ANGOLO
AUTRICE
So
benissimo che sono passati quasi sei mesi dall'ultima volta che ho
aggiornato, che questo capitolo è corto e fa pena e che se qualcuno
mai mi avesse seguita ora sicuramente mi avete mandata tutti a quel
paese quindi posso dirvi solo: SCUSATEEEEE NON VOLEVOOOOOO :'''''(
No,
a parte gli scherzi, sono stata impegnatissima e priva di ispirazione
(ma direi più che altro priva di voglia).
Ora
sono tornata, PIÙ AGGUERRITA CHE MAI (ridicola!) quindi pleaaaaase
lasciatemi un commentino :3
La camera di Tia non è
mai stata pulita né ordinata, almeno non nei miei ricordi, ed esiste
un'ottima probabilità che essi corrispondano alla realtà. Non che
io fossi una maniaca dell'ordine: da quando ho ricordi mia madre ha
sempre sprecato il suo prezioso -a suo parere- tempo per criticare il
pietoso -sempre a sua detta- stato della mia stanza, ma almeno il mio
parquet non era costellato di fazzoletti sporchi e cenere.
L'anno precedente,
durante i mesi in cui Tia aveva avuto una relazione con Simona, mi
ero rifiutata di andare a casa sua, non per rispetto di una eventuale
gelosia da parte della mia migliore amica quanto per il timore di
imbattermi in preservativi usati. Questi, nell'eventualità alquanto
verosimile in cui l'avere una relazione non avesse spinto Tia a
rendere la sua cameretta un ambiente più confortevole, dovevano
comunque essere ormai sotterrati dagli strati di sporcizia dei sei
mesi da cui i miei due migliori amici si erano lasciati.
Anche se durante i quasi
otto mesi in cui Simona e Tia si erano amati follemente io ero stata
una delle maggiori sostenitrici della loro storia, sapevo che sarebbe
finita. Non sono ironica quando dicono che si erano amati follemente:
credo di non aver mai visto qualcuno innamorato quanto loro due e, in
cuor mio, speravo davvero che durasse, se non per sempre, almeno a
lungo, non solo perché si trattava di due persone a cui tenevo ma
anche e soprattutto perché rappresentavano per me l'unico esempio di
vero amore in un mondo liceale straripante di ormoni, relazioni vuote
e baci con la lingua all'entrata del bagno. Ma Simona aveva
diciassette anni e Tia ne aveva sedici ed era stato più facile per
entrambi lasciarsi piuttosto che accettare il fatto di essere
fidanzati con una persona reale e non con la sua immagine
idealizzata. Era andata così e io credevo che mi sarei sentita una
bambina all'indomani del divorzio dei genitori; invece entrambi si
avevano affrontato la rottura in modo sorprendente maturo senza
parlare male a me dell'altro, senza scenate né particolari fontane
di lacrime, cercando di evitarsi il più possibile ma comunque
interagendo civilmente all'occorrenza.
Il lato indiscutibilmente
positivo della camera di Tia era l'enorme letto matrimoniale che
troneggiava al centro, pieno di cuscini e adatto a ospitare un numero
indefinito di persone, che di giorno vi si sedevano sopra e la sera
collassavano ubriache tra i suddetti cuscini.
-Com'è possibile che il
tuo letto sia sempre fatto?- domandò Giacomo, osservando con un
certo implicito disgusto il pavimento sotto di noi.
-Tu sei sempre fatto-
risposta Tia con un sorriso ebete, passando una canna accesa al suo
amico. Mi sfuggì una risata mentre finivo di rispondere su whatsapp
a Simona dicendole di non preoccuparsi, che sarei stata da lei per
cena.
Forse la cosa che mi
mancava di più dei vecchi tempi era il non poterci più
ritrovare tutti insieme: io, Anna, Simona, Mattia e Giacomo. Adesso
se c'era Tia non c'era Simona e viceversa; le uniche occasioni in cui
erano presenti entrambi erano feste di amici in comune e, per quanto
loro due si salutassero e si scambiassero qualche parola, noi
dovevamo fondamentalmente dividerci tra una e l'altro.
