I die each time you look away
{ The
Beauty
&
The Tragedy
«
Portami quella caraffa di vino. Poi sparisci ».
Il
respiro di Sandor è un affanno grave contro le lenzuola
madide di sudore.
Avverte
il peso leggero della ragazza bionda abbandonare il suo letto, e uno
sbuffo contrariato uscirle dalle labbra carnose mentre si alza per
obbedirgli.
L'uomo
ascolta il rumore dei suoi passi tenui sul pavimento di legno, ruota la
testa per incontrare la vista delle sue natiche sode, e le lunghe gambe
muoversi sinuosamente una dopo l'altra; resta in silenzio con il viso
premuto sul morbido materasso, la cicatrice a contatto con le lenzuola
fresche gode di un sollievo temporaneo al quale si abbandona abbassando
le palpebre divenute d'un tratto troppo pesanti.
«
Prego, mio signore. »
La
ragazza è in piedi davanti al letto, la caraffa di vetro
stretta tra le piccole mani e le sue nudità in mostra alla
luce calda delle candele accese; boccoli dorati le scendono dietro le
spalle fino a solleticarle i fianchi, la pelle nivea è
bianca quanto il latte, come quella della gente del Nord.
Sandor
si mette a sedere di lato, le lenzuola gli scivolano via dal corpo ma a
lui non importa; una mano si alza a massaggiare le tempie pulsanti per
poi scivolare sul viso accigliato, nere ciocche di capelli in disordine
sfuggono ad accarezzargli la mascella serrata e gli occhi sono puntati
sul vino rosso e un po' sui seni della donna.
«
Adesso vattene ».
La
vede corrugare le sopracciglia e contrarre le labbra rosse in una
smorfia di disappunto, mentre le toglie la brocca dalle mani per
portare il liquido rosso ad addolcirgli la gola secca con lunghe
sorsate avare; i passi della ragazza diventano un calpestìo
distante, rumori sgraziati ed impazienti che arrivano alle sue orecchie
come tonfi ovattati, accompagnati dal fruscìo della veste
rossa che scivola sul suo corpo ben formato.
Tracanna
ancora un po' di vino dolce fino a non avere fiato, allontanando poi
l'orlo di vetro dalle labbra per asciugarsele con il palmo della mano,
e posando infine lo sguardo spento sulla figura minuta della ragazza
che, in un inchino veloce e maldestro, lo saluta sommessamente prima di
dileguarsi in fretta fuori dalla stanza.
In
un gesto di non curanza e troppa impellenza di allontanarsi dal rozzo
guerriero, la bionda ammaliatrice si lascia alle spalle la porta
aperta.
Sandor
ringhia infastidito massaggiando le tempie, gocce di vino corposo di
Arbor intrappolate ai lati della bocca serrata e un calore nella stanza
che non gradisce; si alza dal letto e la testa gli duole non poco,
colpa del vino e dell'odore asfissiante di cera e sesso.
Allunga
la mano verso un panno pulito per avvolgerlo intorno alla vita e
nascondere le nudità, dirigendosi a passi pesanti verso
l'uscio per chiudere la massiccia porta di legno e godere qualche ora
di riposo prima del turno di guardia mattutino.
Varca
la soglia col capo e l'aria fresca della Fortezza arriva a scontrarsi
sul viso ardente come balsamo rinfrescante; la stanza alle sue spalle
sembra liberarsi del calore cupo del legno scuro per accogliere la
brezza piacevole che una finestra nel muro grezzo, lì poco
distante da lui, lascia passare tra le grate di ferro arrugginito.
Le
torce donano al corridoio desolato una fievole luce calda che
s’insinua tra le imperfezioni della roccia fredda e i solchi
rossastri della mostruosa cicatrice sul viso del Mastino.
Sandor
stringe il pomello dorato e da' una rapida occhiata in giro; tutto tace
tra le mura in pietra del palazzo, non vi è alcun suono a
infastidire la quiete notturna se non il ringhio graffiante del proprio
respiro.
