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Autore: Irina_89    13/03/2009    8 recensioni
“Tom, questo è tuo figlio. È nato quattro anni fa. Non riesco a mantenerlo con il lavoro che faccio. Ti prego, prenditene cura.”
Seguirono attimi di pesante silenzio, in cui nessuno dei due osava parlare.
“Oddio…” fece Bill in un sussurro, poco dopo. “Proprio come avevo detto…” ed alzò lo sguardo su suo fratello. “Ehi, Tom, lo giuro, io non sapevo niente…”
“Bill, stai zitto.” Sibilò lui. “Non richiedo le tue battute ora. La questione è seria.”
“Guarda che lo so. Cercavo solo di sdrammatizzare…” si difese Bill, leggermente offeso dalle parole di Tom. Non era così ottuso da non capire che questa situazione era più grave dell’avere solamente un ospite inaspettato in casa.
“Non hai capito: non si può sdrammatizzare una situazione del genere.”
Bill si zittì, sentendosi ferito in pieno dal fratello, ma capendo come potesse sentirsi lui in quel momento.
“Non c’è nemmeno un nome…” disse, quindi, rigirandosi il foglio tra le mani.
“Già. Nessun nome.” Ripeté Tom.
Merda…
[Sequel di 'Sopravvivere']
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Home'
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Just a kid

Just a kid

 

Wishing You Were Somehow Here Again

“You are never given a wish without being given the power to make it true. You may have to work for it, however.” Richard Bach

 

Ancora una volta, giunse il nuovo anno.

Ed ancora una volta, giunse dopo giorni e giorni di malinconia.

Certo, aveva partecipato ad una delle feste più prestigiose – come al solito – e si era anche divertito, rischiando di mandare Inge su tutte le furie per ogni volta che, senza rendersene pienamente conto, andava a flirtare con una qualsiasi ragazza – o donna che fosse. Era, quindi, stato minacciato di un’improvvisa rottura del collo, di avvelenamento, di squarciamento e qualcos’altro che non ricordava, ma niente di tutto questo (fortunatamente) si era avverato.

Eppure, sapeva – esattamente come un anno fa – che non c’era molto di cui essere felice.

Ma sentiva che c’era una differenza. Ecco, se avesse dovuto trovarla, avrebbe detto che questa volta era come se gli mancasse una parte di sé. Sì, perché gli mancava Alex, suo figlio.

Se n’era andato ormai da un mese.

Un mese.

Un mese passato nella speranza di ricevere sue notizie. Un mese passato a soffrire per la sua colpa. Un mese passato a tentare di dimenticare qualcosa di indelebile dentro di sé.

Tutti gli erano stati vicini. Avevano provato a tirarlo su di morale, a distrarlo… e ci erano riusciti. Si sentiva in colpa anche per questo.

Ma si era convinto di una cosa, in tutto questo tempo: le cose erano andate così. Ormai, lui non poteva farci più niente. Ci fu il momento in cui lui avrebbe potuto mostrarsi all’altezza del suo ruolo di padre, ma non era stato in grado di dimostrarsi tale.

Quindi, forse era stato un bene che tutto fosse andato come era andato.

Lui non era stato capace di essere un padre, quindi era giusto che Alex si fosse allontanato da lui.

L’unica cosa che non riusciva a dargli pace, riguardava l’ambiente in cui ora poteva trovarsi. E soprattutto le persone.

Sperò con tutto il cuore che Melanie avesse capito. Sperò che lei avesse provato a rifarsi una vita, magari chiedendo un aiuto più giusto per se stessa e per il bambino.

Per il resto, era tempo che la sua vita ritornasse quella di sempre.

Gli ci era voluta una sbronza senza eguali e una settimana di martellante mal di testa per capirlo.

“Tom!”

Il ragazzo mugolò qualcosa e si girò dall’altra parte, per poi tirare le coperte tutte sopra di sé.

“Sei uno stronzo!” si offese la ragazza dai lunghi capelli rossicci, di fianco a lui, rimanendo scoperta.

“Sì, lo so. Me l’hai ripetuto non so quante volte nel giro di un quarto d’ora.” Mormorò lui.

“Allora continuerò per il resto del giorno, visto che non sembra tu abbia afferrato!” urlò lei, togliendogli le coperte.

