Senza nome 1
Camminavano a testa bassa, con il vento che sembrava spingerli verso la strega,
come se non vedesse l'ora di assistere allo scontro. Hira e Rihilda erano in
testa al gruppo, la donna era pensierosa, qualcosa nella sua mente le diceva che
aveva fatto una follia: partire con quella tempesta era stata una pazzia. Non
riusciva a capacitarsi di averlo deciso, appena erano usciti si era liberata
dell’influsso di Hira e aveva riacquistato lucidità, ma ormai era tardi.
Hira di tanto in tanto si fermava, osservava il cammino davanti a loro come se
potesse vedere cosa si celava oltre le foreste e le montagne.
Il vento scuoteva gli alberi sopra le loro testa, facendo piovere i piccoli aghi
degli alberi e la prima neve che si era depositata qualche giorno prima, ma per
il momento non sembrava provocare troppi danni, anzi, sembrava che ripulisse
l'aria dall'odore acre che gli Han si portavano dietro.
Gli uomini che li accompagnavano erano tranquilli, merito dei parassiti che
lentamente si erano insinuati dentro di loro durante lo scontro: le ferite e
l'eccitazione avevano impedito ai soldati di accorgersi delle punture, dei
movimenti dentro alle loro ferite, lasciando libero spazio di azione. Solo
Rihilda non era stata toccata dei parassiti, il suo sangue doveva essere puro e
non avrebbe potuto comunque infettarlo con le sue creature: la stirpe bianca era
velenosa per quelli come lui, contrariamente agli esseri che aveva creato la
strega.
Hira si sentiva tranquillo, era quasi esaltato per quello che stava per
accadere: gli sarebbe bastato poco, avrebbe potuto ucciderla anche subito, ma
non voleva correre rischi, non aveva visto la strega, non sapeva se le sue
intuizioni fossero giuste. In fondo lui era un parassita, avrebbe sfruttato ogni
mezzo a sua disposizione per sopravvivere, celandosi agli occhi di chi lo
avrebbe ospitato fino alla fine: quella era la sua natura.
Serrò la mano attorno all'impugnatura, avvertendo i battiti cardiaci degli
uomini attorno a lui, la sua morsa su di loro era più stretta di quella con cui
impugnava la spada, in fondo era quella la sua arte, la scherma apparteneva a
quel corpo, quel corpo così bello di cui si era impossessato e che usava ormai
da molto tempo.
Con la mente tornò a quell’incontro, quando lo aveva visto la prima volta,
mentre strisciava su per i gradini che lo avrebbero condotto alla superficie e,
stremato, aveva sentito il suo odore: paura, sofferenza, profumi così dolci. Lo
aveva trovato disteso davanti all'altare, prostrato dinnanzi alla
rappresentazione del suo dio, l'unico rimasto al tempio. Implorava perdono,
perché non gli parlava più, perché non avvertiva più la sua presenza. Soffriva
per un crimine che credeva di avere commesso, che tutti loro avessero commesso.
Le sue lacrime gocciolavano sul pavimento di pietra e, per il suo sensibile
olfatto, erano così dolci, così cariche di dolore. Strisciò verso di lui, il
rumore del suo corpo coperto dai singulti e alla fine lo aveva preso, ritrovando
una forza che aveva dimenticato di possedere.
La lotta era stata dura, il mada, nonostante la giovane età era forte, ma la
disperazione che provava lo aveva indebolito, rendendo lui più forte. Lo aveva
stritolato, le sue spire si erano strette attorno a quel corpo e un po’ alla
volta lo aveva sottomesso. Aveva annullato la sua mente, cibandosene, facendola
sua e alla fine aveva ottenuto un nuovo corpo, giovane e forte in cui
proliferare. Una rinascita che ormai dubitava di poter ottenere.
Hira raddrizzò la schiena, si sentiva potente, l'energia della tempesta e delle
tenebre scorreva vigorosa in lui e più la luce scemava, maggiore era il
controllo che aveva sui suoi servi.
Rihilda lo seguiva ignara, ma qualcosa la insospettiva, lo avvertiva, ma ormai
si era allontanata troppo e non poteva tornare in dietro.
