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Autore: Milla Nafira    04/01/2016    2 recensioni
Mi avvicinavo ai diciotto anni e alla maturità e credevo che la mia vita non avrebbe potuto essere più complicata e piena di segreti quando avevo scoperto che il ragazzo con cui avevo perso la verginità era fidanzato con una modella. Be', fino a quel momento non era mai stata così 'segreta', in effetti.
Tutto cambiò con il cappotto giallo dell'elegante professoressa di storia dell'arte. Voglio parlare di questo. Di come ho scoperto di essere attratta dalle donne, di essere attratta da lei e di come anche lei ha iniziato ad essere attratta da me. Della gita scolastica a Parigi in cui ovviamente lei era presente, della mia travagliata quanto appassionata storia d'amore con quella che i miei occhi vedranno sempre come la donna più affascinante del pianeta.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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ANGOLO AUTRICE

So benissimo che sono passati quasi sei mesi dall'ultima volta che ho aggiornato, che questo capitolo è corto e fa pena e che se qualcuno mai mi avesse seguita ora sicuramente mi avete mandata tutti a quel paese quindi posso dirvi solo: SCUSATEEEEE NON VOLEVOOOOOO :'''''(

No, a parte gli scherzi, sono stata impegnatissima e priva di ispirazione (ma direi più che altro priva di voglia).

Ora sono tornata, PIÙ AGGUERRITA CHE MAI (ridicola!) quindi pleaaaaase lasciatemi un commentino :3


La camera di Tia non è mai stata pulita né ordinata, almeno non nei miei ricordi, ed esiste un'ottima probabilità che essi corrispondano alla realtà. Non che io fossi una maniaca dell'ordine: da quando ho ricordi mia madre ha sempre sprecato il suo prezioso -a suo parere- tempo per criticare il pietoso -sempre a sua detta- stato della mia stanza, ma almeno il mio parquet non era costellato di fazzoletti sporchi e cenere.

L'anno precedente, durante i mesi in cui Tia aveva avuto una relazione con Simona, mi ero rifiutata di andare a casa sua, non per rispetto di una eventuale gelosia da parte della mia migliore amica quanto per il timore di imbattermi in preservativi usati. Questi, nell'eventualità alquanto verosimile in cui l'avere una relazione non avesse spinto Tia a rendere la sua cameretta un ambiente più confortevole, dovevano comunque essere ormai sotterrati dagli strati di sporcizia dei sei mesi da cui i miei due migliori amici si erano lasciati.

Anche se durante i quasi otto mesi in cui Simona e Tia si erano amati follemente io ero stata una delle maggiori sostenitrici della loro storia, sapevo che sarebbe finita. Non sono ironica quando dicono che si erano amati follemente: credo di non aver mai visto qualcuno innamorato quanto loro due e, in cuor mio, speravo davvero che durasse, se non per sempre, almeno a lungo, non solo perché si trattava di due persone a cui tenevo ma anche e soprattutto perché rappresentavano per me l'unico esempio di vero amore in un mondo liceale straripante di ormoni, relazioni vuote e baci con la lingua all'entrata del bagno. Ma Simona aveva diciassette anni e Tia ne aveva sedici ed era stato più facile per entrambi lasciarsi piuttosto che accettare il fatto di essere fidanzati con una persona reale e non con la sua immagine idealizzata. Era andata così e io credevo che mi sarei sentita una bambina all'indomani del divorzio dei genitori; invece entrambi si avevano affrontato la rottura in modo sorprendente maturo senza parlare male a me dell'altro, senza scenate né particolari fontane di lacrime, cercando di evitarsi il più possibile ma comunque interagendo civilmente all'occorrenza.

Il lato indiscutibilmente positivo della camera di Tia era l'enorme letto matrimoniale che troneggiava al centro, pieno di cuscini e adatto a ospitare un numero indefinito di persone, che di giorno vi si sedevano sopra e la sera collassavano ubriache tra i suddetti cuscini.

-Com'è possibile che il tuo letto sia sempre fatto?- domandò Giacomo, osservando con un certo implicito disgusto il pavimento sotto di noi.

