Amy
aveva trascorso una tra le serate più rilassanti della sua
vita. Sua madre, alla fine, aveva optato per una pizza fatta in casa,
ed era uscita buonissima. L'avevano mangiata davanti a un buon film, il
preferito di sua madre, Titanic.
Amy non riusciva proprio ad apprezzarlo, ma fece lo sforzo di vederlo
comunque, per rendere Rachel felice.
Purtroppo i suoi buoni propositi non ebbero effetto e si
addormentò dopo pochi minuti.
Come al solito non fu un sonno ristoratore: fece di nuovo quegli
inquietanti incubi. Ombre, sussurri, e rosso sangue.
Si svegliò di soprassalto mentre i titoli di coda scorrevano
sullo schermo. Si guardò intorno e incontrò gli
occhi sorridenti di sua madre. Dopo qualche esitazione,
ricambiò il sorriso: voleva solo andarsene a letto. -
Mà, sono stanca, ci vediamo domani - disse, alzandosi dal
vecchio divano rosso; e in pochi secondi, uscì dalla stanza.
Salendo le scale si sentì pervadere da un grande senso di
stanchezza. Possibile che un semplice incubo ripetuto potesse ridurla
così?
Entrò in camera e, chiudendosi la porta alle spalle con un
calcio, si buttò pesantemente sul morbido piumone verde, che
attutì il colpo. Aveva paura di chiudere gli occhi. Per
quanto potesse sembrare stupido, Amy aveva ormai paura di quegli
incubi. Sapeva che non erano solo sogni. Sapeva che c'era qualcosa
sotto. Ma cosa?
Come faceva sempre in momenti come quelli, Amy pensò a suo
padre. Si sforzò di pensare che forse era lui. Che forse era
vivo e cercava di contattarla. Combatté contro il pensiero
che fosse qualcos'altro, di ben più feroce e cattivo.
Non sapeva che in realtà erano entrambe le cose.
***
La ragazza aprì gli occhi e non vide nulla. Capì
che era ancora buio.
Amy si stropicciò gli occhi e si toccò le gote
fredde: si era addormentata, chissà come, mentre era
sdraiata sul letto. E per fortuna, non aveva fatto il solito sogno che
la perseguitava da quasi un mese.
Aveva sonno. Non si preoccupò nemmeno di mettersi il
pigiama: si tolse la felpa e lasciò cadere le pantofole, poi
scivolò direttamente sotto le coperte calde, rabbrividendo.
Perché aveva così freddo?
Sentì un fruscio. Alzò gli occhi verso la
finestra e si accorse che era aperta. Il vento gelido scivolava nella
sua camera, gonfiava le tende bianche e si infilava sotto le coperte
senza alcuna pietà per lei. La costrinse ad alzarsi per
chiudere la finestra.
Leggermente irritata, ma intenzionata a proseguire il suo sonno, Amy si
rassegnò a doversi alzare dal suo comodo letto. Prima di
chiudere guardò fuori. Il cielo blu scuro era costellato da
un'infinità di stelle luccicanti, ma la luna piena era
già passata.
Amy sospirò, chiudendo le tende, e tornò al suo
comodo letto.
Forse era troppo stanca per accorgersi di quei due occhi color rosso
sangue che la stavano fissando.
***
Era un bel mattino a Penrose. Per la prima volta dopo mesi, Amy sentiva
gli uccellini cantare. O forse era la sua immaginazione?
La ragazza cercò le pantofole. E come al solito,
trovò solo la destra.
Con la seria voglia di far fuori Midnight scese le scale, ma
inciampò e per poco non cadde. Tenendosi alla ringhiera
guardò dietro di sé, per vedere l'oggetto che
aveva rischiato di farla rotolare a terra come un sacco di patate. Non
era un oggetto, o meglio, era una palla di pelo.
"Pensi al diavolo..." sorrise Amy, prima di esclamare - Midnight! Che
diamine ci fai qui? -
La palla di pelo non si mosse.
- Midnight? - Amy si avvicinò cautamente.
Sentì un debole miagolio... o forse era un ringhio?
- Midnight! - la ragazza chiamò ancora.
Il gatto si alzò con aria ostile. Soffiò e poi
sgattaiolò su per le scale, lasciando dietro di
sé una Amy interdetta. La ragazza alzò le spalle.
- Uhm, nervosetti oggi, eh? - gli disse, pur sapendo che non poteva
sentirla. Contrasse il viso in una smorfia e continuò a
scendere le scale. Improvvisamente sentì un rumore in
cucina. Un rumore sospetto.
Amy drizzò le orecchie e, lentamente, entrò in
cucina in punta di piedi. Sospirò di sollievo quando vide la
madre trafficare con pentole e fornelli.
- Mamma! Che ci fai a casa? - disse, sedendosi disinvolta su
uno sgabello di cuoio rosso, a fianco del muretto.
- E' sabato, è il mio giorno libero, non ricordi?
