(grazie a Pandamito per il banner)
ATTO
I – POV Lily
La parte esterna del Titanic non aveva soddisfatto le aspettative della
secondogenita del professor Sandler, tuttavia, la raffinatezza gli
interni di Prima Classe riuscì a strapparle un sorriso.
La famigliola affidò i bagagli alle cameriere,
dopodiché si diressero tutti al Ponte A per assistere alla
partenza: il professor Sandler e zio Eric si fermarono a chiacchierare
con alcuni conoscenti, mentre le due ragazze si avviarono a passo
spedito verso il parapetto.
Una folta chioma rossa, raccolta in un’ordinata acconciatura,
attirò immediatamente la loro attenzione: la proprietaria di
quella meravigliosa capigliatura era una ragazza di media altezza, le
cui piacevoli forme arano avvolte da un elegante abito bianco e blu.
- Rose! – esclamò Lily, abbandonando il solito
contegno da principessa snob e raggiungendo di corsa
l’amica.
Rose Dewitt Bukateer si voltò sorpresa, giusto in tempo per
ricambiare l’abbraccio della Sandler più giovane:
- Ragazze! Mi stavo giusto chiedendo quanto tempo avremmo impiegato per
incontrarci!
- Beh, la nave sarà pure enorme, ma penso che, durante il
tragitto da qui a New York, sicuramente a furia di girare in tondo ci
saremmo ritrovate almeno una volta – scherzò
Violet, abbracciando la diciassettenne – La tua allegra
famigliola bazzica da queste parti oppure si è rintanata in
salone per non respirare la stessa aria degli altri immondi nobiliastri?
Lily pestò con forza il piede della bionda, ma Rose non
sembrò prendersela per il commento: - Non lo so –
rispose – alla prima occasione mi sono allontanata con una
scusa. Cal cominciava ad asfissiarmi.
In quell’istante, la Sandler minore si sentì
tremendamente in colpa: l’aver storto il naso per
l’aspetto della nave le sembrò improvvisamente un
gesto egoista e infantile, specialmente se paragonato al disagio che
stava vivendo in quei giorni la sua migliore amica.
“Zio” Richard Dewitt Bukateer, amico di vecchia
data del professor Sandler, si era suicidato l’anno prima,
lasciando la famiglia sommersa dai debiti, così Rose era
stata promessa in sposa al facoltoso quanto insopportabile Caldeon
“Cal” Hockley. Lily aveva conosciuto Cal qualche
settimana prima ed era uscita da quell’incontro alquanto
disgustata: il futuro marito di Rose era un trentenne egocentrico e
maschilista, visibilmente convinto di essere Dio sceso in Terra.
Un vero idiota, senza dubbio, ma un idiota ricco, il che era
ciò che più importava alla vedova di zio Dewitt
Bukateer.
- Che ne pensate della nave? - domandò la rossa, ignorando
l'occhiata insistente di un ragazzo elegantemente vestito.
- A me non dispiace - rispose allegramente Violet, attorcigliando
attorno al dito indice una ciocca dei capelli castani della sorella -
E' Lily che, come al solito, ha qualcosa da ridire...
- Non mi piace molto la forma e credo sia troppo grande – si
giustificò l’altra, rifilando
un’occhiataccia alla maggiore.
Rose sorrise piuttosto svogliatamente, abbassando lo sguardo: - Ad
essere sincera, nemmeno a me sembra un granché. Insomma,
è sempre la solita storia: posti lussuosi pieni di gente
snob, aristocratici che ti guardano dall'alto al basso, come se
attendessero impazienti un tuo minimo errore… tutti
pretendono da te un particolare atteggiamento, quasi fossi una loro
marionetta...
Si interruppe, rendendosi conto di aver parlato un po' troppo, ma
Violet si intromise circondandole le spalle con un braccio: - Che vuoi
farci, è questo il prezzo che si paga stando nell'alta
società! Io credo che dovremmo infischiarcene di
ciò che pensano gli altri.
- La fai sempre facile, tu – borbottò Lily
voltandosi, rischiando di scontrarsi con la madre di Rose, che in quel
momento giungeva dalla direzione opposta.
- Oh, scusami, Ruth... – balbettò la sedicenne,
indietreggiando di un passo. La donna rispose con un sorriso
molto forzato: - Dovresti tenere la testa alta quando cammini, Lily
– osservò, senza accennare il minimo saluto
- Sei un'aristocratica, non una volgare
contadinella!
La ragazza, stizzita, si morse la lingua per non replicare, per nulla
abituata a ricevere dei rimproveri, ed inorridì non appena
notò che la rossa era fastidiosamente avvinghiata al braccio
di suo padre, il quale lanciava occhiate disperate qua e là.
Zio Eric finse di soffiarsi il naso per celare le risa.
Approfittando dell’attimo di silenzio che si era appena
creato, Cal Hockley, si fece avanti con aria melliflua, afferrando la
mano della fidanzata. I suoi capelli neri, notò Lily con
disgusto, erano pomposamente impomatati, al punto da sembrare unti.
- Ti stavamo cercando, Zuccherino – disse,
sorridendo viscidamente - Perché sei scappata via subito? Il
professor Sandler ci stava deliziando con alcune sue interessanti
teorie sulla Lettura
Anglico-Americana fino a poco fa...
- Letteratura Anglo-Americana - lo corresse il signor Sandler, cercando
con nonchalance di liberarsi dalla morsa di Ruth.
Cal fece finta di non averlo sentito e fissò Rose con fare
mieloso. Lei alzò gli occhi al cielo, si morse le labbra,
ed, infine, borbottò semplicemente: - Scusami, Cal. La
prossima volta avviserò, prima di allontanarmi.