Poi hai i tuoi guerrieri, non sei sola...
avrebbe voluto ridere, ma non poteva. Rimase concentrato sul suo obbiettivo;
solo una volta conclusa ogni cosa, si sarebbe lasciato andare.
I lampi rossi illuminavano il loro cammino, filtravano attraverso gli alberi,
creando ombre di possibili nemici in agguato. Hira avvertiva la loro impazienza,
erano smaniosi di combattere, e lui faceva in modo che questa brama fosse
accentuata, che non sentissero la paura, lasciando Rihilda da sola con la sua
angoscia. Lei poteva percepire, anche se non poteva dargli un nome, quello che
stava avvenendo: la rinascita era vicina.
Il sentiero che stavano percorrendo portava tracce fresche, i barbari passavano
spesso da lì, era il terreno più battuto.
«Non capisco perché non avete mai osato avventurarvi oltre il confine.» disse a
Rihilda distraendola dai suoi pensieri.
«Da quello che so hanno tentato, ma sono stati massacrati. Sembra che abbiano
più potere fuori dai confini della città.» Hira aggrottò la fronte «Che cosa
c'è?»
«Ci dev'essere qualcosa, una sorta di punto caldo.» rivelò alla donna. «Qualcosa
da cui la strega trae potere. Solo che dev'essere fissa e più le sue creature si
allontanano più si indeboliscono.»
«E noi ci stiamo tuffando dentro!»
«Hai suggerimenti? Vuoi fare altro?» domandò divertito Hira. La paladina si
voltò verso i suoi uomini, erano una ventina, tutti volontari che smaniavano di
affrontare la loro nemica.
«Sai molte cose.»
«Io non le so, io le vedo.» rispose Hira fingendosi irritato. «Tuttavia, se lo
desideri, puoi tornare indietro. Eppure pensavo che fosse tua l’idea di muoversi
ora, sfruttando la tempesta. Ed è una buona idea, ci nasconderà.»
«Ne sei sicuro?» Rihilda cambiò argomento, era combattuta, ma ormai aveva fatto
la sua scelta e doveva fidarsi.
«Sì, come ti ho detto la tempesta è potente ed è qualcosa di mistico. È come una
luce abbagliante, un lampo che ti rende inerme per qualche tempo.»
«Tu non mi sembri accecato.» Hira sorrise, non poté evitarlo e il lampo rosso
distorse il suo viso facendo spaventare la donna.
«Io ho preceduto la tempesta per un po', durante il viaggio mi sono abituato
lentamente alla sua energia, lei no.» Rihilda fu costretta ad annuire, quello
che diceva aveva senso e anche lei avvertiva il potere della tempesta: era
innegabile che avesse un'origine tutt'altro che naturale.
Camminarono a lungo attraverso il bosco, i barbari erano un popolo
superstizioso, quella tempesta li avrebbe intimoriti, obbligandoli a chiudersi
nelle loro tane, permettendo a loro di muoversi con relativa cautela: non erano
degli sciocchi creduloni loro.
Hira sentiva i soldati ridacchiare, si burlavano dei barbari e soprattutto dei
chierici che si erano rinchiusi nel tempio preferendo interrogare i membri
dell'equipaggio di
Cenran, piuttosto che
seguirli. Non aveva bisogno che i parassiti li spingessero contro il clero, lo
erano già loro. Avevano visto donne e uomini torturati, accusati di essere in
combutta con la strega e giustiziati, lasciate morire appesi nelle gabbie,
divorati da uccelli e vermi. In verità erano voluti scappare da loro, temevano
che potessero "interrogarli": meglio gli Han che il clero.
Gli occhi sensibili di Hira riconobbero la luce, i fuochi ardevano all'interno
del tempio, riparati dal vento: il suo parassita lo aveva sfiorato, sentendolo
avvicinarsi. Fece arrestare il gruppo, non voleva che attirassero troppo
l'attenzione. Si concentrò sulla vita che strisciava nel sottosuolo, vide le
tende dei barbari, i loro rifugi che stavano quasi per essere divelti, ma che
loro cercavano testardamente di tenere in piedi.
Hira si acquattò, avanzando lentamente nel sottobosco. Le mani immerse tra le
foglie, avvertiva gli insetti, i vermi che strisciavano nel terreno infetto e
che proliferavano grazie all’emanazione di energia negativa di quel punto caldo.
