Capitolo 6
Quando
il corvo finalmente atterrò sul suo nido, in alto sopra il
Santuario del Legame
del Fuoco, con lei e il cavaliere in uno degli artigli, Patches e i
ragazzi
nell’altro, Quelana non solo vide i cambiamenti di Lordran,
ma li avvertì. Il freddo
che si era
impadronito del Rifugio da cui erano scappati aveva raggiunto anche il
santuario. Raffiche ghiacciate scuotevano le sue vesti nere mentre il
corvo li
lasciava andare, e scoprì che il nido dell’animale
era ricoperto di neve, dove
prima non ce n’era. Sotto la torre, il mondo era stato
avvolto in una coperta
di bianco purissimo. Quelana alzò lo sguardo verso i ponti e
le fortezze che
stavano come sentinelle all’orizzonte e anche loro erano
state sepolte dalla
neve. Si chiese che inferno di ghiaccio avesse scatenato il folle
cavaliere su
quel mondo, e se la sua stretta gelata avesse raggiunto persino
Izalith; avesse
raggiunto le sue sorelle.
Si
dimenò nella sua stretta, guardandosi dietro le spalle.
“Lasciami andare. Siamo
atterrati.”
“Questo
è…impossibile,” mormorò
Lautrec; i suoi occhi grigi persi nella vista della
nuova Lordran dietro le ciocche disordinate dei suoi sporchi capelli
biondi.
“Nessuna tormenta potrebbe fare questo così
velocemente.”
“Volevi
il tuo adorato ‘cambiamento’. L’hai
avuto. Ora lasciami andare,” ripeté
Quelana, cercando di divincolarsi dalle sue braccia.
“Zitta,”
ordinò il cavaliere sottovoce. Il suo volto si era
improvvisamente irrigidito.
“Lautrec…”
sussurrò Patches dall’altro lato del nido, gli
occhi spalancati e preoccupati.
“Lo
vedo,” gli bisbigliò in risposta il cavaliere.
Quelana
allungò il collo in
avanti per guardare giù verso il santuario. Là,
dietro a un gruppo di pilastri
di pietra, lo vide. “Quali altre atrocità hai
risvegliato, folle dorato?”
Quelana riusciva a intravedere solo pelliccia, zanne e zoccoli mentre
qualsiasi
mostro li aspettasse sotto passava dietro ai pilastri;
un’enorme ascia lasciava
una scia sulla neve dietro di lui, trascinata dalla bestia, graffiando
e
scavando nella terra. Il demone grugnì e si scosse la neve
dalle spalle pelose
prima di sparire dietro a un muro di pietra vicino al falò
spento.
“Il
Demone Toro,” mormorò Lautrec. “Non
dovrebbe trovarsi
qui.”
“Nemmeno
noi,”
sibilò Quelana da dentro le sue vesti e quasi
contemporaneamente una raffica
fredda si alzò sul nido del corvo, spingendo rametti e
ciottoli giù dal bordo,
una trentina di metri più in giù.
“Che
succede?” piagnucolò Abby, la giovane monaca. Sia
lei
che il ragazzo, Benjamin, erano inginocchiati affianco a Patches,
fissando
l’orrore più in basso con espressioni di terrore
sui loro giovani volti. “Che
cos’è quella cosa?”
“Non
m’importa,” disse Benjamin e afferrò il
suo arco.
Estrasse una freccia dalla faretra e la incoccò, prendendo
la mira. “Mi serve
solo un colpo preciso.”
“Mettilo
giù, ragazzo,” lo ammonì Lautrec.
“Scatenerai solo
la furia del demone.”
“Gliela
pianterò tra gli occhi,” disse Ben, tendendo
l’arco. “Per accecarlo.”
“È
un bersaglio troppo piccolo. Lo mancherai. Mettilo giù. Subito,” ordinò
Lautrec.
Ben,
lo guardò, vide la severa espressione sul volto del
cavaliere, e abbassò l’arco. Abby
strisciò fino all’orlo del nido, con i
soffici boccoli dei suoi capelli castani già pieni di neve,
e si strinse le
mani al petto, guardando verso il basso.
“Forse…non ci vuole fare alcun male.”
Patches
sbuffò con una risata. “Forse
dovremmo mandarti giù a chiederglielo, ragazza.
Perché
non…provi a saltare? Eh?”
“Se
fossi sicura di sopravvivere alla caduta , lo farei,”
rispose seriamente Abby. Quelana notò che la ragazza non si
era accorta di
essere presa in giro.
“Zitti
tutti,” disse Lautrec. “Aspetteremo. Se ne
andrà,
prima o poi.”
“E
se non lo fa?” Chiese Patches.
“Lo
farà.”
E
così aspettarono. Il demone camminò avanti e
indietro, s’intravedeva
la sua scura pelliccia mentre passava tra i pilastri. A un tratto, la
bestia
piantò la sua ascia in terra, ruggendo, ma qualsiasi cosa
l’avesse agitata, se
n’era andata; estrasse l’ascia e
continuò a vagare senza meta. Il demone arrivò
fino al falò e lo annusò.
“No…”
mormorò Lautrec. “Il fuoco
è…spento.”
Quelana
non se n’era accorta prima, ma il cavaliere aveva
ragione. Nemmeno la più piccola brace brillava tra le ceneri
del falò. Si voltò
verso il cavaliere. “O la tua povera vittima muta si
è liberata dalla propria
prigione…o è già morta.”
Una
miriade di emozioni attraversò il volto di Lautrec
mentre fissava il falò. Alla fine, sussurrò,
“Non è morta…non ancora.
“E
tu come faresti a saperlo?”
“Lo
so,” rispose Lautrec, e non disse altro.
“O
mio…” urlò Abby.
“Guardate!”
