...Alias Lara Derevko

di Jade MacGrath
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Lara si trovò sul pavimento, in stato di shock

Lara si trovò sul pavimento, in stato di shock. Sentiva lacrime scorrere sulle guance, ma non si rendeva neanche conto di stare piangendo. Non aveva voluto dare a Khasinau la soddisfazione di vederla pregare per la vita, ma il sollievo di essere ancora viva era grande.

Anche sua madre doveva pensare più o meno la stessa cosa. In mano aveva ancora la pistola con cui aveva ucciso Khasinau, che giaceva a terra morto, con la nuca sfondata.

“Sergej mi ha mandato qui non appena mi ha vista. Ho avuto paura di… di arrivare troppo tardi.”

Appoggiandosi al muro, Lara si alzò in piedi e barcollando arrivò vicino alla madre che l’abbracciò.

“Nessuno deve toccare mia figlia.”

 

Quando Irina si scostò da sua figlia, la madre preoccupata e sollevata lasciò il posto all’unico capo dell’organizzazione, che domandò a Lara spiegazioni sulla sua missione. Lara non omise niente, eccetto la notte con Vaughn.

“Anche se hai fallito, l’aver riportato ben due manufatti di Rambaldi e quella lista di nomi parlerà in tuo favore.”

“Che vuoi dire?”

“Lara…”

Lara alzò una mano, come per fermare la madre. D’improvviso tutto le fu chiaro. Khasinau era morto. Irina, sua madre lo aveva ucciso per salvare lei, Lara, che aveva fallito una missione importante. Se si fosse presentata il giorno dopo come se nulla fosse successo, con ancora tutti i privilegi del suo status di operativa di alto livello, quelle persone che appoggiavano Khasinau, quelli che aveva spinto a dubitare di lei, sarebbero potuti diventare senza dubbio delle spine nel fianco o peggio nemici. E sua madre sarebbe stata colpevole ai loro occhi quanto lei, per aver chiuso gli occhi di fronte alla figlia.

Per questo ora doveva pagare. E sapeva anche come.

“Quanto tempo durerà la mia reclusione?”

“Due mesi saranno sufficienti.”

“Potrò vedere qualcuno?”

“Cercherò di fare il possibile. Non me, comunque.”

“Ho capito.”

“Non vorrei arrivare a questo, ma…”

“Non mi devi spiegazioni. Devi mantenere l’assetto dell’agenzia, lo capisco. Io ho fallito una missione e un agente è morto, quindi questa è la mia punizione.”

Irina posò una mano sulla spalla della figlia, e poi lasciò la cella. Qualche minuto dopo, un agente venne a prenderla.

Prima di scortarla nella sua cella, le dissero che doveva togliere i gioielli che indossava e i suoi vestiti eleganti, e in cambio le diedero un paio di pantaloni e una maglietta, non troppo diversi da quelli che aveva indossato nella struttura di reclusione a Los Angeles.

Neanche la sua cella era tanto diversa: un tavolo, una sedia, una rete con sopra un materasso, un cuscino e una coperta. Beh, pensò, almeno non avrebbe dovuto dormire sul pavimento.

Distesa sul letto, pensò anche che aveva fatto tanta fatica per scappare da Los Angeles, dove suo padre la sorvegliava a vista, solo per ritrovarsi rinchiusa in una cella identica, a migliaia di miglia di distanza, per mano di sua madre.

Le venne spontaneo sorridere. Al destino non mancava proprio il senso dell’ironia.

 





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