Lara si trovò sul pavimento, in
stato di shock. Sentiva lacrime scorrere sulle guance, ma non si rendeva
neanche conto di stare piangendo. Non aveva voluto dare a Khasinau la
soddisfazione di vederla pregare per la vita, ma il sollievo di essere ancora viva
era grande.
Anche sua madre doveva pensare
più o meno la stessa cosa. In mano aveva ancora la pistola con cui aveva ucciso
Khasinau, che giaceva a terra morto, con la nuca sfondata.
“Sergej mi ha mandato qui non
appena mi ha vista. Ho avuto paura di… di arrivare troppo tardi.”
Appoggiandosi al muro, Lara si
alzò in piedi e barcollando arrivò vicino alla madre che l’abbracciò.
“Nessuno deve toccare mia
figlia.”
Quando Irina si scostò da sua figlia,
la madre preoccupata e sollevata lasciò il posto all’unico capo
dell’organizzazione, che domandò a Lara spiegazioni sulla sua missione. Lara
non omise niente, eccetto la notte con Vaughn.
“Anche se hai fallito, l’aver
riportato ben due manufatti di Rambaldi e quella lista di nomi parlerà in tuo
favore.”
“Che vuoi dire?”
“Lara…”
Lara alzò una mano, come per
fermare la madre. D’improvviso tutto le fu chiaro. Khasinau era morto. Irina,
sua madre lo aveva ucciso per salvare lei, Lara, che aveva fallito una missione
importante. Se si fosse presentata il giorno dopo come se nulla fosse successo,
con ancora tutti i privilegi del suo status di operativa di alto livello,
quelle persone che appoggiavano Khasinau, quelli che aveva spinto a dubitare di
lei, sarebbero potuti diventare senza dubbio delle spine nel fianco o peggio
nemici. E sua madre sarebbe stata colpevole ai loro occhi quanto lei, per aver
chiuso gli occhi di fronte alla figlia.
Per questo ora doveva pagare. E
sapeva anche come.
“Quanto tempo durerà la mia
reclusione?”
“Due mesi saranno sufficienti.”
“Potrò vedere qualcuno?”
“Cercherò di fare il possibile.
Non me, comunque.”
“Ho capito.”
“Non vorrei arrivare a questo,
ma…”
“Non mi devi spiegazioni. Devi
mantenere l’assetto dell’agenzia, lo capisco. Io ho fallito una missione e un
agente è morto, quindi questa è la mia punizione.”
Irina posò una mano sulla spalla
della figlia, e poi lasciò la cella. Qualche minuto dopo, un agente venne a
prenderla.
Prima di scortarla nella sua
cella, le dissero che doveva togliere i gioielli che indossava e i suoi vestiti
eleganti, e in cambio le diedero un paio di pantaloni e una maglietta, non
troppo diversi da quelli che aveva indossato nella struttura di reclusione a
Los Angeles.
Neanche la sua cella era tanto
diversa: un tavolo, una sedia, una rete con sopra un materasso, un cuscino e
una coperta. Beh, pensò, almeno non avrebbe dovuto dormire sul pavimento.
Distesa sul letto, pensò anche
che aveva fatto tanta fatica per scappare da Los Angeles, dove suo padre la sorvegliava
a vista, solo per ritrovarsi rinchiusa in una cella identica, a migliaia di
miglia di distanza, per mano di sua madre.
Le venne spontaneo sorridere. Al
destino non mancava proprio il senso dell’ironia.