Sotto
di loro, ora che il demone aveva dato loro le spalle,
la deformità del mostro, come quella del Demone del Rifugio
prima di lui, era
chiaramente visibile. Una seconda
testa penzolava dalle spalle della creatura, vicino al gomito, da un
collo
sottile, dondolando da un alto all’altro ad ogni passo della
creatura. La bocca
della testa deforme era piena di zanne ancora più affilate
della sua testa
principale, e Quelana riusciva a vedere la lingua rosea catturare i
fiocchi di
neve, appesa quasi sottosopra.
“Tu sei il
responsabile per tutto questo,” sussurrò Quelana
dietro le sue spalle al
cavaliere. “Hai scatenato l’inferno su Lordran
nella tua folle ricerca del
cambiamento. Qualunque Dio crudele vegliasse su di noi…ora
ci ha sicuramente
abbandonati.”
“Tieni
a freno la lingua, strega,” la ammonì Patches
dall’altro lato del nido.
“No,
ha ragione,” ammise Lautrec. “Mi assumo tutta la
responsabilità. Volevo spezzare l’eterno,
esasperante ciclo di questo mondo e
l’ho fatto. Non ho mai pensato che non ci sarebbero state
conseguenze. Se dobbiamo
ammazzare un paio di demoni deformi…e sia.”
“E
questo freddo?” Chiese Quelana. “E se non finisse?
E se
peggiorasse e basta? E se-”
La
mano di Lautrec le chiuse la bocca. “Siamo stati
scoperti,” disse, guardando in basso.
Quelana
seguì il suo sguardo e vide ciò che lui aveva
visto: la seconda testa del demone aveva due piccoli e luccicanti occhi
rossi
nelle luminose orbite sotto la sua fronte sporgente. Guardavano in
alto,
fissando il nido del corvo mentre dondolava da una parte
all’altra. La sua
bocca fece una smorfia e la cosa emise un urlo acuto e penetrante che
sembrava
il canto di un uccello ferito a morte. La testa principale del demone
si voltò,
puntando anche i suoi occhi sul gruppo nel nido, e ruggì,
piantando l’ascia
nella terra e battendosi il petto con la mano libera.
“Beh,
merda,” imprecò Patches, estraendo una spada corta
dal
fodero che portava in vita. “Sapete, speravo davvero che non
dovessimo
affrontare il demone gigante con due teste oggi.”
Quelana
allontanò la testa dalla
mano del cavaliere. “Slegami, folle! Incenerirò
quella
bestia.”
“Tu
scapperai verso la Città Infame
non appena ne avrai l’occasione,” disse Lautrec,
alzandosi e sguainando i suoi due shotel.
“Anche
se fosse, metterei fine alle
sofferenze del mostro,” insistette Quelana, girandosi sulla
schiena e
stringendo i pugni. “Ora slegami. Hai bisogno di
me.”
Sotto
di loro, il Demone Toro ruggì
ancora, stavolta più vicino, e Quelana sentì la
costruzione di pietra sulla
quale erano accucciati tremare come fosse stata colpita con forza.
Lautrec
guardò lei, poi l’orlo del precipizio, poi di
nuovo lei. Si leccò le labbra e
sospirò. “D’accordo, strega. Non farmene
pentire,” la ammonì,
s’inginocchiò e
slegò il nodo che le stringeva il torso e le spalle.
Il
demone ruggì nuovamente e l’edificio
tremò.
Quelana
strattonò la corda rimastale
attorno ai polsi. “Liberami le mani.”
“Non
esagerare,” disse Lautrec,
afferrandola per il gomito e tirandola su in piedi. Raccolse la corda
che
pendeva dai suoi polsi e la lanciò ad Abby.
“Tienila stretta. Se cerca di
scappare, trattienila, intesi?”
Il
volto della ragazza si riempì di
confusione. “C-cosa? Perché io? Io non-”
“Cos’altro
sai fare?” chiese Lautrec.
Abby
aprì la bocca per replicare, capì
cosa intendeva, e la richiuse. “…va
bene.”
“Lo
prenderò di lato!” disse Ben,
avvicinandosi al cavaliere ed estraendo dal fodero un pugnale.
“Sono bravo a
rimanere nascosto. Io-”
“Resta
qui,” lo interruppe Lautrec. “E se
il demone sembra avere la meglio su me e Patches, colpiscilo con una
freccia
per distrarlo.”
Benjamin
si accigliò. “Sì, ma se-”
“Non
era una richiesta,” disse Lautrec. Si
voltò verso Patches. “Sarai il primo a scendere.
Anche se non sembra, il demone
è veloce e la sua ascia ha un raggio considerevole, quindi
ti suggerirei di
atterrare in corsa.”
L’uomo
calvo non sembrò contento, ma al
contrario degli altri due, non contestò l’ordine
del cavaliere. Strinse la
spada, invece, e si avvicinò al bordo
dell’edificio, dove lo aspettava la corda
che avevano usato per salire, e la afferrò. “Non
farmi aspettare troppo,” disse
con un occhiolino, un sorriso e un salto di alto, con la corda in mano.
L’edificio
tremò ancora, stavolta
abbastanza forte da spezzare il pavimento di pietra
nell’angolo e far
precipitare una lastra di roccia traballante. Lautrec raccolse la corda
e la
strinse nelle mani di Quelana. “Ricorda che ti ho dato la mia
parola di
riportarti alla Città Infame, strega. Tienilo a mente, prima
di bruciare ciò
che non dovresti, laggiù.”
“Non
so a cosa o a chi tu ti stia
riferendo,” disse Quelana, alzando le mani vicino al
volto del cavaliere e facendo danzare una fiammella sulla punta delle
dita.
Lautrec
si allontanò dal fuoco e si
accigliò. Disse, “Chi può sapere quali
orrori ti aspettano ora nella Città
Infame? Potresti avere bisogno di
un
cavaliere come me per un viaggio sicuro,” poi, rivolto ad
Abby, “Tienila
vicina.”
Quelana
si voltò verso la ragazza e
strinse gli occhi. Le guance di Abby avvamparono e lei
abbassò lo sguardo.
