il tempo parve ritornare al silenzio.
Silver
Sprint si era salvato rannicchiandosi in un angusto spazio tra due
rocce, che lo avevano protetto dai detriti più corpulenti,
ma non da un pezzo più piccolo, il quale cadendogli su una
spalla gli aveva provocato un’abrasione sotto lo strato di
peli.
«Ehi,
gente… *coff, coff*… State tutti bene? Dove
siete?» Tossì e si alzò, scrollandosi
di dosso la polvere, tentando di muoversi trascinando la zampa.
«Signore,
sono qui!» Ricevette subito una risposta da uno dei pony
dello squadrone, che emerse da dietro un cumulo di materiale, ora
occupante gran parte della sala. Questi immediatamente corse a offrire
il suo aiuto al superiore.
«E
l’altro pegaso? E Bullseye?» Chiese il Luogotenente
preoccupato, ma la risposta del Wonderbolt fu sconfortante: non li
aveva visti.
Insieme
guardarono lo spazio oltre il quale si estendeva il resto della grotta.
Il mostro era lì, immobile e silenzioso, come fosse caduto
in una sorta di letargo.
«Ehi,
quaggiù! Volate, presto! Ci serve assistenza!» Il
richiamo arrivò imprevisto dalla voce del quarto aviatore.
Non
persero tempo ad interrogarsi. Silver si scostò educatamente
dalla spalla che gli aveva offerto il pegaso, quindi si mossero con
urgenza nella direzione del richiamo.
Trovarono
lo stallone, che usciva ferito e con la divisa a stracci da una parete
di detriti: era in quel punto che si era verificato il crollo
più grave. Il Luogotenente e il suo assistente lo aiutarono
a rimettersi sugli zoccoli, poi procedettero subito alla confutazione
del suo stato.
«Qualcosa
di rotto, ragazzo? Le tue ali sono a posto?»
«Sì,
Signore. È tutto ok.» Rispose mentre tutto il suo
corpo fremeva per lo shock. «Io sto bene. Ma Bullseye
è rimasto intrappolato lì dentro!»
Indicò proprio la massa da cui lo avevano appena estratto.
«Cosa?!»
Sbraitò Silver, e al grido si unì anche un
lamento del mostro, che era stato infastidito dall’eco.
Quando capirono che non vi era pericolo che si muovesse di nuovo,
tornarono alla discussione.
«Sì…
si è intromesso per salvarmi la vita, mi ha spinto via
mentre il soffitto ci cadeva addosso. Io… non sono riuscito
a muovermi, Signore… »
«Capisco…
» inclinò la testa con amarezza. Era tipico di
Bullseye, quello che conosceva. Sempre generoso e altruista, anche se
da sempre avventato e incosciente.
«È
tutto ok, ma adesso aiutatemi a tirarlo fuori da lì, per
favore!»
Si
accucciarono davanti all’ammassamento, irregolare e alto
diversi metri, cercando di scoprire se vi era un punto nel quale era
possibile penetrare un po’. Silver Sprint nel frattempo
chiamò l’amico a gran voce per cercare di
localizzarne la posizione. «Bullseye, riesci a sentirmi? Ci
sei lì dentro?!» Ma non ricevette risposta, e
allora la sua ansia salì.
«Bulls’!» Fece più forte.
Stette
per mollare, abbandonandosi alla realizzazione di avere appena perso
uno degli elementi più importanti della sua vita (un altro),
quando le sue orecchie captarono un suono che gli restituì
il sorriso.
«Silver,
per Celestia riesci a sentirmi?!»
Finalmente
era lui!
«Sia
ringraziata lei! Come sei messo là sotto, riesci a
muoverti?!» Dovette gridare, dato che era l’unico
modo per comunicarci, anche se ciò rischiava di far
innervosire ulteriormente il titano.
Nel
frattempo cominciò a scavare.
«Mi
è andata di lusso, beh più o meno... le rocce
hanno formato una specie di sacca d’aria, e quindi
starò a posto per un po’, ma qualcosa mi sta
bloccando le zampe!»