- disse la madre con tono divertito. - Vieni, ti ho preparato la
colazione.
"Mmm... frittelle! Finalmente una mamma degna di questo nome!"
pensò Amy, rimboccandosi le maniche.
- Perché sei già vestita? - chiese
Rachel, sedendosi al tavolo e guardando la figlia con affetto.
- Mi sono addormentata così, ieri sera, - rispose
Amy a bocca piena. La madre si limitò ad annuire,
continuando a fissarla amorevolmente.
Amy si sentì apprezzata ma anche stranamente a disagio.
Rachel non l'aveva mai guardata così, mai riempita di
attenzioni in quel modo.
Era troppo... da mamma, non da professoressa. Quegli occhi la
scrutavano in modo inquietante.
- Attenta, o farai finire i tuoi capelli nel piatto, -
sentenziò la solita Rachel, allungando una mano verso di lei.
- NO! - urlò Amy, ritraendosi. Avrebbe scoperto le
orecchie.
Anche sua madre si ritrasse, come ferita. Amy si sentì un
po' in colpa per averla respinta in quel modo, proprio ora che
finalmente cominciava ad interessarsi a lei e ad essere affettuosa. Ma
proprio non se la sentiva di mostrarle quelle orecchie, dopo tanti anni.
C'era stata una sola persona ad averle viste, Matt. Era il suo migliore
amico quando entrambi avevano circa nove anni. Stavano giocando allo
stregone cattivo e alla principessa. "Ah, ti trasformo in mostro!"
aveva esclamato Matt, saltandole addosso. E aveva così
scoperto le orecchie.
Era rimasto a bocca aperta, Amy se lo ricordava. E ricordava anche cosa
gli aveva detto. "Non lo dire a nessuno, ma io sono un'umana speciale,
sono una fata senza poteri...un'elfo!". Nessuno avrebbe mai potuto
crederci, nessuno. Ma Matt sì.
E per la prima volta, Amy capì quanto era facile mentire.
Con sua madre non ce n'era mai stato bisogno. Quelle orecchie erano
cresciute con lei, erano cambiate come cambia il corpo durante
l'adolescenza. E dato che lei aveva imparato a prendersi cura di
sé stessa fin da quando aveva cinque anni, non era sorto
alcun problema né domanda sul perché portasse i
capelli così lunghi e non li raccogliesse mai.
Amy aveva paura che un giorno quelle orecchie strane sarebbero
cresciute ulteriormente, finché sarebbe stato impossibile
nasconderle. Prima o poi avrebbe dovuto chiedere spiegazioni sulla loro
provenienza alla madre.
Ma non ora.
- Scusa, mamma, - disse allora, abbassando gli occhi. Poi le
sorrise. - Sono solo un po' nervosa.
La madre sorrise di nuovo. - Tranquilla, tesoro. Ora vai che hai scuola.
Amy annuì, spazzolò in un lampo l'ultima
frittella e corse di sopra a vestirsi. O meglio, a risolvere il dilemma
del Cosa-mi-metto.
Lo risolse in pochi minuti, con il solito sistema: pescò a
caso una gonna nera e un corpetto di seta dello stesso colore,
infilò gli stivali, prese la tracolla di Nightmare Before
Christmas e corse fuori, infilando al volo la giacca.
A scuola Amy si perse nei suoi pensieri fin dalla prima ora. Forse era
troppo stanca per concentrarsi; non appena abbassava lo sguardo sul
libro di storia, si sentiva girare la testa e le tornavano agli occhi
tutte le immagini dell'incubo.
Alla terza ora era già completamente distrutta.
Alzò la mano e chiese di andare in infermeria.
Uscì nel corridoio deserto. Le finestre erano aperte ed Amy
poteva vedere il sole nascosto dietro le nuvole. Non era un bel clima,
anzi, infondeva una profonda tristezza e trasformava i bellissimi occhi
azzurro ghiaccio della ragazza in cupi occhi grigi.
Amy svoltò a destra e si trovò nel bagno delle
ragazze. Aprì l'acqua del lavandino e si sciacquò
il viso, attenta a non rovinare il trucco pesante sugli occhi. Chiuse
l'acqua, si asciugò le mani sulla gonna e alzò
gli occhi sullo specchio. Il suo volto si rifletté. Ma forse
non era il suo volto.
Era strano. Aveva gli occhi rossi e luccicanti, e sorridendo
notò che possedeva due lunghi canini bianchi e sporgenti.
Amy chiuse gli occhi e respirò a fondo: probabilmente era
così stanca da avere le allucinazioni.
Quando li riaprì - prima uno, poi l'altro, con cautela -
nello specchio c'era solo una ragazza pallida dall'aria stanca. Nessun
vampiro.
Sospirò di sollievo ed uscì, ma non era ancora
pronta a tornare in classe. E c'è forse qualcosa di meglio
del sedersi su un davanzale e guardare fuori?
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