Naturalmente, una cosa era l’intenzione, un’altra la realtà.
Irwing si sentì, molto presto, disperato e completamente esausto: l’acqua gelata
gli provocava fitte insopportabili dappertutto, e crampi alle mani e alle gambe, gli toglieva il
respiro: a malapena riusciva a tenersi a galla lui stesso, nonostante il salvagente,
e trovava sempre più arduo riuscire a tirarsi dietro anche la bambina; la quale
appariva, per ogni segno, assolutamente incapace di seguirlo a nuoto, e nemmeno di tenersi fuori dall'acqua. Irwing la
reggeva con un braccio, tenendola appoggiata sull’anca, stringendola contro il fianco destro, mentre con l’altro braccio si
dava la spinta; ogni poche bracciate si voltava a guardare la sua esile
compagna, che sembrava, nella strana, tenue luminosità di quella notte serena,
ogni minuto più livida e sfinita: cingeva il suo collo coi polsi incrociati,
non riuscendo più a piegare le dita quel tanto che bastava a tenersi stretta.
Aveva il viso, bianco come gesso, poggiato contro la sua
spalla, gli occhi spalancati e fissi, e respirava a fatica. L’acqua ghiacciata
aveva striato i suoi capelli scuri di brina argentea, che rifletteva la pallida
luce con un tenue scintillìo. Coi capelli imbiancati e le labbra raggrinzite e pallide, sembrava una vecchina. Anche le sopracciglia brillavano di minuscoli
cristalli di ghiaccio, come porporina d'argento, e la bocca sottile e spaccata dal gelo era di un bianco innaturale.
Irwing avrebbe voluto confortarla in qualche modo, ma non
aveva la forza per pronunciare nemmeno una parola; tentò un paio di volte di
parlare, ma dalla bocca gli uscì solo un sibilo rauco. Annie sollevò appena la
testa, lo guardò per un attimo, poi chinò di nuovo la testa sulla sua spalla,
in muta accettazione.
Attorno a loro decine di persone, tenute a galla dai
salvagenti, gridavano o piangevano, e il rumore delle loro voci lamentose che
si sovrapponevano e fondevano ricordò a Irwing un coro di locuste, come quelle
che sentiva dalla finestra della sua camera, in Pennsylvania. Doveva, a tratti,
difendersi dagli altri superstiti; resi folli dal terrore, cercavano di
aggrapparsi a lui, tirandolo sott’acqua.
Irwing si rendeva conto dell’orrore di Annie a queste
aggressioni improvvise dal modo in cui affondava le unghie nel suo collo e,
quando non fu più in grado di stringere le dita, nella maniera in cui
nascondeva il viso contro la sua spalla appena vedeva qualcuno avvicinarsi a
loro.
Irwing tentò di allontanarsi dalla folla di persone, per
evitare di essere trascinato a fondo da un passeggero terrorizzato.
Aveva visto, con suo sommo orrore, uomini adulti che, rimasti
senza salvagente o semplicemente incapaci di nuotare, si avvingjiavano alle spalle
di donne o ragazzini, spingendo loro la testa sotto l’acqua senza alcuna pietà,
per tenersi a galla, resi insensibili e brutali dal dolore e dalla paura.
Irwing nuotò, con la forza della disperazione, lontano dagli
altri sopravvissuti. Distolse lo sguardo quando vide una giovane madre dagli
occhi sbarrati, senza vita, che stringeva un infante bluastro e raggrinzito; galleggiava esanime, sorretta dal giubbotto; la spinse via, senza guardarla,
per evitare quella vista penosa agli occhi spalancati della bambina.
Nel momento in cui, con un gemito in cui si fondevano
dolore, sconforto e risentimento per quella fine assurda e ingiusta, Irwing
decise che non sarebbe riuscito a fare a nuoto nemmeno un altro metro, Annie
sollevò la testa, socchiuse i pallidi occhi come per guardare meglio, poi mosse
appena le labbra livide.
“Guar...da”, disse, in un soffio.
Con tremenda lentezza staccò un braccio dal suo collo e
indicò, con la mano irrigidita e bluastra, una massa chiara alla loro sinistra.
Irwing girò il collo dolorante.
A pochi metri da loro, uno sull’altro a formare una
instabile piramide, stava un grappolo di uomini infagottati in salvagenti candidi. Irwing aguzzò lo
sguardo.
Erano cinque o sei superstiti, aggrappati ai fianchi di una
scialuppa rovesciata. Irwing si domandò vagamente come facessero a non
scivolare nell’acqua; ma questo era l’ultimo dei suoi problemi.
Trascinandosi dietro la bambina, Irwing cominciò a dare
bracciate verso la scialuppa. A pochi metri dal suo obiettivo, il soprassalto
di vitalità che lo aveva preso alla vista della scialuppa lo abbandonò: si
sentì mancare le forze, ma un paio di mani si sporsero ad afferrarlo per il
collo fradicio della giacca.
Quasi privo di sensi, si lasciò strattonare verso l’alto, e
sentì appena la chiglia ricurva della scialuppa sotto il suo corpo.
“La bambina?”, chiese, in un sussurro, volgendo lo sguardo
annebbiato verso i volti biancastri e sfocati protesi su di lui.
“Accanto a voi”, rispose una voce autorevole, con un accento
che, forse, era irlandese.
Irwing disse qualcosa di incoerente in risposta, poi perse conoscenza.
Non si rese conto che, durante tutte le operazioni di
salvataggio – e rendendo tutta la manovra alquanto difficoltosa ai suoi
soccorritori -, non aveva mai tolto il braccio dalla vita della bambina.