NEVERVILLE
-5-
Tutto quello che sono
E' una mattina come le altre, a
Neverville.
Io e mia madre siamo uscite presto, come al solito,
per procurarci
qualche provvista. C'è uno spaccio di generi alimentari, in
paese.
Con qualche buona contrattazione si può ottenere del latte e
del
pane. Mamma di solito baratta cose della sua vecchia vita, come dice
lei. Forse altre, più particolari, se le procura in
città. Abiti, o piccole cose inutili che invece alla gente
di
qui sembrano interessare parecchio.
I giornali, ad esempio. Poiché non ne stampano
più, e da molti decenni, sembrano valere un patrimonio.
Non so perché questi vecchi devono essere così
attaccati a cose che non hanno più valore.
Forse è proprio la loro età a renderli
così?
A farli restare ostinatamente ancorati a qualunque
cosa ricordi loro ciò che erano, o ciò
che è stato.
Chissà come sarò io, da vecchia. E se mai ci
arriverò.
Mia madre è riuscita ad entrare nel cuore degli abitanti di
questo posto sperduto.
Credo lo abbia fatto con smisurata pazienza, e un'infinita accorta
gentilezza.
Li aiuta, se può e come può. E poiché
i bambini
riscuotono gran simpatia, di solito, il fatto di avere me attira
ancor più benevolenza.
Per questo non è raro che qualcosa ci venga anche regalato,
da mangiare.
E allora, in casa, è festa grande.
Una mattina fra tante.
Un sole pallido, in pieno inverno, poche foglie rinsecchite sui rami.
Un vento insistente e freddo, che sibila appena dietro ai vetri delle
finestre.
Mamma non è scesa in città.
La vedo un po' nervosa, da qualche giorno. Scruta con noncuranza il
cielo, ma lo fa troppe volte e troppo ravvicinate perché sia
solo curiosità.
Sobbalza se faccio cadere qualcosa... e tiene i giacconi sulle
spalliere delle sedie, come dovessero essere a portata di mano... per
cosa, mamma?
Se ci ripenso, provo ancora una grande angoscia.
L'attimo in cui udimmo un tonfo sordo, e squassante, come quando
c'è il maremoto. E poi tutto cominciò a tremare.
E mia madre in un lampo fu su di me, "Devi scappare, Mina", e mentre
anche io tremavo di paura e di lacrime, incapace di chiederle cosa,
cosa stesse
succedendo, lei mi aveva già infilato gli stivali, e la
giacca,
senza che nemmeno me ne accorgessi.
Ricordo solo i suoi occhi, febbricitanti, le labbra strette tra i
denti, e le mani veloci anche se rigide, e tutta la disperazione di una
madre, che deve salvare sua figlia.
"Vai, corri, alla fonte, Mina, vai alla vasca, e non voltarti
indietro... io ti seguo, ma tu corri, hai capito? Corri!"
E' un ordine, e non si discute.
Il Capitano ha il viso indurito da anni di
autorità e di
decisioni scomode. I tratti sovrapposti dall'età e
dall'esperienza,
dalle cose che ha visto e che ha ordinato di eseguire. Il corpo
disegnato,
allenato alla fermezza. Eppure quelle piccole increspature intorno agli
occhi indicano che cede spesso al sorriso, se non proprio con le
labbra.
Si passa una mano tra i capelli, corti e screziati di ciocche bionde,
quasi bianche. Un filo di barba che gli incornicia il volto...
sembrerebbe più giovane senza, forse è per questo
che se
la fa crescere. Direi che mancano ancora diversi anni, ai suoi
cinquanta. O
per lo meno, i dottori che si sono occupati di me, e che avevano
quell'età, sembravano più vecchi di lui.
I suoi occhi scuri mi scrutano, si appendono ad una domanda, che mi
raggiunge senza severità.
-Dimmi che ti succede, Mina-.
Mi spiazza, però. Sposto il peso del corpo su una gamba,
incrocio le braccia al petto.
-Niente-, rispondo.
Non sono affatto convincente. E se glielo dicessi, mi aiuterebbe? Se
gli dicessi che comincio a
vacillare, se gli dicessi che non erano previsti coinvolgimenti
sentimentali, e che questo rende tutto più difficile, mi
aiuterebbe?
E d'un tratto quelle voci che avevo cercato di ignorare rimbombano con
forza nelle mie orecchie.
-Cazzo, Jody, ma perché proprio lei... perché
lei?! -
-Beh, la sua storia la sai... no? Te l'ha raccontata?-
-Sì, non credo mi abbia detto tutto... ma ne abbiamo
parlato, sì -.
