NEVERVILLE
-3-
Quando al mattino mia
mamma parte per andare a lavoro, o almeno questo io penso che vada a
fare,
giù in città, mi affida alla vicina di
casa.
Ma prima mi saluta con
un abbraccio caldo e dolce, all'interno del quale mi faccio piccola
piccola, per assaporarlo tutto.
Poi si raccomanda che
dia retta, e con una mano stretta sul cuore si avvia in strada, a passo
svelto.
Il naso premuto contro i
vetri, la
vedo tagliare per il bosco, seguendo il sentiero, e so
-questi i
tempi che lei mi riferisce- che di lì a un'oretta
arriverà a destinazione. E di mia madre non resta
che un
alone di
fiato caldo alla finestra, e i segni che vi traccio dentro, con il
dito.
Non abbiamo
un'automobile, noi. Un'automobile funzionante, intendo.
Il mondo viaggia a
rilento, via terra, quanto sfreccia veloce nel cielo.
Di lì a poco,
sarebbero cambiate così
tante cose...
La vicina è
una brava donna. Anziana, come il resto degli abitanti di Neverville.
Io non capisco subito
-non posso
immaginare, in realtà- che non sono rimasti che vecchi e
forse altri bambini, qui, e non so altrove.
Che gli
adulti e i giovani ritenuti abbastanza in forze sono stati
arruolati, e le famiglie spedite nelle Colonie.
Ma mia madre non ha
accettato di
partire. Ha detto che i bambini non dovevano abbandonare la
Terra. Che avremmo trovato il modo di sopravvivere, e di convivere. Che
solcare lo
spazio era un azzardo troppo recente, per sentirsi al sicuro.
Che la minaccia che
aveva squassato e
devastato il nostro pianeta si era arrestata, forse soddisfatta di
quanto aveva saccheggiato e conquistato, e ci avrebbe lasciato
continuare la nostra vita in pace.
Che il nostro era un pianeta inospitale, per Loro, perché
troppo
ricco di acqua, e per Loro, l'acqua, era come un veleno (come
per
noi la mancanza di ossigeno, insomma, mi spiegava).
Mia madre non poteva
sapere, allora, quanto si sbagliava.
Mi accorgo di aver corso per il corridoio solo quando raggiungo la mia
porta, e ho il battito un poco accelerato.
Ma prima che riesca ad entrare, Pete è su di me.
Rimango
sorpresa, forse me lo legge sul viso.
Chissà perché mi aspettavo che fosse Jody a
corrermi dietro. E' quasi un fratello per me. Da quando lo conobbi
all'Accademia, almeno dieci anni fa.
E invece è Pete, che mi ha raggiunto, e ha posato la mano
sulla
parete, il braccio teso, il palmo aperto, tutto pericolosamente vicino
al mio viso.
- Non sparire -, mi dice.
La tuta è poco più di un colore sui suoi muscoli
tesi,
li vedo guizzare sotto alla tinta scura del tessuto, e il suo corpo,
così accosto al mio, è quasi caldo.
I suoi occhi chiari... me li immagino, puntati addosso al mio viso,
nascosto dal caschetto dei capelli, anche se fisso
ostinatamente il pulsante d'apertura, quasi che rispondesse ad un
comando ottico invece che tattile, e provo quasi un fastidio,
all'altezza dello stomaco, perché vorrei che mi
lasciasse
andare, che non cercasse di trattenermi, tanto meno parlare
con
me... e tanto meno cercare di capire.
- Dove vuoi che vada -, esclamo. -Voglio solo chiudermi in camera mia.
- Per favore... -, insiste. Poi sospira, si passa la mano tra i
capelli, e appoggia la schiena, dove ancora si consuma l'impronta umida
della sua mano.
- Mina -, mi chiama, ha il tono raddolcito adesso. - Tu te ne stai
già troppo
per conto tuo.
Potrei sgusciare nella mia stanza anche subito, eppure resto immobile,
a guardare la parete grigia e lucida.
Cos'è che mi inchioda qui?... Lui ha incrociato le braccia,
tiene gli occhi bassi, e nemmeno mi sfiora... eppure non riesco a
muovermi.
