3.
Un uomo è fatto di scelte e di circostanze. Nessuno ha
potere sulle circostanze, ma ognuno ne ha sulle proprie scelte.
Ci sono cose
che un belonefobico non dovrebbe vedere, mai, e per svariate ragioni.
Ragione uno: gli aghi, un belonefobico, se li sente nella carne appena
li vede, non importa che abbiano già trovato nido in
un’altra pelle; ragione uno, parte due: a vedere quegli aghi
– quelle decine di aghi, che però sembrano
più centinaia
– e a vederli in un’altra pelle, ma ad
immaginarseli nella propria, il belonefobico prova un immediato,
inevitabile senso di empatia ibridato a paura. Da lì alla
pietà, il passo è breve.
Fissava il
volto del suo nemico, di quel nemico che era anche il nemico del mondo.
Solo il volto. Il resto del corpo no, per carità, no. Lo
aveva visto nel complesso un istante appena, e tanto gli era bastato;
lo aveva visto dalla porta, da lontano, e si era coperto gli occhi ed
era voluto scappare, e lo avrebbe fatto, se non fosse stato che la
linea diretta fra lui e la fuga da quella scena raccapricciante passava
attraverso o sopra il dottore ethberiano.
Sembrava un
film dell’orrore. E non era la carne gonfia e tumefatta e
violacea, non erano i punti di sutura o le bende sporche di sangue o il
moncherino della coda che non era stato riattaccato del tutto,
perché mancava ancora un pezzo che era rimasto su Namecc;
non era il respiratore, il tubo infilato giù per la gola che
forzava i polmoni a prendere aria.
Era la
schiena, era la vita. Dio, sembrava agopuntura, sembrava un film
dell’orrore.
Aveva tremato.
Il dottore di Ethbera l’aveva guardato con preoccupazione e
cautela, perché aveva gli occhi sbarrati di una preda in
gabbia troppo terrorizzata anche solo per nascondersi.
Freezer era
steso sulla schiena in un baldacchino di fili e flebo. Poteva quasi
sembrare un letto d’ospedale o una sedia molto inclinata, ma
doveva esserci uno spacco, nel centro dello schienale,
perché entravano gli aghi, da lì, dritti nella
schiena di Freezer, dalla base del collo alla radice della coda, in
più e più file; lo schienale
s’interrompeva all’altezza della vita per poco
più di una spanna, e lì c’era un intero
anello di più file di aghi piantate attorno allo squarcio di
bisezione, alcune file sopra ed alcune file sotto. Era stato fatto
passare anche quel che restava della coda, attraverso quello spacco, e
anche il moncherino non era stato risparmiato…
A vederlo
poteva quasi ricordare un porcospino, in qualche modo; a lui aveva solo
fatto pensare a… non sapeva neppure lui cosa. In
realtà, non aveva pensato proprio a niente, in quel momento.
Dio, era orribile, era spaventoso.
«Elettrostimolatori»
aveva spiegato il dottore, dandogli una ragione per distogliere lo
sguardo da quello spettacolo raccapricciante. «Cerchiamo di
convincere il suo corpo a riaccettare la parte amputata».
∞
Si
svegliò fissando un soffitto bianco e metallico e solcato da
sottili linee ondulate, e gli ci volle ben più di un secondo
per rendersi di essere in ospedale alieno e non a casa, sui Paoz, con
Gohan e Chichi e una tavola imbandita di ogni bendidio che sua moglie
avesse avuto voglia ci cucinare, e Crilin a cena a casa loro e Piccolo
e…
Crilin era
morto. Piccolo… Piccolo gli piaceva pensare che si fosse
salvato, ma Piccolo aveva un buco nel cuore, l’ultima volta
che l’aveva visto. E lui non era a casa, lui era su Ethbera,
e non c’era nessuno che ridesse, su Ethbera. E
c’era Freezer, su Ethbera. Da qualche parte, qualche piano
più in su, c’era Freezer, se era an… era vivo. Si
passò una mano sul viso, dal mento alla tempia e poi fra i
capelli neri e scompigliati. Dio, Freezer era vivo. L’aveva
salvato lui, che non era riuscito a salvare Crilin e Vegeta, e Piccolo,
che se era vivo non lo doveva certo a lui. Non era riuscito a salvare
il proprio migliore amico e chi aveva protetto e cresciuto suo figlio
in sua assenza, ma chi li aveva uccisi… lui
l’aveva salvato. Il mostro, l’aveva salvato eccome.