Un
chiarore rossastro splende improvvisamente sulle pareti in fondo,
ravvivandosi sempre più come fosse una macchia di sangue sul
petto di un uomo ferito; Sandor stringe gli occhi portandoli a due
fessure strette, nella sorpresa di scoprire una figura minuta vestita
di nero camminare a piccoli passi graziati tra le mura di roccia
porosa.
La
candela stretta in una mano brilla svelando i contorni della piccola
sagoma ma non il suo viso chinato, nascosto sotto un ampio mantello
scuro come la pece.
Le
iridi grigie di Sandor puntano la gracile figura ed i suoi passi
incerti e frettolosi; la curiosità di svelarne
l'identità non gli impedisce di poggiare, con un gesto
furtivo, la mano sull'elsa ruvida della sua spada sistemata su una
sedia accanto l'uscio.
«Chi
è là!»
La
piccola figura arresta di colpo il suo cammino spedito, la candela
barcolla sul piattino dorato e cade sul pavimento freddo, la tenue
fiamma calda sopravvive ancora qualche attimo prima di spegnersi del
tutto; una flebile esclamazione di sorpresa sfugge al controllo della
sua riservatezza, e la mano libera afferra d'istinto un lembo del
mantello nero come se vi potesse trovare protezione.
«
Chi cazzo sei? »
Sandor
inarca un sopracciglio e inclina il viso nella speranza di poter
scontrare gli occhi con quelli dell'essere davanti a sé; lo
vede tentennare qualche secondo con un respiro affannato, prima di
portare entrambe le mani ad agguantare il cappuccio largo e lasciarlo
scivolare sulle spalle, mostrando finalmente il viso prima celato.
La
pelle bianca è come porcellana lucida illuminata dalle torce
sulle pareti, e i capelli ramati sembrano fare invidia alle fiamme che
sussultano in balìa di un vento debole; il ghiaccio nei suoi
occhi non perde il chiarore in quell'ambiente cupo, le labbra schiuse
vibrano di timore e smarrimento.
Sandor
la osserva con sguardo truce ed una vena di sconcerto, mentre la sua
mano si allontana dall'elsa della spada invisibile oltre il muro
accanto l'ingresso.
«
Mi sorprendi, uccelletto. A quest'ora di notte ancora a girovagare
nella Fortezza? »
Sogghigna
divertito dalla propria errata considerazione di aver trovato un uomo
da uccidere nel cuore della notte, per poi svelare la ragazzina del
Nord che ora lo osserva senza dire nulla.
«
Non dovresti. »
Il
suo è quasi un sussurro che graffia l'udito, percepito da
Sansa come un avvertimento minaccioso che sente percorrerle la schiena
in un brivido di allarme; gli occhi cerulei sono fissi sul viso
interessato del Mastino, ma l'orribile cicatrice questa volta non
rientra nello sconcerto della sua attenzione quanto la constatazione
che un solo instabile panno bianco copre le nudità dell'uomo
davanti a sé.
Sandor
nota le guance morbide della Lady tingersi di un rosa acceso messo in
risalto dalla pelle nivea, e gli occhi distogliere lo sguardo da
sé per osservare il pavimento scuro sotto i piedi.
L'uomo
sghignazza di gusto in modo greve, l'eco della sua risata è
come un tuono nel petto ampio.
«
Suppongo tu non abbia mai visto un uomo, ragazzina. Te lo concedo.
»
Sansa
l’ascolta beffarsi di lei, ma preferisce mantenere
l'educazione di una perfetta signora piuttosto che rispondere al
guerriero sanguinario.
«
Stavo andando a pregare i miei Dèi, ser. Vi prego di
lasciarmi andare. »
La
sua voce arriva ad addolcirgli i timpani come miele dolce, la
delicatezza del suo tono è come trovare un fugace attimo di
serenità in una vita buia e tinta di rosso.
Sandor
osserva il modo in cui il disagio le fa torturare il labbro carnoso e
rosso, le mani sono pugni serrati che stringono un lembo di quella
mantella troppo scura e troppo grande per il suo gracile corpo.
