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NEVERVILLE
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La dottoressa registra
il mio nome come 'Neverville'.
Passeranno dei giorni prima che capisca dove mi trovo.
La chiamano l'Accademia.
Al di là dell'edificio in sé, è una
specie di struttura scientifico-formativa.
E siamo sotto l'Oceano, in una città costruita al riparo
dagli
attacchi sulla superficie terrestre da parte degli invasori... 'Loro'.
Così li chiamano, con evidente poca fantasia.
Nell'Accademia i bambini della mia età frequentano una
scuola.
Poi, a 12 anni, si passa agli studi superiori, all'addestramento
militare vero e proprio.
Di qui escono i soldati, tutti. Almeno quelli della Terra.
Immagino che sulle colonie, nello spazio, ci siano altre Accademie del
genere.
Immagino anche che non ne siano rimasti molti, di abitanti, sul nostro
pianeta.
Forse sarebbe più logico abbandonare tutto e andarcene anche
noi su qualche colonia.
Non capisco tutto questo attaccamento a un pianeta semidistrutto.
Ma io sono solo una bambina, e si sa che i bambini -così
dicono- ne sanno meno degli adulti.
Ci sono camerate per dormire, sale comuni per mangiare, e poi aule per
seguire lezioni e studiare.
Io non sono mai andata a scuola. Quello che so me lo ha insegnato la
mia mamma.
Anche a leggere, e scrivere.
Scrivere mi piaceva molto, e anche disegnare.
Ma qui non si scrive. Si apprende tutto su schermi che sparano immagini
a velocità inverosimile, e che il cervello memorizza quasi
senza
che ce ne rendiamo conto.
Io sto in aula assieme agli altri bambini. Mi guardano con sospetto, e
io non interagisco con nessuno.
Ho una stanzetta tutta mia, dove ritirarmi, e una specie di vasca dove
posso immergermi quando ne sento il bisogno.
Mi fanno analisi tutti i giorni, e sembrano soddisfatti.
Io non parlo: non chiedo e non rispondo. E nessuno mi spiega nulla.
Il ricordo del mio paese e di mia madre, e dei suoi abitanti, a volte,
mi sembra tutto solo un sogno.
Mi vedo la pelle più bianca di quanto ricordassi, ma non ho
specchi per guardarmi.
So che avevo gli occhi verdi, come mia madre, e i capelli lunghi e
scuri.
Chissà se mi riconoscerei, adesso.
Il ragazzino che ho visto quel giorno lo incontro tutt'ora, ogni
giorno.
Ma deve essere più grande di età,
perché entra in aule diverse dalle mie.
Poi però a mangiare siamo tutti insieme.
E' lui che si avvicina una prima volta. Mi chiede se sono
malata.
Io lo guardo senza rispondere, e lui si siede accanto a me.
"Sai parlare?", continua. Io annuisco e accenno un sorriso. Ha il viso
simpatico. "Vuoi parlare?", insiste. Gli dico di no con la testa.
Tira su con il naso, spostandosi una ciocca di capelli rossi e un po'
riccioluti dagli occhi.
Ha gli occhi verdi anche lui, ma con strani colori
mescolati, e guizzano senza sosta.
"Non importa, parlerai quando avrai voglia". In compenso, parla lui per
tutti e due.
Da quel giorno, mi cerca spesso. Forse gli faccio pena. Quando dobbiamo
spostarci da un posto a un altro mi prende per mano, e io sono felice.
Credo di avere un amico. Credo che potrei anche parlare, con lui. E
forse un giorno lo farò.
Mi ha fatto vedere dove dorme. Una volta, senza essere visti, mi ha
fatto fare un giro per l'Accademia.
Mi ha chiesto se ero destinata anche io a essere un soldato, e ho fatto
spallucce. Non lo so.
Lui mi ha detto che lo diventerà, e lo ha detto con
orgoglio,
gonfiando il petto, e facendomi sentire i muscoli del braccio.
Io ho riso, perché è talmente magro che i
muscoletti che
ha attaccati all'osso sembrano poco più che due pomi acerbi.
Si è un po' risentito, e mi ha detto di ridere ora,
perché poi quando diventerà grande grosso e
muscoloso
resterò a bocca aperta dallo stupore.
Una sera non riesco a prendere sonno.
Mi è sempre difficile, in realtà,
perché quando si
spengono le luci la testa mi si affolla di ricordi e pensieri e stare
sola mi fa paura.
Dormivo con mia mamma, a volte, e mi manca... mi manca così
tanto.
Una manciata di passi e sono fuori dalla mia stanza. Pochi sorveglianti
in
giro, ho imparato a eluderli. Jody è stato un bravo maestro
in
questo.
Raggiungo la sua camerata, trattengo il fiato.
Sembrano già dormire tutti. Quello di Jody è
l'ultimo
letto, vicino a una parete. Scivolo in silenzio, sono poco
più
di un'ombra pallida nel buio.