Ruth lanciò uno sguardo adorante alla coppia, come se
sentisse già risuonare nella propria testa il motivetto
della loro marcia nuziale, poi domandò ingenuamente alle
sorelle Sandler: - Volete unirvi a noi, ragazze? Pensavamo di assistere
alla partenza da una postazione migliore...
ATTO
II – POV Joelle
- Partenza con un’ora di ritardo. Questo viaggio comincia
proprio bene.
Joelle Grace Conn, domestica e sarta diciannovenne, abbozzò
un sorriso alla vista del volto imbronciato della padroncina Emily, che
non aveva smesso un solo istante di brontolare da quando la famiglia
Browning aveva messo piede sulla nave.
John Browning posò gentilmente la mano sulle spalla della
primogenita, tentando invano di calmarla: - Abbiamo sfiorato un
incidente, tesoro –spiegò, riferendosi al rischio
corso poco prima dalla piccola nave New York, quasi
risucchiata dal Titanic durante la partenza – Sono sicuro che
tra poco salperemo.
- Come no – ribatté l’altra, incrociando
le braccia.
Joelle, che conosceva Emily meglio di chiunque altro, sapeva bene che
il suo malumore non derivava realmente dal tempo di attesa: la
famigliola (composta da padre, madre e tre figli) si sarebbe recata in
America per assistere al matrimonio di una parente e, con
l’occasione, la figlia maggiore, ormai quindicenne, sarebbe
stata introdotta nel mondo dell’alta società. Per
una ragazzina solitaria e scorbutica come Em la prospettiva non era di
certo allettante, tanto più se ad essa si abbinava il
sospetto che i genitori fossero intenzionati a trovarle un marito.
- Fino a ieri non volevi partire, adesso hai cambiato idea? –
scherzò la giovane domestica – Abbiamo portato
sulla nave un’altra Emily? Magari una Emily che non guarda le
persone come se volesse prenderle a pugni?
I signori Browning ed i loro figli più piccoli, Jane di
dodici anni e Anthony di sette, si lasciarono sfuggire una risatina, ed
anche Emily, seppur cercasse di ostentare irritazione, non
poté nascondere un sorriso.
Proprio in quel momento, la nave cominciò a muoversi
lentamente, mentre i passeggeri radunati sul ponte emettevano borbottii
eccitati.
- Vuoi provare ad avvicinarti al parapetto per far assistere anche i
tuoi piccoli alla partenza, cara? – domandò la
signora Browning, riferendosi a Gabriel e Cerìse, i due
gemellini che Joelle aveva partorito l’anno prima –
Potranno vantarsene quando saranno più grandi.
- Oh… certamente, grazie signora – rispose
entusiasta la diciannovenne, prendendo in braccio il maschietto, mentre
Emily si occupava della bimba – Loro padre, il mio povero
Michael… avrebbe sicuramente apprezzato tantissimo
quest’idea.
Mrs Browning si portò una mano al cuore, sospirando
tristemente. La storia di quella povera creatura, rimasta vedova
così presto, mentre portava in grembo due bambini, riusciva
ad impietosirla ogni volta che ci pensava. Persino suo marito si
commuoveva non appena Joelle nominava l’amato coniuge
scomparso.
Con un braccio, la domestica sistemò meglio il piccolo
Gabriel contro il proprio petto, mentre con la mano libera afferrava
quella di Anthony Browning, poi cominciò a muoversi
cautamente tra la folla, raggiungendo finalmente il parapetto. Emily e
Jane la affiancarono quasi subito.
Il vento accarezzò il volto lentigginoso di Joelle,
scompigliandole i capelli, mentre il Titanic scivolava sulla superficie
del mare, prima lentamente, poi acquisendo man mano
velocità.
I volti della gente che salutava dal molo erano pressoché
indistinguibili dall’alto del ponte di Prima Classe, ma la
ragazza allargò comunque le labbra in un radioso sorriso,
salutando chiunque a gran voce. Anthony e Jane la imitarono con
entusiasmo, sporgendosi addirittura dal parapetto e agitando le braccia
fino a quando la nave non lasciò il porto, avviandosi verso
il mare aperto.
- Per me questo è l’inizio di
un’incredibile avventura- commentò la giovane
domestica – Voglio dire, avrò
l’occasione di osservare da vicino la moda americana del
momento! Ci sarà qualche stilista famoso tra gli
invitati al matrimonio, no? E poi, se non sbaglio, mi hai detto che
sulla nave c’è anche Lucy Duff Gordon! Sarebbe
così bello poter anche solo ammirare il suo stile da
lontano…
- Sono contenta che almeno tu sia così entusiasta, Jo
– commentò la maggiore dei fratelli Browning,
venendo però interrotta dalla sorella.
- Guarda che tu sei l’unica a brontolare, Em, come al solito
– osservò Jane, ignorando l’occhiataccia
da parte dell’altra – Non ti va mai bene niente.
- Non litigate in pubblico – s’intromise
prontamente Joelle – Ricordatevi che la gente che vi circonda
ha l’abitudine di storcere il naso per molto meno.
Emily borbottò qualcosa tra sé riguardo al naso
storto dei passeggeri di Prima Classe e al posto in cui potevano
ficcarselo, ma evitò di prolungare la discussione.
La domestica si lasciò sfuggire un sorriso, poi volse lo
sguardo verso l’orizzonte: sì, non vedeva
l’ora di giungere a New York. Lì avrebbe
sicuramente avuto grandi possibilità di conoscere
celebrità della moda, di osservare da vicino i capolavori di
sartoria d’oltremare.
