Just a kid
Just a kid
Wishing You
Were Somehow Here Again
“You are
never given a wish without being given the power to make it true. You may have
to work for it, however.”
Richard Bach
Ancora una volta, giunse il
nuovo anno.
Ed ancora una volta, giunse
dopo giorni e giorni di malinconia.
Certo, aveva partecipato ad
una delle feste più prestigiose – come al solito – e si era anche divertito,
rischiando di mandare Inge su tutte le furie per ogni volta che, senza
rendersene pienamente conto, andava a flirtare con una qualsiasi ragazza – o
donna che fosse. Era, quindi, stato minacciato di un’improvvisa rottura del
collo, di avvelenamento, di squarciamento e qualcos’altro che non ricordava, ma
niente di tutto questo (fortunatamente) si era avverato.
Eppure, sapeva –
esattamente come un anno fa – che non c’era molto di cui essere felice.
Ma sentiva che c’era una
differenza. Ecco, se avesse dovuto trovarla, avrebbe detto che questa volta era
come se gli mancasse una parte di sé. Sì, perché gli mancava Alex, suo figlio.
Se n’era andato ormai da un
mese.
Un mese.
Un mese passato nella
speranza di ricevere sue notizie. Un mese passato a soffrire per la sua colpa.
Un mese passato a tentare di dimenticare qualcosa di indelebile dentro di sé.
Tutti gli erano stati
vicini. Avevano provato a tirarlo su di morale, a distrarlo… e ci erano
riusciti. Si sentiva in colpa anche per questo.
Ma si era convinto di una
cosa, in tutto questo tempo: le cose erano andate così. Ormai, lui non poteva
farci più niente. Ci fu il momento in cui lui avrebbe potuto mostrarsi
all’altezza del suo ruolo di padre, ma non era stato in grado di dimostrarsi
tale.
Quindi, forse era stato un
bene che tutto fosse andato come era andato.
Lui non era stato capace di
essere un padre, quindi era giusto che Alex si fosse allontanato da lui.
L’unica cosa che non
riusciva a dargli pace, riguardava l’ambiente in cui ora poteva trovarsi. E
soprattutto le persone.
Sperò con tutto il cuore
che Melanie avesse capito. Sperò che lei avesse provato a rifarsi una vita,
magari chiedendo un aiuto più giusto per se stessa e per il bambino.
Per il resto, era tempo che
la sua vita ritornasse quella di sempre.
Gli ci era voluta una
sbronza senza eguali e una settimana di martellante mal di testa per capirlo.
“Tom!”
Il ragazzo mugolò qualcosa
e si girò dall’altra parte, per poi tirare le coperte tutte sopra di sé.
“Sei uno stronzo!” si
offese la ragazza dai lunghi capelli rossicci, di fianco a lui, rimanendo
scoperta.
“Sì, lo so. Me l’hai
ripetuto non so quante volte nel giro di un quarto d’ora.” Mormorò lui.
“Allora continuerò per il
resto del giorno, visto che non sembra tu abbia afferrato!” urlò lei,
togliendogli le coperte.
“Sei impazzita?” si lamentò
Tom, rannicchiandosi su se stesso. “È gennaio! Fa freddo!”
“E allora tu non dormire
nudo!”
“Ma si può sapere cosa hai
da berciare alle sette del mattino?” fece lui stizzito per cambiare discorso.
“Veramente sono le dieci,”
precisò Inge. “E poi oggi ti dovevo svegliare alle nove – un’ora fa! – perché
avevi un’importante servizio!”
Tom sgranò gli occhi.
“Cazzo!” e saltò giù dal
letto. “Potevi svegliarmi prima!”
La ragazza sentì la sua
mandibola toccare il letto. Tentò di replicare ma non trovò nemmeno le parole
adatte, così ci rinunciò, sbuffando.
Tom raccolse da terra
qualche vestito e corse in bagno nel girò di trenta secondi.
Inge guardò il letto
rimasto vuoto e non riuscì a reprimere una risatina. Scese, poi, dal letto e si
incamminò verso il bagno.
Il ragazzo era già entrato
dentro la cabina della doccia e nella fretta vi sbatté più volte contro,
borbottando tutto il suo ricco repertorio di imprecazioni, senza tralasciare
niente.