“Sei impazzita?” si lamentò Tom, rannicchiandosi su se stesso. “È gennaio! Fa freddo!”

“E allora tu non dormire nudo!”

“Ma si può sapere cosa hai da berciare alle sette del mattino?” fece lui stizzito per cambiare discorso.

“Veramente sono le dieci,” precisò Inge. “E poi oggi ti dovevo svegliare alle nove – un’ora fa! – perché avevi un’importante servizio!”

Tom sgranò gli occhi.

“Cazzo!” e saltò giù dal letto. “Potevi svegliarmi prima!”

La ragazza sentì la sua mandibola toccare il letto. Tentò di replicare ma non trovò nemmeno le parole adatte, così ci rinunciò, sbuffando.

Tom raccolse da terra qualche vestito e corse in bagno nel girò di trenta secondi.

Inge guardò il letto rimasto vuoto e non riuscì a reprimere una risatina. Scese, poi, dal letto e si incamminò verso il bagno.

Il ragazzo era già entrato dentro la cabina della doccia e nella fretta vi sbatté più volte contro, borbottando tutto il suo ricco repertorio di imprecazioni, senza tralasciare niente.

La rossa rise ancora.

“Che ridi?” la riprese lui. “È colpa tua se sono in ritardo.”

“Certo,” annuì lei per niente convincente. “È colpa mia che durante la notte ti ho dato del potente sonnifero.”

“No,” ribatté lui. “È colpa tua perché durante la notte hai fatto – e mi hai fatto fare – molte cose che mi hanno tolto energia.”

“Però ti sono piaciute.” Concluse lei, con tono malizioso, mentre si toglieva l’enorme maglietta del ragazzo e la buttava per terra.

“Bè, ero anche stanco, quindi non saprei dirlo con esattezza…” disse vago, un velo della sua solita ironia nella voce.

La ragazza si spogliò totalmente e si avvicinò alla cabina della doccia. L’aprì ed entrò.

“Vuoi allora che ti rinfreschi la memoria?” lo sfidò, abbracciandolo da dietro.

Lui le afferrò le mani con le sue insaponate, per poi girarsi e guardarla negli occhi.

“Non sai quanto mi piacerebbe…”

“Sì, che lo so.” Sorrise maliziosa.

“Peccato che sia in ritardo.” Roteò gli occhi. Il suo sguardo poteva far intendere tutto, tranne che gli importasse del ritardo. Inge lo conosceva abbastanza bene da sapere che davanti ad una proposta del genere, quel dannato pervertito che ora torreggiava su di lei, avrebbe volentieri mandato al diavolo ogni impegno.

Ma Inge sapeva anche che Jost si sarebbe arrabbiato oltre ogni limite, se Tom avesse fatto tardi: per questo l’aveva svegliato con due ore di anticipo.

“Non direi. Hai ancora del tempo a disposizione.” Trattenne a stento una risata.

Ed il ragazzo capì.

“Quanto tempo?” la interrogò, appoggiandosi a lei, che arretrò finché non toccò la parete della cabina con la schiena.

“Diciamo qualche oretta.” Sorrise soddisfatta.

Tom sembrò pensarci su.

“Pensi che siano sufficienti?”

“Ti garantisco che in qualche oretta ti farò rimpiangere di non avermi fatto dormire.” Sorrise strafottente, mentre posava le labbra sul collo della ragazza.

Lei lo strinse con più forza a sé e si abbandonò completamente al suo volere.

 

***

 

“Quindi?”

“Quindi?” ripeté il bassista sconcertato.

Bill annuì.

“Quindi dobbiamo sottostare ai suoi ordini.” Sospirò Tom, stravaccandosi sul divano.

“Ma non è giusto!” si lamentò il moro, incrociando le braccia al petto.

“Ti pago dieci euro se glielo vai a dire.” Schioccò la lingua il fratello.

“Che misero.” Commentò Gustav, sorseggiando la sua birra.

“Tanto non funziona. Mi sono già lamentato io,” disse Georg, “E l’unica cosa che ho ricevuto è stato un ruggito per niente rassicurante.”

“Meglio non stuzzicarlo troppo, allora.” Concluse Inge, sedendosi anche lei sul divano di casa Kaulitz.