Si
tirò su a sedere con un sospiro, e le sue costole incrinate
protestarono, quasi a dargli un altro ricordo più diretto di
cosa gli avesse fatto passare quella creatura che respirava ancora solo
a causa sua.
«Buongiorno, Son Goku».
C’era
un che di comico nel modo in cui sollevò lo sguardo, senza
inghiottire l’enorme boccone che gli gonfiava le guance o
raddrizzare la schiena. «Oh, dohore!»
biascicò, poi inghiottì e ritentò.
«Dottore! Salve! Ha… ehm… bisogno di
me?».
«Che
tu possa crederlo o no, parte del contratto di un medico è
l’obbligo di ritagliarsi qualche minuto per
mangiare».
Il sorriso di
Goku si allargò mentre il dottore sedeva difronte a lui e
posava un vassoio sul tavolo. «Questo è
giustissimo!».
Fu il dottore
a rompere il silenzio, qualche minuto dopo. «Ieri
è stata una giornataccia».
Goku
s’infilò un boccone in bocca, masticando
lentamente ed osservando con cautela l’ethberiano. Alla fine
annuì.
Il dottore
ripeté il gesto in modo meccanico, sovrappensiero.
«Sì, certo…»
mormorò.
Gli occhi del
Sayan ricaddero sul suo piatto. Il dottore voleva chiedergli qualcosa,
e lui lo sapeva. Sarebbe stato semplice, nella sua natura, uscirsene
con ‘Ha bisogno di qualcosa?’, ma… Freezer. Non voleva
tornare a parlare di Freezer, a pensare a Freezer. Freezer gli
martellava in testa come un pensiero fisso anche senza che ci pensasse
il dottore.
Quando
l’ethberiano posò le posate con un vago tintinnio,
Goku irrigidì leggermente la mascella. Presentimento,
aspettativa, inevitabilità… era un po’
come quando faceva qualcosa che Chichi non sopportava, e lui sapeva che
lei non lo sopportava e che si sarebbe arrabbiata, quindi la sfuriata
se l’aspettava, quando alla fine arrivava.
«Ieri
nessuno ha avuto né il tempo né le energie di
fare domande» iniziò infine il dottore.
«Ma io ho
bisogno di sapere chi sia quella creatura, Son Goku. Ho
notato come tu abbia evitato di darmi qualsiasi informazione a
riguardo».
«Non
farà del male a nessuno, glielo prometto su quello che
vuole!» gettò le mani avanti, Goku, con uno
slancio che si spense un istante dopo aver pronunciato quelle parole,
resosi conto di aver appena confermato i peggiori sospetti
dell’alieno seduto difronte a lui.
Ma questi
annuì di nuovo, lentamente e senza distogliere lo sguardo
dagli occhi neri del Sayan. «Mi sembri una brava persona,
Goku» osservò lentamente. «Chiamala
deformazione professionale, ma chiunque lotti a tal punto per salvare
qualcuno deve esserlo, almeno ai miei occhi. Ma questo non fa che
fortificare la mia necessità di sapere la verità:
perché ti sei sentito in dovere di dirmi che non avrebbe
fatto del male a nessuno? Io non ho mai toccato questo argomento. Cosa
devo presumere?».
Quanto
può essere lungo un minuto, quanto rumore si può
percepire nelle orecchie a dispetto di un silenzio assoluto e denso?
Goku non guardava l’ethberiano negli occhi e non toccava
posate. C’era una scheggia di crosta di pane, proprio sul
bordo del tavolo, e traballava, in bilico fra il piano ed il vuoto.
Quanto a lungo
si può difendere un nemico, quanto a lungo si può
ingannare un innocente? C’era il timore, ma c’era
la giustizia e forse era davvero ora di lasciar cadere la maschera. La
prima crepa, d’altronde, già l’aveva
aperta. Forse… Lui aveva salvato Freezer, lui sapeva cosa fosse Freezer
e sapeva che nessuno, nessuno del tutto sano o che non fosse mostro
avrebbe accettato di curare il mostro. E lui… lui
l’aveva salvato, ma non era stato programmato, non era stato
quello il piano: il suo piano sarebbe dovuto terminare con un cadavere.