-Tu sei sempre fatto- risposta Tia con un sorriso ebete, passando una canna accesa al suo amico. Mi sfuggì una risata mentre finivo di rispondere su whatsapp a Simona dicendole di non preoccuparsi, che sarei stata da lei per cena.

Forse la cosa che mi mancava di più dei vecchi tempi era il non poterci più ritrovare tutti insieme: io, Anna, Simona, Mattia e Giacomo. Adesso se c'era Tia non c'era Simona e viceversa; le uniche occasioni in cui erano presenti entrambi erano feste di amici in comune e, per quanto loro due si salutassero e si scambiassero qualche parola, noi dovevamo fondamentalmente dividerci tra una e l'altro.

Ora noi quattro eravamo sul lettone di Tia ma il posto di Simona era occupato da Denise, una ragazza alquanto insipida, compagna di classe di Giacomo e Tia, con cui solo negli ultimi mesi questi avevano fatto amicizia. Ero gentile con lei perché non creava problemi e il mio migliore amico la apprezzava ma c'era qualcosa in lei che la rendeva antipatica ai miei occhi. Forse il fatto che fosse comparsa poco dopo la rottura tra Simo e Mattia -anche se quest'ultimo sosteneva che Denise non gli piacesse in quel senso-, forse il suo modo di fare da santarellina, forse la sua voce infantile e un po' acuta. Non mi piaceva ma cercavo di non fargliene una colpa, e a Tia non l'avevo mai detto.

-Il mio letto è sempre fatto perché è l'unica cosa nella mia stanza che la signora delle pulizie sistema- rispose Tia a rallentatore, buttando indietro la testa, che rimbalzò tra i soffici cuscini.

-Come non capirla- esclamò Anna facendo velocemente un paio di tiri e passando a me la canna. Denise rise nervosamente per mezzo secondo e cominciò a rosicchiarsi le unghie.

-È la stessa cosa che dice mia madre- replicò Tia con una risata inconfondibile, fissando il soffitto. -Infatti non ha il coraggio di chiederle di pulire la mia stanza nemmeno con la promessa di un aumento-.

Aspirai lentamente e buttai fuori. Avevo provato a fumare una sigaretta una volta sola nella vita, in prima superiore, durante l'intervallo: mi aveva fatto schifo ma quando avevo smesso di tossire i miei amici mi avevano incitata a riprovare, così avevo fatto qualche altro tiro. Una volta arrivata a casa era stato un sollievo per la mia bocca, che avevo sentito sporca e impastata per tutte le ore successive, precipitarmi a lavarmi i denti. Senza spiegazioni introduttive, avevo urlato a mia madre qualcosa sul non sapere come trovasse piacevole respirare quella merda più volte al giorno e lei si era limitata a un sorrisetto compiaciuto. Penso che avesse capito e che fosse felice che probabilmente sua figlia non sarebbe diventata una fumatrice. Fine della mia esperienza con il tabacco.

Le canne le avevo provate più tardi e apprezzate maggiormente. La prima me l'aveva offerta Tia al mio diciassettesimo compleanno e io, inizialmente diffidente, avevo aspirato controvoglia ed ero rimasta sorpresa nel trovare piacevole il sapore dell'erba e, dopo qualche tiro, la sensazione che regalava. Poi avevo tossito lo stesso e, a distanza di mesi in cui ero stata una fumatrice occasionale di sole canne, continuavo a farlo pressoché ogni volta.

-Dove andiamo per Halloween?- chiese Giacomo.

Io, Simona e Anna avevamo sempre festeggiato Halloween insieme e, per quanto il mondo obiettasse che non fosse una festa facente parte della tradizione italiana, ormai era diventata parte della nostra tradizione.