“Sì, ok, ma ti rendi conto?”

Lei alzò un sopracciglio.

“Vuole costringerci a fare un concerto a Monaco in nemmeno due settimane!” esclamò terrorizzato il cantante.

“Non siamo pronti!” lo sostenne Georg.

“Ma cosa c’è da preparare, scusa? Avete già e vostre canzoni!” sorrise ironica.

Tom e gli altri ragazzi si lanciarono occhiate eloquenti.

“Allora ho il permesso di metterle le mani al collo?”

“Fai pure, tanto è la tua donna…” mormorò Georg. “Ma non so se riuscirai nel tuo intento.” Ridacchiò.

La rossa lo guardò soddisfatta. Aveva la sua reputazione da mantenere, lei! E tutti avevano una vaga idea delle sue capacità di difendersi da eventuali attacchi.

“Ma a me vuole bene,” sorrise strafottente Tom, girandosi verso di lei. “Non mi farà mai del male,” le mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Vero?”

“Vuoi una dimostrazione?” lo sfidò lei, iniziando ad accumulare la saliva con palesi movimenti della bocca.

“Accidenti quanto sei permalosa!” biascicò Tom, roteando gli occhi, per poi afferrare il telecomando sul divano vicino a lui.

“Accidenti quanto sei permaloso!” lo emulò lei.

“Rincominci a farmi il verso?” la riprese stizzito.

“Io non ti faccio il verso!” fece lei, stizzita come Tom.

“Quanto siete infantili…” borbottò Bill tra sé e sé, alzando gli occhi al cielo.

Il rasta sbuffò esasperato, mentre gli altri due ragazzi soffiavano le risate.

Inge si avvicinò a lui e gli posò una mano sul viso, per farlo voltare nella sua direzione.

“Dai, lo sai che scherzo.” Sorrise. “Ma cosa puoi farci se con me non hai speranze?”

Il ragazzo, allora, posò lentamente la bottiglia di birra che teneva in mano e sospirò. Poi, di scatto, si girò verso la ragazza e la prese per le spalle, facendola cadere stesa sul divano, mentre lei cercava di allontanarlo invano. Posò le sue labbra sulle sue e le rubò un bacio.

“Ehi! Non vogliamo assistere ad uno spettacolo porno!” commentò Georg. “E poi, ci sono pure dei bambini in questa stanza.” Ridacchiò, indicando Bill, che alzò un dito per niente nobile nella sua direzione.

Tom si incupì: per un momento, quelle parole appena sentite lo fecero pensare ad un altro bambino.

“Scusa.” Farfugliò il bassista, rendendosi conto del gioco di parole involontario.

“No, non ti preoccupare.” Si affrettò a dire Tom, ricomponendosi sul divano e prestando maggiore attenzione al telegiornale della sera che proprio in quel momento stava andando in onda.

Inge si alzò a sua volta e si appoggiò alla spalla del ragazzo, facendosi abbracciare da Tom. Ebbe un fremito quando gli toccò la pancia.

“E dopo le notizie politiche, passiamo ai fatti di cronaca.” Disse la bionda giornalista. “Arrestati per spaccio.” Lesse sui fogli che teneva in mano.

Iniziò un servizio che presentava le periferie di Amburgo, per poi fermarsi su una piccola casa malridotta – molto simile a quella in cui viveva Inge.

Mentre la giornalista parlava, la telecamera inquadrò i colpevoli al momento della cattura, che tentavano di coprirsi dai flash che come avvoltoi, li assalivano.

“… un uomo di trentanove anni e una donna di venticinque.” Disse bionda alla tv.

Vennero, poi, mostrate le foto delle due persone: lui era un uomo anonimo. Capelli neri, occhi cupi ed incavati, naso grosso e una bocca praticamente priva di labbra.

La donna era…

Tutti i presenti nella grande sala sgranarono gli occhi.

Era Melanie!

Tom afferrò violentemente il telecomando e alzò il volume per ascoltare meglio ogni parola.

“Melanie Vedel e Benjamin Hoffmann. Il bambino che viveva con loro, Alexander Vedel, è stato affidato ai servizi sociali.”