Ora noi quattro eravamo
sul lettone di Tia ma il posto di Simona era occupato da Denise, una
ragazza alquanto insipida, compagna di classe di Giacomo e Tia, con
cui solo negli ultimi mesi questi avevano fatto amicizia. Ero gentile
con lei perché non creava problemi e il mio migliore amico la
apprezzava ma c'era qualcosa in lei che la rendeva antipatica ai miei
occhi. Forse il fatto che fosse comparsa poco dopo la rottura tra
Simo e Mattia -anche se quest'ultimo sosteneva che Denise non gli
piacesse in quel senso-, forse il suo modo di fare da santarellina,
forse la sua voce infantile e un po' acuta. Non mi piaceva ma cercavo
di non fargliene una colpa, e a Tia non l'avevo mai detto.
-Il mio letto è sempre
fatto perché è l'unica cosa nella mia stanza che la signora delle
pulizie sistema- rispose Tia a rallentatore, buttando indietro la
testa, che rimbalzò tra i soffici cuscini.
-Come non capirla-
esclamò Anna facendo velocemente un paio di tiri e passando a me la
canna. Denise rise nervosamente per mezzo secondo e cominciò a
rosicchiarsi le unghie.
-È la stessa cosa che
dice mia madre- replicò Tia con una risata inconfondibile, fissando
il soffitto. -Infatti non ha il coraggio di chiederle di pulire la
mia stanza nemmeno con la promessa di un aumento-.
Aspirai lentamente e
buttai fuori. Avevo provato a fumare una sigaretta una volta sola
nella vita, in prima superiore, durante l'intervallo: mi aveva fatto
schifo ma quando avevo smesso di tossire i miei amici mi avevano
incitata a riprovare, così avevo fatto qualche altro tiro. Una volta
arrivata a casa era stato un sollievo per la mia bocca, che avevo
sentito sporca e impastata per tutte le ore successive, precipitarmi
a lavarmi i denti. Senza spiegazioni introduttive, avevo urlato a mia
madre qualcosa sul non sapere come trovasse piacevole respirare
quella merda più volte al giorno e lei si era limitata a un
sorrisetto compiaciuto. Penso che avesse capito e che fosse felice
che probabilmente sua figlia non sarebbe diventata una fumatrice.
Fine della mia esperienza con il tabacco.
Le canne le avevo provate
più tardi e apprezzate maggiormente. La prima me l'aveva offerta Tia
al mio diciassettesimo compleanno e io, inizialmente diffidente,
avevo aspirato controvoglia ed ero rimasta sorpresa nel trovare
piacevole il sapore dell'erba e, dopo qualche tiro, la sensazione che
regalava. Poi avevo tossito lo stesso e, a distanza di mesi in cui
ero stata una fumatrice occasionale di sole canne, continuavo a farlo
pressoché ogni volta.
-Dove andiamo per
Halloween?- chiese Giacomo.
Io, Simona e Anna avevamo
sempre festeggiato Halloween insieme e, per quanto il mondo
obiettasse che non fosse una festa facente parte della tradizione
italiana, ormai era diventata parte della nostra tradizione.
Alle
medie, io e Anna organizzavamo a casa sua un pigiama party per ogni
31 ottobre. Le ragazze della nostra classe erano dieci in quegli
anni, e sua madre invitava sempre anche le due che non avremmo voluto
tra i piedi dicendo che non è bello escludere delle bambine da un
gruppo. Quasi sempre queste due si pentivano di aver accettato
l'invito quando, al fatidico momento del dolcetto o
scherzetto, il porta a porta
passava in secondo piano dopo aver fatto razzia in qualche casa e
loro diventavano irrimediabilmente vittime di scherzi. Poi, in
seconda media, avevamo usato un finto coltello per fare spaventare
Flavia, una delle due. Questa si era messa a correre all'impazzata
senza rendersi conto di essere in mezzo alla strada e una moto
l'aveva presa di striscio. La motociclista si era fermata e aveva
insistito perché la aspettassimo mentre lasciava giù la moto e
prendeva la macchina per accompagnare Flavia in ospedale. Doveva
sentirsi parecchio in colpa. Tutte rispondemmo di sì ma, appena si
allontanò, ce ne andammo più velocemente possibile verso casa di
Anna sorreggendo Flavia che piangeva per la caviglia dolorante. Ai
genitori di Anna spiegammo che era caduta dalle scale di un palazzo e
Flavia non obiettò. Il padre di Anna, infermiere, decretò che non
era nulla di grave ma noi tutte eravamo comunque nel panico. Io dissi
addirittura che volevo chiamare mia mamma perché venisse a prendermi
e credo che Anna si arrabbiò con me per questo. Alla fine dormii con
le altre nove nel salotto di Anna. Né i nostri genitori né altri
amici scoprirono mai nulla su questo episodio e Flavia non fece mai
la spia, ma l'anno dopo preferimmo andare al cinema in cinque ragazze
e tre ragazzi.