E chissà, magari ottenere delle informazioni riguardo suo
fratello, fuggito in America anni prima e da allora mai più
rivisto…
ATTO
III – POV Joanne
Sarebbe stato molto più saggio attendere che Sean terminasse
di sistemare i bagagli in cabina, tuttavia la curiosità era
troppo forte e Joanne Chloé Martinez non vedeva
l’ora di esplorare ogni singolo angolo della gigantesca nave.
Probabilmente non aveva ancora smaltito l’adrenalina
provocata dall’incredibile catena di eventi avvenuta poco
prima: la fuga da casa, il denaro insufficiente per
l’acquisto del biglietto, il fortuito incontro con Sean e il
miracoloso imbarco clandestino.
Non che imbrogliare l’innocente controllore le avesse fatto
piacere, ma era più che certa che, se egli fosse stato al
corrente della sua situazione, avrebbe per lo meno riflettuto due
secondi, prima di farla tornare sui propri passi.
Il clima cupo e solitario della grande Villa Martinez, le asfissianti
pretese dei genitori che si ricordavano di avere una figlia soltanto
quando dovevano imporle qualcosa, il rischio di vedere il proprio sogno
svanire…
Joanne si scosse dai propri pensieri con una brusca scrollata di
spalle: no, non doveva rovinarsi il viaggio pensando ai due despoti che
l’avevano messa al mondo: aveva ventinove anni, un grande
amico su cui poter sempre contare ed un brillante futuro da scrittrice
davanti a sé. Le rigide regole, le imposizioni e le
punizioni ingiuste facevano parte del passato.
Calò la veletta in pizzo del cappello sul proprio sguardo,
sicura che l’avrebbe aiutata a non attirare
l’attenzione, e cominciò l’esplorazione
scendendo al ponte di Terza Classe.
Si fermò un istante per aiutare una giovane cameriera che
aveva appena rovesciato un’intera pila di asciugamani,
dopodiché attraversò i corridoi delle cabine per
uscire finalmente all’aria aperta.
Non le dispiacque trovarsi circondata da gente semplice, poveramente
vestita. Osservò con attenzione i loro atteggiamenti, gli
sguardi, il modo di conversare, con lo scopo di annotare tutto quanto
nel proprio quadernetto la sera stessa. Ogni minimo dettagli avrebbe
potuto fornire degli spunti per nuovi personaggi o intrecci di trame.
Di tanto in tanto, i passeggeri squadravano con una rapida occhiata
incuriosita quella signorina bionda ben vestita, ma tornavano quasi
immediatamente alle proprie occupazioni.
“Tornerò
sicuramente qui più di qualche volta”
pensò sorridendo “Hanno
tutti l’aria così gentile e rilassata…
e c’è un bel clima accogliente e famigliare, quasi
mi sembra…”
- Ursäkta mig,
ung dam.
Joanne si rese conto appena in tempo di essere in procinto di
scontrarsi con un ragazzo alto e robusto dai capelli castani, poco meno
che trentenne. Parlava in lingua svedese ma, fortunatamente, la bionda
non fu colta impreparata: tra le attività a cui i suoi
genitori l’avevano costretta rientrava lo studio di diverse
lingue, tra le quali lo svedese.
Comprese che il giovane si era appena scusato con lei, così
sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi e replicò:
- Det är mitt
fel. Jag ser inte där jag tänkte.
Il moro sembrò colpito sentendosi rispondere nel proprio
idioma, così ricambiò il sorriso e tese la
robusta mano da lavoratore: - Olaus.
- Joanne – rispose prontamente lei, stringendola.
Lo svedese sembrò voler aggiungere qualcosa, ma si
interruppe non appena un ragazzo italiano dai capelli scuri gli
assestò da dietro un’amichevole pacca sulla spalla.
- Ehi amico! Ancora non ho capito come ti chiami e non capisco un
accidenti della tua lingua, ma credo che tuo fratello ti stia cercando.
A meno che non abbia perso il cane, ma non mi pare voi abbiate un cane,
giusto?
- Fabrizio – s’intromise un biondino smilzo
dall’accento americano – Come tu non capisci la sua
lingua, lui non capisce la tua... che tra l’altro a volte
faccio io stesso fatica a comprendere, visto che sembra uno strano
miscuglio tra italiano e inglese...
- Quante storie, Jack! – protestò
l’altro – E come pensi dovrei parlare con questo
qui? A gesti? Oppure tu potresti fargli un disegno, sapresti disegnare
suo fratello con la faccia da ”sto cercando qualcuno o
qualcosa”?
- Oppure – fece eco Joanne – Potreste domandare
all’interprete che avete davanti di riferire ad Olaus il
vostro messaggio.
Il ragazzo di nome Fabrizio sembrò illuminarsi non appena si
accorse della sua presenza: - Ma come ho fatto a non notarVi prima?
Perdonatemi, incantevole signorina – disse galantemente,
inchinandosi e baciandole la mano – Fabrizio De Rossi, al
Vostro servizio.
- Lei è la terza con cui ci provi da quando siamo saliti
sulla nave – rise il suo compagno americano, rivolgendo poi
un bel sorriso alla bionda – Jack Dawson, piacere.
- Joanne Martinez – rispose lei, trattenendo a fatica una
risatina per i modi buffi dell’italiano – Volete
che traduca il vostro messaggio?
Alla risposta affermativa dei due, Joanne riferì ad Olaus
quanto stato detto. Lo svedese ringraziò distrattamente i
compagni di stanza, salutò Joanne sorridendo (quasi un
po’ timidamente) e poi si avviò di corsa in
direzione delle cabine.