Lo guardo, tra le ciocche appuntite dei capelli. So che sente i miei
occhi, volti su di lui, ma non si arrende, ancora.
E' caparbio, lo conosco. Non potrebbe aver fatto la carriera che ha
fatto, altrimenti. Ma non percepisco prepotenza in lui.
L'ho già guardato, altre volte. L'ho osservato spesso, in
questi
mesi. E' alto, quasi come il Capitano, e bello, senza dubbio. Ma
è una descrizione riduttiva, che non gli rende affatto
merito. E
comunque, a parte Jody, è l'unico che passa un po' del suo
tempo
con me.
Scuoto la testa, perché sento che sta vincendo lui, senza
colpo ferire.
- Non mi va di tornare di là, con gli altri -, ammetto. Non di sicuro dopo una fuga del
genere. La voce un po' incerta, quasi lasciassi a lui la
possibilità di decidere per tutti e due.
- Ti va di stare un po' con me? -, mi chiede.
Mi sta guardando, adesso. Accenna un sorriso, ed è
maledettamente convincente quando fa così.
- Ti concedo che hai avuto una bella idea -, dico, sorridendo.
- Mi concedi? Beh, è già qualcosa -, ridacchia
lui.
Siamo adagiati, mollemente, su due chaises
longues, che ci hanno avvolto come una carezza,
nella Sala bianca. Poco più di un quadrato, in
realtà.
Stiamo per essere trasportati
in scenari
meravigliosi, a noi la scelta. Tramonti, cascate, foreste tropicali,
spiagge, scorci panoramici... una rassegna del National
Geographic, penso tra me e me. Da piccola ne ritagliavo le foto e poi
le incollavo sui
miei quaderni, era una vecchia collezione della mamma, di
quando era
bambina. Solo che qui percepiamo tutti i suoni, e gli odori, e i
profumi,
come se fossimo realmente
dentro al paesaggio.
Chi viene qui lo fa per ritemprarsi dal nulla che scorre oltre gli
oblò
dell'astronave. Forse qualcuno anche per ricordare com'era la Terra, o
per vedere cose che non ha mai visto. E preferisco non pensare cosa ci
venga a fare Jody. Sì,
sono molto gelosa di mio fratello.
Pete ha lasciato che scegliessi io, e se ne sta rilassato, le dita
intrecciate dietro la nuca, un ginocchio piegato, in attesa di finire dentro a
ciò che io ho in mente di selezionare.
Chissà a cosa sta pensando.
E io scelgo, senza esitare.
Stiamo sorvolando l'oceano come fossimo gabbiani. La superficie si alza
e si abbassa, ne vediamo ogni increspatura, ogni tonalità di
verde e azzurro. E poi isole lussureggianti, e spiagge bianche. Mi
piace l'acqua, oceano o lago che sia. Ne ho bisogno. Mi scorre nelle
vene, come linfa rigenerante. E non è una metafora.
Il sibilo del vento tra i capelli... par di sentirlo... sembra davvero
di volare.
Basta così poco per illudere
i nostri cervelli.
Pete è un pilota d'assalto di prima linea, come Jody. Loro
sì che vanno
veloci, sulle loro navicelle, altro che i gabbiani. Ma non possono
sentire questa brezza sul
viso, né respirare l'odore salmastro del mare.
- Neverville...? -. E' poco più di un sussurro. Lo
spettacolo è finito. Spio tra le ciglia, i
suoi occhi sono a un palmo dai miei. Si è sporto con il
busto, un gomito appuntellato, una mano attaccata al profilo
della mia chaise.
Sono pochi coloro cui permetto di chiamarmi così.
- Mmmh?
- Stai dormendo?
Rido.
- No, non sto dormendo. Avevo solo chiuso gli occhi.
Li apro, completamente, ma lui è ancora
lì. E per quelle
poche cose che so, della vita, giurerei che non se ne sta
lì,
incantato, solo per volermi guardare.
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Grazie di cuore a chi continua a leggere e commentare :)
Pian piano svelerò tutto, prometto, e capiremo meglio
missione, personaggi e ambientazione. Tra poco l'astronave
farà scalo ... :)
A presto!!
Amantea