La rossa rise ancora.
“Che ridi?” la riprese lui.
“È colpa tua se sono in ritardo.”
“Certo,” annuì lei per
niente convincente. “È colpa mia che durante la notte ti ho dato del potente
sonnifero.”
“No,” ribatté lui. “È colpa
tua perché durante la notte hai fatto – e mi hai fatto fare – molte cose che mi
hanno tolto energia.”
“Però ti sono piaciute.”
Concluse lei, con tono malizioso, mentre si toglieva l’enorme maglietta del
ragazzo e la buttava per terra.
“Bè, ero anche stanco,
quindi non saprei dirlo con esattezza…” disse vago, un velo della sua solita
ironia nella voce.
La ragazza si spogliò
totalmente e si avvicinò alla cabina della doccia. L’aprì ed entrò.
“Vuoi allora che ti
rinfreschi la memoria?” lo sfidò, abbracciandolo da dietro.
Lui le afferrò le mani con
le sue insaponate, per poi girarsi e guardarla negli occhi.
“Non sai quanto mi
piacerebbe…”
“Sì, che lo so.” Sorrise
maliziosa.
“Peccato che sia in
ritardo.” Roteò gli occhi. Il suo sguardo poteva far intendere tutto, tranne che
gli importasse del ritardo. Inge lo conosceva abbastanza bene da sapere che
davanti ad una proposta del genere, quel dannato pervertito che ora torreggiava
su di lei, avrebbe volentieri mandato al diavolo ogni impegno.
Ma Inge sapeva anche che
Jost si sarebbe arrabbiato oltre ogni limite, se Tom avesse fatto tardi: per
questo l’aveva svegliato con due ore di anticipo.
“Non direi. Hai ancora del
tempo a disposizione.” Trattenne a stento una risata.
Ed il ragazzo capì.
“Quanto tempo?” la
interrogò, appoggiandosi a lei, che arretrò finché non toccò la parete della
cabina con la schiena.
“Diciamo qualche oretta.”
Sorrise soddisfatta.
Tom sembrò pensarci su.
“Pensi che siano
sufficienti?”
“Ti garantisco che in
qualche oretta ti farò rimpiangere di non avermi fatto dormire.” Sorrise
strafottente, mentre posava le labbra sul collo della ragazza.
Lei lo strinse con più
forza a sé e si abbandonò completamente al suo volere.
***
“Quindi?”
“Quindi?” ripeté il
bassista sconcertato.
Bill annuì.
“Quindi dobbiamo sottostare
ai suoi ordini.” Sospirò Tom, stravaccandosi sul divano.
“Ma non è giusto!” si
lamentò il moro, incrociando le braccia al petto.
“Ti pago dieci euro se
glielo vai a dire.” Schioccò la lingua il fratello.
“Che misero.” Commentò
Gustav, sorseggiando la sua birra.
“Tanto non funziona. Mi
sono già lamentato io,” disse Georg, “E l’unica cosa che ho ricevuto è stato un
ruggito per niente rassicurante.”
“Meglio non stuzzicarlo
troppo, allora.” Concluse Inge, sedendosi anche lei sul divano di casa Kaulitz.
“Sì, ok, ma ti rendi
conto?”
Lei alzò un sopracciglio.
“Vuole costringerci a fare
un concerto a Monaco in nemmeno due settimane!” esclamò terrorizzato il
cantante.
“Non siamo pronti!” lo
sostenne Georg.
“Ma cosa c’è da preparare,
scusa? Avete già e vostre canzoni!” sorrise ironica.
Tom e gli altri ragazzi si
lanciarono occhiate eloquenti.
“Allora ho il permesso di
metterle le mani al collo?”
“Fai pure, tanto è la tua
donna…” mormorò Georg. “Ma non so se riuscirai nel tuo intento.” Ridacchiò.
La rossa lo guardò
soddisfatta. Aveva la sua reputazione da mantenere, lei! E tutti avevano una
vaga idea delle sue capacità di difendersi da eventuali attacchi.