Alle medie, io e Anna organizzavamo a casa sua un pigiama party per ogni 31 ottobre. Le ragazze della nostra classe erano dieci in quegli anni, e sua madre invitava sempre anche le due che non avremmo voluto tra i piedi dicendo che non è bello escludere delle bambine da un gruppo. Quasi sempre queste due si pentivano di aver accettato l'invito quando, al fatidico momento del dolcetto o scherzetto, il porta a porta passava in secondo piano dopo aver fatto razzia in qualche casa e loro diventavano irrimediabilmente vittime di scherzi. Poi, in seconda media, avevamo usato un finto coltello per fare spaventare Flavia, una delle due. Questa si era messa a correre all'impazzata senza rendersi conto di essere in mezzo alla strada e una moto l'aveva presa di striscio. La motociclista si era fermata e aveva insistito perché la aspettassimo mentre lasciava giù la moto e prendeva la macchina per accompagnare Flavia in ospedale. Doveva sentirsi parecchio in colpa. Tutte rispondemmo di sì ma, appena si allontanò, ce ne andammo più velocemente possibile verso casa di Anna sorreggendo Flavia che piangeva per la caviglia dolorante. Ai genitori di Anna spiegammo che era caduta dalle scale di un palazzo e Flavia non obiettò. Il padre di Anna, infermiere, decretò che non era nulla di grave ma noi tutte eravamo comunque nel panico. Io dissi addirittura che volevo chiamare mia mamma perché venisse a prendermi e credo che Anna si arrabbiò con me per questo. Alla fine dormii con le altre nove nel salotto di Anna. Né i nostri genitori né altri amici scoprirono mai nulla su questo episodio e Flavia non fece mai la spia, ma l'anno dopo preferimmo andare al cinema in cinque ragazze e tre ragazzi.

In prima superiore avevamo conosciuto Simona e, senza neanche che ce ne rendessimo conto, dai primi giorni di scuola eravamo già a fine ottobre. Non avevamo organizzato nulla per la notte di Halloween e, all'ultimo momento, avevamo ripiegato su un film horror al cinema, solo noi tre. Per arrivare al cinema Colosseo in piazza Cinque Giornate avevamo dovuto attraversare a piedi tutto Viale Montenero e un certo punto dei ragazzi fuori da un locale ci avevano fatto segno di avvicinarci. Simona era titubante ma io avevo voglia di qualcosa di più avventuroso di un po' di sangue su uno schermo e andai da loro, seguita ruota da Anna. Alla fine anche Simona si avvicinò, sbuffando, e i ragazzi si presentarono. Non ricordo nemmeno i loro nomi, solo che erano in tre, fumavano sigarette e, a giudicare dalla barba che due di loro avevano, dovevano avere qualche anno più di noi. Io dichiarai di avere quindici anni: probabilmente neanche così avrei raggiunto la loro età, ma mi erano sembrati comunque meglio dei miei non ancora quattordici. Entrammo nel locale con loro e ci offrirono da bere; Simona rifiutò, continuava a toccarsi nervosamente i capelli biondi senza parlare con nessuno e si intuiva facilmente che avrebbe voluto essere al cinema. Io e Anna prendemmo un drink ma ci ostinammo a pagarlo e, per quanto mi riguarda, lo mandai giù a forza cercando disperatamente di concentrarmi sul sapore di frutta anziché su quello dell'alcool. Ripensandoci ora, fu una serata abbastanza squallida. Alla fine mi feci baciare dal più carino dei tre e mi sentivo davvero lusingata delle sue attenzioni ma poi gli lasciai un numero falso. I ragazzi ci chiesero di continuare la serata con loro offrendosi di riportarci a casa in macchina più tardi. Non feci in tempo a trovare una scusa perché Simona rifilò loro una risposta acida su quanto odiasse coloro che guidano dopo aver bevuto e si precipitò fuori dal locale. Io e Anna la seguimmo scusandoci, ma lei tirò dritta senza rivolgerci la parola. A mezzanotte, quando la mamma di Simona arrivò in macchina, eravamo sotto il Colosseo pronte per andare a dormire da Simo che non ci tenne il muso ancora per molto.

