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NEVERVILLE
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Mi hanno sottratto
all'acqua contro la mia volontà, forse mi hanno dovuto
sedare per riuscirci.
Perché quando mi sono accorta che le loro mani entravano
nella
vasca, per tirarmi fuori, ho iniziato a dibattermi, come un animale in
trappola.
Solo allora ho sentito qualcosa sotto pelle, forse aghi, o altro, non
saprei, e ho notato una matassa di tubicini bianchi immersi insieme a
me, che i miei movimenti scomposti stavano aggrovigliando sempre di
più.
Non provavo dolore, no, ma ho visto qualcosa sciogliersi nell'acqua,
dopo che uno di quei cosi si era staccato dal mio braccio. Non era
sangue.
Conosco il colore del sangue, è rosso scuro, spesso mi sono
sbucciata le ginocchia, ho perso buona parte dei denti da latte...
conosco il colore del sangue, e quella scia vischiosa che si spandeva,
a stento rosata, non poteva proprio essere uscita dal mio corpo...
Giaccio
nuda su un letto, ho freddo, appena un brusio confuso le voci che sento
muoversi intorno a me.
Respiro, lentamente, con il naso, a pieni polmoni, mi guardo attorno fin
dove riesco, le persone vestite di bianco mi osservano, qualcuna
sorride, dicono cose sottovoce che io non capisco, o forse
sono io
che non sento bene, ho la testa ovattata e un poco confusa.
Si avvicina una donna, ha i capelli nerissimi e lisci, gli occhi dal
taglio sottile, mi lascia una carezza, vedo le sue labbra che si
muovono e una voce che rimbomba di lontano, e altre che si
sovrappongono: "Come ti senti?", "I livelli sono stati stabilizzati",
"Un risultato eccezionale", "Avvertite il comando centrale che
la
bambina di Neverville è stata riadattata con successo".
Mi metto seduta, non ho più nulla che esce dal mio corpo,
non
sono ferita, non ho congegni attaccati, non ho tubi, nulla. Solo pelle,
che trema.
Non ho nemmeno più i miei capelli lunghi, me li devono aver
tagliati, penso, altrimenti sarebbero stati d'intralcio in quella
piccola vasca dove mi avevano messo.
"Ricordi il tuo nome?" mi chiede ancora la donna di prima, è
una
dottoressa, scoprirò poi, ma non ci vuole molta
immaginazione
per rendersi conto che sono tutti dottori, o scienziati, e che mi trovo
in una specie di laboratorio o ospedale. Tiene in mano un indumento,
bianco, e mi aiuta, perché ci infili dentro il braccio.
"Dov'è la mia mamma?" chiedo, raccogliendo la voce dal pozzo
profondo in cui sembra caduta.
Prima che possa vestirmi del tutto un ragazzino si affaccia sull'uscio,
dietro di lui altri musetti curiosi. Mi blocco stupita, un braccio
ancora a
mezz'asta.
Mi fissa a bocca aperta, ha un ciuffo di capelli più rossi
che
biondi sulla fronte, gli occhi grandi, è alto e magrissimo,
e
non ho idea di quanti anni abbia. Ha indosso anche lui una camiciola
bianca che gli copre a malapena le ginocchia ossute, e come lui sono
vestiti i ragazzini che si sporgono per guardarmi da dietro la sua
schiena.
La dottoressa coglie il mio sguardo sbarrato, si gira verso la porta, e
le parte un grido.
Il ragazzino ride, fa una specie di buffo sberleffo con la lingua, mi
guarda ancora un attimo, sorridendo, e poi scappa, gli altri dietro,
inseguiti da qualcuno che li sta richiamando senza successo. Colgo solo
un nome, Jody, e lo registro nella mia mente.
"Dov'è la mia mamma?" ripeto, la camiciola ancora aperta sul
petto.
"Sei l'unica sopravvissuta alla distruzione di Neverville", mi informa,
la voce piatta e ferma. "Allora, vuoi dirmi come ti chiami, tesoro?".
L'unica sopravvissuta. Serro le labbra, inghiotto le lacrime che sento
bucarmi gli occhi, e non proferisco più parola.
Giuro a me stessa che non sentiranno più la mia voce. Che
non parlerò più. E manterrò la
promessa, per molto tempo da allora.
Appoggio la nuca e le spalle contro il bordo della vasca,
c'è ancora silenzio nella stanza.