Avrebbe sfruttato anche quello, probabilmente era solo per lui che la paladina
era arrivata così a nord: il male l’aveva chiamata, il suo sangue sentiva il
bisogno di purificarlo. Sorrise, con il volto verso terra, seguito dagli altri
che avevano imbracciato le armi.
Avvertiva la paura di Rihilda, qualcosa le stava suggerendo di ucciderlo ora che
aveva la guardia abbassata, o almeno così credeva.
I parassiti si mossero seguendo gli ordini del loro signore, lacerando
lentamente l’anello di potere che la strega aveva creato, restringendolo. La
tempesta era con loro, erano molte le cose che poteva fare.
«Ci siamo.» Mormorò a un certo punto. Avrebbe potuto proseguire nella sua opera,
ma non voleva esagerare: che faticassero un po’ anche i soldati.
Rihilda osservò il campo: le tende erano ammassate, gli abitanti rintanati
all’interno, ma c’era qualcuno che restava esposto alle intemperie, gruppi di
persone legate attorno a degli alberi, incatenati al suolo da gigantesche rocce,
che si stringevano tra loro, terrorizzati.
«Hanno dei prigionieri.» la paladina affiancò Hira inginocchiandosi sul suolo.
«Cosa ti aspettavi? Probabilmente i barbari faranno il possibile per
assecondarla senza che decimi il loro clan: si saranno buttati sugli altri.»
«Che
bastardi.» mormorò la donna.
«Se si vuole sopravvivere bisogna fare delle scelte.»
«Non così. Non in questo modo...» la voce di Rihilda era poco più di un
sussurro, ma Hira riuscì comunque a sentirla. Fece finta di nulla: il vento e i
tuoni non gli avrebbero permesso di sentire quel suono se fosse stato un
semplice umano.
Alla fine la paladina sembrò riprendersi, guidò un gruppo di uomini e con loro
aggirò parte del campo, cercando di trovare il punto più adatto per scoccare le
frecce incendiarie. Hira li osservò allontanarsi, sorridendo, poi tornò a
concentrarsi sull’accampamento davanti a lui. Tra le tende c’era una zona vuota,
un buco all’interno del terreno che scendeva in profondità e lì stava la strega:
la sentiva, avvertiva il suo potere. C’era come un vapore cremisi che saliva da
quell’avvallamento e che indicava il flusso di energie. Era un cuore vivo e
attivo, da cui lei traeva forza e potere. Hira ringhiò, non avrebbe continuato
ancora per molto.
La prima freccia fendette l’aria conficcandosi proprio sui prigionieri. Le loro
urla iniziarono a risuonare all’interno del campo, obbligando gli altri
guerrieri a uscire dai loro rifugi.
Hira poteva quasi sentire le imprecazioni della paladina, la freccia era sua, e
non aveva colpito volutamente i prigionieri, una come lei non lo avrebbe mai
fatto: era stato il vento, la tempesta aveva guidato quella freccia. Poco dopo
ne seguirono altre che dettero fuoco all’intero accampamento. Approfittando di
quel momento iniziò a tessere un nuovo incantesimo, altri filamenti sottili
scivolarono dalle sue dita, intrecciandosi agli alberi e producendo una nuova
rete.
Quando la sua opera fu compiuta, con un sibilo di esultanza fece un cenno agli
uomini che erano rimasti con lui, non doveva più fingere, adesso che Rihilda non
c’era poteva comandare i parassiti al loro interno: non era rimasto più nulla di
quegli uomini.
Guidò la carica, avanzando nell’accampamento in preda al caos, mietendo vittime
con la stessa facilità con cui il vento spezzava i rami.
Hira riuscì a evitare il grosso dello scontro, lasciando che fossero i soldati a
combattere per lui, la sua meta era un’altra.
Sentiva la paura dei barbari, le loro urla di agonia e sapeva che anche la
strega li avvertiva, eppure non interveniva, non si muoveva. Scosse la testa,
perplesso e alla fine arrivò all’apertura. Una lunga e viscida scala scendeva
verso il basso, il passaggio non era molto largo, e sulle pareti vide piccole
macchie scure, il sangue lasciato dai barbari su cui aveva fatto degli
esperimenti: per uscire si erano feriti, avevano sofferto, ma probabilmente non
avevano sentito nulla di quei tagli, il dolore che li consumava dall’interno
doveva essere ben più grande.