“Ma a me vuole bene,”
sorrise strafottente Tom, girandosi verso di lei. “Non mi farà mai del male,” le
mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Vero?”
“Vuoi una dimostrazione?”
lo sfidò lei, iniziando ad accumulare la saliva con palesi movimenti della
bocca.
“Accidenti quanto sei
permalosa!” biascicò Tom, roteando gli occhi, per poi afferrare il telecomando
sul divano vicino a lui.
“Accidenti quanto sei
permaloso!” lo emulò lei.
“Rincominci a farmi il
verso?” la riprese stizzito.
“Io non ti faccio il
verso!” fece lei, stizzita come Tom.
“Quanto siete infantili…”
borbottò Bill tra sé e sé, alzando gli occhi al cielo.
Il rasta sbuffò esasperato,
mentre gli altri due ragazzi soffiavano le risate.
Inge si avvicinò a lui e
gli posò una mano sul viso, per farlo voltare nella sua direzione.
“Dai, lo sai che scherzo.”
Sorrise. “Ma cosa puoi farci se con me non hai speranze?”
Il ragazzo, allora, posò
lentamente la bottiglia di birra che teneva in mano e sospirò. Poi, di scatto,
si girò verso la ragazza e la prese per le spalle, facendola cadere stesa sul
divano, mentre lei cercava di allontanarlo invano. Posò le sue labbra sulle sue
e le rubò un bacio.
“Ehi! Non vogliamo
assistere ad uno spettacolo porno!” commentò Georg. “E poi, ci sono pure dei
bambini in questa stanza.” Ridacchiò, indicando Bill, che alzò un dito per
niente nobile nella sua direzione.
Tom si incupì: per un
momento, quelle parole appena sentite lo fecero pensare ad un altro bambino.
“Scusa.” Farfugliò il
bassista, rendendosi conto del gioco di parole involontario.
“No, non ti preoccupare.”
Si affrettò a dire Tom, ricomponendosi sul divano e prestando maggiore
attenzione al telegiornale della sera che proprio in quel momento stava andando
in onda.
Inge si alzò a sua volta e
si appoggiò alla spalla del ragazzo, facendosi abbracciare da Tom. Ebbe un
fremito quando gli toccò la pancia.
“E dopo le notizie
politiche, passiamo ai fatti di cronaca.” Disse la bionda giornalista.
“Arrestati per spaccio.” Lesse sui fogli che teneva in mano.
Iniziò un servizio che
presentava le periferie di Amburgo, per poi fermarsi su una piccola casa
malridotta – molto simile a quella in cui viveva Inge.
Mentre la giornalista
parlava, la telecamera inquadrò i colpevoli al momento della cattura, che
tentavano di coprirsi dai flash che come avvoltoi, li assalivano.
“… un uomo di trentanove
anni e una donna di venticinque.” Disse bionda alla tv.
Vennero, poi, mostrate le
foto delle due persone: lui era un uomo anonimo. Capelli neri, occhi cupi ed
incavati, naso grosso e una bocca praticamente priva di labbra.
La donna era…
Tutti i presenti nella
grande sala sgranarono gli occhi.
Era Melanie!
Tom afferrò violentemente
il telecomando e alzò il volume per ascoltare meglio ogni parola.
“Melanie Vedel e
Benjamin Hoffmann.
Il bambino che viveva con loro, Alexander Vedel, è stato affidato ai servizi
sociali.”
Sullo schermo apparve una
foto del bambino. Ma, contrariamente ai ricordi che i ragazzi avevano di lui,
quella foto presentava Alex triste e spaventato.
“Merda…” imprecò Tom,
spengendo il televisore.
“Cazzo…” si unì Bill.
“Cosa possiamo fare?”
chiese Inge.
“Non lo so.” Rispose il
ragazzo accanto a lei.
“Potremmo andare ai servizi
sociali.” Propose Gustav.
Ma nessuno rispose. Tom non
avrebbe voluto far altro. Andare laggiù dimostrare il suo legame con il bambino
e riportarlo a casa. Purtroppo, sapeva che non era così facile fare una cosa del
genere. Innanzitutto, ci sarebbe stato da provare la loro parentela. Magari con
test del DNA che avrebbe preso chissà quanto tempo: non per tutti questa
faccenda aveva importanza.