Un brusio indistinto, lontano. Opaca la superficie dinanzi a me,
come un velo di latte, o uno specchio di luna . Creo piccole
increspature, soffiando piano, cerchi rapidi che si espandono e poi
scompaiono.
Galleggio senza peso, in una bolla d'acqua che viaggia nello
spazio più profondo.
Quanto vale la mia vita, grumo infinitesimale nell'universo?
Ormai sarà mattina, forse sono già iniziate le
operazioni
di sbarco, e non ho nessuna intenzione di unirmi ai compagni.
Non sono mai stata in una stazione di rifornimento spaziale. Ma la
curiosità di scendere a Innertown non è
abbastanza forte.
Non abbastanza, almeno, rispetto al desiderio di restarmene nascosta,
qui.
D'un tratto un senso di pericolo mi attanaglia le viscere.
Non saprei descriverlo. Ho i sensi in allerta, tutti. Sgrano gli occhi,
il cuore rallenta.
Dò l'ordine alla tuta di ricostruirsi sul mio corpo, non mi
sento più sicura, nuda, adesso.
Aspetto trattenendo il respiro che qualcosa - ma cosa?- accada.
La porta si apre. Non so come sia possibile, perché
è stata predisposta per reagire al mio solo
comando tattile, a meno di essere tecnici e possedere l'autorizzazione
a modificare le impostazioni di sicurezza, dietro a un preciso ordine
del Capitano.
Eppure è proprio un tecnico quello che entra ridendo nella
stanza, seguito da un collega. Li riconosco dal colore dell'uniforme,
di un giallo tenue (1).
Il personale addetto alla manutenzione alloggia e lavora al livello 1 (2)
e non lascia mai la propria postazione.
Mi immergo di più, lasciando fuori la testa quel tanto che
basta per ascoltare cosa si stanno dicendo.
Non mi hanno ancora visto, sono soddisfatti di aver compiuto
una bravata, che reputano innocente. Hanno pensato che
l'astronave
fosse deserta, che tutti i soldati fossero scesi, e hanno voluto
approfittare di questa vasca rilassante. Un tuffo in piscina,
praticamente, correndo tuttavia il rischio, altissimo, di essere
scoperti e puniti.
Ogni singolo membro
dell'equipaggio sa che questa vasca serve a me, nessun altro la usa,
non è previsto. Devono aver pensato che fossi scesa assieme
agli altri.
E invece nell'acqua ci sono io. E avverto ancora addosso una sensazione
inquietante.
In ogni caso, si accorgeranno presto che sono qui. E io ho paura.
[In attesa delle
operazioni di sbarco... ]
Jody ha incoraggiato Pete a raggiungere Mina, e ora si sforza di
attendere in buon ordine che il portellone del lato ovest della nave si
apra.
Il fisico slanciato, asciutto e muscoloso, tradisce
un'innegabile
tensione, per come i muscoli della schiena e delle cosce guizzano
contratti e tesi.
E' eccitato, difficile nasconderlo. Gli occhi, di un raro grigio
screziato di azzurro e giallo (sì, quasi gli occhi di un
gatto,
direbbe Mina), si muovono curiosi tra i soldati che gli sostano al
fianco e le piccole luci rosse che si illuminano in sequenza di fronte
a lui.
Uno sbarco offre molteplici possibilità. Un luogo mai visto,
cose nuove da provare, e soprattutto facce
diverse da quelle che ormai conosce a memoria. Si passa una mano tra i
capelli, sistemandosi alla bell'e meglio quel ciuffo biondo ribelle che
gli ricade sempre sugli occhi, e si guarda intorno, con fare distratto.
E' stato un annuncio inaspettato quello, senza dubbio. Un rifornimento,
a metà strada, non era necessario. Non per astronavi di quel
tipo.
I soldati devono obbedire agli ordini, e non è previsto che
si
interroghino sulle motivazioni. Però... chissà,
magari
riuscirà a scoprire qualcosa di interessante, parlando con i
soldati degli altri equipaggi. Qualcosa che potrà essere
utile al piano che sta elaborando con Pete sin dal primo giorno che
sono stati arruolati per la missione. Un piano per provare a salvare
Mina dal suo destino.
[Intanto, nella vasca]
Esco lentamente dall'acqua. I due uomini stanno ancora ridacchiando.