Sullo schermo apparve una foto del bambino. Ma, contrariamente ai ricordi che i ragazzi avevano di lui, quella foto presentava Alex triste e spaventato.

“Merda…” imprecò Tom, spengendo il televisore.

“Cazzo…” si unì Bill.

“Cosa possiamo fare?” chiese Inge.

“Non lo so.” Rispose il ragazzo accanto a lei.

“Potremmo andare ai servizi sociali.” Propose Gustav.

Ma nessuno rispose. Tom non avrebbe voluto far altro. Andare laggiù dimostrare il suo legame con il bambino e riportarlo a casa. Purtroppo, sapeva che non era così facile fare una cosa del genere. Innanzitutto, ci sarebbe stato da provare la loro parentela. Magari con test del DNA che avrebbe preso chissà quanto tempo: non per tutti questa faccenda aveva importanza.

Tom stese la testa sullo schienale del divano e si coprì il viso con le mani, serrando gli occhi.

Possibile che non ci fossero possibilità di riaverlo?

Certo, era preoccupato anche per Melanie, ma lei era adulta e aveva fatto la sua scelta. Ora avrebbe dovuto accettare le conseguenze.

Ma Alex era un bambino! Era la vittima principale in tutto questo! Lui non meritava di passare la sua infanzia in un edificio dei servizi sociali! Lui aveva una famiglia! Per questo doveva tornare da loro!

Il ragazzo sospirò profondamente per mantenere il controllo.

Doveva trovare una soluzione.

Alex sarebbe tornato da loro.

 

***

 

Il campanello suonò.

“Bill, puoi andare tu?” chiese al fratello, mentre sorseggiava un succo di frutta rubato al fratello.

Il moro alzò la testa dal tavolo e lo guardò torvo.

“Non vedi cosa sto facendo?” domandò, mostrandogli una mano con due dita smaltate e una terza pronta per il servizio.

Tom sospirò.

“Che palle.” E si alzò per raggiungere l’ingresso. Attivò il piccolo schermo per vedere chi fosse ed azionò il microfono alla vista di una donna tutta in tiro davanti alla porta.

“Chi è?”

“Sono dei servizi sociali.” Si presentò lei.

Tom aprì subito il cancello, facendo altrettanto con la porta d’ingresso per farla accomodare in casa.

“Buonasera.” Salutò educatamente. “Sono Anna Berger,” e gli porse una mano. Tom contraccambiò la stretta. “Sono qui per un fatto alquanto curioso.” E si chinò per poter aprire la valigia che teneva nell’altra mano.

“Ah, aspetti.” La fermò il ragazzo. “Venga in cucina.” E l’accompagnò nella stanza accanto.

La donna ringraziò e posò la borsa sul tavolo, tirando fuori numerosi documenti.

Bill tolse tutti i suoi strumenti per fare spazio e rimase a guardare silenzioso.

Quando la signora Berger ebbe trovato i fogli che le interessavano, ripose tutto nuovamente nella borsa e chiese il permesso di sedersi.

Tom, quasi, la incoraggiò. Il fatto che una dei servizi sociali fosse a casa loro, significava solo che era una cosa legata ad Alex. L’unico dubbio che aveva riguardava il modo in cui era arrivata a casa loro.

“Allora,” tossì per iniziare. “Vengo per parlare di Alexander Vedel.”

“Di Alex?” fece una voce femminile dalla soglia della cucina.

Tom si girò a guardare Inge, che si strusciò velocemente una mano sugli occhi. Che fossero lacrime o stanchezza, non seppe dirlo.

“Sì.” Rispose la donna, sorridendo. Il fatto che tutti in quella casa fossero attenti a questa faccenda, doveva averle fatto una buona impressione delle persone che vi vivevano.

La ragazza entrò nella stanza e si sedette su una delle sedie, le mani sulla pancia, mentre Tom la raggiunse e si mise dietro di lei, le mani sulle sue spalle. Erano tese.

“La signora Vedel ha fatto il vostro nome.” Annunciò. “Voleva che suo figlio venisse affidato a persone che sapeva lo avrebbero accudito e fatto crescere nel migliore dei modi.”

“Cosa?” balbettò Tom.

“Se non vuole, è libero di non accettare.”

“No!” replicò subito il ragazzo. “Accetto.”