Tom stese la testa sullo
schienale del divano e si coprì il viso con le mani, serrando gli occhi.
Possibile che non ci
fossero possibilità di riaverlo?
Certo, era preoccupato
anche per Melanie, ma lei era adulta e aveva fatto la sua scelta. Ora avrebbe
dovuto accettare le conseguenze.
Ma Alex era un bambino! Era
la vittima principale in tutto questo! Lui non meritava di passare la sua
infanzia in un edificio dei servizi sociali! Lui aveva una famiglia! Per questo
doveva tornare da loro!
Il ragazzo sospirò
profondamente per mantenere il controllo.
Doveva trovare una
soluzione.
Alex sarebbe tornato da
loro.
***
Il campanello suonò.
“Bill, puoi andare tu?”
chiese al fratello, mentre sorseggiava un succo di frutta rubato al fratello.
Il moro alzò la testa dal
tavolo e lo guardò torvo.
“Non vedi cosa sto
facendo?” domandò, mostrandogli una mano con due dita smaltate e una terza
pronta per il servizio.
Tom sospirò.
“Che palle.” E si alzò per
raggiungere l’ingresso. Attivò il piccolo schermo per vedere chi fosse ed azionò
il microfono alla vista di una donna tutta in tiro davanti alla porta.
“Chi è?”
“Sono dei servizi sociali.”
Si presentò lei.
Tom aprì subito il
cancello, facendo altrettanto con la porta d’ingresso per farla accomodare in
casa.
“Buonasera.” Salutò
educatamente. “Sono Anna Berger,” e gli porse una mano. Tom contraccambiò la
stretta. “Sono qui per un fatto alquanto curioso.” E si chinò per poter aprire
la valigia che teneva nell’altra mano.
“Ah, aspetti.” La fermò il
ragazzo. “Venga in cucina.” E l’accompagnò nella stanza accanto.
La donna ringraziò e posò
la borsa sul tavolo, tirando fuori numerosi documenti.
Bill tolse tutti i suoi
strumenti per fare spazio e rimase a guardare silenzioso.
Quando la signora Berger
ebbe trovato i fogli che le interessavano, ripose tutto nuovamente nella borsa e
chiese il permesso di sedersi.
Tom, quasi, la incoraggiò.
Il fatto che una dei servizi sociali fosse a casa loro, significava solo che era
una cosa legata ad Alex. L’unico dubbio che aveva riguardava il modo in cui era
arrivata a casa loro.
“Allora,” tossì per
iniziare. “Vengo per parlare di Alexander Vedel.”
“Di Alex?” fece una voce
femminile dalla soglia della cucina.
Tom si girò a guardare
Inge, che si strusciò velocemente una mano sugli occhi. Che fossero lacrime o
stanchezza, non seppe dirlo.
“Sì.” Rispose la donna,
sorridendo. Il fatto che tutti in quella casa fossero attenti a questa faccenda,
doveva averle fatto una buona impressione delle persone che vi vivevano.
La ragazza entrò nella
stanza e si sedette su una delle sedie, le mani sulla pancia, mentre Tom la
raggiunse e si mise dietro di lei, le mani sulle sue spalle. Erano tese.
“La signora Vedel ha fatto
il vostro nome.” Annunciò. “Voleva che suo figlio venisse affidato a persone che
sapeva lo avrebbero accudito e fatto crescere nel migliore dei modi.”
“Cosa?” balbettò Tom.
“Se non vuole, è libero di
non accettare.”
“No!” replicò subito il
ragazzo. “Accetto.”
“Prima di essere troppo
precipitosi, è meglio che vi informi delle grandi responsabilità che comporta il
suo affidamento, per non parlare delle spese…”
“I soldi non ci mancano.”
Puntualizzò Bill.
“E per le responsabilità?”
“Non si preoccupi. Ci
prenderemo cura noi di Alex.” Rispose deciso Tom.
“Perfetto.” Sorrise la
donna. “Allora, ho bisogno di una firma qui,” e gli mostrò dei documenti. “E
qui.” Voltò la pagina del fascicoletto, per poi offrirgli una penna.