«Ti
tireremo fuori in un attimo, non ti preoccupare! Nel frattempo tu
risparmia l’ossigeno e cerca di resistere quanto
più riesci!» Scavava e scavava, e anche gli
altri pegasi si erano uniti nel compito, spostando blocco per blocco la
massa inerte che lo ricopriva.
«Nossignore,
non farlo! Fermati!»
Silver
per un momento si convinse di avere capito male, e continuò.
Sollevò con le proprie zampe anteriori un altro pesante
blocco, accusando la contusione alla spalla, quindi digrignò
i denti e lo issò flettendo le ginocchia, lanciandolo dietro
di sé, provocando un altro acuto eco nella caverna.
«Sil’,
mi hai sentito? Non farlo ti ho detto, fermati subito!»
Insistette con maggiore impellenza il pony sepolto.
A
quel punto ne era certo. «Cosa c’è
Bulls’, qual’è il problema?!»
«Ricordati
la missione» gli disse «non è per questo
che siamo venuti fin qui! Devi ritornare a Manehattan e avvisare le
Principesse!»
«Vorrai
scherzare?! Io non ho intenzione di lasciarti lì dentro a
soffocare!»
«Dovrai
farlo invece! Per piacere Sil, devi comunicare a tutti che
lo abbiamo trovato! Se non lo fai poi quello se ne va, e tutta questa
storia ricomincerà da capo!»
Aveva
ragione purtroppo, Silver lo dovette riconoscere, anche se farlo gli
provocò una fitta di dolore al cuore che gli
intorbidì i pensieri.
«E
con te che facciamo? Non posso certo pensare alla missione sapendoti
là sotto!»
«Io
me la caverò, va bene?! Per un po’ dovrei farcela.
Se voi mi diseppelliste sarebbe comunque inutile, perché
senza qualcuno che ci aiuti con la magia, io da qui non esco!»
Il
pegaso dalla criniera argentata si rimise sugli zoccoli elaborando in
silenzio. Doveva trovare una soluzione per entrambi i problemi, sia per
il Titano che per Bullseye.
«Sei
ancora lì, Sil’?» Domandò di
nuovo il pegaso dalla criniera lampone.
«Sì,
amico. Sì!»
«Beh,
allora facciamo che se la prossima volta che te lo domando
tu non mi sarai ancora partito, allora m’incazzerò
di brutto! Muoviti adesso, non perdere altro tempo!»
Silver
prese la sua decisione, anche se qualcosa dentro lui si rifiutava di
accettarlo. Smise di scavare, rialzandosi da terra, e
ragionò su quanto ci sarebbe voluto per andare e tornare da
Manehattan, considerando anche il tempo necessario ad avvisare le
Principesse e condurre a destinazione i rinforzi.
«Bullseye… sei sicuro di ciò che mi
chiedi? Posso lasciarti qui sapendo di ritrovarti al mio
ritorno?» Pose ad alta voce.
La
risposta non tardò ad arrivare. «Affermativo, Signore! O se preferisci: sì Young Dart!»
Allora
era deciso.
Respirando
affannosamente,
si
rivolse agli altri pegasi con le frasi contratte, nello sforzo di
impartire un ordine al quale avrebbe volentieri disubbidito per primo:
«Voi
restate con lui… evitate di farlo parlare per ora. Non
fategli consumare la poca riserva d’aria che gli rimane, ma
ogni tanto assicuratevi che sia almeno cosciente.»
Lanciò un’ultima occhiata verso la creatura
semi-dormiente. «Io farò più in fretta
che posso, ma se quello dovesse svegliarsi, o peggio… se mai
dovesse decidere di uscire, uno di voi è incaricato di
seguirlo fino a quando non si sarà fermato di nuovo.
L’altro dovrà invece restare qui a fare compagnia
a Bullseye. Non lasciatelo da solo, mi raccomando!» I due
pegasi assentirono ai suoi ordini, quindi si misero d’accordo
a gesti di capo su chi dovesse fare che cosa. «Presto
porterò i rinforzi, e allora potremmo finalmente dare un
taglio a questa faccenda, ve lo prometto!» Terminò
in fretta il Luogotenente.
A
quel punto volò fuori dalla grotta, più
velocemente di quanto non avesse mai volato nella sua lunga carriera,
toccando davvero per poco l’accelerazione necessaria al
completamento del leggendario Arcoboom Sonico.
