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NEVERVILLE
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Quando riapro gli occhi mi trovo
in un posto che non conosco.
Sono ancora immersa nell'acqua, letteralmente, ma non è
quella di Neverville.
E' una specie di vasca trasparente, sono nuda e non posso muovermi.
Tengo gli occhi aperti, e respiro. Non con il naso, e nemmeno con la
bocca, ma il mio corpo vive e in qualche modo trova l'ossigeno di cui
ha bisogno, in quel liquido.
Non ricordo nulla.
Non ricordo come sono finita lì.
L'ultimo ricordo che ho è il freddo che mi fa tremare tutta,
i vestiti inzuppati, rannicchiata dentro a quella fonte, il buio della
grotta, l'odore di umido e muschio, e quelle luci fluttuanti al suo
ingresso.
Eppure non ho paura.
Stranamente, mi sento a mio agio là sotto.
Alcune persone vestite di bianco si agitano intorno a me, non posso
sentire le loro voci.
Ho ancora 8 anni, credo, e nessuna intenzione di uscire da
lì.
L'acqua mi avvolge, mi sospingo fin quasi a toccare il fondo e poi
riemergo.
Jody è ancora lì, un ginocchio piegato vicino al
bordo, un braccio appoggiato mollemente sopra e l'altro teso puntato
contro il pavimento.
Mi aggrappo all'orlo della vasca, il corpo immerso: - Lasciami sola -,
gli dico, non è una richiesta, quanto piuttosto un ordine,
ma gli sorrido.
Anche lui sorride: - Sicura di star bene? -. Si preoccupa sempre
così tanto.
- Ora sì -, ammetto, è vero, e lo sa.
- Lasciami sola, dai. Voglio liberarmi di questa tuta... -, continuo.
Non c'è malizia nella mia voce, non potrei mai, con lui.
- Mmm e pensi di convincermi ad andarmene, così? - ribatte,
ridendo un poco, gli occhi che si fanno stretti e monelli. Lui
sì, invece, che scherza sempre.
Lo schizzo con l'acqua, si alza, indispettito, la mia risata che
risuona in quella stanza fatta solo di acqua e di riflessi cangianti,
come un acquario.
Poi cerco di tornare seria, ho bisogno, davvero, di sentire l'acqua
sulla pelle, senza questa tuta che mi imprigiona.
Avverte il mio disagio, torna ad inginocchiarsi: - Pete è
uno in gamba, e non solo perché è il mio migliore
amico -, mormora, lo sguardo che diventa intenso d'improvviso.
- Sì, forse in un'altra vita -, ribatto.
- Non abbiamo un'altra vita, Neverville -, alza un poco la voce, ma
solo per dare enfasi alle sue parole. - E lo sai anche tu, che
è quello giusto -.
Non aspetta che io risponda, sa benissimo di avere ragione, lo so anche
io, si alza, un cenno di saluto con la mano.
Resto a guardare la porta che lo nasconde alla mia vista, e poi non
posso fare altro che desiderare di essere nuda, mentre mi immergo, di
nuovo.
Il mio corpo respira sott'acqua.
Non sono una sirena, tanto meno ho branchie da pesce.
Ma il mio corpo respira. Rimango in sospensione come un'alga, per poi
nuotare un poco, a braccia tese, senza emergere mai, e lasciarmi
galleggiare a un palmo dal fondo. L'acqua è scura, un poco
salata, limpida, e rigenerante.
Ogni senso si acquieta, non sento voci qua sotto.
Inseguo un riflesso argentato, c'è solo un piccolo
luce nell'intera stanza che ospita la vasca, a livello del pavimento.
Irradia una luce bianca e densa, che anche da sotto mi fa percepire la
superficie. Potrei rimanere qui per il resto della giornata, e anche
per tutta la notte. Senza avere bisogno di altro. Né di
cibo, né di luce, né di aria.
Non mi pongo domande.