Quelana scosse la testa, strinse più forte la corda, e si
calò oltre il bordo
per raggiungere il suolo. La discesa fu breve e abbastanza facile e poi
i suoi
piedi toccarono la terra innevata di Lordran. Patches non si vedeva da
nessuna
parte e, fortunatamente, nemmeno il demone. Quelana sollevò
ancora una volta le
mani e maledisse il cavaliere per averle lasciate legate. Abby fu
dietro di lei
un attimo dopo, il capo libero della corda di Quelana in mano. Quando
Quelana
la fissò nuovamente, la ragazza deglutì e
alzò le braccia per difendersi.
“S-sto solo eseguendo gli ordini del cavaliere. Ti prego,
non…non voglio essere
bruciata.”
“Non
ho intenzione di bruciarti,” le disse
Quelana, e per un attimo pensò di avvicinarsi alla ragazza e
sussurrarle un
incantesimo all’orecchio, ma Lautrec si calò
subito accanto a loro.
“Che
cosa stai facendo?” Sussurrò ad Abby,
gli shotel stretti nei guanti dorati. “Prendila e muoviti. Dobbiamo dividerci e accerchiare
la creatura.”
“Oh,
sì,” disse Abby, scuotendo la testa e
mordendosi il labbro. Si voltò verso Quelana,
deglutì e tirò nervosamente la
corda.
Se
la ragazza non fosse stata così
dannatamente spaventata, Quelana avrebbe potuto fare un po’
di resistenza, ma
era già abbastanza nervosa, così la
seguì diligentemente. Lautrec li sorpassò
di corsa, gli shotel vicino ai fianchi, accucciato furtivamente.
Strisciò lungo
un muro di pietra, alzando la neve dietro ai suoi stivali dorati. Abby
la
condusse nell’altra direzione con passi lenti e prudenti,
fermandosi ogni due
secondi sentendo il demone ruggire lì vicino. Quelana
restò in silenzio,
permettendo alla ragazza di allontanarsi sempre più dagli
altri, ma lei aveva
un’altra idea. Da qualche parte dietro il muro, Patches
urlò e il demone ruggì.
Sentì scoccare una freccia dall’alto e il ragazzo,
Benjamin, urlare “Ora!”.
Il suono della pietra che si
sbriciolava rimbombò tutto attorno a loro e Abby
sussultò, portando una mano
tremante alle labbra.
Si
stavano avvicinando all’angolo del muro
che li avrebbe portati allo spiazzo principale del falò, e
Quelana vide la sua
opportunità svanire. Si fermò, e quando Abby
finì la corda, lo strattone
improvviso la fece quasi scivolare. Si voltò indietro, con
gli occhi sgranati e
confusi, e tirò gentilmente la corda. “Dai!
Dobbiamo-”
“Vieni
qui, ragazza,” la interruppe
Quelana, avvicinandosi e prendendo la corda in mano,
cosicché si accorciasse
sempre di più mentre camminava. “Lascia che ti
dica una cosa.”
“Che
stai facendo?” sussurrò Abby, alzando
il sopracciglio. “Vuoi…farmi del male?”
“No,
dolcezza, niente del genere,” la
rassicurò Quelana, e quando ebbe raccolto tutta la corda,
tirò a sé la ragazza
e premette le labbra sull’orecchio di Abby. Nemmeno Quelana
poteva comprendere
veramente le parole che pronunciò. Erano parole antiche,
parole arcane, e quando le
bisbigliò, sembrava
come se qualcosa di altrettanto antico ed arcano parlasse attraverso di
lei,
muovendo la sua lingua, manipolando l’aria. Sentì
la ragazza irrigidirsi
accanto a lei e poi afflosciarsi improvvisamente. Quelana la prese tra
le
braccia e la distese sulla neve, appoggiandola al muro.
“Slega
i nodi che mi bloccano le mani,”
ordinò Quelana, tendendo i polsi alla ragazza.
“Mmm,”
gemette Abby, ruotando gli occhi.
“Io…Io…”
“Sei
sotto il mio incantesimo ora,” disse
Quelana, perdendo la pazienza. “Adesso slega
il nodo.”
Gli
occhi di Abby fissarono concentrati il
nodo, poi, però, distolse lo sguardo.
“Pe…perché?”
Quelana
restò a bocca aperta. Aveva usato
l’incantesimo dell’Ammaliamento Non Morti da quando
aveva memoria. L’aveva
usato sui suoi alunni, sui nemici, persino su sua sorella
stessa, una volta. Nessuno aveva mai fatto resistenza. “Mi
hai sentito? Ti ho detto di-”
“No,”
disse Abby, scuotendo la testa. Era
intontita, fiacca, eppure da qualche parte dentro di lei, la sua
coscienza
rimaneva la stessa.
Quelana
si alzò, stupefatta, e fissò la
ragazza. Oltre il muro, un uomo (Quelana non riuscì a capire
se Patches o
Lautrec) urlò ancora, e il terreno vibrò con un
colpo potente. Non aveva tempo
di rimuginare sull’anomalia che le stava di fronte. Prese la
corda nelle sue
mani ancora legate e si avvicinò all’angolo della
parete. Prima di andarsene,
si voltò verso la ragazza e disse, “Resta dove
sei. Sarai al sicuro,” e scattò
velocemente nello stretto passaggio.
Sbirciando
verso lo spiazzo del falò, non
vedeva nessun uomo o demone, solo la bianca coperta di neve che
sembrava aver
avvolto tutta Lordran nel suo abbraccio. Nel cielo azzurro pallido, il
guscio
vuoto del sole guardava la neve cadere sul mondo. Persino
il grande fuoco nel cielo si spegne, pensò
Quelana. Madre Izalith salvaci. E
con questo
pensiero, fece uno scattò verso le scale a chiocciola che
l’avrebbero riportata
a casa.
