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Autore: Amantea    20/11/2015    12 recensioni
"Un uomo legge il giornale seduto all'interno della sua automobile, ogni mattina.
Una donna anziana non mette mai il cappotto, nemmeno nelle mattine d'inverno più fredde.
Mia madre mi tiene per mano mentre camminiamo spedite, è presto, ma non poi così presto, me lo ripete, dolcemente, mentre mi tira un po', lungo la salita, che è faticosa per le mie gambette muscolose ma corte, rispetto alle sue. Mia madre ha lunghe gambe, dalla falcata decisa, e un poco nervosa.
Salutiamo i passanti, pochi in verità, perché qui, a Neverville, come le sento ripetere spesso, ci sono poche anime, e quasi tutte perdute."
Un'avventura negli spazi infiniti, una missione da compiere, narrata dalla voce della protagonista, che non è quello che sembra, ricordando la propria infanzia, temendo quello che sarà ...
La mia prima storia originale, prendendo a prestito la fantascienza per scavare nell'animo dei protagonisti.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-3-
NEVERVILLE


-3-



Quando al mattino mia mamma parte per andare a lavoro, o almeno questo io penso che vada a fare, giù in città, mi affida alla vicina di casa.
Ma prima mi saluta con un abbraccio caldo e dolce, all'interno del quale mi faccio piccola piccola, per assaporarlo tutto.
Poi si raccomanda che dia retta, e con una mano stretta sul cuore si avvia in strada, a passo svelto.
Il naso premuto contro i vetri, la vedo tagliare per il bosco, seguendo il sentiero, e so -questi i tempi che lei mi riferisce- che di lì a un'oretta arriverà a destinazione. E di mia madre non resta che un alone di fiato caldo alla finestra, e i segni che vi traccio dentro, con il dito.
Non abbiamo un'automobile, noi. Un'automobile funzionante, intendo.
Il mondo viaggia a rilento, via terra, quanto sfreccia veloce nel cielo.

Di lì a poco, sarebbero cambiate così tante cose...

La vicina è una brava donna. Anziana, come il resto degli abitanti di Neverville.
Io non capisco subito -non posso immaginare, in realtà- che non sono rimasti che vecchi e forse altri bambini, qui, e non so altrove.
Che gli adulti e i giovani ritenuti abbastanza in forze sono stati arruolati, e le famiglie spedite nelle Colonie.
Ma mia madre non ha accettato di partire. Ha detto che i bambini non dovevano abbandonare la Terra. Che avremmo trovato il modo di sopravvivere, e di convivere. Che solcare lo spazio era un azzardo troppo recente, per sentirsi al sicuro.
Che la minaccia che aveva squassato e devastato il nostro pianeta si era arrestata, forse soddisfatta di quanto aveva saccheggiato e conquistato, e ci avrebbe lasciato continuare la nostra vita in pace. Che il nostro era un pianeta inospitale, per Loro, perché troppo ricco di acqua, e per Loro, l'acqua, era come un veleno (come per noi la mancanza di ossigeno, insomma, mi spiegava).

Mia madre non poteva sapere, allora, quanto si sbagliava.