- Allora – riprese Fabrizio, con aria da seduttore
– Come mai una signorina elegantemente abbigliata bazzica per
i quartieri dei poveracci?
Jack lo colpì con una leggere gomitata, ma la ventinovenne
non si mostrò infastidita dalla domanda: - Alloggio in
Seconda Classe, ma volevo fare un giro. Mi piace esplorare posti nuovi.
- Beh, puoi fare un giro con noi – propose il moro,
offrendole il braccio ed ignorando il proprio compagno, intento a
scuotere la testa – Anche noi adoriamo esplorare.
Joanne scoppiò a ridere, afferrò il braccio
dell’italiano e rispose: - D’accordo, accetto
volentieri.
ATTO IV – POV Charles
Più il tempo passava, più Charles Leonard
Fitzherbert si domandava cosa sua sorella ci trovasse
nell’elegantone babbeo che aveva sposato.
“Chissà
cosa la attira di più”
pensò ironico, varcando la soglia della propria cabina di
Seconda Classe “La
faccia da idiota, la simpatia da sardina affumicata o il portamento da
mummia? Bah, si è pure fatta mettere incinta da quel
coso…”
Charles avrebbe potuto giurare solennemente di aver perlomeno provato a
socializzare con il cognato, per amore di Agnes, ma qualsiasi tentativo
di “spronarlo” ad uscire da quel guscio di
imbranataggine era miseramente fallito.
- Nemmeno le mie fantastiche filastrocche sconce hanno avuto successo
– borbottò accigliato – Magari, se Agnes
non mi avesse ordinato di smettere, avrei ottenuto qualcosa…
ma probabilmente no, quel tipo è un caso perso.
Avrebbe passato i mesi seguenti a stretto contatto con quel
“caso perso”, ma l’idea di poter vivere
finalmente il sogno americano gli faceva apparire la tediosa
prospettiva come un accettabile compromesso.
Christopher Nolan Thompson, membro dell’ambasciata americana,
aveva conosciuto Agnes Fitzherbert grazie al (o, a detta di
Charles, “per colpa del”) mandato che
l’aveva spedito a Londra qualche anno prima. Al termine del
periodo di trasferimento, il giovane aveva prenotato un viaggio in
Prima Classe insieme alla moglie per poterla (finalmente) presentare ai
genitori ancora ignari. Un terzo biglietto, di Seconda Classe, era
destinato al maggiore dei fratelli Fitzherbert, Robert, ma, grazie ad
una serie di circostanze (tra cui l’inattesa gravidanza della
sorella diciannovenne) e ad una brillante sequela di argomenti a
proprio favore, Charles era riuscito a convincere il fratello a
cedergli il posto.
In qualità di studente di Medicina (anche se non troppo
diligente) avrebbe potuto aiutare Agnes nei mesi di gestazione,
nonché restare con lei in America durante i primi anni di
maternità.
Un po’ gli era dispiaciuto dover piantare in asso i suoi
amici dell’università, in particolare Lloyd e
Bryan, ma il richiamo dell’America era troppo forte per
essere ignorato.
Una volta che ebbe sistemato i propri bagagli, sfilò gli
occhiali da vista, diede una rapida ravvivata ai propri capelli scuri
ed uscì con fare tronfio dalla cabina.
Non gli andava di re-incontrare subito Chris il Babbeo, così
scelse di fare una passeggiata sul ponte di Seconda Classe, tanto per
sondare un po’ il terreno, visto che avrebbe passato buona
parte della crociera in quella zona. Magari avrebbe fatto qualche
incontro interessante, “magari
qualcuno che apprezzi le mie filastrocche”,
pensò con una nota di puntiglio.
Era talmente impegnato a guardarsi attorno, mentre attraversava il
salone, da non accorgersi in tempo del giovane che giungeva dalla
direzione opposta con passo nevrotico. Una piccola imprecazione (che
però fu udita da buona parte dei presenti) sfuggì
dalle labbra del ventunenne, quando si ritrovò praticamente
l’altro passeggero in braccio.
- Amico, guarda dove vai – lo rimproverò,
ignorando bellamente il fatto di aver commesso la medesima imprudenza.
Quello balzò subito all’indietro, controllandosi
scrupolosamente le pieghe dell’elegante giacca.
Tirò quindi fuori una specie di spazzola dalla tasca destra
e corresse con fare meticoloso ogni singola imperfezione.
Charles aggrottò la fronte, leggermente spiazzato
dall’eccessiva pignoleria dello strano passeggero: dimostrava
circa una trentina d’anni, era molto magro e non raggiungeva
il metro e settanta. Aveva i capelli castani e le iridi tinte di
verdeazzurro, i baffi ben pettinati e gli zigomi affilati.
- Mi scusi – disse in tono gentile, non appena ebbe terminato
di sistemarsi – Sto cercando una mia amica, si è
allontanata dalla cabina mezz’ora fa e non riesco a trovarla.
Per caso l’ha vista? E’ bionda, magra,
probabilmente indossa un cappello con la veletta nera in
pizzo…
- No, mi dispiace, io sono appena uscito dalla mia stanza –
rispose Charles, ignorando i plateali gesti di una ragazza dalla parte
opposta del salone – Perché la sua amica gira con
una veletta nera? E’ forse in lutto?
L’interlocutore face un sorrisino di circostanza, ignorando
il commento sarcastico: - La ringrazio lo stesso, signor…
- Charles Leonard Fitzherbert - disse il ragazzo con un
piccolo ghigno – Ma tutti mi chiamano Charlie o Leo
o… beh, no, Lev è un lusso che concedo soltanto
alle signorine…
- Sean Emmett Grimm, molto piacere – tagliò corto
l’altro – Probabilmente mi vedrà al
piano in una di queste serate. Ma mi tolga una curiosità: la
signorina che si sta sbracciando in fondo alla sala ce l’ha
con Lei?