Tom la prese determinato e
non si fece ripetere niente. Firmò.
“Per le altre pratiche, vi
aspetto nel mio ufficio domani.” E posò sul tavolo il suo biglietto da visita.
“D’accordo.”
La signora Berger sorrise e
ripose i documenti nella sua borsa. Tom l’accompagnò alla porta di casa, seguito
da Bill ed Inge e le aprì la porta, come segno di galanteria e ringraziamento.
“Ah,” si fermò la donna,
imbarazzata. “Scusi, lo so che non è proprio il momento, ma…” tirò fuori dalla
borsa un blocchetto ed una penna. “Non è che potreste dare un autografo a mia
figlia?”
I gemelli si guardarono e
soffiarono una risata, per poi accettare volentieri. Una volta ottenuto il
regalo per la figlia, la donna li salutò e se ne andò.
Tom chiuse la porta e
guardò gli altri due. Sentiva dentro una voglia immensa di gridare, di piangere,
di ridere e chissà quant’altro. Era felice. Tanto felice.
Così felice che afferrò
Inge per la vita e la strinse forte a sé.
“Ehi, calmati!” lo
allontanò lei, sorridendo. “Mi fai male alla pancia.” E se la massaggiò.
“Ops.” Si grattò la testa
lui. “Cazzo! Sono troppo esaltato!” urlò. “Finalmente riesco a fare una cosa
buona per mio figlio.”
“Guarda che stai diventando
patetico.” Lo riprese Bill, incrociando le braccia al petto. “Già mi è bastato
il periodo prima del nuovo anno.”
“Fottiti!” e gli mostrò il
famoso dito, sorridendo strafottente.
“Ehi, tu.” Lo indicò Inge.
“Sappi che se Alex ritorna, il tuo linguaggio dovrà adattarsi.”
“Sarà molto difficile.”
Commentò ironico Bill.
“Grazie, eh!” si finse
offeso Tom, avvicinandosi al fratello e scarruffandogli i capelli, che solo
mezz’ora prima si era sistemato, dopo averci impiegato poco più di due ore.
Bill sbiancò, per poi
assumere tonalità rossastre.
“Brutto cretino con il
cervello di un’ameba cerebrolesa!” gridò Bill, rivoltandosi verso Tom, che
iniziò a correre per la casa, tentando di fuggire dalla prossima ira funesta del
moro.
“Mentre voi vi uccidete,
chiamo Gustav e Georg per avvertirli, ok?”
Un urlo di Bill – chissà
dovuto a cosa – fu l’unica risposta che ricevette. Lo prese per un sì.
***
“Papà!”
Un mormorio soffocato cercò
di esprimergli il suo disappunto.
“Dai, papà!” e iniziò a
battere alla porta.
“Alex, ti prego…” si
lamentò il ragazzo.
“Ma è tardi!” obbiettò.
“Avevi promesso che stamattina si giocava!”
“Sì, la mattina, non
all’alba…”
“Ma Inge si è già alzata da
tanto tempo…” piagnucolò, battendo debolmente ancora una volta la mano sulla
porta.
Tom si rigirò tra le
coperte.
“Ok, va bene. Forza,
entra.”
La porta non tardò ad
aprirsi e subito Alex saltò sopra le coperte. Peccato che sotto ci fosse lo
stomaco del ragazzo, che si ritrovò a tossire per il dolore.
“Scusa, ti ho fatto male?”
piegò la testa di lato, dispiaciuto.
“No,” diede un colpo di
tosse. “Tranquillo.” Tossicchiò ancora. “Mi hai fatto solo ritornare in bocca la
cena di ieri.”
“Come le mucche?” sorrise.
“Vuoi dire che sono una
mucca?” lo minacciò scherzosamente Tom.
“No, tu sei un uomo, ma
quando fai: ‘mmmgh’,” imitò il verso di quando mugola la mattina,
chiudendo gli occhi e facendo una smorfia. “Sembri davvero una mucca!”
“Ehi, piccola peste!” lo
prese per la vita per non farlo scappare. “Sai chi stai offendendo?”
“Una brutta mucca con i
capelli sporchi!” ridacchiò lui, cercando di liberarsi dalla presa.
