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Autore: Nelith    07/01/2016    5 recensioni
[Scritta per il contest Malia: il canto delle sirene, indetto da Yuko chan. Prima classificata]
[Scritta per il contest Quando il fantasy è dark, indetto da Nuel2. Terza classificata]
Si chiuse la porta alle spalle, isolando quel cubicolo dal resto del mondo. Tutto era di legno al suo interno, tranne l'amaca di corda che serviva da letto. Appena entrò emise un basso suono scricchiolante e dalle fessure del legno iniziarono a fuoriuscire una miriade di insetti che andarono a infilarsi sotto gli abiti di Hira. Il tessuto iniziò a muoversi, brulicante di vita mentre lui gemeva quasi estasiato dal contatto con le sue creature. Un lungo centopiedi si attorcigliò tra le sue dita, e Hira se lo portò vicino al viso.
«Ho un lavoretto per te. Hai fame, vero?»
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Senza nome 1

Camminavano a testa bassa, con il vento che sembrava spingerli verso la strega, come se non vedesse l'ora di assistere allo scontro. Hira e Rihilda erano in testa al gruppo, la donna era pensierosa, qualcosa nella sua mente le diceva che aveva fatto una follia: partire con quella tempesta era stata una pazzia. Non riusciva a capacitarsi di averlo deciso, appena erano usciti si era liberata dell’influsso di Hira e aveva riacquistato lucidità, ma ormai era tardi.

Hira di tanto in tanto si fermava, osservava il cammino davanti a loro come se potesse vedere cosa si celava oltre le foreste e le montagne.

Il vento scuoteva gli alberi sopra le loro testa, facendo piovere i piccoli aghi degli alberi e la prima neve che si era depositata qualche giorno prima, ma per il momento non sembrava provocare troppi danni, anzi, sembrava che ripulisse l'aria dall'odore acre che gli Han si portavano dietro.

Gli uomini che li accompagnavano erano tranquilli, merito dei parassiti che lentamente si erano insinuati dentro di loro durante lo scontro: le ferite e l'eccitazione avevano impedito ai soldati di accorgersi delle punture, dei movimenti dentro alle loro ferite, lasciando libero spazio di azione. Solo Rihilda non era stata toccata dei parassiti, il suo sangue doveva essere puro e non avrebbe potuto comunque infettarlo con le sue creature: la stirpe bianca era velenosa per quelli come lui, contrariamente agli esseri che aveva creato la strega.

Hira si sentiva tranquillo, era quasi esaltato per quello che stava per accadere: gli sarebbe bastato poco, avrebbe potuto ucciderla anche subito, ma non voleva correre rischi, non aveva visto la strega, non sapeva se le sue intuizioni fossero giuste. In fondo lui era un parassita, avrebbe sfruttato ogni mezzo a sua disposizione per sopravvivere, celandosi agli occhi di chi lo avrebbe ospitato fino alla fine: quella era la sua natura.

Serrò la mano attorno all'impugnatura, avvertendo i battiti cardiaci degli uomini attorno a lui, la sua morsa su di loro era più stretta di quella con cui impugnava la spada, in fondo era quella la sua arte, la scherma apparteneva a quel corpo, quel corpo così bello di cui si era impossessato e che usava ormai da molto tempo.

Con la mente tornò a quell’incontro, quando lo aveva visto la prima volta, mentre strisciava su per i gradini che lo avrebbero condotto alla superficie e, stremato, aveva sentito il suo odore: paura, sofferenza, profumi così dolci. Lo aveva trovato disteso davanti all'altare, prostrato dinnanzi alla rappresentazione del suo dio, l'unico rimasto al tempio. Implorava perdono, perché non gli parlava più, perché non avvertiva più la sua presenza. Soffriva per un crimine che credeva di avere commesso, che tutti loro avessero commesso. Le sue lacrime gocciolavano sul pavimento di pietra e, per il suo sensibile olfatto, erano così dolci, così cariche di dolore. Strisciò verso di lui, il rumore del suo corpo coperto dai singulti e alla fine lo aveva preso, ritrovando una forza che aveva dimenticato di possedere.