Il
corpo di Patches in volo la distrasse.
L’uomo calvo sbatté a terra, scivolando nello
spesso strato di neve contro una
vicina costruzione di pietra, urlando di dolore. La spalla sanguinava.
Il
Demone Toro lo seguì con passo pesante da dietro gli archi
del santuario,
trascinando l’ascia dietro di sé. Da terra,
Quelana trovò il mostro persino più
terrificante. Svettava nel cielo, alto quattro metri e mezzo, e la sua
bocca
irta di pugnali azzannava l’aria mentre avanzava di corsa.
Alzò l’ascia,
piegandosi sulle ginocchia, pronto a saltare.
Anche
Lautrec uscì dagli archi, le dita in
mezzo alle labbra, e fischiò. La testa deforme e floscia del
demone urlò, e
l’altra testa si voltò ad affrontare il cavaliere
dorato. Lautrec estrasse dal
fodero il suo secondo shotel e si spostò velocemente dietro
al mostro,
distogliendo la sua attenzione da Patches. Gli occhi della bestia si
fissarono
su di lui e la bocca azzannò la neve che cadeva tra loro
due. Anche da dove si
trovava, a una decina di metri di distanza, Quelana poteva sentire
l’odore di
decomposizione nell’alito della creatura avvelenare
l’aria. Stai perdendo tempo,
si disse e si voltò
per scappare.
Il
suo piede si era appena posato sul
primo gradino quando si fermò. Sei
fuggita altre volte, Quelana, pensò, e
tutto ciò che ti sei lasciata alle spalle è stato
distrutto. Si voltò
indietro appena in tempo per vedere il cavaliere schivare
un’ampia spazzata
dell’ascia del demone. Non gli doveva alcuna
fedeltà né a lui, né al resto del
gruppo. Era loro prigioniera
dopotutto, ma il pensiero di scappare ancora, la vigliaccheria del suo
abbandono, non le stava bene.
Lautrec,
con un grido di battaglia, balzò
verso il demone con entrambi gli shotel stretti nei suoi guanti di
metallo,
alti sopra la testa. Le lame squarciarono la coscia della bestia,
spruzzando
sangue quasi nero dalla ferita e causando un penetrante guaito di
dolore dalla
cosa, prima che colpisse di rimando il cavaliere. Lautrec
barcollò all’indietro,
riprese l’equilibrio e si alzò in piedi.
Urlò ancora e si mosse in avanti, ma
ci deve essere stata una roccia nascosta sotto la neve,
perché Quelana lo vide
inciampare e cadere su un ginocchio. Il Demone Toro colse
l’opportunità e
abbassò l’ascia, la spinse in avanti e verso
l’alto. La superficie piatta della
sua lama d’acciaio colpì Lautrec al petto e lo
scagliò indietro verso l’alto.
Volò all’indietro, colpendo il suolo e strisciando
nella neve sulla schiena. I
suoi occhi si chiusero di scatto e strinse i denti, inspirando. Il
demone gli
si avvicinò.
Quelana
guardò lo scontro e poi la
scalinata. Non avrebbe mai dovuto prendere la dolorosa decisione di
fuggire da
Izalith mentre le sue sorelle venivano deformate dal caos che la
distrusse…ma
poteva certamente evitare altri rimpianti in futuro. Il Demone Toro
sollevò la
sua enorme ascia e corse in avanti-
-e
Quelana scattò per fermarlo. Gli occhi
della bestia andarono dal corpo disteso di Lautrec a lei, e il demone
cambiò
direzione. Lei sollevò le mani all’altezza delle
spalle e le aprì verso la
bestia, con le dita ben aperte. Il mostro ruggì,
calò l’ascia sopra di lei, e-
-fiamme
eruttarono dalle sue mani, dando
vita a un cerchio caotico di ardente, impetuosa distruzione rossa e
arancione.
Il fuoco divampò in un ampio cerchio, facendo sia da scudo
contro il colpo del
demone sia da contrattacco vero e proprio. La bestia guaì e
indietreggiò per
sfuggire al calore, ma le fiamme avvamparono in avanti, avvolgendo il
suo corpo
in una colonna di fuoco. La pelliccia della cosa
s’incendiò, e quando le fiamme
della strega si furono spente, il demone aveva dato origine alle proprie fiamme sulle spalle, la schiena
e le gambe. Alzò la testa e urlò al cielo prima
di lanciarsi a terra,
rotolandosi su se stesso, cercando disperatamente di domare le fiamme
sulla sua
pelliccia.
Lautrec
si rialzò a fatica. Guardò il
demone, poi lei, annuì in segno di ringraziamento e si
avvicinò per attaccare
la bestia, stringendo gli shotel. Il demone si alzò, spento
il fuoco, con la
pelliccia nera e ricoperta di cenere.
Non
li hai abbandonati. Hai aiutato. Ora corri, si disse Quelana
e si voltò per
farlo.
“Strega!”
Le urlò dietro Lautrec. “Rimani e combatti! Ho
bisogno-”
Ma
le sue parole vennero interrotte quando
l’artiglio del demone per poco non gli strappò la
testa dagli spallacci dorati.
Quelana corse oltre l’angolo, scendendo la scalinata a
chiocciola due gradini
alla volta, e scattò oltre la caverna vuota con le sbarre,
verso la seconda
scalinata che l’avrebbe condotta
all’ascensore…e a casa.
L’aveva
quasi raggiunta quando la figura
torreggiante del Demone Toro oscurò il cielo. Quelana
guardò, spaventata e con
gli occhi spalancati, verso l’alto e che la cosa era balzata
giù dalla parte
superiore e stava cercando di colpirla con l’ascia. Si
gettò di lato mentre
l’ascia staccava da terra un enorme pezzo di fango e neve dal
suolo. Il demone
atterrò con un assordante tonfo e ruggì.