Hira entrò nel tempio con passo leggero, i suoi abiti scivolavano silenziosi
nella penombra. I fuochi ardevano, crepitavano, quello era l'unico suono che
riempiva quel luogo, a parte il lamento. Lo aveva avvertito appena aveva messo
il primo piede dentro l'edificio, appena aveva lasciato l’ultimo gradino alle
sue spalle. Un rantolo, un sussurro quasi persistente che aveva impregnato ogni
anfratto, spezzato solo dal rumore scoppiettante delle braci. Era parte delle
tenebre, solo di tanto in tanto un grido più forte spezzava quell'equilibrio.
Era rimasto immobile per alcuni istanti, cercando di adattarsi e poco dopo
Rihilda lo aveva affiancato. La paladina lo aveva guardato spaventata, poi il
primo urlo aveva infranto il silenzio ed entrambi avevano serrato le mani
attorno alle impugnature. Adesso lo seguiva in silenzio, sobbalzava di tanto in
tanto quando scoppiavano le braci o un urlo rompeva l'immobilità dell'aria. Era
nervosa e Hira non poteva darle torto: lo sarebbe stato anche lui in altre
circostanze.
Gli uomini li seguivano guardinghi, erano rimasti in pochi, l’assalto degli Han
era stato brutale, ma per Hira non era una gran perdita, tanto li avrebbe
utilizzati tutti, in un modo o nell'altro: anche i cadaveri dei barbari
sarebbero stati utili. Alcuni di loro erano feriti, ma proseguivano imperterriti
la marcia: il sangue che fuoriusciva dai loro corpi era poco, divorato dai
parassiti che proliferavano dentro di loro.
Il suo emissario li aspettava nell'ombra della sala centrale, i gemiti
provenivano da lì. Non la vedeva, c'era solo quella statua all'interno della
sala, circondata dalle creature che stavano nascendo, ma ci sarebbe voluto
ancora molto tempo prima che vedessero la luce.
Avanzarono senza fretta mentre la tempesta fuori imperversava, i lampi
illuminavano le tenebre, la loro luce si vedeva anche all'interno del corridoio,
seppur debole. Come se l’entità che comandasse la tempesta cercasse di entrare
assieme a loro.
Hira vide la città nella sua mente, i fulmini stavano colpendo ogni cosa: le
case crollavano, cumuli di pietra si formavano in mezzo alle vie, mentre gli
uomini fuggivano alla ricerca di un riparo. Il tempio non era stato risparmiato,
era stato il primo a essere colpito. Solo la locanda su cui Hira aveva intessuto
il suo incantesimo sembrava venire risparmiata dalla tempesta e al suo interno,
molte persone trovarono rifugio, proprio come aveva progettato. Il suo nido
aveva iniziato a svilupparsi.
Mentre si avvicinavano al cuore del tempio, si chiese come mai non vi fossero
protezioni.
La tua abilità è solo nella costruzione di quegli esseri?
Patetica creatura.
Era irritato, tutto quel fastidio per niente: quella strega non valeva niente.
Sguainò la spada, lo stridio metallico invase l'aria, raggelando il sangue della
paladina.
Rihilda lo guardò male, come a dirgli di fare piano, ma la ignorò, più
interessato alla persona che emise l'urlo di dolore davanti a loro.
Accelerarono il passo, uscendo dal corridoio e trovandosi davanti a un'ampia
sala circolare, i colonnati tra cui ardevano dei bracieri proiettavano ombre
simili a grottesche creature, ma Hira vide che molte di quelle ombre erano state
prodotte anche dai cadaveri che giacevano scomposti contro le colonne:
esperimenti falliti. La statua stava al centro, quattro figure umanoidi fuse tra
loro in cerchio, che si davano le spalle. Hira vide che la base, creata dalle
loro gambe, era unita assieme creando una strana struttura conica.
«Via!» urlò la voce della strega. Riecheggiava nella sala circolare e Hira
riconobbe quattro tonalità differenti.