La lotta era stata dura, il mada, nonostante la giovane età era forte, ma la disperazione che provava lo aveva indebolito, rendendo lui più forte. Lo aveva stritolato, le sue spire si erano strette attorno a quel corpo e un po’ alla volta lo aveva sottomesso. Aveva annullato la sua mente, cibandosene, facendola sua e alla fine aveva ottenuto un nuovo corpo, giovane e forte in cui proliferare. Una rinascita che ormai dubitava di poter ottenere.

Hira raddrizzò la schiena, si sentiva potente, l'energia della tempesta e delle tenebre scorreva vigorosa in lui e più la luce scemava, maggiore era il controllo che aveva sui suoi servi.

Rihilda lo seguiva ignara, ma qualcosa la insospettiva, lo avvertiva, ma ormai si era allontanata troppo e non poteva tornare in dietro.

Poi hai i tuoi guerrieri, non sei sola... avrebbe voluto ridere, ma non poteva. Rimase concentrato sul suo obbiettivo; solo una volta conclusa ogni cosa, si sarebbe lasciato andare.

I lampi rossi illuminavano il loro cammino, filtravano attraverso gli alberi, creando ombre di possibili nemici in agguato. Hira avvertiva la loro impazienza, erano smaniosi di combattere, e lui faceva in modo che questa brama fosse accentuata, che non sentissero la paura, lasciando Rihilda da sola con la sua angoscia. Lei poteva percepire, anche se non poteva dargli un nome, quello che stava avvenendo: la rinascita era vicina.

Il sentiero che stavano percorrendo portava tracce fresche, i barbari passavano spesso da lì, era il terreno più battuto.

«Non capisco perché non avete mai osato avventurarvi oltre il confine.» disse a Rihilda distraendola dai suoi pensieri.

«Da quello che so hanno tentato, ma sono stati massacrati. Sembra che abbiano più potere fuori dai confini della città.» Hira aggrottò la fronte «Che cosa c'è?»

«Ci dev'essere qualcosa, una sorta di punto caldo.» rivelò alla donna. «Qualcosa da cui la strega trae potere. Solo che dev'essere fissa e più le sue creature si allontanano più si indeboliscono.»

«E noi ci stiamo tuffando dentro!»

«Hai suggerimenti? Vuoi fare altro?» domandò divertito Hira. La paladina si voltò verso i suoi uomini, erano una ventina, tutti volontari che smaniavano di affrontare la loro nemica.

«Sai molte cose.»

«Io non le so, io le vedo.» rispose Hira fingendosi irritato. «Tuttavia, se lo desideri, puoi tornare indietro. Eppure pensavo che fosse tua l’idea di muoversi ora, sfruttando la tempesta. Ed è una buona idea, ci nasconderà.»

«Ne sei sicuro?» Rihilda cambiò argomento, era combattuta, ma ormai aveva fatto la sua scelta e doveva fidarsi.

«Sì, come ti ho detto la tempesta è potente ed è qualcosa di mistico. È come una luce abbagliante, un lampo che ti rende inerme per qualche tempo.»

«Tu non mi sembri accecato.» Hira sorrise, non poté evitarlo e il lampo rosso distorse il suo viso facendo spaventare la donna.

«Io ho preceduto la tempesta per un po', durante il viaggio mi sono abituato lentamente alla sua energia, lei no.» Rihilda fu costretta ad annuire, quello che diceva aveva senso e anche lei avvertiva il potere della tempesta: era innegabile che avesse un'origine tutt'altro che naturale.

 

Camminarono a lungo attraverso il bosco, i barbari erano un popolo superstizioso, quella tempesta li avrebbe intimoriti, obbligandoli a chiudersi nelle loro tane, permettendo a loro di muoversi con relativa cautela: non erano degli sciocchi creduloni loro.

Hira sentiva i soldati ridacchiare, si burlavano dei barbari e soprattutto dei chierici che si erano rinchiusi nel tempio preferendo interrogare i membri dell'equipaggio di Cenran, piuttosto che seguirli. Non aveva bisogno che i parassiti li spingessero contro il clero, lo erano già loro. Avevano visto donne e uomini torturati, accusati di essere in combutta con la strega e giustiziati, lasciate morire appesi nelle gabbie, divorati da uccelli e vermi. In verità erano voluti scappare da loro, temevano che potessero "interrogarli": meglio gli Han che il clero.