Non me le sono mai fatte.
Ho accettato quello che ero, quello che avrei dovuto fare, senza
chiedere spiegazioni.
So che Jody lo ha fatto per me. Che avrebbe voluto prendere il mio
posto, che non si è ancora arreso all'evidenza che sono
unica nelle mie peculiarità.
Che c'è stato un tempo, eravamo così giovani, che
avevamo scambiato la nostra simbiosi per amore, e invece forse, se
possibile, era qualcosa di più: una sorta di alleanza. O
forse è sempre stato sempre e solo semplicemente amore, ma
di una forma che non prevede l'appartenenza, o il possesso. Che non
rimescola il sangue nelle vene, che non ti fa desiderare di andare
oltre, oltre i tuoi confini, intendo, o di annullarli, fonderli,
mischiarli a quelli di un altro.
In definitiva, sono più fortunata di altri. Non ho
più una madre, ma ho lui. E se volessi, potrei avere anche
...
Disegno un cerchio, mi spingo sul fondo, unisco le braccia davanti a
me, m'inarco e nuoto, ancora, lentamente, come se non ci fossero
più né tempo né spazio, ma solo
silenzio, e il mio cuore, che batte, rallentato, quasi da sembrare
fermo.
[Intanto...]
Il Capitano ha chiesto alla dottoressa di farsi aprire la porta
dell'infermeria. Attende, e poi entra, la saluta in modo amichevole.
- Mina è nella vasca -, lo informa la dottoressa.
- Quindi possiamo parlare o ci sente? -, chiede. Ha un tono urgente, la
mascella serrata.
- Non credo che sott'acqua percepisca alcunché -.
- Bene. Allora, hai scoperto qualcosa? -.
- Qualcosa che possa collegare questa sua nuova facoltà agli
avvenimenti di due settimane fa? - chiede la dottoressa, sospirando,
gli occhi puntati sui risultati degli esami che ha effettuato su Mina
poco prima.
Il Capitano annuisce, è impaziente, lo si vede da come il
suo volto è tirato.
- No, nulla. Non è cambiato nulla di sostanziale nel suo
corpo -. La dottoressa scuote la testa. Si siede su uno sgabello e lo
invita a sedersi al suo fianco.
- Eppure deve esserci un collegamento. E' evidente -, ribatte
con forza lui. - Quella che abbiamo intercettato due settimane fa era
una richiesta di soccorso. Non ci sono dubbi su questo. E non era terrestre -. Calca
con cura le parole, scandendole, mentre con una mano si preme le
palpebre, l'altra conficcata a pugno contro un fianco.
- E' per questo che hai ordinato di fare scalo? -.
- Sì. Voglio andare a vedere di che si tratta, e mi servono
rifornimenti aggiuntivi. Il segnale era chiaro, abbiamo individuato la
posizione da cui proveniva, ma dovremo uscire dall'iperspazio -.
- Ma come giustificherai questa 'deviazione' al comando centrale? Siamo
in missione, Oliver... -.
L'uomo si passa le mani sul volto.
- Lasceremo le altri navi sulla direttrice restabilita. Lo scalo
intanto farà bene a tutti. Potranno distrarsi un po'. I miei
ragazzi se lo meritano -, sospira. - E' per questo che ho ordinato
anche a Mina di scendere. Lascerò il comando a Mark della
Hollerhead, e noi poi li raggiungeremo in un secondo momento -.
La dottoressa lo guarda. Sono amici, da tempo. Il Capitano ha scelto il
suo equipaggio con cura certosina. Non è un caso
che abbia voluto proprio lei a bordo della nave ammiraglia.
- E poi siamo talmente lontani dalla Terra che difficilmente potranno
impedirmelo -, soggiunge, schiudendo finalmente le belle labbra in un
sorriso.
- Quando hai intenzione di dirglielo? -.