“Prima di essere troppo precipitosi, è meglio che vi informi delle grandi responsabilità che comporta il suo affidamento, per non parlare delle spese…”

“I soldi non ci mancano.” Puntualizzò Bill.

“E per le responsabilità?”

“Non si preoccupi. Ci prenderemo cura noi di Alex.” Rispose deciso Tom.

“Perfetto.” Sorrise la donna. “Allora, ho bisogno di una firma qui,” e gli mostrò dei documenti. “E qui.” Voltò la pagina del fascicoletto, per poi offrirgli una penna.

Tom la prese determinato e non si fece ripetere niente. Firmò.

“Per le altre pratiche, vi aspetto nel mio ufficio domani.” E posò sul tavolo il suo biglietto da visita.

“D’accordo.”

La signora Berger sorrise e ripose i documenti nella sua borsa. Tom l’accompagnò alla porta di casa, seguito da Bill ed Inge e le aprì la porta, come segno di galanteria e ringraziamento.

“Ah,” si fermò la donna, imbarazzata. “Scusi, lo so che non è proprio il momento, ma…” tirò fuori dalla borsa un blocchetto ed una penna. “Non è che potreste dare un autografo a mia figlia?”

I gemelli si guardarono e soffiarono una risata, per poi accettare volentieri. Una volta ottenuto il regalo per la figlia, la donna li salutò e se ne andò.

Tom chiuse la porta e guardò gli altri due. Sentiva dentro una voglia immensa di gridare, di piangere, di ridere e chissà quant’altro. Era felice. Tanto felice.

Così felice che afferrò Inge per la vita e la strinse forte a sé.

“Ehi, calmati!” lo allontanò lei, sorridendo. “Mi fai male alla pancia.” E se la massaggiò.

“Ops.” Si grattò la testa lui. “Cazzo! Sono troppo esaltato!” urlò. “Finalmente riesco a fare una cosa buona per mio figlio.”

“Guarda che stai diventando patetico.” Lo riprese Bill, incrociando le braccia al petto. “Già mi è bastato il periodo prima del nuovo anno.”

“Fottiti!” e gli mostrò il famoso dito, sorridendo strafottente.

“Ehi, tu.” Lo indicò Inge. “Sappi che se Alex ritorna, il tuo linguaggio dovrà adattarsi.”

“Sarà molto difficile.” Commentò ironico Bill.

“Grazie, eh!” si finse offeso Tom, avvicinandosi al fratello e scarruffandogli i capelli, che solo mezz’ora prima si era sistemato, dopo averci impiegato poco più di due ore.

Bill sbiancò, per poi assumere tonalità rossastre.

“Brutto cretino con il cervello di un’ameba cerebrolesa!” gridò Bill, rivoltandosi verso Tom, che iniziò a correre per la casa, tentando di fuggire dalla prossima ira funesta del moro.

“Mentre voi vi uccidete, chiamo Gustav e Georg per avvertirli, ok?”

Un urlo di Bill – chissà dovuto a cosa – fu l’unica risposta che ricevette. Lo prese per un sì.

 

***

 

“Papà!”

Un mormorio soffocato cercò di esprimergli il suo disappunto.

“Dai, papà!” e iniziò a battere alla porta.

“Alex, ti prego…” si lamentò il ragazzo.

“Ma è tardi!” obbiettò. “Avevi promesso che stamattina si giocava!”

“Sì, la mattina, non all’alba…”

“Ma Inge si è già alzata da tanto tempo…” piagnucolò, battendo debolmente ancora una volta la mano sulla porta.

Tom si rigirò tra le coperte.

“Ok, va bene. Forza, entra.”

La porta non tardò ad aprirsi e subito Alex saltò sopra le coperte. Peccato che sotto ci fosse lo stomaco del ragazzo, che si ritrovò a tossire per il dolore.

“Scusa, ti ho fatto male?” piegò la testa di lato, dispiaciuto.

“No,” diede un colpo di tosse. “Tranquillo.” Tossicchiò ancora. “Mi hai fatto solo ritornare in bocca la cena di ieri.”

“Come le mucche?” sorrise.

“Vuoi dire che sono una mucca?” lo minacciò scherzosamente Tom.