Non aveva voluto salvarlo, ma non aveva neppure voluto ucciderlo, e
confessare la verità adesso, confessarsi adesso…
quello significava ucciderlo, perché nessuno del tutto sano
avrebbe salvato un mostro. Ma forse… forse…
C’era il timore, ma c’era la giustizia, e forse era
davvero ora che Freezer si scontrasse con le proprie colpe.
«Lui…
non è una brava persona» ammise infine. E, dio,
era una minimizzazione tanto grande da sfiorare l’ennesima
bugia. «E non è mio amico. A dire il vero non
l’ho conosciuto molto prima di lei, sa, non l’avevo
mai visto prima di due giorni fa: ho dovuto combatterlo per salvare i
miei amici… è stato allora che ha…
ehm… perso il controllo della sua stessa tecnica e si
è, beh… ridotto… così».
«È
a causa sua che sei lontano dal tuo pianeta natale?».
La domanda era
inaspettata, e Goku piegò leggermente la testa di lato
mentre cercava di rimettere in ordina i pensieri. Era a causa sua, di
Freezer? No, no… Loro erano andati su Namecc per cercare le
Sfere del Drago, e lui era andato dopo perché i suoi amici
erano in pericolo a causa… Corrugò le
sopracciglia, ricordando perché era partito con tanta
urgenza. All’epoca non aveva mai sentito nominare Freezer,
quindi non ci aveva mai pensato, né ne aveva avuto il tempo
o il modo, ma sì: era stato a causa di Freezer. Era iniziata
con Vegeta e Nappa sulla Terra, che avevano ucciso Yamcha Thenshinhan e
Jaozi, che si era sacrificato, ma Vegeta e Nappa erano iniziati con le
Sfere del Drago, con Radish, e Radish aveva detto di essere
lì perché commerciava pianeti. Allora non lo
sapeva, e non aveva fatto il collegamento dopo, ma era… dio,
era così. La sua morte, Gohan costretto ad allenarsi e a
faticare e a sacrificare la propria innocenza, le lacrime di Chichi, le
lacrime di Bulma, le morti e i sacrifici e la paura… tutto
era iniziato con Freezer, tutto il male era venuto da Freezer, in un
modo o nell’altro.
«Io…
immagino di sì. Cioè… non proprio, non
è esattamente partita da lui».
«Ha
invaso il tuo pianeta natale?» chiese in un soffio il
dottore, e nei suoi occhi era riflesso il dolore di chi sa e ha vissuto.
Goku fece di
no con la testa. «Non è stato lui, è
stato… un altro» si corresse: pensare a Radish
come a suo fratello era quasi insopportabile. «L’ho
eliminato, ma quelli che sono venuti dopo erano molto più
forti e hanno fatto molti più danni, così per
rimediare i miei amici sono partiti verso il pianeta Namecc.
All’inizio non sono potuto andare con loro, ma li ho
raggiunti dopo. L’ho incontrato lì, mentre voleva
conquistare Namecc, e l’ho combattuto e sconfitto».
«Dunque,
correggimi se sbaglio, non siete in rapporti amichevoli,
tutt’altro».
Goku
annuì. «Già»
sospirò. «A dire il vero non mi stupirei se
cercasse di nuovo di uccidermi, ma non si preoccupi!»
esclamò, sollevando un pugno con aria combattiva ed un
sorriso determinato. «Sono sicuro di poterlo tenere a bada se
dovesse provare a fare qualche sciocchezza!».
Terminò
la frase ridacchiando, ma un istante dopo non ridacchiava
più ed un istante dopo ancora abbassava il braccio ed il
pugno e lasciava che il sorriso gli scivolasse via dalla faccia, il
peso dalle spalle, perché ecco, ecco,
gliel’aveva alla fine detto, al dottore: aveva infilzato il
mostro sotto al letto, e poi l’aveva tirato fuori per
metterlo dentro
al letto, e nella stanza accanto c’erano suo figlio e sua
moglie e tutti gli innocenti ed in una stanza accanto ancora tutte le
vittime del mostro, una piramide di cadaveri ancora caldi.
Gliel’avrebbe detto, il dottore, come gliel’avrebbe
detto Crilin, se Crilin avesse potuto ancora dire qualsiasi cosa:
brutta scelta, Goku, bruttissima scelta. Non si salvano i mostri, i
mostri mordono anche con la museruola, lo trovano il modo, stanne certo.