Lo raggiungo, e mi infilo sotto il lenzuolo.
Sobbalza e quasi caccia un grido, ma gli butto le mani sulla bocca
schiacciandolo contro il cuscino.
I suoi occhi si sgranano, me ne accorgo anche se l'illuminazione
è fioca e soffusa.
E poi si stringono in un sorriso.
"Che ci fai qui? Hai paura a dormire sola, Neverville?", bisbiglia
quando gli libero la bocca e mi accuccio sul materasso. Annuisco.
Mi osserva per qualche istante, si guarda intorno. Nessuno si
è mosso. "Vuoi stare qui?". Annuisco di nuovo.
"Però domattina devi sgattaiolare via prima che ti vedano".
Annuisco ancora, con decisione.
"Dai, vieni, ranocchietta", mi dice, e ridacchia. "Girati che ti
abbraccio, così ti scaldo. Ma sei sempre così
gelata,
tu?".
Mi faccio ancora più minuta, e lui mi passa un braccio sotto
la
testa e con quello mi cinge la spalla opposta, e l'altro lo chiude
davanti a me. Lo sento che si sistema con le ginocchia dentro
all'incavo
delle mie, e poi mi augura la buonanotte.
Fu la prima di molte notti che dormii insieme a lui, e nel calore di
quell'abbraccio ritrovai la serenità del sonno. E anche un
po' d'affetto.
Schiudo gli occhi, Pete è chino su di me, le
sue mani calde attorno al mio viso, è anche
spaventato.
- Che è successo, Mina, che ti hanno fatto!? -, ha la voce
allarmata.
Nego, scuotendo la testa, - Niente, sono io che... sono io che li ho...
sono morti? Sono morti, Pete? -.
Pete si guarda intorno, si sofferma sui due uomini che giacciono inermi
in terra, mi rivolge uno sguardo solido e rassicurante e accenna un
sorriso.
- Stai tremando tutta, Mina, vieni, ti porto nella tua stanza, qui
tra poco arriverà la sorveglianza e devo avvertire subito il
Capitano.
Ma tu non preoccuparti -, mi dice, mentre mi solleva prendendomi tra le
braccia, quasi senza sforzo, - non risaliranno a te, lascia fare a me -.
Non ho la forza di dirgli nulla, il freddo mi è entrato
nelle
ossa e non riesco a smettere di sussultare. Gli allaccio le braccia
dietro al collo, la tempia contro il suo torace. Sento che mi sfiora il
viso con le labbra, la paura svanisce un poco, mentre mi porta nella
mia stanza.
C'è un regolatore della temperatura in ogni
alloggio,
vedo che armeggia per alzarla di qualche grado. Mi ha
adagiato sul letto con premura, mi ha tolto gli stivali e mi ha coperto
con il
lenzuolo. Tremo ancora, come se nella stanza ci fosse la neve, e non il
caldo che sta sicuramente spandendosi intorno a me.
- Vado a parlare con il Capitano, inserisco il controllo vocale alla
porta
così puoi aprirmi senza alzarti, ok? Torno subito -.
Mi accarezza il viso mentre parla, il tono basso, gli occhi che non mi
lasciano. Mi sfiora le labbra con le sue, dolcemente.
Chiudo gli occhi, mentre esce, e aspetto, il freddo sulla pelle, fin
dentro il cuore.
Non ho idea di quanto tempo sia trascorso, da quando sono rimasta sola.
Adesso non ho nemmeno la forza di formulare un pensiero coerente, ma
appena sarò in grado, dovrò capire... capire cosa
è successo, nella vasca, prima.
Che cosa sto diventando... che cosa sono.
Da dove è uscita tutta quella forza che non conoscevo, che
cos'è questa capacità di governare l'acqua, cosa
questa empatia che mi fa vedere le emozioni altrui. Se sono una
macchina da guerra più mortale di quanto pensassero, e se
rischio di esplodergli letteralmente
tra le mani, al Capitano e alla dottoressa.
Loro rappresentano il potere
qui sulla Motherhead. Sono loro che prendono decisioni. Loro che danno
ordini.
Ho apprezzato la premura di Pete, la sua prontezza.
E' in gamba, non potrebbe essere altrimenti. Non per un pilota come
lui, intendo.
Se la dottoressa venisse a sapere cosa ho combinato mi sottoporrebbe di
nuovo a tutta una serie di analisi e di esami... sarei davvero felice se
potessi evitarli.
Sento la voce di Pete. E del Capitano.
- Che cosa è
successo? Dov'è Mina?
- Mina è
nella sua stanza, Capitano. Hanno cercato di aggredirla, ma sono
intervenuto in tempo.
- Tu? ... Mina sa
difendersi da sola, cosa diavolo è successo qui Pete?
- Quello che ho detto.
Non le ho dato il tempo di reagire, sono intervenuto prima io. Era in pericolo e non ho riflettuto, ho agito, come deve fare un soldato.