“I miei capelli non sono
sporchi!”
“Sì, invece! Sono molto più
grossi dei miei.”
“E allora?” alzò un
sopracciglio scettico.
“Vuol dire che c’è tanto
sporco attaccato!” disse come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
Tom lo guardò perplesso,
poi, ripensando alla sua frase, non poté trattenersi dal ridere.
“Perché ridi?”
“Perché hai detto una cosa
davvero strana.” Lo liberò dalla presa, per poi alzarsi. Tanto ormai, rimanere a
letto non aveva senso.
“Non è vero!”
“Sì, che è vero!”
“Cosa è vero?” chiese Inge,
sulla soglia della camera.
“Inge!” la salutò Alex.
“Vieni a giocare anche tu!” e le fece gesto di avvicinarsi.
“Ok, ma fate attenzione.
Sono stanca.” Si preoccupò.
“Certo, se ti svegli così
presto…” fece Tom ironico.
“Qualcuno deve pur lavorare
per portare i soldi in questa casa, no?” scherzo la ragazza, sedendosi sul
letto.
“Inge, papà ha detto che
dico cose strane!” la tirò per la maglietta per riavere la sua attenzione.
“Cosa?” sorrise, fingendosi
arrabbiata con il ragazzo. “Ma come osa questo…” e tentò di cercare una parola
che potesse offenderlo delicatamente per accontentare Alex.
“Questa mucca!” rise il
bambino.
“Mucca?” ripeté perplessa
la rossa.
“Lasciamo perdere…” sviò
Tom, sospirando.
“Sì, è una mucca! Quando fa
quei versi buffi nel letto, sai?”
Inge capì e rise di gusto.
“Sai che non ci avevo mai
fatto caso, Alex? Già, Tom è una mucca!” ridacchiò.
“Eh no!” ribatté lui. “Ora
la pagate!” e montò di nuovo sul letto. Inge afferrò Alex e lo imprigionò in un
abbraccio, mentre Tom avanzava lentamente a quattro zampe verso di lui, che si
dimenava divertito.
“Prima lui!” diceva Inge.
“È stato lui ad offenderti per primo!”
“Non l’ho fatto apposta!”
strillava quella piccola peste, scalciando e ridendo.
“Non mi importa.” Decretò
Tom, sorridendo sadico.
Si buttò su di loro e li
schiacciò.
“Papà! Soffoco!” si lamentò
Alex. “Sei pesante!”
“Tom, accidenti! Mi fai
male alla pancia!” piagnucolò Inge.
“Vedi a mangiare troppo?”
sorrise lui, allungando il collo per poterla baciare sulla fronte.
“Bleah!” fece Alex. “Ci
sono io nel mezzo! Non fate le cose da grandi, dai!” e sgusciò dall’insolito
abbraccio, lasciando che Tom rimanesse sopra Inge. “Io vado a giocare con Bill!”
annunciò, prima di correre per il corridoio contento.
“Che dici, continuiamo a
fare le cose da grandi?” la provocò, strusciando il naso contro il suo
collo.
“Tom…” sospirò lei. “Sei
insaziabile!” rise.
“Ti dispiace?”
“A me tanto.” Rispose una
voce impastata dal sonno fuori dalla stanza.
I due ragazzi guardarono
verso la porta e videro Bill, appena svegliato con Alex per mano. Sembrava gli
fosse esplosa una bomba in testa, per il modo in cui erano i suoi capelli
corvini.
“Se volete fare cose
sconce, almeno chiudete la porta – magari anche a chiave. C’è un bambino, vorrei
ricordarvi… sembrerebbe, sennò che voleste fargli vedere una prova pratica di
come nascono.”
“Perché? Come nascono i
bambini?” chiese Alex, tirandolo per il braccio.
Bill sgranò gli occhi,
spaventato.
“Ora te lo tieni!” lo
canzonò Inge.
“Hai voluto fare la
battuta? Ora spiegaglielo!” rincarò Tom.
Il moro assunse un’aria
disperata alla continua insistenza Alex, chiedendo aiuto, ma Tom gli fece segno
di andarsene. Bill, quindi, sospirò e chiuse la porta, per poi dirigersi verso
il piano inferiore con Alex, curioso di sapere la risposta alla sua imbarazzante
domanda.