«Mi
ha chiesto aiuto» sospirò, guardando il dottore
con occhi dispiaciuti, come se fosse un motivo ragionevole, come se la
sua fosse stata una scelta sensata, come se fosse abbastanza per
convincere qualcuno a rischiare. «Sa, non avevo in mente di
salvarlo, ma mi ha chiesto aiuto, e io…».
Il dottore
sorrise. «Non credere che non lo sappia. È il
dovere di un medico, dopotutto, aiutare tutti coloro che soffrono senza
fare distinzioni».
Era
ciò che voleva sentirsi dire, scoprì: non essere
l’unico a dar qualche valore alla vita di un mostro.
Rizzò le orecchie e guardò l’ethberiano
con malcelata speranza. «Allora a lei non importa?».
«Non
gli rifiuterò le cure che gli sono dovute, no, ma è
rilevante, vorrei che tu te ne rendessi conto» disse il
medico, guardandolo gravemente. «Ho il timore, Goku, che tu
stesso non ti sia reso completamente conto di chi sia questa creatura,
né coloro che hanno invaso il tuo pianeta natale».
Il Sayan lo
guardò battendo due volte le palpebre, perplesso. Lui sapeva
chi era quello, davvero,
se c’era una cosa che gli era ben chiara di quella storia era
proprio chi diavolo fosse il demonio che aveva salvato.
L’ethberiano
sospirò. «Non so da dove tu venga, Son Goku, ma mi
dai l’idea di sapere poco, molto poco, di un mostro di nome
Freezer».
«Eh…?»
inarcò un sopracciglio, piegando la testa di lato, sempre
più perplesso. Beh, si disse, lo aveva definito mostro, ma
perlomeno non aveva tirato fuori la forca…
«Sai
chi è questo?».
«Eh?».
Sembrava un
vecchio ritaglio di una immagine stampata, ed era completamente
accartocciato, rovinato. Il dottore glielo fece scivolare sul tavolo,
schiacciandolo sotto una mano per appiattirlo, ma era inutile:
c’erano crepe, increspature impossibili da cancellare e da
rimuovere; doveva essere stato tirato fuori più e
più volte ancora, disteso e riaccartocciato senza cura e
senza rispetto, come spazzatura.
Rimosse la
mano e Goku lo guardò: c’erano occhi rossi a
restituire il suo sguardo piuttosto curioso e vagamente perplesso,
occhi rossi, taglienti e crudeli, leggermente socchiusi in un sorriso
che del sorriso vero non aveva nulla, neppure una parvenza di parodia.
Aveva due leggere rughe d’espressione agli angoli della bocca
e la mano sinistra sollevata quasi timidamente davanti alle labbra, con
le dita piegate in un atteggiamento che poteva quasi ricordare quello
d’una nobildonna, ma che della leggiadra innocenza non
possedeva nulla più di quanta fosse la sincerità
di quel suo sorriso artefatto. Goku raccolse il foglietto per
avvicinarlo agli occhi, ed intanto faceva scorrere lo sguardo sulla
conformazione ossea che avvolgeva il capo della creatura come un elmo,
sulle corna nere, brutali e lisce come quelle di un demone, sulla pelle
rosa pallidissimo del volte e della mano e sulla colorazione
più scura delle guance. Era una femmina? Qualcosa, come un
istinto, gli diceva che la postura e l’eleganza
dell’alieno erano ingannevoli. Cercò il suo petto,
ma la fotografia s’interrompeva prima e… e quella
era la divisa di Vegeta e di Ginew, era la divisa dell’impero
di Freezer! Ma cosa… chi era?
Il dottore
ethberiano lo strappò alle sue osservazioni. «Non
ho molto tempo, temo» disse, gettando un’occhiata
ad una schermata a muro che doveva essere un orologio. Goku lo
guardò distrattamente, ma quelli non erano numeri per quel
che lo riguardasse, proprio no. «…ma ti
darò qualche rapida lezione. Lezione uno: chi ti parla di
‘Lord’ Freezer è tutto
fuorché amico della libertà. Freezer non
è un Lord, se non nel suo Impero corrotto. Freezer
è un mostro, un essere inumano. Qui lo chiamiamo il Mercante
di Vite, perché più o meno è quello
che fa: trova un pianeta, e se gli piace lo conquista e lo rivende, e
quelli della popolazione che non può usare per ampliare la
file del suo esercito vengono ridotti in schiavitù o
venduti, o entrambi. E se un pianeta non gli piace… Nella
sua mente tutto esiste per uno scopo, e quello scopo è
essere utile o gradevole a lui. E sei esisti per uno scopo, e poi
quello scopo perde peso tu non esisti più, punto. Ci sono
dicerie, voci, secondo le quali sia l’essere più
potente dell’universo; si dice che possa far scomparire
pianeti interi con una sola imposizione della sua mano».