“No, tu sei un uomo, ma quando fai: ‘mmmgh’,” imitò il verso di quando mugola la mattina, chiudendo gli occhi e facendo una smorfia. “Sembri davvero una mucca!”

“Ehi, piccola peste!” lo prese per la vita per non farlo scappare. “Sai chi stai offendendo?”

“Una brutta mucca con i capelli sporchi!” ridacchiò lui, cercando di liberarsi dalla presa.

“I miei capelli non sono sporchi!”

“Sì, invece! Sono molto più grossi dei miei.”

“E allora?” alzò un sopracciglio scettico.

“Vuol dire che c’è tanto sporco attaccato!” disse come se fosse la cosa più ovvia al mondo.

Tom lo guardò perplesso, poi, ripensando alla sua frase, non poté trattenersi dal ridere.

“Perché ridi?”

“Perché hai detto una cosa davvero strana.” Lo liberò dalla presa, per poi alzarsi. Tanto ormai, rimanere a letto non aveva senso.

“Non è vero!”

“Sì, che è vero!”

“Cosa è vero?” chiese Inge, sulla soglia della camera.

“Inge!” la salutò Alex. “Vieni a giocare anche tu!” e le fece gesto di avvicinarsi.

“Ok, ma fate attenzione. Sono stanca.” Si preoccupò.

“Certo, se ti svegli così presto…” fece Tom ironico.

“Qualcuno deve pur lavorare per portare i soldi in questa casa, no?” scherzo la ragazza, sedendosi sul letto.

“Inge, papà ha detto che dico cose strane!” la tirò per la maglietta per riavere la sua attenzione.

“Cosa?” sorrise, fingendosi arrabbiata con il ragazzo. “Ma come osa questo…” e tentò di cercare una parola che potesse offenderlo delicatamente per accontentare Alex.

“Questa mucca!” rise il bambino.

“Mucca?” ripeté perplessa la rossa.

“Lasciamo perdere…” sviò Tom, sospirando.

“Sì, è una mucca! Quando fa quei versi buffi nel letto, sai?”

Inge capì e rise di gusto.

“Sai che non ci avevo mai fatto caso, Alex? Già, Tom è una mucca!” ridacchiò.

“Eh no!” ribatté lui. “Ora la pagate!” e montò di nuovo sul letto. Inge afferrò Alex e lo imprigionò in un abbraccio, mentre Tom avanzava lentamente a quattro zampe verso di lui, che si dimenava divertito.

“Prima lui!” diceva Inge. “È stato lui ad offenderti per primo!”

“Non l’ho fatto apposta!” strillava quella piccola peste, scalciando e ridendo.

“Non mi importa.” Decretò Tom, sorridendo sadico.

Si buttò su di loro e li schiacciò.

“Papà! Soffoco!” si lamentò Alex. “Sei pesante!”

“Tom, accidenti! Mi fai male alla pancia!” piagnucolò Inge.

“Vedi a mangiare troppo?” sorrise lui, allungando il collo per poterla baciare sulla fronte.

“Bleah!” fece Alex. “Ci sono io nel mezzo! Non fate le cose da grandi, dai!” e sgusciò dall’insolito abbraccio, lasciando che Tom rimanesse sopra Inge. “Io vado a giocare con Bill!” annunciò, prima di correre per il corridoio contento.

“Che dici, continuiamo a fare le cose da grandi?” la provocò, strusciando il naso contro il suo collo.

“Tom…” sospirò lei. “Sei insaziabile!” rise.

“Ti dispiace?”

“A me tanto.” Rispose una voce impastata dal sonno fuori dalla stanza.

I due ragazzi guardarono verso la porta e videro Bill, appena svegliato con Alex per mano. Sembrava gli fosse esplosa una bomba in testa, per il modo in cui erano i suoi capelli corvini.

“Se volete fare cose sconce, almeno chiudete la porta – magari anche a chiave. C’è un bambino, vorrei ricordarvi… sembrerebbe, sennò che voleste fargli vedere una prova pratica di come nascono.”

“Perché? Come nascono i bambini?” chiese Alex, tirandolo per il braccio.

Bill sgranò gli occhi, spaventato.

“Ora te lo tieni!” lo canzonò Inge.