Gli occhi sensibili di Hira riconobbero la luce, i fuochi ardevano all'interno del tempio, riparati dal vento: il suo parassita lo aveva sfiorato, sentendolo avvicinarsi. Fece arrestare il gruppo, non voleva che attirassero troppo l'attenzione. Si concentrò sulla vita che strisciava nel sottosuolo, vide le tende dei barbari, i loro rifugi che stavano quasi per essere divelti, ma che loro cercavano testardamente di tenere in piedi.

Hira si acquattò, avanzando lentamente nel sottobosco. Le mani immerse tra le foglie, avvertiva gli insetti, i vermi che strisciavano nel terreno infetto e che proliferavano grazie all’emanazione di energia negativa di quel punto caldo. Avrebbe sfruttato anche quello, probabilmente era solo per lui che la paladina era arrivata così a nord: il male l’aveva chiamata, il suo sangue sentiva il bisogno di purificarlo. Sorrise, con il volto verso terra, seguito dagli altri che avevano imbracciato le armi.

Avvertiva la paura di Rihilda, qualcosa le stava suggerendo di ucciderlo ora che aveva la guardia abbassata, o almeno così credeva.

I parassiti si mossero seguendo gli ordini del loro signore, lacerando lentamente l’anello di potere che la strega aveva creato, restringendolo. La tempesta era con loro, erano molte le cose che poteva fare.

«Ci siamo.» Mormorò a un certo punto. Avrebbe potuto proseguire nella sua opera, ma non voleva esagerare: che faticassero un po’ anche i soldati.

Rihilda osservò il campo: le tende erano ammassate, gli abitanti rintanati all’interno, ma c’era qualcuno che restava esposto alle intemperie, gruppi di persone legate attorno a degli alberi, incatenati al suolo da gigantesche rocce, che si stringevano tra loro, terrorizzati.

«Hanno dei prigionieri.» la paladina affiancò Hira inginocchiandosi sul suolo.

«Cosa ti aspettavi? Probabilmente i barbari faranno il possibile per assecondarla senza che decimi il loro clan: si saranno buttati sugli altri.»

 «Che bastardi.» mormorò la donna.

«Se si vuole sopravvivere bisogna fare delle scelte.»

«Non così. Non in questo modo...» la voce di Rihilda era poco più di un sussurro, ma Hira riuscì comunque a sentirla. Fece finta di nulla: il vento e i tuoni non gli avrebbero permesso di sentire quel suono se fosse stato un semplice umano.

Alla fine la paladina sembrò riprendersi, guidò un gruppo di uomini e con loro aggirò parte del campo, cercando di trovare il punto più adatto per scoccare le frecce incendiarie. Hira li osservò allontanarsi, sorridendo, poi tornò a concentrarsi sull’accampamento davanti a lui. Tra le tende c’era una zona vuota, un buco all’interno del terreno che scendeva in profondità e lì stava la strega: la sentiva, avvertiva il suo potere. C’era come un vapore cremisi che saliva da quell’avvallamento e che indicava il flusso di energie. Era un cuore vivo e attivo, da cui lei traeva forza e potere. Hira ringhiò, non avrebbe continuato ancora per molto.

La prima freccia fendette l’aria conficcandosi proprio sui prigionieri. Le loro urla iniziarono a risuonare all’interno del campo, obbligando gli altri guerrieri a uscire dai loro rifugi.

Hira poteva quasi sentire le imprecazioni della paladina, la freccia era sua, e non aveva colpito volutamente i prigionieri, una come lei non lo avrebbe mai fatto: era stato il vento, la tempesta aveva guidato quella freccia. Poco dopo ne seguirono altre che dettero fuoco all’intero accampamento. Approfittando di quel momento iniziò a tessere un nuovo incantesimo, altri filamenti sottili scivolarono dalle sue dita, intrecciandosi agli alberi e producendo una nuova rete.

Quando la sua opera fu compiuta, con un sibilo di esultanza fece un cenno agli uomini che erano rimasti con lui, non doveva più fingere, adesso che Rihilda non c’era poteva comandare i parassiti al loro interno: non era rimasto più nulla di quegli uomini.

Guidò la carica, avanzando nell’accampamento in preda al caos, mietendo vittime con la stessa facilità con cui il vento spezzava i rami.

Hira riuscì a evitare il grosso dello scontro, lasciando che fossero i soldati a combattere per lui, la sua meta era un’altra.