Goku strinse
la mascella e le sue dita si contrassero, spiegazzando ancor di
più il ritaglio che teneva ancora in mano. Lo sapeva,
maledizione, lo sapeva benissimo. Radish già glielo aveva
detto, e poi aveva visto lo stesso Freezer all’opera e aveva
provato sulla sua pelle la filosofia distorta di
quell’essere:
Che
ne diresti di lavorare per me? Sarebbe uno spreco ucciderti…
«Chi
lo segue» proseguì l’ethberiano.
«…non lo fa mai per reale fedeltà.
Molti lo fanno per terrore, perché rendersi utili ai suoi
occhi significa tenere in vita la propria famiglia. Lo so, Goku,
perché ne ho incontrate, di quelle creature. Alcuni
continuano a servirlo fino alla morte, e sono i disperati; altri, i
più coraggiosi, disertano alla prima occasione e cercano
rifugio presso altri eserciti, e sono quelli che spesso credono di non
avere più nulla da perdere. Ma molti sono parassiti,
scalatori sociali, che baciano i suoi piedi solo per vanagloria o
prospettiva di guadagno o perché sono esattamente come lui.
C’è stata una razza intera ormai estinta, quella
dei Sayan, che si era unita a lui proprio per questo: amavano
distruggere e conquistare, erano vermi, ingordi di gloria e assetati di
sangue. Freezer poteva dar loro tutto questo, e loro avevano visto nel
suo potere una rampa di lancio perfetta. Erano mostri, ma Freezer lo
era di più: li ha spazzati via tutti, dal primo
all’ultimo, e solo quel cane rognoso, figlio di quello che
una volta era stato il Re, il ‘Principe’
è stato risparmiato e continua a uccidere e
saccheggiare… il suo piccolo animaletto domestico, il trofeo
di Freezer».
Era strano,
disagiante, quasi spaventoso sentir parlare della propria razza dal
dottore. Gliene aveva parlato già Radish, e poi Re Kaioh,
Vegeta e, santo cielo, anche Freezer si era più volte
premurato di tornare sull’argomento, ma questo…
Questo era la razza Sayan vista dagli occhi di un innocente, di una
creatura normale, e se prima aveva provato di disgusto ed era stato
doloroso, ora era persino peggio. Ora lo sentiva quel
disgusto e quell’odio che gli cadeva addosso assieme alle
parole, ed era indirizzato a lui, solo a lui, riguardava lui, che era
l’ultimo dei Sayan.
«Il
Principe dei Sayan è morto» disse prima di
riuscire a trattenersi. «Era fra quelli che sono morti su
Namecc».
L’ethberiano
sussultò sotto l’impatto di quella notizia, poi
piegò leggermente la testa di lato e sorrise, un sorriso
come Goku non l’aveva mai visto, lento e sgradevolissimo e
malevolo. «Buon per l’universo» rispose.
«E se è morto annegato nel suo stesso sangue,
piangendo e strisciando come un patetico verme, allora esiste ancora
della giustizia divina in questo mondo a catafascio».
Goku lo
guardò turbato, gettando la testa all’indietro.
Ricordava la morte di Vegeta, tanto quanto ricordava quella di Crilin.
Bastava chiudere gli occhi ed erano lì, impresse a fuoco
dietro alle palpebre. La ricordava bene e non c’era niente di
cui rallegrarsi, perché era stata una morte orrenda,
ingiusta, e non capiva come l’ethberiano potesse esserne
rallegrato, proprio lui, che aveva appena detto che il suo dovere era salvare delle vite
e che era disposto a curare persino Freezer.
Fu uno strano
suono ad impedirgli di parlare. Risuonò nella mensa e nei
corridoi: Ko–dlong,
ko–dlong.
L’ethberiano
voltò immediatamente la testa, scrutando gli angoli della
mensa e il soffitto, in attesa.
Dottor
Valedo in chirurgia, Terzo Piano, A59 Rosso.