“Hai voluto fare la battuta? Ora spiegaglielo!” rincarò Tom.

Il moro assunse un’aria disperata alla continua insistenza Alex, chiedendo aiuto, ma Tom gli fece segno di andarsene. Bill, quindi, sospirò e chiuse la porta, per poi dirigersi verso il piano inferiore con Alex, curioso di sapere la risposta alla sua imbarazzante domanda.

Il ragazzo, rimasto solo con Inge nel buio della stanza, scivolò accanto a lei e l’abbracciò.

“E tu che dici?” le sussurrò all’orecchio. “Lo vorresti un bambino?”

“Perché?” chiese subito lei. “Tu lo vorresti?”

Lui ci pensò un attimo.

“Bè, diciamo che tanto sono già allenato.” E la baciò sul collo, mentre con le mani l’accarezzava sui fianchi.

Inge lo baciò a sua volta, prendendo le mani del ragazzo tra le sue e facendole scivolare per il proprio corpo, fino a posarle sulla pancia.

“Ma questo sarà più piccolo.” Sorrise lei sotto le sue labbra.

“Vorrà dire che impareremo.” Mormorò, abbassandosi. Le sollevò la maglietta, scoprendole il ventre e le lasciò un bacio, per poi alzarsi nuovamente ed abbracciarla.

Improvvisamente un rumore per niente rassicurante giunse alle loro orecchie.

“Secondo te, cos’era?” domandò preoccupata Inge.

“Non ne ho la più pallida idea.” Rispose altrettanto preoccupato. “Ci crollerà la casa addosso, ora?”

“Esagerato!” gli diede una leggera spinta sulla spalla.

“Forse è meglio andare a vedere.” Propose Tom, alzandosi. Si infilò i pantaloni di una tuta che trovò sul pavimento e aspettò che Inge lo raggiungesse. Le mise, poi, un braccio intorno alle spalle ed insieme uscirono, dirigendosi verso il luogo del delitto.

Lei gli passò un braccio intorno alla vita nuda e si preparò ad assistere al peggio.

Questo era l’inizio di una nuova giornata. Una delle tante in cui i problemi forse sarebbero diminuiti, o – molto più probabilmente – sarebbero aumentati. Casa Kaulitz, dopotutto, non era mai stato un posto tranquillo, e ora che ad abitarvi erano più numerosi, non potevano minimamente pensare che la tranquillità potesse regnare. Per persone con il loro carattere, la tranquillità non era proponibile.

Certo, ci sarebbero stati momenti di conflitto, di tensione, forse di rabbia. Però, tutto si sarebbe risolto, in un modo o in un altro. Sarebbe bastato desiderarlo, perché mai è concesso un desiderio senza che sia dato anche il potere di farlo avverare. Può darsi, tuttavia, che si debba faticare per esso.

 

¤°.¸¸.·´¯`»  «´¯`·.¸¸.°¤

Ende

____________________________________________

Chi l'avrebbe mai detto? Anche questa fan fiction è finita. Questo era l'ultimo capitolo del sequel di 'Sopravvivere', l'ultima avventura di Tom, Inge, Bill, Georg, Gustav (per loro due, mi scuso per averli trascurati per praticamente tutta la durata della storia) e Alex.

Bè, che dire, se non che mi dispiace tantissimo - proprio come scrissi nell'ultimo capitolo della ff precedente...

Ok, svelerò una cosa: ho volontariamente lasciato una certa cosa in sospeso, seminando qualche dettaglio qua e là per il capitolo. Chissà... se mi verrà l'ennesimo colpo di pazzia, potrei anche vedere di creare ancora qualcosa al riguardo, ma come al solito, non garantisco niente. Prima di tutto, perché ho intenzione di portare avanti le altre ff iniziate e mai concluse - fatto che mi infastidisce parecchio..^^" - e poi perché tra praticamente 100 giorni (104 per l'esattezza) iniziano gli esami e io dovrei seriamente mettermi sotto con lo studio. V_V

Quindi, boh, vedremo... forse il prossimo anno!^^

Per cambiare argomento, ora voglio mostrarvi la foto che io ho trovato per Inge - aggiungendone anche un'altra come alternativa, perché mi sembrava abbastanza somigliante a come me la immagino io.