In
prima superiore avevamo conosciuto Simona e, senza neanche che ce ne
rendessimo conto, dai primi giorni di scuola eravamo già a fine
ottobre. Non avevamo organizzato nulla per la notte di Halloween e,
all'ultimo momento, avevamo ripiegato su un film horror al cinema,
solo noi tre. Per arrivare al cinema Colosseo in piazza Cinque
Giornate avevamo dovuto attraversare a piedi tutto Viale Montenero e
un certo punto dei ragazzi fuori da un locale ci avevano fatto segno
di avvicinarci. Simona era titubante ma io avevo voglia di qualcosa
di più avventuroso di un po' di sangue su uno schermo e andai da
loro, seguita ruota da Anna. Alla fine anche Simona si avvicinò,
sbuffando, e i ragazzi si presentarono. Non ricordo nemmeno i loro
nomi, solo che erano in tre, fumavano sigarette e, a giudicare dalla
barba che due di loro avevano, dovevano avere qualche anno più di
noi. Io dichiarai di avere quindici anni: probabilmente neanche così
avrei raggiunto la loro età, ma mi erano sembrati comunque meglio
dei miei non ancora quattordici. Entrammo nel locale con loro e ci
offrirono da bere; Simona rifiutò, continuava a toccarsi
nervosamente i capelli biondi senza parlare con nessuno e si intuiva
facilmente che avrebbe voluto essere al cinema. Io e Anna prendemmo
un drink ma ci ostinammo a pagarlo e, per quanto mi riguarda, lo
mandai giù a forza cercando disperatamente di concentrarmi sul
sapore di frutta anziché su quello dell'alcool. Ripensandoci ora, fu
una serata abbastanza squallida. Alla fine mi feci baciare dal più
carino dei tre e mi sentivo davvero lusingata delle sue attenzioni ma
poi gli lasciai un numero falso. I ragazzi ci chiesero di continuare
la serata con loro offrendosi di riportarci a casa in macchina più
tardi. Non feci in tempo a trovare una scusa perché Simona rifilò
loro una risposta acida su quanto odiasse coloro che guidano dopo
aver bevuto e si precipitò fuori dal locale. Io e Anna la seguimmo
scusandoci, ma lei tirò dritta senza rivolgerci la parola. A
mezzanotte, quando la mamma di Simona arrivò in macchina, eravamo
sotto il Colosseo pronte per andare a dormire da Simo che non ci
tenne il muso ancora per molto.
La
notte di Halloween della seconda superiore l'avevamo trascorsa nella
villa di Giulia Motta. Probabilmente c'era anche Jacopo Marzi ma
forse ancora non lo conoscevo anche se, da quanto ricordi, è sempre
stato conosciuto da tutti. Forse semplicemente lui non conosceva me.