Quelana
si girò sulla schiena, con
difficoltà, viste le mani legate, e affrontò il
demone. Sollevò le mani e cercò
di scatenare un’altra fiammata, ma non ci riuscì.
Aveva speso troppo del suo
fuoco interiore per stregare la ragazza prima e attaccando il demone
poi e
aveva bisogno di tempo per riprendersi. Tempo che non aveva.
Lautrec
saltò giù dietro al demone, cercando
di piantare i suoi shotel nella schiena della creatura, ma la piccola
testa
deforme che gli pendeva dalle spalle la avvisò con un urlo;
il Demone Toro si
voltò e sollevò il suo enorme artiglio. Lautrec
fu preso nella stretta del
demone, scosso come una bambola, e poi gettato a terra. Giacque inerte,
ferito
e forse morto accanto alla gabbia dove, ironicamente, aveva ucciso
innumerevoli
volte la donna al suo interno. Il demone grugnì soddisfatto,
si voltò verso
Quelana e sollevò la sua ascia.
Lei
riusciva a vedere Benjamin scoccare
freccia dopo freccia contro il mostro dal nido del corvo, ma
metà mancavano il
bersaglio, l’altra metà rimbalzavano semplicemente
sulle dure spalle della
creatura. Lautrec era privo di sensi, e Quelana capì che era
finita. Mentre il
demone si avvicinava, abbassò le mani e si costrinse a
fissare il mostro che
veniva a finirla. Perdonatemi sorelle mie,
pensò. Che possiate trovare
misericordia.
“Fermo!”
Abby
arrivò con passo incerto dalla
scalinata dietro al demone, appoggiandosi al muro per mantenere
l’equilibrio
mentre si avvicinava. “Fermo,” disse nuovamente,
portandosi una mano alla
fronte e scuotendosi la neve dai capelli.
“Che
stai facendo, sciocca ragazza?!” Urlò
Quelana. “Ti avevo detto di stare ferma! Ora ci
ucciderà entrambe!”
“No,”
disse lei, scuotendo la testa, e poi
parlò dolcemente al demone, “Tu non ferirai
più nessuno.”
Il
Demone Toro si voltò a guardarla,
piegando la testa di lato e socchiudendo i piccoli occhi su di lei. La
studiò
solo per qualche secondo prima di emettere un forte ruggito, alzando
l’enorme
ascia sopra la testa, scuotendola nell’aria furiosamente.
“Basta,”
disse lei, facendo un passo in
avanti, le mani sui fianchi.
“Folle
ragazza,” sussurrò Quelana,
scuotendo la testa. Controllò la propria fiamma interiore,
ma non la trovò
abbastanza forte da bruciare di nuovo. Non poteva fare nulla tranne
guardare la
ragazza avvicinarsi sempre di più e il demone diventare
sempre più furioso.
Appena fu a tiro, però, l’ascia della bestia si
abbassò leggermente, e mentre
Abby gli andava persino più vicino,
il demone sembrò confuso.
“Placa
la tua ira, bestia,” ordinò Abby.
“Non vogliamo farti altro male e non ce ne aspettiamo altro
da te.”
Miracolosamente,
l’ascia del demone gli
cadde di mano. I suoi occhi guardavano la ragazza alta nemmeno la
metà di lui
appoggiargli una mano sulla gamba. “Abbassati,
cosicché ti possa guardare negli
occhi,” disse Abby dolcemente.
Quelana
era senza parola guardando
l’enorme mostro che aveva appena scagliato due uomini e
l’aveva quasi decapitata
abbassarsi in ginocchio e fissare la ragazza di fronte a lui. Abby
sorrise e
portò una mano al collo peloso della creatura.
“Non ci credo…” sussurrò
Quelana, alzandosi in piedi e avvicinandosi all’incredibile
scena che aveva
davanti. Guardò il calmo demone dall’aria quasi
serena e poi Abby. Prima la
ragazza aveva opposto resistenza al suo incantesimo, e ora questo. “Cosa sei
tu?”
Chiese Quelana.
Abby
stava ancora sorridendo mentre le sue
mani accarezzavano la pelliccia del demone. “La Prescelta,
no? O almeno,
questo è quello che tutti voi mi avete detto.”
“No,
ragazza…” Disse Quelana, deglutendo,
la gola improvvisamente secca. “Tu sei…qualcos’altro.”
Lautrec
era di nuovo in piedi, ma piegato
verso il buco nella parete con le sbarre. I suoi pugni erano stretti
attorno
alle sbarre e ansimava. Quando si voltò di nuovo verso
l’insolita vista di Abby
e del demone inginocchiato, il suo volto era paonazzo e furioso. I suoi
shotel
erano di nuovo nelle sue mani. Si avvicinò.
“No,”
gli disse Quelana, spostandosi
velocemente dietro al demone per bloccargli la strada. “Non
vedi che la ragazza
ha sottomesso la bestia? Non devi-”
La
spinse lontano da lui. “Sei scappata.
Non hai più voce in capitolo.”
“Ti
ho salvato la vita!”
Protestò Quelana inciampando all’indietro e
cadendo nella
neve.
“Solo
per abbandonarmi subito dopo,” disse
Lautrec camminando verso il demone.
“Non
ti ho abbandonato!” Scattò Quelana.
Lautrec
la ignorò e si avvicinò ad Abby,
fissando il demone con uno sguardo di meraviglia e odio stampato sul
volto.
“Ti
prego,” lo implorò Abby. “La lotta
è
nella natura di questa creatura. Non è colpa sua se ci ha
attaccati. Devi-”
Lautrec
spinse via anche lei, e senza
altre parole, conficcò il suo shotel nella giugulare del
demone, con uno
spruzzo di sangue scuro a tingergli i guanti dorati di morte. Abby
urlò, gli
occhi pieni di lacrime, ma la furia si era impossessata del cavaliere e
iniziò
a piantare gli shotel nella gola della creatura in una rapida, furiosa
successione. Eppure, il demone non contrattaccò. Cadde solo
su un fianco e
soffocò sul suo stesso sangue mentre il cavaliere gli
scavava nella gola.