Sentiva la paura dei barbari, le loro urla di agonia e sapeva che anche la strega li avvertiva, eppure non interveniva, non si muoveva. Scosse la testa, perplesso e alla fine arrivò all’apertura. Una lunga e viscida scala scendeva verso il basso, il passaggio non era molto largo, e sulle pareti vide piccole macchie scure, il sangue lasciato dai barbari su cui aveva fatto degli esperimenti: per uscire si erano feriti, avevano sofferto, ma probabilmente non avevano sentito nulla di quei tagli, il dolore che li consumava dall’interno doveva essere ben più grande.

 

Hira entrò nel tempio con passo leggero, i suoi abiti scivolavano silenziosi nella penombra. I fuochi ardevano, crepitavano, quello era l'unico suono che riempiva quel luogo, a parte il lamento. Lo aveva avvertito appena aveva messo il primo piede dentro l'edificio, appena aveva lasciato l’ultimo gradino alle sue spalle. Un rantolo, un sussurro quasi persistente che aveva impregnato ogni anfratto, spezzato solo dal rumore scoppiettante delle braci. Era parte delle tenebre, solo di tanto in tanto un grido più forte spezzava quell'equilibrio.

Era rimasto immobile per alcuni istanti, cercando di adattarsi e poco dopo Rihilda lo aveva affiancato. La paladina lo aveva guardato spaventata, poi il primo urlo aveva infranto il silenzio ed entrambi avevano serrato le mani attorno alle impugnature. Adesso lo seguiva in silenzio, sobbalzava di tanto in tanto quando scoppiavano le braci o un urlo rompeva l'immobilità dell'aria. Era nervosa e Hira non poteva darle torto: lo sarebbe stato anche lui in altre circostanze.

Gli uomini li seguivano guardinghi, erano rimasti in pochi, l’assalto degli Han era stato brutale, ma per Hira non era una gran perdita, tanto li avrebbe utilizzati tutti, in un modo o nell'altro: anche i cadaveri dei barbari sarebbero stati utili. Alcuni di loro erano feriti, ma proseguivano imperterriti la marcia: il sangue che fuoriusciva dai loro corpi era poco, divorato dai parassiti che proliferavano dentro di loro.

Il suo emissario li aspettava nell'ombra della sala centrale, i gemiti provenivano da lì. Non la vedeva, c'era solo quella statua all'interno della sala, circondata dalle creature che stavano nascendo, ma ci sarebbe voluto ancora molto tempo prima che vedessero la luce.

Avanzarono senza fretta mentre la tempesta fuori imperversava, i lampi illuminavano le tenebre, la loro luce si vedeva anche all'interno del corridoio, seppur debole. Come se l’entità che comandasse la tempesta cercasse di entrare assieme a loro.

Hira vide la città nella sua mente, i fulmini stavano colpendo ogni cosa: le case crollavano, cumuli di pietra si formavano in mezzo alle vie, mentre gli uomini fuggivano alla ricerca di un riparo. Il tempio non era stato risparmiato, era stato il primo a essere colpito. Solo la locanda su cui Hira aveva intessuto il suo incantesimo sembrava venire risparmiata dalla tempesta e al suo interno, molte persone trovarono rifugio, proprio come aveva progettato. Il suo nido aveva iniziato a svilupparsi.

Mentre si avvicinavano al cuore del tempio, si chiese come mai non vi fossero protezioni.

La tua abilità è solo nella costruzione di quegli esseri? Patetica creatura.

Era irritato, tutto quel fastidio per niente: quella strega non valeva niente.

Sguainò la spada, lo stridio metallico invase l'aria, raggelando il sangue della paladina.

Rihilda lo guardò male, come a dirgli di fare piano, ma la ignorò, più interessato alla persona che emise l'urlo di dolore davanti a loro.

Accelerarono il passo, uscendo dal corridoio e trovandosi davanti a un'ampia sala circolare, i colonnati tra cui ardevano dei bracieri proiettavano ombre simili a grottesche creature, ma Hira vide che molte di quelle ombre erano state prodotte anche dai cadaveri che giacevano scomposti contro le colonne: esperimenti falliti. La statua stava al centro, quattro figure umanoidi fuse tra loro in cerchio, che si davano le spalle. Hira vide che la base, creata dalle loro gambe, era unita assieme creando una strana struttura conica.