Il
guerriero è rapito dalla sua bellezza quasi rarefatta e
maledice il proprio volto deturpato dalla cicatrice mostruosa, i solchi
profondi e vividi sono un oltraggio alla purezza della giovane Lady in
piedi davanti a sé; non si è mai preoccupato di
celare la ferita scura agli occhi altrui, eppure stavolta vorrebbe
strappare a mani nude la carne morta dalla guancia lesa.
«
Non devi spostarti da sola per questi luoghi, né tanto meno
in piena notte. Non è prudente per una Lady come te.
»
La
ragazza ramata ascolta asservita senza cogliere la vena ironica tra le
parole dell'uomo, ma aspetta il congedo richiesto con educato silenzio
senza però alzare gli occhi da terra; Sandor ne osserva ogni
movimento, coglie ogni brivido del suo corpo come un perfetto predatore
e quasi prova premura per una creatura tanto fragile; ma non sopporta
essere ignorato.
«
Guardami quando ti parlo. »
Due
dita ruvide arrivano ad avvolgere il piccolo mento di Sansa,
costringendola ad alzare lo sguardo in quello dell'uomo davanti a
sé; Sandor le ringhia tra i denti, il viso aggrottato e i
capelli scomposti, eppure le iridi ghiacciate di lei puntano senza
esitazione quelle grigio scuro del guerriero, in uno sguardo che dura
più del proprio riflesso in uno specchio rotto.
La
bocca è schiusa e ansimante, una tortura per l'uomo cui
basterebbe un’inclinazione maggiore del capo per poterle
sfiorare, ma a un desiderio sbagliato in principio preferisce
allontanare il viso dal suo e lasciare la presa dal mento piccolo senza
prima avervi accennato una carezza sulla pelle morbida.
Sansa
trema di freddo e d'inquietudine, avverte la figura imponente dell'uomo
incombere su di sé; gli occhi del Mastino sono due lame
taglienti che mettono a disagio, e la ragazza del Nord non sa
più se è la brezza fresca il motivo dei suoi
sussulti incessanti.
In
un impeto di audacia sconsiderata, abbassa gli occhi sul suo petto
ampio seguendo con attenzione i muscoli pronunciati e le cicatrici in
risalto a deturpare quella tela perfetta di ricordi passati; pezzi di
pelle ruvida e rigonfia che raccontano di sangue, sudore e ghigni mai
esauriti per la morte che tante volte l'aveva sfiorato senza mai
riuscire a prenderlo.
Sansa
osserva con insano interesse le imperfezioni sul corpo tonico del
Mastino, sposta gli occhi da una spalla all'altra, scorre sui pettorali
e la peluria scura, segue la linea alba e i solchi tra gli addominali
pronunciati fino ad arrossire quando la visuale cattura il lembo
instabile della misera veste bianca aderente sui fianchi larghi
dell'uomo.
Sandor
sorride sornione e decide che per quella sera bastava così.
«
Faresti meglio a tornartene nelle tue stanze, uccelletto. Ho perso fin
troppo tempo con te. »
Lei
annuisce impacciata e si volta di scatto, avanzando con passi rapidi
verso le scale in fondo e avvolgendo l'imbarazzo del suo viso
nell'ombra scura del mantello nero; arresta il cammino un'ultima volta
incontrando gli occhi stanchi del Mastino puntati nei suoi, e il suo
ringhio sommosso farle compagnia durante gli ultimi passi.
Sandor
osserva la sua schiena fragile fino a quando questa non scompare oltre
il muro; a questo punto entra in camera per concedersi il riposo
desiderato.
Beh, beh.
Avevo
voglia di scrivere qualcosa SanSan ed in particolar modo sul
Mastino (comincio a sentirne la mancanza, quella vera), ed ammetto di
averci messa tutta me stessa in questa Shot.
E'
un "Missing Moment" che racconta le emozione dei due diretti
interessati l'una per l'altra, e poi avevo una gran voglia di
rappresentare Sandor ed il suo ben di dio (la 'linea alba', non so se
mi spiego).
Ah,
il titolo è una canzone dei Trading Yesterday, mi sembrava
perfetta per loro.
Spero
abbiate avuto una piacevole lettura :)
Alla
prossima!
M.V
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