Charles provò a focalizzare la persona indicata dal pianista
e, osservando meglio i colori dell’abito, la riconobbe: -
Oh… è mia sorella. Con il suo permesso, signor
Grimm, temo sia mio dovere raggiungerla.
- Perché non indossa un paio di buoni occhiali da vista,
signor Fitzherbert? – osservò pragmatico il
maggiore – Se permette, la miopia può provocare
situazioni imbarazzanti…
Il ventunenne rispose con una semplice risatina: - Ah! Io mica sono
miope! – mentì, raggiungendo poi di corsa la
sorella minore.
ATTO V
– POV Lily
La lunga tavola, sontuosamente apparecchiata per la cena, era coperta
da una candida tovaglia di seta e circondata da almeno una trentina di
sedie.
- Si accomodi pure vicino a me, Lily.
Il volto sorridente di Lady Leslie concesse alla ragazza una piccola
distrazione dal tremendo senso di nausea che aveva incominciato a
tormentarla già poche ore dopo la partenza.
La contessa di Rothes era una bella donna poco oltre la trentina, dai
lucidi capelli castani e gli occhi neri simili a pozzi profondi. Aveva
un bel modo di fare e Lily sedette accanto a lei senza esitazioni,
invitando il padre ad occupare la sedia accanto alla propria.
Dentro di sé, Andrew Sandler tirò un sospiro di
sollievo, ben felice di staccarsi dai tentacoli di Ruth.
Zio Eric e Violet si sedettero di fronte ai familiari, così
come Rose, Cal ed i Richardson, una delle famiglie più
facoltose all’interno della nave.
- Le sue figlie sono cresciute moltissimo dall’ultima volta
che ci incontrammo, Andrew – affermò Ann Elizabeth
Isham, un’elegante cinquantenne dai capelli biondi,
accarezzando la testa del proprio cane alano, Dane, accucciato sotto la
sua sedia – Sono davvero meravigliose!
- La ringrazio, Ann – rispose cordialmente il professore,
assumendo, per un istante, un’aria un po’
malinconica – Non poteva essere altrimenti: avevano una madre
meravigliosa…
- Oh, tutti noi pensiamo sempre a Danielle con molto affetto
– asserì Lady Leslie, dando dei colpetti
affettuosi sulla mano di Lily – E voi due, figliole, me la
ricordate molto.
- Beh, sono certo di ricordagliela anch’io, Contessa
– sorrise zio Eric, evitando che la situazione si incupisse
troppo – Anche se ho sempre trovato ingiusto che Danielle
avesse preso tutta la bellezza per sé. Insomma, i gemelli
non dovrebbero condividere virtù e difetti?
- Ma Eric! – rise la signora Richardson, una donna attraente
e formosa, dai folti ricci biondi – Non parli
così, Lei è un uomo affascinante!
- Sempre troppo gentile, Anna – ringraziò il
quarantaduenne, approfittando della distrazione del Colonnello
Richardson per strizzarle l’occhio.
Lily aggrottò la fronte, un po’ stupita da quel
gesto, ma fu immediatamente distratta dalla voce acuta e cristallina di
Missouri Richardson, che si era appena rivolta al cameriere per
ordinare del salmone con maionese.
Miss Sandler non aveva mai scambiato qualche parola con i due figli dei
Richardson, li aveva incontrati un paio di volte a qualche festa ma se
n’era sempre tenuta alla larga.
Missy era una signorina alta e raffinata, classe 1889, che portava i
capelli biondi pettinati in un singolare taglio a caschetto. A Lily
piacevano molto gli abiti che indossava e più
d’una volta era stata tentata di chiederle dove se li fosse
procurata, tuttavia, lo sguardo glauco e ambiguo della giovane era
sufficiente ad intimidirla.
Ma se, per la piccola Sandler, Missy era fonte di soggezione, il
fratello di lei, James, provocava un ben più fastidioso
senso d’inquietudine: un diciannovenne dall’aria
solitaria e un po’ cupa, con gli occhi celesti costantemente
celati dietro ai trascuratissimi capelli scuri. Lily non
l’aveva mai visto sorridere ed era abbastanza sicura di non
averlo nemmeno mai sentito parlare. Aveva talvolta scorto dei rapidi
movimenti delle labbra, solitamente indirizzati alla sorella maggiore,
nulla di più.
- Quanti anni avete adesso, ragazze?
La domanda della Contessa di Rothes scosse Miss Sandler dai propri
pensieri.
- Io ne ho compiuti sedici due settimane fa – rispose Lily
velocemente, quasi rischiando di mordersi la lingua – Violet
ne ha fatti diciotto a Febbraio.
- E nessuna delle due ha ancora un uomo al proprio fianco
– commentò Ruth, beccandosi
un’occhiataccia da parte della figlia.
Lily arrossì per il nervoso e, d’istinto,
aprì la bocca per rispondere a tono, ma si bloccò
non appena Violet commentò sarcastica: - Beh, visto come
stanno andando fidanzamenti e matrimoni, ultimamente, non moriamo di
certo dalla voglia di impegnarci, Ruth.
Molti commensali si lasciarono sfuggire una risata di comprensione,
senza però capire la sottile allusione rivolta ad un
fidanzamento in particolare, ossia quello di Rose.
Ruth serrò le labbra nervosamente, per poi replicare con un
sorrisetto di circostanza.