Uno si
è piegato verso la vasca, per saggiarne la temperatura. Sono
distante diversi metri da loro, non mi hanno ancora visto. Rasento la
parete. Forse correndo potrei riuscire a
raggiungere la porta.
Ma uno alza distrattamente la testa e mi vede.
Una sgradevole sensazione mi invade. Un brivido freddo dalla
nuca mi corre lungo tutta la schiena.
Un sorriso obliquo gli si dipinge
sulla faccia mentre con una mano strattona il braccio del compagno,
perché gli presti attenzione.
- Ehi! -, dice il primo, dopo aver rivolto un'occhiata veloce
all'altro.
Le loro intenzioni sono confuse, lo percepisco. Possono fare poco, in
realtà. Se anche qualche idea abietta ha
attraversato loro il
cervello, non riesco ad immaginare come potrebbero metterla in pratica.
Forse sono solo troppo ingenua. Ho ancora le viscere attorcigliate, e
non mi fido affatto.
- Non vorrai già andartene -, grida il secondo, - l'acqua
sembra invitante. Non ti va una nuotata in compagnia? -, aggiunge,
muovendosi
lento lungo il bordo. L'altro si sta muovendo nella direzione opposta.
Vogliono accerchiarmi? E poi?
Non voglio stare lì, devo scappare. Hanno espressioni che
non mi piacciono, e stanno provando emozioni che mi feriscono.
Stanno perdendo ogni barlume di ragionevolezza. Per cosa stanno
rischiando così tanto? Non sarà difficile
risalire ai loro nomi. Denunciarli al Capitano, radiarli, punirli. Io
non capisco... non capisco l'insensatezza, non capisco la cattiveria,
la sopraffazione, la brutalità.
Si stanno ancora muovendo. Uno sogghigna: - Tu sei Mina, giusto? -.
Certo, sai bene chi usa questa stanza. Solo io posso (potevo) farlo.
- Senti, bellezza, toglimi una curiosità... -, continua
l'altro. - Ma tu sei ... sì, insomma, sei come le altre
ragazze o no? Sai, me lo sono sempre chiesto... -.
Me lo sono sempre chiesto...
provo un senso di nausea.
Respiro, immobile.
Continuano ad avanzare verso di me. E sento le loro
stesse sensazioni.
D'improvviso provo una rabbia sconosciuta. La sento avanzare come la
marea, montare come un'onda, crescere come un vento impetuoso, risalire
dalla pancia verso la gola, irrompere senza freni e senza controllo,
come una tempesta che si abbatte contro una spiaggia e la sovrasta,
cancellandola il tempo della risacca.
Mi accorgo che quei due si sono fermati, anche senza vederli.
Non so cosa hanno di fronte. Io non posso vedermi da fuori, ma dentro
ho qualcosa che non riesco più a trattenere.
Grido un no a denti stretti, due ali d'acqua si sollevano
dalla vasca, e ricadono di schianto, e quei due sbattono contro le
pareti, quasi sospinti da un'onda d'urto, così forte che
sento appena un urlo rotto e un tonfo sordo.
Tremo, tremiti convulsi, di freddo, mi accascio, la testa fra le
mani...
Dio mio, cos'ho fatto... cos'ho fatto... ?
Cosa sono... cosa sono, io, veramente?
Qualcosa di caldo scivola lungo le guance, l'acqua
è immobile, adesso, come quei due corpi...
E non provo più nulla, se non un'immensa tristezza.
Qualcuno mi chiama, la porta è rimasta aperta, grida il mio
nome, ho gli occhi chiusi e tremo ancora, conosco queste mani calde che
mi afferrano il viso, conosco questa voce.
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(1) I soldati e il Capitano hanno invece l'uniforme di un
colore blu scuro. Mina è l'unica che ha la tuta rossa.
(2) Cap. 6: la Motherhead
è strutturata su tre livelli.
Mmm la storia si complica?
La parte iniziale, come in ogni capitolo, in corsivo, sono i ricordi di Mina bambina.
Avete riconosciuto la dottoressa?
Grazie di cuore a tutti coloro che mi seguono e leggono e lasciano la
loro traccia in questa storia.
Ci sono le vacanze all'orizzonte, ma non per me. Se non aggiornerò prima di Natale faccio gli auguri a tutti. A presto!!
Un abbraccio di cuore
Amantea
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