- Sono morti, Capitano. (Una
voce che non conosco, forse un addetto alla sicurezza)
- Pete sei sicuro di
star dicendo la verità?
- Sono comandato
all'obbedienza, non potrei mai mentire, Capitano.
(Silenzio. Mi par quasi di vederli, fronteggiarsi, gli
occhi scuri del Capitano, inamovibili, in quelli fieri e coraggiosi di
Pete).
- Lei... sta bene? (Ha
la voce meno ferma rispetto a poco fa).
- Sì, un poco
scossa per l'accaduto, ma sta bene. Non so come possano averla
raggiunta nella vasca, quei due, io...
- Predisporrò
delle indagini. Tu continua ad occuparti di lei. Lo sbarco dura fino a
stasera, se volete... Avvertitemi se scendete.
- Sì,
capitano, sarà fatto.
- Mina... -.
Non esito a dare l'ordine alla porta di aprirsi, ho bisogno di lui, qui
con me. Ora che so che quei due uomini sono morti, ora che so che li ho
uccisi.
- Mina, come stai? -.
Mi raggiunge al bordo del letto, non sto bene, affatto. Mi chiama,
ancora più sottovoce. Sto piangendo, sono lacrime quelle che
sento attraversare le ciglia, e scavalcare il naso, solleticando un po'
la pelle, prima di scivolare oltre la guancia, nel cuscino.
- Sono morti, Pete -, ripeto, dentro di me e poi a lui.
Mi guarda un po' sorpreso, non era una domanda la mia.
- Ti ho sentito, mentre parlavi con il capitano. Non chiedermi
perché, Pete, io non so più nulla di quello che
sono... eravate distanti, nel corridoio, ma vi ho sentito, come fossi
lì con voi -.
Apre la bocca quasi a chiedere oltre, ma poi tace. E lo ringrazio, di
nuovo, per la sua accortezza.
Per il suo non indagare, non voler sapere. Per il suo esserci,
semplicemente, qui, per me.
- Non ti sei affatto scaldata, però, maledizione -. E' quasi
un'imprecazione.
- Senti Mina, forse non ti piacerà, e non so come altro
dirtelo, ma c'è un unico modo per provare ad alzare la tua temperatura corporea... Se
hai un'idea migliore, se vuoi che ti chiami la dottoressa, dimmelo...
Ma ci hanno insegnato che in caso di ipotermia, se la tuta va in
tilt per qualche motivo, bisogna scaldarsi pelle a pelle -.
Lo guardo, muta. Ho capito perfettamente cosa intende, e so anche io,
che forse è l'unico modo.
La tuta che indosso non riesce a scaldarmi, la temperatura tropicale della
stanza neanche.
Il gelo lo sento dentro, come se per difendermi avessi dato fondo a
tutte le mie energie, come se quello che ho percepito (le brutture, il
male che ho sentito in quegli uomini) mi avesse spento, consumato... e
invece la presenza di Pete mi rassicura, mi fido di lui.
Sorrido... mia madre diceva sempre che l'affetto scalda il cuore...
non aveva idea di quanto fosse vero.
Pete sta ancora aspettando una risposta. Ha il volto tirato, e
nessun'ombra dentro di lui.
Alzo il lenzuolo, con un sorriso incerto, la mano mi trema per il
freddo, è un invito.
Chiudo gli occhi, il rumore degli stivali sul pavimento, e poi sguscia
accanto a me quasi senza sfiorarmi, non ancora.
Ho dormito tante volte con Jody. Non è la stessa cosa. Ma so
cosa significa stare in due sotto lo stesso lenzuolo.
Il suo braccio, nudo, mi cinge una spalla, e mi stringe a
sé, e una gamba si fa spazio tra le mie ginocchia, serrate,
si insinua, e la lascio passare. Un incastro perfetto, stretta contro
il suo torace. Non dice nulla e aspetta.
Ha determinazione, penso, e autocontrollo, o forse solo una sconfinata
irragionevolezza.
E quando lascio che la tuta scivoli via, che sparisca, lentamente, come
dissolta, è finalmente il suo corpo che percepisco.
Trattiene il fiato, mi stringe di più. Ed è il
suo calore che mi pervade piano, che si fa strada, come il sole quando
sorge da dietro una collina, che man mano irradia tutto, della sua
luce, e allunga le ombre e le ritira e le fa sue, e tutto colora, e
tutto prende forma, lentamente, e sempre di più.
E forse questa luce è solo amore.
E Pete è questa luce. E Pete è questo amore.
E io sono di nuovo un corpo, caldo, che vive e che ama, e che riluce. Per
lui.
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Carissimi tutti, in tempo per gli auguri per il nuovo anno!!
Capitolo un po' romantico, lo so... ogni tanto ci vuole ...
Resta da vedere cosa sta facendo Jody ... Questa volta aggiungo e disvelo poco ... ma prima o poi tutto quadrerà.
Un abbraccio a chi legge, segue, e lascia una traccia negli spazi siderali ;) Amantea
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