Mi accorgo di aver corso per il corridoio solo quando raggiungo la mia porta, e ho il battito un poco accelerato.
Ma prima che riesca ad entrare, Pete è su di me.
Rimango sorpresa, forse me lo legge sul viso.
Chissà perché mi aspettavo che fosse Jody a corrermi dietro. E' quasi un fratello per me. Da quando lo conobbi all'Accademia, almeno dieci anni fa.
E invece è Pete, che mi ha raggiunto, e ha posato la mano sulla parete, il braccio teso, il palmo aperto, tutto pericolosamente vicino al mio viso.
- Non sparire -, mi dice.
La tuta è poco più di un colore sui suoi muscoli tesi, li vedo guizzare sotto alla tinta scura del tessuto, e il suo corpo, così accosto al mio, è quasi caldo.
I suoi occhi chiari... me li immagino, puntati addosso al mio viso, nascosto dal caschetto dei capelli, anche se fisso ostinatamente il pulsante d'apertura, quasi che rispondesse ad un comando ottico invece che tattile, e provo quasi un fastidio, all'altezza dello stomaco, perché vorrei che mi lasciasse andare, che non cercasse di trattenermi, tanto meno parlare con me... e tanto meno cercare di capire.
- Dove vuoi che vada -, esclamo. -Voglio solo chiudermi in camera mia.
- Per favore... -, insiste. Poi sospira, si passa la mano tra i capelli, e appoggia la schiena, dove ancora si consuma l'impronta umida della sua mano.
- Mina -, mi chiama, ha il tono raddolcito adesso. - Tu te ne stai già troppo per conto tuo.
Potrei sgusciare nella mia stanza anche subito, eppure resto immobile, a guardare la parete grigia e lucida.
Cos'è che mi inchioda qui?... Lui ha incrociato le braccia, tiene gli occhi bassi, e nemmeno mi sfiora... eppure non riesco a muovermi.
Lo guardo, tra le ciocche appuntite dei capelli. So che sente i miei occhi, volti su di lui, ma non si arrende, ancora.
E' caparbio, lo conosco. Non potrebbe aver fatto la carriera che ha fatto, altrimenti. Ma non percepisco prepotenza in lui.
L'ho già guardato, altre volte. L'ho osservato spesso, in questi mesi. E' alto, quasi come il Capitano, e bello, senza dubbio. Ma è una descrizione riduttiva, che non gli rende affatto merito. E comunque, a parte Jody, è l'unico che passa un po' del suo tempo con me.
Scuoto la testa, perché sento che sta vincendo lui, senza colpo ferire.
- Non mi va di tornare di là, con gli altri -, ammetto. Non di sicuro dopo una fuga del genere. La voce un po' incerta, quasi lasciassi a lui la possibilità di decidere per tutti e due. 
- Ti va di stare un po' con me? -, mi chiede.
Mi sta guardando, adesso. Accenna un sorriso, ed è maledettamente convincente quando fa così.

- Ti concedo che hai avuto una bella idea -, dico, sorridendo.
- Mi concedi? Beh, è già qualcosa -, ridacchia lui.
Siamo adagiati, mollemente, su due chaises longues, che ci hanno avvolto come una carezza, nella Sala bianca. Poco più di un quadrato, in realtà.
Stiamo per essere trasportati in scenari meravigliosi, a noi la scelta. Tramonti, cascate, foreste tropicali, spiagge, scorci panoramici... una rassegna del National Geographic, penso tra me e me. Da piccola ne ritagliavo le foto e poi le incollavo sui miei quaderni, era una vecchia collezione della mamma, di quando era bambina. Solo che qui percepiamo tutti i suoni, e gli odori, e i profumi, come se fossimo realmente dentro al paesaggio.
Chi viene qui lo fa per ritemprarsi dal nulla che scorre oltre gli oblò dell'astronave. Forse qualcuno anche per ricordare com'era la Terra, o per vedere cose che non ha mai visto. E preferisco non pensare cosa ci venga a fare Jody. Sì, sono molto gelosa di mio fratello.
Pete ha lasciato che scegliessi io, e se ne sta rilassato, le dita intrecciate dietro la nuca, un ginocchio piegato, in attesa di finire dentro a ciò che io ho in mente di selezionare.
Chissà a cosa sta pensando.
E io scelgo, senza esitare.

Stiamo sorvolando l'oceano come fossimo gabbiani. La superficie si alza e si abbassa, ne vediamo ogni increspatura, ogni tonalità di verde e azzurro. E poi isole lussureggianti, e spiagge bianche. Mi piace l'acqua, oceano o lago che sia. Ne ho bisogno. Mi scorre nelle vene, come linfa rigenerante. E non è una metafora.
Il sibilo del vento tra i capelli... par di sentirlo... sembra davvero di volare.
Basta così poco per illudere i nostri cervelli.
Pete è un pilota d'assalto di prima linea, come Jody. Loro sì che vanno veloci, sulle loro navicelle, altro che i gabbiani. Ma non possono sentire questa brezza sul viso, né respirare l'odore salmastro del mare.
- Neverville...? -. E' poco più di un sussurro. Lo spettacolo è finito. Spio tra le ciglia, i suoi occhi sono a un palmo dai miei. Si è sporto con il busto, un gomito appuntellato, una mano attaccata al profilo della mia chaise. Sono pochi coloro cui permetto di chiamarmi così.
- Mmmh?
- Stai dormendo?
Rido.
- No, non sto dormendo. Avevo solo chiuso gli occhi.
Li apro, completamente, ma lui è ancora lì. E per quelle poche cose che so, della vita, giurerei che non se ne sta lì, incantato, solo per volermi guardare.




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Grazie di cuore a chi continua a leggere e commentare :)
Pian piano svelerò tutto, prometto, e capiremo meglio missione, personaggi e ambientazione. Tra poco l'astronave farà scalo ... :)
A presto!!
Amantea

   
 
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