«Tu.» disse avanzando verso la statua «Sei tu la strega?» Rihilda lo seguiva
frastornata, cercando di capire. «Guarda la tua terribile strega. Quattro
persone fuse assieme, costrette all'immobilità.» la paladina osservò la statua e
vide i volti glabri inclinarsi leggermente. Le bocche di tre erano perennemente
spalancate e da esse proveniva il lamento che risuonava per ogni anfratto. Solo
una di quelle bocche sembrava poter articolare delle parole.
«Per tutti gli dèi.» si pietrificò davanti a quello spettacolo: erano tutti e
quattro molto simili, era rimasto ben poco delle fattezze che li avevano
contraddistinti in vita, prima di quella metamorfosi. Corpi maschili e femminili
si riconoscevano appena, come se la fusione avesse cercato di equilibrarli per
renderli omogenei. «Cosa significa?»
«Hanno attinto alla sorgente e questo è il risultato.» dalle parole di Hira
trapelò il suo divertimento. «Ecco perché avevi una voce così strana: una
prevale e le altre sono l’eco. Un coro.»
«Lo trovi divertente?» domandò irritata Rihilda.
«Sì.» rispose semplicemente Hira. «Uccidetela. Ponete fine alle sue sofferenze.»
Gli uomini eseguirono, o meglio le creature al loro interno lo fecero. Si
avventarono sulla creatura e iniziarono a farla a pezzi mentre lei urlava
impotente, maledicendoli. Hira si avvicinò ai globi sparsi nella sala, facendoli
scoppiare incidendoli con la lama e riversando a terra il liquido maleodorante.
Rihilda venne sfiorata da una di quelle gocce e la pelle iniziò a sfrigolare.
Urlò di dolore, abbandonando la spada e portandosi le mani al collo, sfilandosi
l'elmo integrale e toccandosi il punto colpito.
Hira continuava il suo lavoro mentre gli uomini facevano a pezzi la strega, che
non poteva opporsi in alcun modo. Poco alla volta le urla furono inghiottite dal
rumore liquido della carne fatta a pezzi.
Rihilda osservava il suo compagno, si muoveva all'interno di quelle pozze acide
senza problemi, come se fosse semplice acqua. Aggrottò la fronte, rimanendo
indecisa per qualche istante, poi afferrò la spada e si lanciò contro di lui.
Hira si voltò all'ultimo momento, parando il fendente.
«Sei lenta.»
«Che cosa sei tu?!» Hira sorrise, spingendola con la sua spada e facendola
indietreggiare. I soldati si avventarono su Rihilda, ma lei era abile e i loro
corpi deboli: la prima testa rotolò per terra come se non possedesse neppure più
le ossa, tanto il taglio fu rapido e netto. Dal cranio e dal collo fuoriuscirono
una miriade di insetti, come se fosse un sacco pieno di piccole creature.
«Sei stato tu! Hai ridotto tu il capitano in quel modo.»
«Sì.» rispose semplicemente, osservando i suoi soldati che la attaccavano.
Rihilda era abile, lo sapeva, ma sperava che la affaticassero abbastanza da
permettergli di eliminarla in fretta: avrebbe voluto che affrontasse la strega,
ma quella era un inutile scherzo della magia oscura. Se lo avesse saputo
l’avrebbe eliminata nel bosco.
Rihilda si liberò presto di quelli che un tempo erano i suoi compagni,
avventandosi subito contro Hira.
Riuscì a opporsi alla furia della paladina solo all'inizio, poi fu costretto a
indietreggiare. Rihilda lo sbilanciò con un colpo violento, facendolo finire a
terra.
Hira affondò la mano nel liquido che era uscito dalle sfere e ne lanciò una
manciata contro la donna. Si protesse come poteva, ma la sostanza la colpì,
deturpandole una parte del viso e accecandole un occhio. La sua lama, però,
scese implacabile su Hira, recidendo un arto. Dalla ferita uscirono alcuni
parassiti e una lunga zampa acuminata. Rihilda la fissò sconvolta, serrando le
mani attorno all'impugnatura e avventandosi su di lui.
«Muori essere schifoso!» qualcosa si mosse dall'ombra, scagliandosi su di lei e
recidendo la colonna vertebrale alla base della nuca. Il parassita si allontanò
sibilando, il sangue della paladina lo aveva colpito. Si strappò la zampa,
liberandosi anche della parte di carne contaminata, per impedire che il danno si
aggravasse.