Il ragazzo, rimasto solo
con Inge nel buio della stanza, scivolò accanto a lei e l’abbracciò.
“E tu che dici?” le
sussurrò all’orecchio. “Lo vorresti un bambino?”
“Perché?” chiese subito
lei. “Tu lo vorresti?”
Lui ci pensò un attimo.
“Bè, diciamo che tanto sono
già allenato.” E la baciò sul collo, mentre con le mani l’accarezzava sui
fianchi.
Inge lo baciò a sua volta,
prendendo le mani del ragazzo tra le sue e facendole scivolare per il proprio
corpo, fino a posarle sulla pancia.
“Ma questo sarà più
piccolo.” Sorrise lei sotto le sue labbra.
“Vorrà dire che
impareremo.” Mormorò, abbassandosi. Le sollevò la maglietta, scoprendole il
ventre e le lasciò un bacio, per poi alzarsi nuovamente ed abbracciarla.
Improvvisamente un rumore
per niente rassicurante giunse alle loro orecchie.
“Secondo te, cos’era?”
domandò preoccupata Inge.
“Non ne ho la più pallida
idea.” Rispose altrettanto preoccupato. “Ci crollerà la casa addosso,
ora?”
“Esagerato!” gli diede una
leggera spinta sulla spalla.
“Forse è meglio andare a
vedere.” Propose Tom, alzandosi. Si infilò i pantaloni di una tuta che trovò sul
pavimento e aspettò che Inge lo raggiungesse. Le mise, poi, un braccio intorno
alle spalle ed insieme uscirono, dirigendosi verso il luogo del delitto.
Lei gli passò un braccio
intorno alla vita nuda e si preparò ad assistere al peggio.
Questo era l’inizio di una
nuova giornata. Una delle tante in cui i problemi forse sarebbero diminuiti, o –
molto più probabilmente – sarebbero aumentati. Casa Kaulitz, dopotutto, non era
mai stato un posto tranquillo, e ora che ad abitarvi erano più numerosi, non
potevano minimamente pensare che la tranquillità potesse regnare. Per persone
con il loro carattere, la tranquillità non era proponibile.
Certo, ci sarebbero stati
momenti di conflitto, di tensione, forse di rabbia. Però, tutto si sarebbe
risolto, in un modo o in un altro. Sarebbe bastato desiderarlo, perché mai è
concesso un desiderio senza che sia dato anche il potere di farlo avverare. Può
darsi, tuttavia, che si debba faticare per esso.
¤°.¸¸.·´¯`» «´¯`·.¸¸.°¤
Ende
____________________________________________
Chi l'avrebbe mai detto? Anche
questa fan fiction è finita. Questo era l'ultimo capitolo del sequel di 'Sopravvivere',
l'ultima avventura di Tom, Inge, Bill, Georg, Gustav (per loro due, mi scuso per
averli trascurati per praticamente tutta la durata della storia) e Alex.
Bè, che dire, se non che mi dispiace
tantissimo - proprio come scrissi nell'ultimo capitolo della ff precedente...
Ok, svelerò una cosa: ho
volontariamente lasciato una certa cosa in sospeso, seminando qualche
dettaglio qua e là per il capitolo. Chissà... se mi verrà l'ennesimo colpo di
pazzia, potrei anche vedere di creare ancora qualcosa al riguardo, ma come al
solito, non garantisco niente. Prima di tutto, perché ho intenzione di portare
avanti le altre ff iniziate e mai concluse - fatto che mi infastidisce
parecchio..^^" - e poi perché tra praticamente 100 giorni (104 per l'esattezza)
iniziano gli esami e io dovrei seriamente mettermi sotto con lo studio. V_V
Quindi, boh, vedremo... forse il
prossimo anno!^^
Per cambiare argomento, ora voglio
mostrarvi la foto che io ho trovato per
Inge
- aggiungendone anche un'altra come
alternativa, perché mi sembrava abbastanza somigliante a come me la immagino
io.
Inoltre, sono stata felice di aver
ricevuto le vostre opinioni al riguardo:
Zickie ha pensato a
lei, come Inge.