Morì
molto prima che Lautrec smettesse di
colpirlo.
Abby
era inginocchiata nella neve, il
volto tra le mani, singhiozzando piano. Quelana si avvicinò,
s’inginocchiò, e
appoggiò le mani sulla spalla della ragazza. Patches era
apparso sopra di loro,
sull’orlo di terra che dava sulla gabbia e si
grattò la testa calva. “Che
diavolo…” mormorò.
Lautrec
liberò gli shotel dalla gola del
demone morto. I suoi guanti e la sua cotta erano ricoperti dal sangue
della
cosa e gocciolavano mentre lui stava fermo, ansimando per riprendere
fiato.
Quelana lo guardò scuotendo la testa e accarezzando la
spalla di Abby. “Non eri
così furioso verso il demone. La tua furia
non si è risvegliata finché non hai guardato in
quella gabbia vuota dove di
solito si trova la tua ‘vittima’,” disse.
Lui non la guardò, né rispose, così
lei continuò. “Ci sono solo due cose che ho visto
risvegliare una tale emozione
negli uomini. Quindi dimmi, cavaliere dorato, perché
continui ad uccidere
quella povera guardiana del fuoco? Per odio…o per
amore?”
Lautrec
stette in silenzio a lungo, e
proprio quando Quelana pensava che non avrebbe avuto risposta,
mormorò,
“Entrambi,” e rinfoderò le sue lame.
Mentre
il pallido cerchio di luce che un
tempo sarebbe potuto essere il sole si abbassava sotto il lontano
orizzonte e
la notte scendeva su Lordran, si accamparono al santuario del legame
del fuoco.
Lautrec aveva mandato Patches e Benjamin a raccogliere legna
sufficiente dalla
zona circostante, e poi l’aveva fatta accendere a Quelana
prima di allontanarla
dal fuoco verso un vicino pilastro di pietra. La sua ricompensa per
avergli
salvato la vita fu di essere legata e messa a sedere per la notte. Per
il suo
tentativo di stregare Abby, le rimise il bavaglio in bocca e poi fu
lasciata,
zitta e sola, mentre il resto di loro si stringeva attorno al fuoco.
“Ho
un taglio,” grugnì Patches,
osservandosi la spalla insanguinata mentre strisciava verso il
falò e gettava
un bastoncino tra le fiamme. “Dannatissimo bastardo di un
demone…brutto pure,
hihi.”
“Posso
chiudere la ferita con ferro e
fuoco,” gli disse Lautrec, “ma non ho modo di
fermare qualsiasi infezione possa
essersi formata.”
Patches
sospirò, sembrò avere un dibattito
interiore, e poi si voltò verso Benjamin, che sembrava
pallido e malato. “C’è
un sacco nascosto di otri di vino da quella parte,”
indicò, “sotto una pila di
tre pietre bianche. Vai a prenderle, ragazzo.”
“Sto
male,” protestò Ben, e a dire la
verità, ne aveva l’aspetto.
“Non
me ne frega un accidente, sto
sanguinando! Datti da fare, merdina,” urlò
Patches, prendendo un sasso e lanciandoglielo.
“Te
lo prendo io il tuo dannato
vino,” disse Lautrec, lanciando i guanti vicino
al fuoco e alzandosi. “Anche se avremo una piccola
discussione sulle altre
‘scorte’ che potresti avere nei paraggi.”
Alzò gli occhi al cielo, verso la
neve. “Sperando sia ancora là. Abbiamo cambiato un
bel po’ di cose in questo
mondo maledetto.”
Patches
aggrottò la fronte. “Oh, non
sarebbe proprio una sfortuna? Non la mia piccola amata scorta di vino,
che
quegli déi maledetti congelino tutto il mondo, ma per
carità lasciatemi il vino!”
Lautrec
sparì dietro agli archi di pietra
che conducevano al cimitero che Quelana aveva visto dal nido del corvo
e tornò
un attimo dopo, portando con sé un sacco marrone. Patches lo
vide e un sorriso
sbilenco gli illuminò il volto. “Ah, ma allora è vero che gli Dei esistono
ancora! Fantastico! Hihi.”
La
risata dell’uomo calvo scomparve in
fretta e fu sostituita da gemiti di dolore qualche secondo dopo non
appena
Lautrec bagnò con il vino la sua spalla ferita. Patches
dovette stringere una
cintura tra i denti mentre Benjamin lo teneva fermo quando il cavaliere
scaldò
la lama del suo shotel sopra il falò e la premette contro la
ferita,
chiudendola. Quando ebbe fatto, e Patches ebbe finito di grugnire e
lamentarsi,
i tre iniziarono a passarsi un otre tra loro. Abby stava seduta,
stringendosi
le ginocchia, fissando silenziosa nel fuoco e ignorandoli la maggior
parte del
tempo finché Ben si voltò verso di lei e le
offrì il vino.
“Ha
fatto star meglio me,”
disse.
“No,
grazie,” disse sottovoce Abby e
appoggiò il mento sulle ginocchia.
“Ce
l’hai con me, ragazza?” chiese
Lautrec, sedendosi dall’altra parte del falò.
“Per aver ucciso il tuo povero,
dolce, demone.”
Abby
non disse nulla, l’unica certezza che
l’avesse sentito era la sua fronte corrucciata.
Lautrec
rise e prese un altro sorso
dall’otre. “La domanda è,”
continuò lui, leccandosi le labbra.
“Cos’è cambiato
in questo mondo maledetto per far sì che accadesse una cosa
simile? Era la
bestia deforme in sé…o sei tu
a
essere speciale?”
Abby
si strinse nelle spalle. “Tu
mi hai detto che ero speciale. Che
ero…Prescelta.”