- A proposito di matrimoni – s’intromise Missy
Richardson, mettendo in mostra i denti candidi con un sorriso malizioso
– Vorrei farvi notare che futuri parenti dello Zar Nicola
sono appena entrati in sala…
ATTO
VI – POV Sean
“Non ti
azzardare ad avvicinarti di nuovo a quel dannato strumento! La prossima
volta che ti vedo ti taglio le dita e ti chiudo in cantina per il resto
dei tuoi giorni!”
Sean si scosse con un brivido, lasciando quasi cadere a terra il
prezioso pettine d’argento, unico cimelio di famiglia. Era da
un po’ di tempo che la voce di suo padre, il suo sguardo
furente, le sue percosse non si ripresentavano nella sua testa, eppure,
come al solito, il ricordo si mostrò in modo maledettamente
nitido.
Voltò il pettine e sfiorò con un dito la foto
della sua piccola Elise, sospirando malinconico. Era passato quasi un
mese dall’ultima volta che l’aveva vista, da quando
gli era stata portata via senza una spiegazione, senza nemmeno
concedergli la possibilità di dirle addio.
- Ti ritroverò, amore mio – promise con un
sussurro – A costo di setacciare ogni singola via di
Philadelphia. Papà ti troverà e ti
riporterà a casa.
Ripose il pettine al suo posto, indossò un paio di guanti
candidi ed uscì dalla cabina, dirigendosi verso il salone di
Seconda Classe. In cuor suo sperava che Joanne se ne fosse rimasta
buona ad attenderlo ma, come previsto, della ragazza non vi era alcuna
traccia.
- Per fortuna che non doveva dare nell’occhio –
borbottò Sean tra sé, cominciando a guardarsi
attorno alla ricerca dell’amica: era riuscito a farla
imbarcare clandestinamente per darle una possibilità di fuga
dalle pressioni della famiglia e facendole fare un passo in avanti
verso il proprio sogno (dopotutto, lei non aveva forse fatto lo stesso,
anni prima, dandogli rifugio in casa propria e permettendogli di
trovare lavoro al pub come pianista?) ma l’idea di essere
scoperti lo inquietava non poco.
Qualcuno gli posò una mano sulla spalla, facendolo
sobbalzare: - Salve Sean, sei pronto per stasera?
John Law Hume, violinista nonché uno dei membri
più giovani dell’orchestra ufficiale della nave,
osservava il trentaduenne con un gran sorriso. Era un bel giovanotto
dai grandi occhi azzurri e le guance piene, innamoratissimo della
fidanzatina che, purtroppo, non aveva potuto seguirlo nel viaggio verso
New York.
- Oh… sì, naturalmente. Ci vediamo tra poco alle
prove, John.
Il ragazzo annuì, allontanandosi verso il reparto cabine,
così Sean riprese la frenetica ricerca della migliore amica
fuggiasca. Sussultò bruscamente non appena si
scontrò con un giovanotto dai capelli scuri, che
reagì al contatto con una colorita imprecazione.
- Amico, guarda dove vai!
Sean si scostò da lui immediatamente, sistemandosi con cura
le pieghe della giacca. Non sopportava le imperfezioni, i suoi genitori
gli avevano inculcato a suon di scapaccioni una profonda ossessione per
l’ordine, che sicuramente non sarebbe mai guarita.
- Mi scusi – disse infine, ignorando il tono leggermente
irritato dell’altro – Sto cercando una mia amica,
si è allontanata dalla cabina mezz’ora fa e non
riesco a trovarla. Per caso l’ha vista? E’ bionda,
magra, probabilmente indossa un cappello con la veletta nera in
pizzo…
Dal modo in cui il ragazzo strizzava gli occhi per mettere a fuoco le
persone attorno a loro, Sean immaginò soffrisse di miopia,
sicuramente non grave ma comunque sufficiente ad impedirgli di
identificare la signorina che lo stava chiamando dalla parte opposta
della sala.
Era un curioso personaggio, tanto che il giovane pianista non
poté fare a meno di notare diversi bizzarri dettagli durante
la loro breve conversazione, come il fatto di non riuscire a stare
fermo, il vizio di accompagnare le parole a gesti delle mani ed il modo
rapido di muoversi, pure restando fermo nello stesso punto.
Quando egli si allontanò, Sean fu colto da una strana
sensazione: aveva già incontrato quel giovanotto da qualche
parte.
ATTO
VII – POV Danielle
- Danielle, per favore, fà attenzione quando scendi le scale
con quella pila di asciugamani – si raccomandò il
signor Andrews, osservando con una certa apprensione i movimenti della
cameriera dai capelli rossi – Ti prego, un gradino alla
volta… lentamente…
Danielle O’Connell si limitò ad annuire,
abbozzando un timido sorriso. Il signor Andrews era un uomo molto
gentile, conosceva per nome buona parte del personale e, nonostante la
ventitreenne irlandese fosse perseguitata da un’incredibile
sfortuna che la portava sempre ad inciampare o combinare guai sul posto
di lavoro, egli non l’aveva mai rimproverata, né
umiliata, né insultata (a differenza degli
orribili padroni per cui aveva lavorato anni prima).
Riuscì miracolosamente ad arrivare illesa al ponte di Terza
Classe, anche se era piuttosto sicura che la sua sfortuna non avrebbe
tardato a presentarsi. Infatti, proprio mentre si addentrava cautamente
nel corridoio che portava alle cabine, due indisciplinati bimbi
scandinavi le ostacolarono il tragitto, rincorrendosi tra loro e
litigando.
Cercando di evitare di essere investita, Danielle si scansò
a destra, ma inciampò in una piega del tappeto e
finì lunga distesa a terra, la faccia affondata nel mucchio
di asciugamani ancora caldi.