«…Temo
che il dovere mi reclami, dovremo continuare la nostra conversazione in
un altro momento» sospirò il medico, alzandosi
rapidamente da tavolo con un gesto fluido. «Non temere, non
ha nulla a che fare con il nostro… non amico: il
paziente dell’A59 è un meccanico di
astronavi… ha quasi perso un braccio durante una
riparazione» lo informò, quasi serenamente.
«Lo
ha ucciso Freezer» lo disse tutto d’un tratto alla
schiena del dottore, e non seppe neppure lui perché.
Valedo si
fermò di colpo e si voltò verso di lui,
guardandolo perplesso.
«Vegeta,
il Principe dei Sayan, lo ha ucciso Freezer: ero
lì» insistette.
Non sapeva
cosa volesse, non sapeva che reazione si aspettasse, ma il modo in cui
l’ethberiano sgranò gli occhi e dischiuse la
bocca, lo shock totale sul suo volto furono inaspettati. Sembrava
paralizzato lì e fissava Goku come se avesse visto un
fantasma; Goku sosteneva il suo sguardo con occhi determinati e pugni
chiusi.
Ko–dlong,
ko–dlong.
Dottor
Valedo in chirurgia, Terzo Piano, A59 Rosso.
Il dottore
sussultò e si riscosse, gettò un occhiata al
soffitto ed una alla porta d’uscita, ma non
sfrecciò via come Goku si sarebbe aspettato:
riportò lo sguardo su di lui, aveva gli occhi sbarrati.
«Tu…»
sussurrò, e mosse un passo nella direzione del Sayan. Gli
strappò di mano il foglietto e lo tenne sollevato,
l’immagine rivolta verso Goku. Lo agitò, quasi
volesse essere sicuro che vi concentrasse tutta la sua attenzione.
«Tu hai visto… Freezer era su Namecc?».
…Eh?
Goku
batté le palpebre e si piegò appena in avanti,
guardando il dottore ethberiano ad occhi sgranati. La sua
perplessità era totale mentre sollevava l’indice
della mano destra a grattarsi piano la guancia. Guardava Valedo e
guardava l’immagine, pensava a Freezer e
all’assurdità della domanda appena ricevuta ed in
lui iniziava a torcersi il vago presentimento d’aver
tralasciato qualche importante tassello di quella conversazione.
«Ehm…
beh… è ovvio…?»
riuscì ad articolare dopo qualche istante.
«Insomma, è per colpa sua che poi non siamo potuti
rimanere su Namecc e siamo dovuti venire qui: stava esplodendo
perché Freezer ha deciso di distruggere tutto il pianeta,
quando le cose per lui si sono messe male».
E stava per
chiedere cosa centrasse quella creatura cornuta ed effemminata con
Freezer, ma udire le ultime parole della frase parve illuminare il
dottore dall’interno. «‘Messe
male’?» indagò subito, e c’era
una sorta di avidità maligna, nel fondo della sua malcelata
eccitazione. «Freezer stesso ne è uscito
danneggiato?».
Goku
batté le palpebre e la sensazione di aver tralasciato
davvero qualcosa di importante, di importantissimo, tornò a
martellargli contro le tempie. Perché il dottore
l’aveva visto, Freezer, l’aveva ricucito pezzo per
pezzo e non era stato certo neppure lui che sarebbero bastati i
medicamenti e i punti di sutura a tenerlo insieme, e dato che
l’aveva visto che senso aveva una domanda simile?
«Sai
perché porto sempre una foto di Freezer, in tasca, quando
lavoro?» chiese tutto d’un tratto il dottore, dando
una leggera scossa al foglietto.
Una foto
di…? Goku non ebbe neppure il tempo di assimilare il
concetto, né di fare nulla che non fosse il guardare
inebetito il foglietto e quella maledetta figura rosata e cornuta e
pensare che no, un
momento, Freezer?