«Via!» urlò la voce della strega. Riecheggiava nella sala circolare e Hira riconobbe quattro tonalità differenti.

«Tu.» disse avanzando verso la statua «Sei tu la strega?» Rihilda lo seguiva frastornata, cercando di capire. «Guarda la tua terribile strega. Quattro persone fuse assieme, costrette all'immobilità.» la paladina osservò la statua e vide i volti glabri inclinarsi leggermente. Le bocche di tre erano perennemente spalancate e da esse proveniva il lamento che risuonava per ogni anfratto. Solo una di quelle bocche sembrava poter articolare delle parole.

«Per tutti gli dèi.» si pietrificò davanti a quello spettacolo: erano tutti e quattro molto simili, era rimasto ben poco delle fattezze che li avevano contraddistinti in vita, prima di quella metamorfosi. Corpi maschili e femminili si riconoscevano appena, come se la fusione avesse cercato di equilibrarli per renderli omogenei. «Cosa significa?»

«Hanno attinto alla sorgente e questo è il risultato.» dalle parole di Hira trapelò il suo divertimento. «Ecco perché avevi una voce così strana: una prevale e le altre sono l’eco. Un coro.»

«Lo trovi divertente?» domandò irritata Rihilda.

«Sì.» rispose semplicemente Hira. «Uccidetela. Ponete fine alle sue sofferenze.» Gli uomini eseguirono, o meglio le creature al loro interno lo fecero. Si avventarono sulla creatura e iniziarono a farla a pezzi mentre lei urlava impotente, maledicendoli. Hira si avvicinò ai globi sparsi nella sala, facendoli scoppiare incidendoli con la lama e riversando a terra il liquido maleodorante. Rihilda venne sfiorata da una di quelle gocce e la pelle iniziò a sfrigolare. Urlò di dolore, abbandonando la spada e portandosi le mani al collo, sfilandosi l'elmo integrale e toccandosi il punto colpito.

Hira continuava il suo lavoro mentre gli uomini facevano a pezzi la strega, che non poteva opporsi in alcun modo. Poco alla volta le urla furono inghiottite dal rumore liquido della carne fatta a pezzi.

Rihilda osservava il suo compagno, si muoveva all'interno di quelle pozze acide senza problemi, come se fosse semplice acqua. Aggrottò la fronte, rimanendo indecisa per qualche istante, poi afferrò la spada e si lanciò contro di lui.

Hira si voltò all'ultimo momento, parando il fendente.

«Sei lenta.»

«Che cosa sei tu?!» Hira sorrise, spingendola con la sua spada e facendola indietreggiare. I soldati si avventarono su Rihilda, ma lei era abile e i loro corpi deboli: la prima testa rotolò per terra come se non possedesse neppure più le ossa, tanto il taglio fu rapido e netto. Dal cranio e dal collo fuoriuscirono una miriade di insetti, come se fosse un sacco pieno di piccole creature.

«Sei stato tu! Hai ridotto tu il capitano in quel modo.»

«Sì.» rispose semplicemente, osservando i suoi soldati che la attaccavano. Rihilda era abile, lo sapeva, ma sperava che la affaticassero abbastanza da permettergli di eliminarla in fretta: avrebbe voluto che affrontasse la strega, ma quella era un inutile scherzo della magia oscura. Se lo avesse saputo l’avrebbe eliminata nel bosco.

Rihilda si liberò presto di quelli che un tempo erano i suoi compagni, avventandosi subito contro Hira.

Riuscì a opporsi alla furia della paladina solo all'inizio, poi fu costretto a indietreggiare. Rihilda lo sbilanciò con un colpo violento, facendolo finire a terra.

Hira affondò la mano nel liquido che era uscito dalle sfere e ne lanciò una manciata contro la donna. Si protesse come poteva, ma la sostanza la colpì, deturpandole una parte del viso e accecandole un occhio. La sua lama, però, scese implacabile su Hira, recidendo un arto. Dalla ferita uscirono alcuni parassiti e una lunga zampa acuminata. Rihilda la fissò sconvolta, serrando le mani attorno all'impugnatura e avventandosi su di lui.