Inoltre, sono stata felice di aver ricevuto le vostre opinioni al riguardo:

Zickie ha pensato a lei, come Inge.

Antonellina, Lindsay Lohan.

fliegen88 ha trovato quest'altra.

Infine, Devilgirl89 mi ha mandato una mail con la descrizione: bè, non è proprio come me l'ero immaginata io - se hai visto le immagini, capisci - però non mi dispiacerebbe fosse anche come l'hai descritta tu.^^

Mmm, spero di aver citato tutti... E se ho dimenticato qualcuno, bè, fatemelo sapere che lo aggiungerò!

Ed arrivata a questo punto, penso non mi manchi altro che ringraziare tutti coloro che mi hanno seguita, sia commentando, che aggiungendo la storia tra i preferiti:

GELI93
AkatsukiGirl
AlYzScHrEiBy
angel1992
angeli neri
Antonellina
babakaulitz

Berlin__ED

BigAngel_Dark
billa483

carla_10

CrazyLalla
cris94
Devilgirl89
ElianaTitti
elisuccia22
elli_kaulitz
ellyk92
erikucciola
FabyVampire

fliegen88
Freiheit
fuckin_princess
Ihateyou
joey_ms_86
Kheth_el
kit2007
Kvery12

ladydarkprincess
Ladysimple

layla the punkprincess
martinaTH4e
marty sweet princess
meris
Moony Magic
nikkei

niky94
noirfabi
outsider

pandina_kaulitz
picchia
pIkKoLa_EmO
Raffuz
rakith
sbadata93
scella90
scrizzoth_95
selina89
sole a mezzanotte
TH Susy TH
tokio94
tokiohotel4e
tokiohotellina95
valevalethebest
vivihotel
xoxo_valy
ylime
Zarah
Zickie
_AngelikaTH_
_Ellie_
 

Anche in questo caso, spero di avervi citato tutti...^^"

Bè, che altro resta, ora?

Sinceramente non so, forse... solo il saluto finale.

Eh già.  Siamo arrivati sul serio alla fine. Come ho già detto, mi dispiace tantissimo, ma è anche vero che non poteva durare in eterno, questa storia: le mie idee rischiavano di cadere sulla banalità (e diciamolo, ad un certo punto mi sa proprio che un bel tonfo in quel campo ce l'hanno fatto...^^"), ma bene o male, a me è piaciuto come si sono svolte le cose. Certe volte, forse, la vicenda ha preso una piega un po' troppo dolciastra, quando avrei preferito rimanesse sul tono frizzante, ma giustifico parzialmente questo fatto, dicendo che in effetti, per certi eventi che ho trattato, forse l'insulina non era poi così inappropriata. x°D

Voi che dite? Vi è piaciuta? Spero di sì, anche perché se mi avete continuato a seguire senza che vi siate sentiti parte della storia, bè, siete parecchio masochisti!=P

Ok, ora è giunta sul serio la fine. La zona dell'autore non può diventare più lunga del già chilometrico capitolo che vi ho propinato! Quindi è bene che concluda.

Mmm, forse, l'unica cosa che mi dispiace di questo capitolo, è che è particolarmente frammentato. Inizialmente, volevo che fosse più lineare, ma alla fine ha preso questa strada. Ma forse anche così fa il suo effetto... dopotutto è un epilogo...^^" e gli epiloghi sono un po' particolari, no? (Sorridete ed annuite. x°D)

Via, ora un grandissimo bacio a tutti voi! Io vi saluto!

Alla prossima ff, o ad una delle tante che ho in programma di concludere - forse.

E questa volta, forza, un commentino lasciatelo, eh!! Che dite? Me lo merito, no?=P

Ps: vi lascio il mio indirizzo msn (anche se non capita molto spesso che sia in linea...^^"): irina_89@hotmail.it

Ah, prima che dimentichi: la frase che ho inserito all'inizio del capitolo è tradotta nella parte finale. A mio parere è la frase che rappresenta meglio il capitolo (e se vogliamo anche tutto il resto della storia). L'ho trovata per caso, e subito ci ho visto una perfetta corrispondenza con 'Just a Kid'...^^

Ora sparisco sul serio. xD

_irina_

  
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