Non
ci era mai riuscito, meditò durante la traversata. Per anni
aveva creduto che fosse solamente una menzogna, una favola raccontata
dai papà per incantare gli occhi dei loro piccoli futuri
campioni, proprio come faceva lui stesso con piccola Lil’
Wing, malata d’influenza. Ma poi Rainbow Dash aveva cambiato
tutto, dimostrando che a volte il confine tra sogno e avverazione
è più sottile di quanto uno non si aspetti.
Anche
lui ci avrebbe provato, un giorno, ad avverare quel sogno. E per allora
Bullseye avrebbe avuto un altro motivo per desiderare la sua sconfitta.
Doveva soltanto completare la loro missione, salvando così
Equestria, e con essa il suo migliore amico.
La
luce del tramonto che filtrava dalle grandi vetrate ogivali illuminava
il tavolo da lettura davanti alla quale era seduta, con grazia e
compostezza, la Custode della Gentilezza.
La
Biblioteca di Manehattan era un luogo dove la cultura e la sete di
conoscenza si amalgamavano con l’eleganza e
l’architettura in una sinfonia di emozioni che andavano al
dì là del mero atto della lettura di un tomo.
All’entrata, di fronte alla facciata in marmo, si restava
sbalorditi dalle due imponenti statue di manticore messe a guardia
dell’edificio, e una volta dentro, ci si perdeva con la vista
davanti alle sconfinate file di ripiani in legni pregiati che
straripavano di volumi contenenti l’intera storia di
Equestria. Per quanto ben fornita, neanche la Biblioteca Reale di
Canterlot poteva vantare il grande assortimento di documenti contenuti
in quelle stanze. Le numerose sale di lettura poi, ampie e spaziose,
potevano ospitare centinaia e centinaia di visitatori che
all’occorrenza, se volevano avvalersene, potevano usufruire
di diversi terminali elettronici contenenti l’archivio
completo del materiale della biblioteca. Un tocco di
modernità targato Reborn Technologies, che forse stonava un
po’ con lo stile anacronistico dell’edificio, ma
che salvava la giornata a tutti coloro che, trovandosi in
difficoltà ad orientarsi tra le alte librerie e i numerosi
ripiani spesso raggiungibili solo con le scale, si risparmiavano
così le conseguenti grane della ricerca. Ai bibliotecari
questo non dispiaceva: invece di scovare personalmente i vari volumi
cercati, sostituivano la propria mansione di un tempo col dover
istruire gli ancora ignari visitatori su come interagire con i monitor
touch screen e l’archivio virtuale contenuto nella memoria
centrale.
A
Twilight però tutto ciò non piaceva. Era
cresciuta con l’usanza nostalgica di scovare personalmente i
libri di cui era alla ricerca, imbattendosi poi spesso in testi di cui
ignorava l’esistenza. Non era raro che, partendo col
proposito di prenderne uno solo, si ritrovasse tutto d’un
tratto a trasportare con sé intere torri pericolanti di
libri sorretti magicamente dal corno. Com’era accaduto quel
giorno.
Dopo
aver completato il giro nella sezione dedicata ai misteri e alle
leggende del regno, era tornata da Fluttershy con un carrello
stracarico di volumi, fermandosi accanto a lei con un’euforia
tale da non lasciare spazio all’interpretazione.
«Ho trovato anche questi, li ho già visionati da
me, ma se vuoi darci un’occhiata pure tu…
può darsi che mi sia sfuggito qualcosa.» Disse
dopo essersi parcheggiata e aver fatto caderne alcuni rovinosamente a
terra.
Benché
la biblioteca fosse solitamente gremita di studiosi o anche semplici
curiosi in visita turistica, in quel momento appariva vuota e desolata,
immersa in un silenzio pesante. Tutt’intorno tomi e pergamene
erano sparpagliati per terra, abbandonati dai visitatori quando il
Kaiju aveva assaltato la città.
La
pegaso canarino guardò la documentazione portatale
dall’amica. Si trovò a pensare che era tipico di
lei, e sorrise dolcemente di rimando.