La notte di Halloween della seconda superiore l'avevamo trascorsa nella villa di Giulia Motta. Probabilmente c'era anche Jacopo Marzi ma forse ancora non lo conoscevo anche se, da quanto ricordi, è sempre stato conosciuto da tutti. Forse semplicemente lui non conosceva me. In ogni caso, di quella serata ricordo assai poco perché ero ubriaca come mai nella vita. Mi sono svegliata verso le nove di mattina nel letto in cui anni dopo avrei consumato la mia prima volta con un mal di testa incredibile. Simona, seduta accanto a me, giocava con il cellulare. In giro per la casa c'erano decine di persone addormentate o messe non meglio di me. Dopo aver ascoltato per qualche minuto l'entusiasmante racconto di come avessi cercato di buttarmi nel laghetto delle anatre e Simona me lo avesse impedito, mi catapultai in un bagno ridotto in condizioni pietose per farmi una doccia. Poi mi accorsi che i miei vestiti erano visibilmente macchiati di vomito e, vergognandomene, li buttai e decisi di prenderne in prestito alcuni di Giulia. Aprendo il suo armadio e trovandomi davanti una varietà di vestiti Abercrombie decisi di prorogare a tempo indeterminato il prestito di un paio di jeans, una t-shirt e una felpa bianche e dimenticai addirittura di accennare il fatto alla proprietaria. Mesi dopo iniziai a vergognarmi di aver rubato dei vestiti a una ragazza che era sempre stata gentile con me, ma non ebbi mai il coraggio di confessarglielo e restituirle i suoi indumenti.

Quando ero in terza superiore né io né le mie due migliori amiche avevamo idea di cosa fare per il 31 ottobre. Dopo giorni di indecisione avevamo optato per una serata tra noi a casa di Anna ma, all'ultimo momento e senza preavviso, mi era piombata in casa mia cugina Ada, direttamente da Roma. Di cinque anni più vecchia di me, con un fisico da modella e una passione per gli uomini avvenenti di una certa età -passione più che ricambiata-, Ada era il mio idolo sin da quando ero piccola. Aveva piazzato una valigia in camera mia e mi aveva invitata a una festa a casa di un suo amico che non viveva troppo lontano da me. Chiamai Anna e Simona in una telefonata a tre, simulando una voce raffreddata e fingendomi dispiaciuta per la dannata febbre che mi avrebbe impedito di passare la serata con loro, mentre mia cugina sghignazzava fumando erba alla finestra. Ogni persona presente a quella festa, uomo o donna che fosse, era assurdamente attraente e poco vestita e la maggior parte di loro sniffava cocaina sui tavolini di vetro. Ebbi l'impressione che fossero tutti ricchi sfondati. Ada era scomparsa già da un po' quando un palestrato a torso nudo si avvicinò a me chiedendomi se volessi seguirlo in camera e mostrandomi una bustina di polvere bianca. Apprezzai il modo in cui me la leccava ma la coca non la provai.

L'ultimo Halloween l'avevo passato a casa di Simona, con lei che si contorceva nel letto per quanto stava male dopo aver preso la pillola del giorno dopo. A parte me, che l'avevo accompagnata in consultorio e poi in farmacia, non l'aveva detto a nessuno e nessuno lo seppe mai. Nemmeno sua mamma, Mattia o Anna.

Un segreto per ogni Halloween, quindi. Ed ero preoccupata da ciò che sarebbe potuto accedere adesso che eravamo più grandi, fumavamo ed eravamo invitati alle feste.

-C'è una festa- rispose Mattia, che nel frattempo aveva riacquistato il possesso della sua canna. -A casa dei gemelli, hanno invitato tutta la scuola-.

I gemelli erano Maria e Alessio Gregorao. In realtà solo Maria frequentava la nostra scuola, nella 5^B, ma tutti conoscevano anche suo fratello. Maria era incredibilmente popolare e intelligente e può essere che un paio di volte io mi sia masturbata pensando a lei ma, alla realtà dei fatti, tra noi non c'è mai stato nulla di più di gentilezza e amicizia.

La casa dei gemelli era enorme e i loro genitori sempre in viaggio, quindi era capitato spesso che si organizzasse qualche party selvaggio da loro. Alla fine dei conti, comunque, in quelle feste non era mai stato rotto nulle di prezioso, nessuno era mai stato così male da finire in ospedale e non avevamo mai ricevuto denunce dai vicini. Ma bisogna dire che nessuna di queste feste era mai caduta il giorno di Halloween, quindi c'è sempre una prima volta, mi dissi. Inutile dire che tutti accettammo l'invito, compresa Denise, che aveva già rifiutato la canna un paio di volte.

   
 
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