Antonellina,
Lindsay Lohan.
fliegen88 ha trovato
quest'altra.
Infine, Devilgirl89 mi ha
mandato una mail con la descrizione: bè, non è proprio come me l'ero immaginata
io - se hai visto le immagini, capisci - però non mi dispiacerebbe fosse anche
come l'hai descritta tu.^^
Mmm, spero di aver citato tutti... E
se ho dimenticato qualcuno, bè, fatemelo sapere che lo aggiungerò!
Ed arrivata a questo punto, penso
non mi manchi altro che ringraziare tutti coloro che mi hanno seguita,
sia commentando, che aggiungendo la storia tra i preferiti:
GELI93
AkatsukiGirl
AlYzScHrEiBy
angel1992
angeli neri
Antonellina
babakaulitz
Berlin__ED
BigAngel_Dark
billa483
carla_10
CrazyLalla
cris94
Devilgirl89
ElianaTitti
elisuccia22
elli_kaulitz
ellyk92
erikucciola
FabyVampire
fliegen88
Freiheit
fuckin_princess
Ihateyou
joey_ms_86
Kheth_el
kit2007
Kvery12
ladydarkprincess
Ladysimple
layla the punkprincess
martinaTH4e
marty sweet princess
meris
Moony Magic
nikkei
niky94
noirfabi
outsider
pandina_kaulitz
picchia
pIkKoLa_EmO
Raffuz
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scella90
scrizzoth_95
selina89
sole a mezzanotte
TH Susy TH
tokio94
tokiohotel4e
tokiohotellina95
valevalethebest
vivihotel
xoxo_valy
ylime
Zarah
Zickie
_AngelikaTH_
_Ellie_
Anche in questo caso, spero di
avervi citato tutti...^^"
Bè, che altro resta, ora?
Sinceramente non so, forse... solo
il saluto finale.
Eh già. Siamo arrivati sul
serio alla fine. Come ho già detto, mi dispiace tantissimo, ma è anche vero che
non poteva durare in eterno, questa storia: le mie idee rischiavano di cadere
sulla banalità (e diciamolo, ad un certo punto mi sa proprio che un bel tonfo in
quel campo ce l'hanno fatto...^^"), ma bene o male, a me è piaciuto come si sono
svolte le cose. Certe volte, forse, la vicenda ha preso una piega un po' troppo
dolciastra, quando avrei preferito rimanesse sul tono frizzante, ma giustifico
parzialmente questo fatto, dicendo che in effetti, per certi eventi che ho
trattato, forse l'insulina non era poi così inappropriata. x°D
Voi che dite? Vi è piaciuta? Spero
di sì, anche perché se mi avete continuato a seguire senza che vi siate sentiti
parte della storia, bè, siete parecchio masochisti!=P
Ok, ora è giunta sul serio la fine.
La zona dell'autore non può diventare più lunga del già chilometrico capitolo
che vi ho propinato! Quindi è bene che concluda.
Mmm, forse, l'unica cosa che mi
dispiace di questo capitolo, è che è particolarmente frammentato. Inizialmente,
volevo che fosse più lineare, ma alla fine ha preso questa strada. Ma forse
anche così fa il suo effetto... dopotutto è un epilogo...^^" e gli epiloghi sono
un po' particolari, no? (Sorridete ed annuite. x°D)
Via, ora un grandissimo bacio
a tutti voi! Io vi saluto!
Alla prossima ff, o ad una delle
tante che ho in programma di concludere - forse.
E questa volta, forza, un
commentino lasciatelo, eh!! Che dite? Me lo merito, no?=P
Ps: vi lascio il mio indirizzo msn
(anche se non capita molto spesso che sia in linea...^^"):
irina_89@hotmail.it
Ah, prima che dimentichi: la frase
che ho inserito all'inizio del capitolo è tradotta nella parte finale. A mio
parere è la frase che rappresenta meglio il capitolo (e se vogliamo anche tutto
il resto della storia). L'ho trovata per caso, e subito ci ho visto una perfetta
corrispondenza con 'Just a Kid'...^^
Ora sparisco sul serio. xD
_irina_
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