Pregò con tutta sé stessa che i membri del
personale o dell’equipaggio non bazzicassero proprio da
quelle parti e cercò di rialzarsi in fretta per salvare il
salvabile.
- Posso aiutarti?
Danielle sussultò, alzando di scatto lo sguardo: una donna
bionda sulla trentina, il cui volto era parzialmente celato dalla
veletta nera del cappello, si era appena inginocchiata di fronte a lei,
valutando il disastro con una rapida occhiata.
- Non… non si disturbi – balbettò la
cameriera arrossendo – La prego, non voglio che…
- Non è un disturbo per me – ribatté
l’altra con un sorriso – Quando vivevo ancora con i
miei genitori mi faceva piacere dare una mano ai domestici…
naturalmente, senza che i miei ne fossero al corrente –
aggiunse, lasciandosi sfuggire una risatina.
Ripiegarono gli asciugamani ancora utilizzabili, sistemando gli altri
in un sacchetto che Danielle portava legato al braccio.
-La ringrazio – sussurrò la minore timidamente
– E’ stata molto gentile.
- Non c’è di che – disse la donna,
strizzando l’occhio – Buon proseguimento.
- Anche a Lei…
La consegna degli asciugamani proseguì senza altri intoppi,
così, quando ebbe terminato, Danielle si avviò
spedita verso la lavanderia. Spiando nel sacchetto semi-aperto, si
poteva intravedere il segno del rossetto lasciato
sull’asciugamano su cui aveva posato il viso durante la
caduta.
Attraversò il corridoio delle cabine a ritroso, ma si
interruppe non appena una misteriosa musica giunse alle sue orecchie.
Incuriosita, proseguì lentamente, cercandone la fonte: era
il meraviglioso suono di un pianoforte.
Ce n’era uno a disposizione dei passeggeri nella sala
principale: il suonatore non poteva chiaramente essere uno dei due
pianisti ufficiali della nave, ossia Brailey e Grimm, visto che loro si
occupavano già di allietare i viaggiatori di Prima e Seconda
Classe, eppure la sua maestria non sembrava affatto inferiore.
Poteva forse trattarsi di un artista squattrinato, un signorotto caduto
in miseria, un insegnante licenziato per ignote ragioni…
La fantasia della cameriera viaggiava attraverso infiniti possibili
scenari, intrecciando storie da romanzo e situazioni drammatiche.
“Potrebbe
anche essere una donna” osservò,
bloccandosi all’istante non appena raggiunse la soglia della
sala. Per una qualche strana ragione non volle farsi vedere,
così si appiattì contro il muro e
sbirciò cautamente: il pianista era un uomo, abbigliato
semplicemente. Era voltato di spalle, perciò Danielle non
ebbe modo di osservarne i lineamenti, ma per lei furono più
che sufficienti i fugaci momenti in cui i suoi occhi si persero dietro
l’armoniosa danza delle sue dita sui tasti. La melodia
prodotta era un celestiale e struggente incontro di malinconia e
speranza, di mistero e rivelazione.
C’era un minuscolo sgabuzzino situato proprio nel punto in
cui la ragazza si trovava: Dani aprì la porticina senza far
rumore, sgusciò dentro e sedette silenziosa contro la
parete, le ginocchia strette al petto ed il sacco di asciugamani
sporchi ancora serrato tra le dita.
Chiuse gli occhi e rimase lì ferma ad ascoltare, fino a
quando la musica cessò. Allora Danielle uscì
cautamente dal proprio nascondiglio, esitando diversi secondi prima di
affacciarsi finalmente alla soglia della sala.
Il pianista se n’era già andato.
ATTO
VIII –POV Lily
La cena era terminata da un pezzo e la maggior parte dei passeggeri
illustri si era radunata nel salone principale, dove le note
dell’orchestra allietavano le chiacchiere e le presentazioni.
Lily sedette su un divanetto accanto a Rose, mentre Violet e zio Eric
improvvisavano un buffo ballo di coppia, urtando di tanto in tanto
qualche ricco passeggero (e quasi mai involontariamente).
- Come ti senti? – domandò la Sandler minore alla
migliore amica, approfittando dell’assenza di Cal e Ruth.
Rose diede un’alzata di spalle: - Sicuramente meglio di
quella cameriera che ha rischiato di rovesciare i piatti –
disse, alludendo alla scena a cui avevano assistito poco prima.
La sfortuna di Danielle aveva colpito ancora, ma senza andare
completamente a segno: mentre la ragazza incastrava il piede nella
gamba di una sedia, perdendo l’equilibrio, il signor Andrews
(sull’attenti dal momento in cui ella era entrata in sala) si
era alzato alla velocità della luce, afferrando al volo i
preziosi dischi di ceramica e bloccando la caduta della bella irlandese
permettendole di aggrapparsi alle proprie braccia.
- Le è andata bene – commentò Lily,
nascondendo a malapena un sorriso – Oh, ma hai visto quei
tizi della Russia?
- I Volkov – annuì Rose – Ne avevo
sentito parlare.
- Ma secondo te è vero quello che ha detto Missy Richardson?
Il ragazzo è veramente promesso ad una delle granduchesse
Romanov?
- A Marija o Tatjana – asserì la rossa, squadrando
distrattamente la facoltosa famiglia di Mosca: erano sette in tutto,
genitori, quattro figli e marito della maggiore tra le tre ragazze.