«Dannata puttana!» il signore dei parassiti si alzò colpendola all'addome e
facendola rotolare in una delle pozze di fluido; tra i capelli bianchi di Hira,
sbucarono due piccole corna nere dalle sfumature rossicce.
Rihilda urlò, il corpo non le rispondeva più, non poteva fare altro. «Hai ferito
il mio favorito! Il tuo lurido schifoso sangue lo ha danneggiato!»
la lasciò per terra, dirigendosi verso il suo parassita e raccogliendolo
da terra; lo rassicurò, consolandolo per il dolore, assicurandogli che sarebbe
passato presto.
Le lunghe antenne dell'insetto sfiorarono il suo volto, sibilando. Il lungo
insetto si attorcigliò attorno al suo collo mentre Hira raccolse nuovamente la
spada con la mano che gli restava. «E così termina la stirpe bianca.» la lama
affondò nel suo cranio, piantandosi nel terreno. Il sangue della paladina si
mescolò al fluido producendo una reazione gorgogliante. Hira si allontanò,
evitando i vapori prodotti. Uscì in fretta dal tempio, lasciano la spada
conficcata nel suolo, e ignorando la trasformazione che la lama stava subendo:
non gli interessava.
Attorno a lui, in mezzo agli alberi, i barbari sopravvissuti erano rimasti
invischiati nella sua rete, appesi alla mercé dei suoi cuccioli. Hira produsse
un forte sibilo e la terra iniziò a tremare e allo stesso modo sembrò tremare il
cielo.
I lampi che attraversavano la fitta coltre di nubi parevano mandarla in
frantumi. Hira sentì il tempio crollare, aprirsi e l'energia di quella sorgente
negativa riversarsi all'esterno. Dal cielo, qualcosa richiamò l'energia, e
assieme a essa risalirono anche le ombre di alcuni draghi bianchi, urlavano
disperati, senza poter opporsi al richiamo.
Hira osservò la scena, allontanandosi dal tempio e cercando un luogo da cui
poter guardare senza correre rischi: c’era poco da fidarsi di quelli come lui.
Le anime dei draghi che Hira aveva imprigionato nella lama vennero divorati:
poteva sentire le urla strazianti che provenivano da quelle creature spirituali
e rise assieme al parassita che ancora aveva sulle spalle.
«È andata bene.» il parassita sibilò. Poi la coltre plumbea si contrasse,
spezzandosi. Qualcosa si mosse all’interno di quella nuova sezione, alla fine
esplose come se le tenebre stesse si fossero frantumate e tra le nubi, la voce
che aveva guidato Hira per tutto quel tempo, riacquistò una forma fisica.
Il grande drago nero aprì le sue ampie ali fatte di fiamme, dello stesso colore
dei fulmini che lo avevano accompagnato durante il viaggio. Ruggì, fu talmente
potente che sembrò scuotere la terra stessa, poi guardò verso il basso,
incrociando la piccola figura del suo servitore e mostrò le zanne in un bieco
sorriso. Hira si inchinò, abbassando il capo e quando lo risollevò il drago
stava volando verso sud.
«Abbiamo lavorato bene, vero?» il parassita sibilò soddisfatto assieme a tutti
gli altri che avevano ricoperto il campo di battaglia, felici del successo
ottenuto. «Vediamo cosa succederà adesso.» Hira riprese il cammino,
fischiettando un motivo dei tempi antichi, a Valgar qualcuno lo stava
aspettando, imprigionato nella locanda; avrebbe creato un nuovo dominio nel
nord, il sorriso che il suo signore gli aveva rivolto era stato chiaro, un
premio per il servizio svolto. Mentre si incamminava, la neve iniziò a cadere
lieve, piccoli cristalli bianchi che avrebbero assorbito il sangue versato,
tingendosi di rosso, prima di ricoprire tutto con il suo candore. Nel sottosuolo
Hira avrebbe ripreso a costruire il suo popolo, prendendo possesso di quelle
terre e omaggiando il suo signore con le vite che avrebbe raccolto.
I Deliri di Nelith
Così si conclude questa breve fantasy dark. Grazie a tutti quelli che l'hanno
letta ^^ spero che almeno un po' vi sia piaciuta.
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