-E quindi? Che intenzioni hai, Pete?-
-Che intenzioni ho?... Io ci ho perso la testa, Jody, ecco che
intenzioni ho -.
-Ha ha ha! Sei innamorato marcio... beh, questo si vede...
intendevo... -
-Togliti quel risolino dalla faccia, Jody... non è successo
niente, qui... -
-Niente? Mmmh dall'espressione che avevate, tutte e due, non
direi proprio... -
-Mina! -.
Mi stringo la testa fra le mani, non voglio sentire, non voglio... non
così.
-Mina!!-.
Il capitano mi ha raggiunto con due rapide falcate, le sue
dita strette intorno alle mie spalle, sono calde, le sento, mi scuote
un poco. Sollevo lo sguardo, è preoccupato.
- Voglio sapere che cosa diavolo ti sta succedendo! -.
La sua voce è venata di tensione, chiudo gli occhi. E cedo.
- Io... io sento se qualcuno sta parlando... da una certa
distanza, intendo. Io riesco a sentire le conversazioni... è
un
rumore continuo, costante, di sottofondo... -. Incontro di nuovo il
guizzo delle sue iridi, alzando il mento. Inarca le sopracciglia, mi
invita a proseguire.
- Non è sempre stato così ... Non era
così quando sono salita a bordo -.
- E quand'è iniziata questa storia... sai dirmelo? Puoi
ricordarlo? -.
Sospiro, mi sforzo di radunare le idee, di non ascoltare la voce
accorata di Pete che si sovrappone a quella stranamente bassa di Jody
... Quanto tempo sarà. dunque? Quando
è stata la prima volta che ho sobbalzato, e sono rimasta in
ascolto, incredula, di qualcosa che non vedevo ma che mi arrivava
dritta al cervello, come se l'avessi davanti agli occhi?
- Direi... sì, un paio di settimane... non di
più... tempo terrestre, ovviamente. Un paio di settimane -.
Sì, mi sembra una valutazione corretta. Mi mordo le labbra,
mentre fisso un punto imprecisato sul pavimento, tra le punte dei
nostri stivali.
- Ne hai parlato con la dottoressa? -.
Con la dottoressa? No, nemmeno ci ho pensato, in verità.
- No... dovrei? -.
Esito, glielo chiedo francamente.
- Sai che tutto quello che ti riguarda deve essere tenuto sotto
controllo, registrato, analizzato ... -, ribatte, la voce un poco
più bassa.
Sì, lo so. Certo che lo so. Se non avessi quei ricordi che
riaffiorano come scogli con la bassa marea, potrei quasi pensare che
non ho fatto altro, nella mia vita, che farmi analizzare.
- Lo farò. Immediatamente -.
Il capitano annuisce, allenta la presa sulla mia pelle. Sembra
riscuotersi da quel contatto, quasi fosse troppo intimo, e se ne torna
rapido ad osservare i suoi schermi. Fremono
i muscoli della schiena, non è affatto
tranquillo. L'incontro è terminato. Lo saluto con
una mano alla fronte, retaggio di antichi saluti militari, non importa
se non mi vede, sa che è così che occorre
accomiatarsi, e lascio la stanza, diretta verso l'infermeria.
Il mio corpo sta cambiando dunque. Non pensavo che sarebbe potuto
accadere.
Pete è innamorato di me. Quel suo bacio dunque, quel suo
modo di guardarmi... Non avrei voluto ascoltare quella conversazione.
C'è qualcosa di inviolabile, in ciascuno di noi.
Qualcosa che va al di là dei confini del corpo.
Un nucleo di pensieri, emozioni, sentimenti, che ognuno
dovrebbe avere il diritto di tenere nascosto, o rivelare, ma solo a suo
piacimento.
Io, invece, che cosa sono?
Ciao, mi chiamo Mina, ho
22 anni e sono nata sulla Terra.
Sono silenziosi i corridoi dell'astronave. Li conosco a memoria, ormai.
L'ammiraglia, il fiore all'occhiello dell'intera flotta astrale. In
viaggio verso la base nemica, verso il Loro
pianeta, con altre astronavi gemelle, per l'attacco finale, la resa dei
conti, l'annientamento definitivo. Una macchina da guerra, la Motherhead:
il miglior Capitano della Confederazione (1),
i migliori piloti. E l'arma più potente mai
creata, a bordo. Io.
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(1) Confederazione: Riunisce i Governi della Terra e delle
Colonie nello spazio.
E così ora ne sapete un po' di più (!).
Grazie di cuore a chi è arrivato fin qui, a chi mi segue
dall'inizio e a chi si aggiungerà strada facendo. Siamo
appena all'inizio...
Un abbraccio,
Amantea