Il primogenito, nonché unico maschio, in quel momento si
stava intrattenendo in una formale e distaccata conversazione con Cal,
Mr Browning ed i signori Duff-Gordon. Il suo nome era Lukas e,
fisicamente, rappresentava deliziosamente il prototipo del principe
azzurro: alto, affascinante, curato, con meravigliosi ricci biondi e
magnetici occhi turchini.
- Ha delle belle mani – notò Lily, mentre Lukas
offriva un sigaro agli interlocutori maschili – La maggior
parte delle ragazze in sala non gli ha tolto per un istante gli occhi
di dosso.
- E non solo le ragazze – ridacchiò Rose.
-Già – Miss Sandler accettò
distrattamente il calice di vino offerto dalla cameriera maldestra e
bevve un piccolo sorso – Probabilmente anche Cal se lo
porterebbe a letto. Ma non è il mio tipo.
- E chi sarebbe il tuo tipo? – la punzecchiò
l’amica – Uno con la barba?
- Chiudi il becco – ribatté l’altra,
sussultando non appena una ragazza minuta sbucò
all’improvviso da dietro le poltrone. Aveva i capelli biondi
e grandi occhi scuri, fissi in direzione del gruppetto di Lukas Volkov.
La riconobbe come la domestica della famiglia Browning.
- Vi chiedo scusa – balbettò la diciannovenne,
senza distogliere lo sguardo dal centro della propria attenzione
– Secondo voi mi sarà permesso avvicinarmi?
- Non lo so – rispose Rose – Non ho idea di che
tipo sia Lukas Volkov…
- Oh… no, io non mi riferivo a lui –
precisò Joelle, torcendo le mani tra loro per
l’emozione – La signora Duff-Gordon…
io… vorrei così tanto poter anche solo ammirare
da vicino la sua ultima creazione… la sta indossando proprio
ora…
- Perché non ti avvicini con la scusa di riferire qualcosa
al signor Browning? – suggerì Lily, senza sapere
perché si stesse facendo coinvolgere dai drammi di una
giovane domestica – E cogli l’occasione per
guardarla. Magari puoi anche farle un complimento, quello non penso sia
indecoroso.
- Posso fare così! – rispose Joelle, illuminandosi
– Vi ringrazio!
Le due ragazze aprirono la bocca per replicare qualcosa, ma la biondina
si era già allontanata, sistemandosi le pieghe
dell’abito con fare convulsivo.
- Buon per lei se riesce ad entusiasmarsi per così poco
– commentò Miss Sandler, distraendosi
all’istante non appena vide il padre dialogare allegramente
con i membri della famiglia Richardson.
-Strani tipi quelli – osservò Rose, squadrando
Missy e Jamie con fare sospettoso – Non sono mai riuscita a
parlarci.
- Nemmeno io… - mormorò la mora, aggrottando la
fronte non appena un giovane ed affascinante ufficiale raggiunse il
gruppo, provocando una curiosa reazione ad entrambi i fratelli
Richardson. La voce di Missy era sufficientemente squillante da
giungere fino alle orecchie delle due amiche, nonostante lasciasse
trasparire una certa tensione.
- Credo di avervi parlato più volte di Dunn…
cioè, del Sergente Duncan Peters… a Settembre ha
cominciato ad occuparsi del corso di Jamie in accademia,
quindi… sì, è uno dei suoi istruttori.
Il signor Richardson sorrise calorosamente, praticando il saluto
militare, al quale Duncan Peters rispose con zelo.
Approfittando della distrazione dei genitori, Missy e James si
scambiarono un’occhiata nervosa.
- Non hai l’impressione… che abbiano tutti
qualcosa da nascondere in quella famiglia? –
domandò Lily, sospettosa – Sono
così… insoliti.
Rose fece per rispondere, ma uno schianto improvviso interruppe i
discorsi di tutti i presenti, che si voltarono all’istante
verso la fonte del rumore: Danielle O’Connell aveva appena
rovesciato un intero secchio di posate sporche sul prezioso pavimento
della sala.
***
Angolo
dell’Autrice: Oggi, come al solito, parla
Tinkerbell.
Ecco qua il primo capitolo con i POV dei primi cinque personaggi dei
partecipanti all’interattiva, che accompagnano quello di
Lily. Nel prossimo capitolo credo inserirò il POV di altri
cinque, tra i quali Lukas Volkov, ma dipende anche dalle schede che
arriveranno.
Allora, innanzitutto spero di aver mosso bene Joelle, Charles, Joanne,
Sean e Danielle, in caso ci sia qualcosa di sbagliato chiedo ai
creatori di farmelo notare in modo da poter correggere nei capitoli
successivi.
Ho scelto di non rivelare subito ogni dettaglio dei loro background, in
particolare quello di Sean legato alla sua bambina, questo naturalmente
per riservare le rivelazioni migliori per i capitoli seguenti.
Ah, per quanto riguarda i dialoghi in svedese tra Olaus e
Joanne… ehm, purtroppo posso affidarmi solo a Google
Traduttore, quindi ci saranno sicuramente degli errori (quello che gli
ha risposto lei, comunque, significa a grandi linee:
“E’ colpa mia, non guardavo dove stavo
andando”). E restando in tema, solitamente i personaggi si
danno del “Lei”, ma a Fabrizio faccio adoperare il
“Voi” perché nella mia mente lui viene
dal Sud Italia, dove mi pare che una volta si usasse più il
“Voi” del “Lei” (magari
sbaglio, però in realtà questa cosa mi piace
quindi la terrò per buona).
Che poi in realtà la vera lingua della storia è
l’inglese, dove il Lei non esiste, ma facciamo finta di
niente XD
Per ora dovrebbe essere tutto, grazie per aver letto e al prossimo
capitolo!
Tinkerbell e Phoebe.
|