«Muori essere schifoso!» qualcosa si mosse dall'ombra, scagliandosi su di lei e recidendo la colonna vertebrale alla base della nuca. Il parassita si allontanò sibilando, il sangue della paladina lo aveva colpito. Si strappò la zampa, liberandosi anche della parte di carne contaminata, per impedire che il danno si aggravasse.

«Dannata puttana!» il signore dei parassiti si alzò colpendola all'addome e facendola rotolare in una delle pozze di fluido; tra i capelli bianchi di Hira, sbucarono due piccole corna nere dalle sfumature rossicce.

Rihilda urlò, il corpo non le rispondeva più, non poteva fare altro. «Hai ferito il mio favorito! Il tuo lurido schifoso sangue lo ha danneggiato!»  la lasciò per terra, dirigendosi verso il suo parassita e raccogliendolo da terra; lo rassicurò, consolandolo per il dolore, assicurandogli che sarebbe passato presto.

Le lunghe antenne dell'insetto sfiorarono il suo volto, sibilando. Il lungo insetto si attorcigliò attorno al suo collo mentre Hira raccolse nuovamente la spada con la mano che gli restava. «E così termina la stirpe bianca.» la lama affondò nel suo cranio, piantandosi nel terreno. Il sangue della paladina si mescolò al fluido producendo una reazione gorgogliante. Hira si allontanò, evitando i vapori prodotti. Uscì in fretta dal tempio, lasciano la spada conficcata nel suolo, e ignorando la trasformazione che la lama stava subendo: non gli interessava.

Attorno a lui, in mezzo agli alberi, i barbari sopravvissuti erano rimasti invischiati nella sua rete, appesi alla mercé dei suoi cuccioli. Hira produsse un forte sibilo e la terra iniziò a tremare e allo stesso modo sembrò tremare il cielo.

I lampi che attraversavano la fitta coltre di nubi parevano mandarla in frantumi. Hira sentì il tempio crollare, aprirsi e l'energia di quella sorgente negativa riversarsi all'esterno. Dal cielo, qualcosa richiamò l'energia, e assieme a essa risalirono anche le ombre di alcuni draghi bianchi, urlavano disperati, senza poter opporsi al richiamo.

Hira osservò la scena, allontanandosi dal tempio e cercando un luogo da cui poter guardare senza correre rischi: c’era poco da fidarsi di quelli come lui.

Le anime dei draghi che Hira aveva imprigionato nella lama vennero divorati: poteva sentire le urla strazianti che provenivano da quelle creature spirituali e rise assieme al parassita che ancora aveva sulle spalle.

«È andata bene.» il parassita sibilò. Poi la coltre plumbea si contrasse, spezzandosi. Qualcosa si mosse all’interno di quella nuova sezione, alla fine esplose come se le tenebre stesse si fossero frantumate e tra le nubi, la voce che aveva guidato Hira per tutto quel tempo, riacquistò una forma fisica.

Il grande drago nero aprì le sue ampie ali fatte di fiamme, dello stesso colore dei fulmini che lo avevano accompagnato durante il viaggio. Ruggì, fu talmente potente che sembrò scuotere la terra stessa, poi guardò verso il basso, incrociando la piccola figura del suo servitore e mostrò le zanne in un bieco sorriso. Hira si inchinò, abbassando il capo e quando lo risollevò il drago stava volando verso sud.

«Abbiamo lavorato bene, vero?» il parassita sibilò soddisfatto assieme a tutti gli altri che avevano ricoperto il campo di battaglia, felici del successo ottenuto. «Vediamo cosa succederà adesso.» Hira riprese il cammino, fischiettando un motivo dei tempi antichi, a Valgar qualcuno lo stava aspettando, imprigionato nella locanda; avrebbe creato un nuovo dominio nel nord, il sorriso che il suo signore gli aveva rivolto era stato chiaro, un premio per il servizio svolto. Mentre si incamminava, la neve iniziò a cadere lieve, piccoli cristalli bianchi che avrebbero assorbito il sangue versato, tingendosi di rosso, prima di ricoprire tutto con il suo candore. Nel sottosuolo Hira avrebbe ripreso a costruire il suo popolo, prendendo possesso di quelle terre e omaggiando il suo signore con le vite che avrebbe raccolto.

 

 

 

I Deliri di Nelith

Così si conclude questa breve fantasy dark. Grazie a tutti quelli che l'hanno letta ^^ spero che almeno un po' vi sia piaciuta.

   
 
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