«…Fbrenha,
il pianeta a cui ho inviato un campione del sangue della creatura che
tu hai tratto in salvo non è sempre stato l’unico
pianeta affilato ad Ethbera» riprese il dottore, cambiando
bruscamente discorso. «Ve n’era un altro, si
chiamava Vochdre. Era più lontano, a quasi trecentoundici ghuarmts da
Ethbera. Quando è stata scattata questa foto lavoravo
lì come infermiere, anni fa, e io c’ero, il giorno
in cui ‘Lord’ Freezer venne a farci visita: il
pianeta rientrava… rientrava
nei suoi interessi, disse così. Propose un
accordo, e Vochdre accettò» parlava e la sua voce
traboccava d’odio e disgusto e impotenza. «Sette
mesi dopo Vochdre non esisteva più. Io tornai a casa pochi
giorni dopo aver saputo che il pianeta si sarebbe alleato a Freezer, ed
è per questo che oggi vivo ed ho in tasca questa fotografia:
Freezer è venuto a distruggerci.
L’ha
fatto sorridendo, promettendo un futuro migliore. Funziona
così, per quel che lo riguarda, nulla è
insostituibile, neppure le vite di coloro che lo servono
fedelmente». Accennò con un movimento del capo
all’alto, oltre il soffitto, e prese un respiro profondo e
mise la fotografia ritagliata sul tavolo, proprio davanti ad un sempre
più inebetito Goku. «Porto questa foto con me per
ricordarmi, davanti a qualcuno che non riesco a salvare, feriti,
martiri e vittime di guerra, che alla domanda
‘perché capita tutto questo’
c’è una risposta, ed ha un volto e un
nome».
Ko–dlong,
ko–dlong.
Dottor
Valedo in chirurgia, Terzo Piano, A59 Rosso.
«Temo
di dover davvero scappare, ma la tua notizia mi hai rallegrato la
giornata, Son Goku. Spero, un giorno, di poter udire anche la notizia
della sua morte».
Lo
salutò con cenno del capo e lo lasciò
lì imbambolato in mezzo alla mensa, con quella fotografia
stropicciata sul tavolo.
Goku si
grattò la testa e gettò un’occhiata in
tralice alla figura nella foto. «Tu ridi, ma io non ci ho
capito niente, sai?».
∞
«Poi
mi dovrai spiegare perché il dottore crede che questo sia
tu» lo informò Goku con un vago brontolio,
agitando l’immagine stropicciata che teneva stretta fra
l’indice ed il medio.
Dal letto,
nessuna risposta, e sotto un certo punto di vista era persino meglio.
Non erano passate che poche ore da che si era trovato per la prima
volta in quella stanza, al cospetto di quello spettacolo
raccapricciante ed era quasi voluto scappare, e niente era cambiato:
non gli aghi o la carne violacea e gonfia e tumefatta, non i fili o il
respiratore infilato giù per la trachea, e quindi era meglio
che Freezer continuasse a dormire. Niente sofferenza, niente dolore,
niente sangue in bocca o sulle bende o nei polmoni, niente ferite
riaperte, niente collera o spergiuri. Davvero, meglio che continuasse a
dormire per un po’ di tempo, ancora. Di risvegliarsi in una
condizione come quella in cui si trovava, Goku non lo augurava neppure
a lui. Di trovarselo davanti, sveglio e ferito e furibondo, senza una
mezza parola pensata o un mezzo motivo, senza un mezzo piano per
gestire la situazione… decisamente non lo augurava a
sé stesso, questo.
Ficcò
in tasca la fotografia e poggiò le mani sul bordo del
comodino metallico su cui si era appollaiato, dondolando le gambe,
agitato e pensieroso. Qualche istante dopo voltò nuovamente
la testa verso il nemico sconfitto.
«Almeno
te li meritassi, tutti i casini che sto facendo per tenerti in
vita» rognò con una vaga punta
d’ostilità, poggiando i gomiti sulle ginocchia.
«Spero proprio che ti dimostrerai un po’
più ragionevole di quanto lo sei stato su Namecc,
perché già così io non so davvero
perché voglio aiutarti».
Balzò
giù dal comodino e si avvicinò di qualche passo
al letto. Estrasse e avvicinò l’immagine al volto
di Freezer, provò a immaginarselo sorridere, parlare,
spergiurare… Sospirò e rificcò in
tasca il foglietto.
Erano brava
gente, gli ethberiani, non si meritavano il suo silenzio, però…
«Immagino
che abbiano tutto il diritto di odiarti, di non volerti
salvare».
Sembrava
passata un’eternità, potevano essere passate ore.
La stanza era silenziosa e immobile nella luce artificiale, nella
temperatura regolata, nel ronzio delicato dei macchinari.