«Grazie
Twi. Apprezzo davvero molto l’aiuto che mi stai
dando.»
«Non
è necessario, fidati. E poi è sempre un piacere
per me quando si tratta di visitare posti del genere.» Fece
una giravolta, ammirando i libri che ricoprivano ogni singolo spazio
nelle pareti, dovunque si posasse il suo sguardo. «Lo sai,
certe volte desidero soltanto chiudermi in posti come questo, e
spendere tutta la mia vita a leggere quello che vi è
contenuto. Non sarebbe fantastico?
La
polvere che si posa sulle rilegature, l’odore della carta
antica e dell’inchiostro sbiadito… »
«Sì,
sono certa che ci siano tante belle cose da
scoprire… » Rispose lei facendola ricomporre.
Twilight capì immediatamente l’antifona e si
affrettò a troncare. Ridacchiarono insieme, approfittando
del fatto che in quel momento l’intero salone era
completamente deserto.
«A
proposito, hai scoperto qualcosa che ci può
aiutare?» Riafferrò il discorso la pegaso.
«A
dire la verità non molto.» Sospirò
affranta l’alicorno. «Non ci sono molti libri che
parlano dei Kaiju in modo approfondito. E anche se li citano, dubito
che ci sia qualcosa di veritiero in queste pagine.»
Passò in rassegna il materiale che aveva raccolto.
«Secondo alcune teorie sono esseri spaziali, scesi sul nostro
mondo con strane navi volanti o mandati da qualche civiltà
nemica nel tentativo di conquistarci. Per altri sono invece agenti di
Madre Natura, che agiscono contro i pony per punirli della loro mala
condotta… » mentre parlava, si passava i libri tra
sé e sé con la telecinesi.
«Di
quale condotta parli? Perché mai Madre Natura dovrebbe voler
punire i pony?» Fluttershy era perplessa, e trasmise lo
stesso cupo pensiero a Twilight, che si mise a fissare il libro.
«Qualche
sorta di guerra che avevano provocato in passato, non saprei. Comunque
hai ragione, è stupida come cosa.»
Gettò via il tomo con poca eleganza, prima e unica volta che avrebbe
deliberatamente compiuto un’onta del genere.
«Ce
n’è una che mi ha interessato particolarmente,
però.» Disse riprendendo la sua cernita.
«Si tratta di una romanzo. Narra di una
lontana isola abitata da una coppia di Breezie, le quali hanno il
potere di evocare una gigantesca falena benevola per proteggere il
mondo quando qualcosa minaccia di distruggerlo. Ecco, in questo caso
credo che il Kaiju assolva al ruolo di salvatore dei pony, combattendo
al loro fianco contro altre creature malvagie.»
«Aww.
Questa la vorrei tanto conoscere!»
«Anch’io…
ma purtroppo sono storie di fantasia. Non esiste niente del genere al mondo.» Si appuntò il titolo del
libro (“Mosura”,
scritto
in lingua orientale) e lo ripose con gli altri. Lo avrebbe cercato con
più attenzione una volta ritornata a Ponyville.
«Non siamo neanche sicure che il termine
“Kaiju” sia azzeccato nel nostro caso. Forse si
tratta di un altro tipo di creatura, e noi siamo qui a leggere di
antichi miti e storie di fantasia.»
«Secondo
me sei troppo pessimista, Twilight. E poi sei stata tu a voler fare
delle ricerche a riguardo. Hai cambiato idea adesso?»
«No,
lo so… sto solo cercando di analizzare i fatti. Stiamo
cercando libri su delle vecchie leggende, mentre il pericolo
lì fuori è reale e odierno, e non sappiamo
nemmeno quando tornerà a colpire, né
dove!» Da quando avevano cominciato, a stento era riuscita a
contenere dentro di sé un dubbio. «Senti, te lo
devo proprio chiedere. Sei sicura di poter comunicare col Kaiju? Voglio
dire, sicura,
sicura?»