Si aspettava quella domanda. Sa che si è trattenuta, altre
volte, dal formularla, ma adesso il tempo stringe sempre di
più.
- Non credi che sia meglio tacerle tutto? La vedo così
cambiata, da quando è salita a bordo... preferisco
attendere, ancora un po' -.
Ho perso la percezione del tempo, fluttuando nell'acqua della vasca.
Un senso di benessere mi pervade, mi sento forte. Probabilmente mi sono
anche lasciata andare ad una specie di sonno.
La mente vuota, lascio che sia solo la carezza dell'acqua ad
attraversarmi i sensi rarefatti, rifuggo ogni malinconia, ogni ricordo
doloroso.
Sono pulviscolo, sono un elemento, sono trasparente, sono viva.
[Alle 8:00, tempo
terrestre, il giorno seguente]
Il Capitano ha convocato l'equipaggio nella Sala azzurra e
sosta, in piedi, sì da essere visibile da tutti, il
portamento fiero.
- Sapete tutti come ci si comporta durante uno scalo -, annuncia, il
tono fermo e altisonante. - Le poche regole vigenti su Innertown vi
verranno spiegate durante il trasporto a terra. Le comunicazioni con la
nave verranno lasciate attive, quindi restate in allerta per il rientro
a bordo. Tenete le armi scariche e non fatemi pentire di avervi
concesso questa giornata di libertà -.
I soldati sorridono, alcuni ringraziano, i più
annuiscono. E' sempre un'occasione ghiotta scendere in una di queste
stazioni di rifornimento nello spazio. Un modo per socializzare con gli
equipaggi delle altre navi, sgranchirsi le gambe, respirare spazi
più aperti, sebbene altrettanto artificiali.
Innertown è poco più di una piattaforma coperta
da una cupola, ma così estesa da non poterne vedere i
confini a occhio nudo. Tutto sommato, dà l'impressione di
sbarcare su un pianeta, ed è più di quanto
avrebbero mai potuto desiderare.
Il Capitano osserva i suoi ragazzi compiaciuto, ma non ha ancora visto
Mina, e non può fare a meno di esserne contrariato.
L'ha chiamata più volte, come è costretto a fare
quasi ogni mattina, e, almeno per il momento, senza risultato
alcuno.
Jody se n'è accorto, una gomitata nel fianco a Pete, che
come sempre sosta accanto al suo miglior amico, perché lo
segua.
- Ieri l'ho lasciata nella vasca, Capitano. Potrebbe essere ancora
lì -, annuncia avvicinandosi.
- Allora uno di voi due la vada a chiamare. Tra poco inizieranno le
operazioni di sbarco -.
Il Capitano li congeda con quel compito, per tornare rapidamente nella
sua postazione. Lui non scende mai dalla Motherhead.
- Ci pensi tu? -. Il tono e la mimica con cui Jody si rivolge a Pete
sono alquanto eloquenti.
Jody nemmeno lo lascia rispondere e segue gli altri, verso il
portellone d'uscita. Un sorriso, e una stretta allo stomaco.
Quel bacio, vivo ancora, eppure così minuscolo,
così lieve, per tutto l'amore che sente dentro e che
vorrebbe donarle, se solo lo lasciasse fare.
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Non posso che continuare a ringraziarvi per l'affetto e la costanza con
cui leggete questa mia piccola storia!
Un saluto affettuoso ai nuovi lettori, e a tutti coloro che
preferiscono e seguono.
In questo capitolo, un grazie particolare va a Emerald77 che mi ha
aiutato in un dettaglio molto importante: anche il Capitano ringrazia!
Spero sia chiara l'alternanza della voce narrante di Mina con
la "mia" di autrice. lei è immersa nella vasca, isolata dal
resto dell'astronave, ma gli altri parlano e si muovono e agiscono, a
sua insaputa (ma non di voi lettori).
A presto!
Amantea
p.s. Neverville non va in vacanza, quindi... a presto!
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