Fissava un
punto davanti a sé, cercando di mettere in ordine i
pensieri, e c’è chi dice che iniziando sei
già a metà dell’opera, ma
l’unica cosa che riusciva a pensare era che se solo ci fosse Bulma.
Bulma era intelligente e sapeva sempre cosa fare, era molto
più intelligente di lui, molto più di tutti loro,
ed era ancora viva. Bulma era viva, era sulla Terra ed era
maledettamente fuori portata, come tutti i volti, i vivi ed i morti,
che l’avevano accompagnato e consigliato fino a quel punto,
no, prima di quel punto, perché se ci fossero stati,
lì con lui su Namecc, forse l’avrebbe fatto
ragionare ed avrebbero impedito tutto quel casino. Niente Bulma,
quindi. E Chichi… pensare a Chichi lo faceva pensare a casa,
e la reazione di Chichi, oh, quella…
Sbuffò
per non mettersi a ridacchiare, ma poi ridacchiò comunque,
con una mano schiaffata sulla bocca ed un'altra stretta sulle costole
doloranti, con una mezza isteria e quell’immagine
stampata nel cranio. Cielo, poteva praticamente vederla, sua moglie che
non strillava, no – quello l’avrebbe fatto, poco ma
sicuro, ma dopo – ma che realizzava la situazione con occhi
sgranati e la bocca ridotta ad una linea sottile e poi prendeva una
lieve rincorsa, come al rallentatore, una lieve rincorsa e la padella
in mano e spiccava un salto e… Oddio, Freezer non
l’avrebbe mai
schivata. Troppo assurdo e troppo inaspettato e troppo maledettamente
doloroso, lui lo sapeva bene. E sapeva bene anche, come una sensazione,
che altri si sarebbero chiesti se fosse effettivamente normale essere nel
più grande e pericoloso casino immaginabile e ridacchiare
immaginando la propria moglie terrestre menare padellate sulla testa
del essere più spietato e crudele dell’universo,
ma…
Si
calmò e sorrise, levando la testa verso il soffitto. Faceva
incredibilmente bene pensare a casa, ricordare casa, dove tutto aveva
una soluzione.
Quando si
voltò a guardare Freezer non sorrideva più, era
impossibile guardare Freezer e sorridere.
Spero,
un giorno, di poter udire anche la notizia della sua morte.
«Se
lo sa, sei morto, Freezer» disse all’aria con voce
cupa.
Ma Freezer era morto,
stabilì un istante dopo guardando la figura mutila e
pallidissima distasa nel letto, tenuta in vita da meri pezzi di
metallo. Era già morto, non serviva che smettesse di
respirare. Morire significava anche altre cose: significava finire la
vita e, poco ma sicuro, la vita di Freezer era finita, in un modo
o nell’altro. Niente Freezer il Tiranno, niente Freezer il
Mercante di Vite. Capitolo chiuso, non avrebbe mai permesso che
ricapitasse. E se quel
Freezer era morto, allora andava bene. Niente bugie: questo era un
altro Freezer, non gli avrebbe permesso di tornare ad essere quel Freezer,
questo era un altro Freezer, non lo era diventato chiedendogli aiuto,
no di certo, ma se non poteva essere quello di prima sarebbe dovuto
diventare qualcos’altro, poco ma sicuro.
Dopotutto, o
si cambia o si muore.
–
Dunque…
ringrazio tutti coloro che sono arrivati in fondo a questo capitolo,
malgrado il colossale ritardo e la trama non esattamente popolare. Se
volete, lasciatemi un’opinione, e se potete, arrivati a
questo punto, non scappate via. Da qui in poi, se Goku si ricorda il
copione e vossignoria
Lord
Freezer decide di farmi
contenta degnandosi di dare una scorsa al suo, le cose dovrebbero
movimentarsi, o quantomeno diventare interessanti. Perché
sono in vena di chiacchiere, oggi? Perché a me piace il
Lunedì, e questo è il terzo capitolo –
3 è un numero bello.
Ah, il dottore
– temo di non essere stata sufficientemente chiara, ma questo
capitolo è stato un parto – è convinto
che Freezer sia un semplice sottoposto di, beh, Freezer.
Campagna
di Promozione Sociale - Messaggio No Profit.
Dona
l’8‰ del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felice
milioni di scrittori!
Chiunque
voglia aderire a tale iniziativa, può copia-incollare questo
messaggio dove meglio crede.
(©
elyxyz)
|