“Beh,
lo siete entrambi,” la
interruppe Patches, indicando Ben. “Ma l’unica cosa
degna di nota che abbia fatto questo ragazzo qui è stato
piantarti una freccia
nel petto nel rifugio! Hihi.”
“Non
volevo
farlo,” si difese Ben, imbarazzato. “E potrei fare
molto di più! Non è stata
colpa mia se mi avete lasciato lassù con quello stupido corvo a guardare il combattimento. Avrei
potuto aiutare…avrei
potuto uccidere quello stupido coso, il demone, da solo.”
“Perché
siete tutti così decisi a uccidere
tutto?” protestò Abby, parlando
finalmente più forte di un semplice sussurro.
“Avremmo potuto salvarlo!”
“Salvarlo
da cosa?” chiese Lautrec
con un sorriso. “Era un demone. Esistono solo
per portare dolore e distruzione. Si meritava la morte, ed è
quello che gli ho
dato.”
“Tu
perché esisti?” scattò di rimando Abby.
“Tutto ciò che ho visto te
fare è stato portare dolore e
distruzione.”
Lautrec
guardò Patches e i due risero. “È
tutta arzilla ora che è un’ammaestra-demoni,
eh?” disse Patches prendendo un
sorso di vino.
“Ho
freddo,” s’intromise Ben, stringendosi
le braccia attorno al suo farsetto di pelle.
Lautrec
sospirò. “Quali Dei buffoni e
crudeli mi hanno affidato due Prescelti, una che vuole abbracciare
i propri nemici fino alla sottomissione, e l’altro che
non fa altro che lamentarsi e sbagliare tiri che avrebbe
dovuto fare.”
La
bocca di Ben si spalancò con
indignazione. “Ehi, ho colpito
con un
sacco di quelle frecce.”
“E
hai mancato con altrettanto,” aggiunse
Patches.
“Hai
del talento naturale, ma ti manca la
disciplina di un arciere più esperto,” disse
Lautrec al ragazzo. “Inarchi la
schiena e pieghi i gomiti quando tendi l’arco. Devi
migliorare queste cose.”
“Beh…mostrami,”
disse Ben.
Lautrec
bevve dall’otre e Quelana poteva
vedere che il liquido al suo interno stava iniziando ad avere effetto
su tutti
e tre. Il cavaliere fece spallucce, si alzò in piedi, e
condusse il ragazzo
fino al bordo dell’accampamento. Patches si tirò
su a fatica e barcollò dietro
di loro, ridendo a una battuta di pessimo gusto riguardo alle
‘frecce nel tuo
culo’. Quando fu sola, Abby si alzò, si avvolse il
suo mantello da monaca più
stretto attorno a sé e attraversò lo spiazzo,
avvicinandosi a Quelana. Arrancò
nella neve, salì pochi gradini di pietra, e le si
fermò di fronte. Abby
incrociò le braccia sul petto e la fissò. Quelana
non poteva fare altro che fissarla
a sua volta. Vicino al falò, Patches rise e Benjamin
urlò qualcosa.
Abby
li guardò, poi tornò su Quelana. “Se
ti tolgo il bavaglio dalla bocca…cercherai di controllarmi
ancora?”
Quelana
scosse la testa, e lo pensava
veramente. Non solo la ragazza le aveva salvato la vita, ma ora le era
chiaro
che ci fosse qualcosa di speciale in lei.
Abby
si morse il labbro, si guardò
un’ultima volta alle spalle, e si accucciò vicino
a Quelana. Deglutì
nervosamente mentre alzava il cappuccio del mantello nero dal volto di
Quelana
e tendeva le mani dietro la sua nuca per snodare il nodo del bavaglio.
Cadde
dalle sue labbra, e Quelana se le leccò.
“Grazie” disse sottovoce alla ragazza.
Abby
sorrise, annuì, e si sedette accanto
a lei; guardandola e stringendosi di nuovo le ginocchia al petto. Ci fu
un
momento di silenzio, poi la ragazza chiese “Come hai fatto
prima? Come mi
sei…entrata nella mente in quel modo?”
“È
un trucchetto molto antico,” disse
Quelana, spostandosi quel tanto che le permettevano le corde attorno al
corpo
per stare più comoda. “La vera domanda
è: come hai fatto tu a
resistere? Non mi era mai successo prima.”
Abby
alzò le spalle. “Io…non lo
so” disse,
e poi, pensandoci meglio “Non ho capito. Il cavaliere mi ha
detto che sono la
non morta ‘Prescelta’. Non dovrei
essere in qualche modo speciale?”
Quelana
annuì. “Sì, è solo
che…sia io che
quel cavaliere abbiamo vissuto molti cicli di eroi
‘Prescelti’. Nessuno è mai
stato capace di fare ciò che hai fatto tu oggi.”
“Allora
forse erano falsi eroi…” disse Abby
facendo spallucce.
“Forse
sì” ammise Quelana e poté evitare
di sorridere. Le piaceva la ragazza. C’era qualcosa
di…onesto nel modo in cui
parlava, come se non avesse niente da
nascondere o da perdere. Per quel che ne sapeva Quelana, forse era
così. “Hai detto
di venire da Vinheim?”
Abby
annuì, e, quando lo fece, della neve
le cadde dai capelli. “Sì. I miei genitori mi
mandarono alla grande Scuola del
Drago per stregoni e chierici laggiù. Però
io…non ero particolarmente brava in
nessuna delle due specialità.” Guardò
il cielo con un sorriso nostalgico.
“Avevo fatto così bene
i test
iniziali, ma quando si arrivò alla pratica…fare
incantesimi e pregare e tutto
il resto…non ero brava e basta. I miei genitori non erano
né tristi né
arrabbiati o cosa, ma…non si sono certo sforzati di
nascondere la loro
delusione.”
Quelana
annuì. “Sì, molti uomini e donne
che ho incontrato hanno trovato le arti superiori
difficili da comprendere. Hanno a che fare con la tua mente, sono
sicura che lo
sai. La scuola ti deve essere servita a qualcosa, no?”