In ogni caso, di quella serata ricordo assai poco perché ero ubriaca
come mai nella vita. Mi sono svegliata verso le nove di mattina nel
letto in cui anni dopo avrei consumato la mia prima volta con un mal
di testa incredibile. Simona, seduta accanto a me, giocava con il
cellulare. In giro per la casa c'erano decine di persone addormentate
o messe non meglio di me. Dopo aver ascoltato per qualche minuto
l'entusiasmante racconto di come avessi cercato di buttarmi nel
laghetto delle anatre e Simona me lo avesse impedito, mi catapultai
in un bagno ridotto in condizioni pietose per farmi una doccia. Poi
mi accorsi che i miei vestiti erano visibilmente macchiati di vomito
e, vergognandomene, li buttai e decisi di prenderne in prestito
alcuni di Giulia. Aprendo il suo armadio e trovandomi davanti una
varietà di vestiti Abercrombie decisi di prorogare a tempo
indeterminato il prestito di un paio di jeans, una t-shirt e una
felpa bianche e dimenticai addirittura di accennare il fatto alla
proprietaria. Mesi dopo iniziai a vergognarmi di aver rubato dei
vestiti a una ragazza che era sempre stata gentile con me, ma non
ebbi mai il coraggio di confessarglielo e restituirle i suoi
indumenti.
Quando
ero in terza superiore né io né le mie due migliori amiche avevamo
idea di cosa fare per il 31 ottobre. Dopo giorni di indecisione
avevamo optato per una serata tra noi a casa di Anna ma, all'ultimo
momento e senza preavviso, mi era piombata in casa mia cugina Ada,
direttamente da Roma. Di cinque anni più vecchia di me, con un
fisico da modella e una passione per gli uomini avvenenti di una
certa età -passione più che ricambiata-, Ada era il mio idolo sin
da quando ero piccola. Aveva piazzato una valigia in camera mia e mi
aveva invitata a una festa a casa di un suo amico che non viveva
troppo lontano da me. Chiamai Anna e Simona in una telefonata a tre,
simulando una voce raffreddata e fingendomi dispiaciuta per la
dannata febbre che mi avrebbe impedito di passare la serata con loro,
mentre mia cugina sghignazzava fumando erba alla finestra. Ogni
persona presente a quella festa, uomo o donna che fosse, era
assurdamente attraente e poco vestita e la maggior parte di loro
sniffava cocaina sui tavolini di vetro. Ebbi l'impressione che
fossero tutti ricchi sfondati. Ada era scomparsa già da un po'
quando un palestrato a torso nudo si avvicinò a me chiedendomi se
volessi seguirlo in camera e mostrandomi una bustina di polvere
bianca. Apprezzai il modo in cui me la leccava ma la coca non la
provai.
L'ultimo
Halloween l'avevo passato a casa di Simona, con lei che si contorceva
nel letto per quanto stava male dopo aver preso la pillola del giorno
dopo. A parte me, che l'avevo accompagnata in consultorio e poi in
farmacia, non l'aveva detto a nessuno e nessuno lo seppe mai. Nemmeno
sua mamma, Mattia o Anna.
Un
segreto per ogni Halloween, quindi. Ed ero preoccupata da ciò che
sarebbe potuto accedere adesso che eravamo più grandi, fumavamo ed
eravamo invitati alle feste.
-C'è
una festa- rispose Mattia, che nel frattempo aveva riacquistato il
possesso della sua canna. -A casa dei gemelli, hanno invitato tutta
la scuola-.
I
gemelli erano Maria e Alessio Gregorao. In realtà solo Maria
frequentava la nostra scuola, nella 5^B, ma tutti conoscevano anche
suo fratello. Maria era incredibilmente popolare e intelligente e può
essere che un paio di volte io mi sia masturbata pensando a lei ma,
alla realtà dei fatti, tra noi non c'è mai stato nulla di più di
gentilezza e amicizia.
La
casa dei gemelli era enorme e i loro genitori sempre in viaggio,
quindi era capitato spesso che si organizzasse qualche party
selvaggio da loro. Alla fine dei conti, comunque, in quelle feste non
era mai stato rotto nulle di prezioso, nessuno era mai stato così
male da finire in ospedale e non avevamo mai ricevuto denunce dai
vicini. Ma bisogna dire che nessuna di queste feste era mai caduta il
giorno di Halloween, quindi c'è sempre una prima volta, mi dissi.
Inutile dire che tutti accettammo l'invito, compresa Denise, che
aveva già rifiutato la canna un paio di volte.
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