Fluttershy
piegò la testa sul libro che stava visionando. Un piccolo
aracnide dal corpo marrone castagno e l’addome irsuto stava
zampettando sulla pagina di sinistra. «Sai, Twilight. Ogni
animale richiede un approccio diverso per comunicare con esso. Certe
volte basta un semplice sguardo per capirsi… » lei
e il piccolo essere a otto zampe si osservarono per un momento. Poco
dopo questo abbandonò la propria posizione, calandosi
giù dal tavolo appeso a un filo. «… e
non parlo dello Sguardo, quello che intendereste voi. A volte ci vuole
davvero molto poco per entrare in sintonia con le creature di
Equestria… »
«Ma
non sempre è così… »
andò dietro al suo discorso l’alicorno.
«No,
infatti. Certe volte devo adottare un approccio diverso, a seconda del
tipo di creatura con cui mi trovo a che fare. Quelle più
piccole sono fragili e spaventate, con loro occorre pazienza e una voce
calma e garbata, non devono sentirsi in pericolo mentre ti rivolgi a
loro. Altre volte, invece, mi trovo davanti ad animali più
grandi e prepotenti. Con loro devo dimostrare di non avere paura, di
sapergli tenere testa senza esitare. I predatori, per esempio, vedono
l’esitazione come un segno di debolezza della preda, e
attaccano di conseguenza.» Il ragnetto di poco prima stava
formando una nuova tela sul ripiano basso di una delle librerie. Anche
lui era un predatore, e avrebbe pasteggiato con il prossimo ingenuo
insetto non appena qualcosa si sarebbe impigliato nella sua trappola.
«Poi ci sono delle eccezioni alla regola. Alcuni animali sono
veramente grossi, e potrebbero non sentire la mia voce quando mi
rivolgo a loro, ma questo non toglie che potrebbero spaventarsi a morte
a sentirmi gridare. Perciò devo stare attenta in quei casi,
misurare l’intonazione in modo da non sembrare
minacciosa.»
A
Twilight fece sorridere che qualche animale potesse trovare
“minacciosa” la sua amica. «Non sembra
così difficile a sentirti parlare in effetti, al
più ci vorrebbe un po’ di pratica per
imparare.»
«Sì,
perché io col tempo ho affinato questa dote e ora riesco a
modularmi al volo in base alle necessità. È per
questo che sono così sicura di poter comunicare col Kaiju.
Credo… anzi no! Sono certa che si sia trattato soltanto di uno
sgradevole equivoco, e quindi mi basterà parlarci per
chiarire tutto.»
«Spero
proprio che tu abbia ragione, amica mia» si
struggé «lo spero con tutto il cuore.
Perché altrimenti non so proprio che cosa inventarmi a parte gli Elementi dell’Armonia.»
«Te
lo garantisco, Twilight. Ci riuscirò!»
Tanta
sicurezza restituì un po’ di fiducia
all’alicorno fucsia. Non era comune vedere Fluttershy
così decisa nei riguardi di un incarico sensibile, ma del
resto si trattava del suo campo d’esperienza. Se
c’era qualcuno che poteva riuscire in un’impresa
del genere, quella era senz’altro lei.
«Continuerò
a cercare qui in giro, magari nell’archivio storico
troverò qualcosa che a Celestia è
sfuggito.» Disse Twilight, incamminandosi per il corridoio.
«Mi troverai lì se avrai bisogno di me.»
Ricevette
un cenno di risposta dalla pegaso, e allora si
avviò verso la direzione iniziata. Fluttershy intanto prese
a consultare alcuni dei libri che le aveva portato.
La
giumenta dell’Armonia si avvicinò a una piantina
delle sale che era appesa al muro. Sopra vi lesse le indicazioni per
trovare la strada dell’archivio (conosceva bene le
biblioteche di Canterlot e dell’Impero di Cristallo, ma
quella era ancora tutta da scoprire), in effetti non era lontana
dall’ala dedicata ai miti che aveva esplorato poco prima.
Fece per procedere, quando proprio in quel momento una saetta color
arcobaleno le volò incontro colpendola sul muso,
scaraventandola per aria. Il manto della pegaso era imperlato di sudore
e gli occhi, spalancati, danzavano da un estremo all’altro
del viso. «Dash, ma che…» Fece per
domandarle, ma fu troppo lenta.
«Presto
venite! Dobbiamo muoverci! Silver Sprint è tornato! Lo hanno trovato!»
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