Abby
si morse il labbro e sorrise prima di
annuire. “Sì, intelletto per le stregonerie, fede
per i miracoli.”
“Le
menti degli stregoni sono fatte per
comprendere la conoscenza e la logica molto nel profondo”
disse Quelana.
“Sfortunatamente, è qualcosa che non si
può insegnare. Un mio alunno, tanto
tempo fa, Salaman, me lo spiegò, una volta. Afferrano numeri
e schemi meglio
degli altri, e così riescono a vedere le antiche
verità celate in questo mondo
e utilizzarle nei loro incantesimi. I chierici…si affidano agli Dei per
ottenere forza. Quando
fai un miracolo, tu non stai facendo nulla in realtà. Stai chiedendo un favore agli Dei. Che ti
ascoltino o meno non sta a
te…dipende tutto da quanto è forte la tua
fede.” Fissò la ragazza con gli occhi
azzurri e le lacere vesti da monaca. “Ma non mi sembri una
donna molto pia, mi
sbaglio?”
“No…non
molto, immagino” ammise Abby.
Quelana
annuì, fece una pausa affinché
comprendesse le sue parole. “Ma esistono
altre arti. Altre arti…più
oscure.”
Abby
era a bocca aperta. Un fiocco di neve
le cadde sul labbro e lo leccò via.
“Intendi…” fece un cenno con la testa
alle
mani di Quelana. “Come il tuo fuoco.”
“Sì”
le disse Quelana. “Mentre gli
stregoni cercano la conoscenza, e i chierici conducono una vita di
servitù, i piromanti
ne
conducono una di controllo. Non
chiedi un favore alle fiamme, ordini
loro di fare come desideri.”
La
ragazza aveva gli occhi sgranati, e
Quelana colse l’occasione per far danzare una fiammella sulla
mano, dal pollice
al mignolo, prima di spegnerla. Abby deglutì e
guardò di nuovo Quelana negli
occhi. “E possono apprendere tutti
la
piromanzia? Ci proibivano di parlarne a scuola.”
“Tutti”
disse Quelana. “L’unica cosa importante
è ricordarsi che tu controlli le
fiamme,” disse dolcemente, e la sua mente andò per
un attimo a Salaman, “ma devi
anche temerle…o ti consumeranno.”
Il
volto di Abby era acceso d’interesse,
curiosità, timore, ed entusiasmo. Si morse il labbro e
fissò le mani di
Quelana. “Così…saresti disposta a
prendermi come tua alunna?”
“Sì.”
Abby
deglutì. “Quel cavaliere ha detto che
non sei umana. Che sei…una strega. Che sei nata
dal fuoco. È davvero così?”
“Sì.”
La
ragazza corrugò la fronte, non
aspettandosi chiaramente una risposta così schietta.
“Oh…capisco.”
“Veniamo
entrambe da anime oscure,
ragazza” insistette Quelana. “Non possiamo essere
tanto diverse.”
“Forse
no” ammise Abby annuendo, e in quei
suoi occhi azzurri si accese una scintilla di speranza.
“Che
stai facendo là in fondo, ragazza?!”
la voce di Patches giunse attraverso lo spiazzo. “Stai
lontana dalla cagn-ehm,
uhm, strega e portaci un altro otre
di vino.”
Abby
sospirò. “Non sono sicura di essere a
mio agio con gli altri…sembrano così decisi a
combattere tutto. E ora bevono
quando potrebbero esserci
pericoli appena oltre queste colline.”
“Sangue
e vino” disse Quelana. “Due cose
delle quali gli uomini saranno sempre
bramosi.” Il suo sguardo si posò sul corpo della
ragazza di fronte a lei. “E
c’è una terza
cosa che desiderano. Ti
conviene stare all’erta per proteggerla, perché io
non ti posso aiutare così
legata.”
Abby
ci pensò un attimo, poi comprese.
“Oh” disse, con una smorfia, stringendosi ancor
più le vesti addosso.
“Io…cercherò di convincerli a
liberarti. Se sarò una tua alunna, non possono
trattarti così, no?”
Quelana
sorrise. “Sei…molto dolce.
Speriamo che tu abbia ragione.”
Abby
ricambiò il sorriso. “D’accordo. La
prima cosa che farò domani mattina sarà parlare
col cavaliere.”
“Vacci
piano con lui” la ammonì Quelana.
“L’ego di un uomo è fragile e lui tende
a ferire ciò che lo mette a rischio.”
Abby
annuì, e sollevò il bavaglio, con un
sorriso comprensivo. “Mi dispiace” disse, e si
piegò in avanti per legarlo
nuovamente attorno alla testa di Quelana.
“Un
guanto,” disse Quelana prima di essere
zittita di nuovo. “Una piromante ha bisogno di un guanto.
Preoccupati di
trovare uno.”
“Va
bene” disse Abby e mise a posto il
bavaglio. “Un guanto e la tua liberazione saranno le prime
cose che chiederò
domani mattina. E…grazie.”
Quelana
annuì, la ragazza le abbassò di
nuovo il cappuccio sul volto, e poi tornò al gruppo di
uomini che scoccava
frecce nel terreno il loro vino. C’era qualcosa nella ragazza
che le aveva dato
un senso di speranza che non provava da molto tempo. Forse sarebbe
stata lei a
portare finalmente la pace a Izalith e a liberare le sue sorelle dal
loro
destino crudele. Forse sarebbe stata lei a porre fine a questo ciclo di
fallimenti che aveva distrutto Lordran.
Fu
con questi pensieri di speranza che
Quelana si addormentò.
Sognò
del fuoco; sognò di un grande eroe
che si levava da un lago di cenere per spazzare via con le fiamme tutti
i
mostri del mondo - uomini e demoni. L’eroe era basso e magro,
ma determinato, e
aveva dei bellissimi occhi azzurri.
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