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Autore: Phoebebell    06/02/2016    4 recensioni
Lily Sandler è una ricca sedicenne londinese, capricciosa, snob e viziata, figlia del facoltoso professore universitario Andrew Sandler.
Fin da bambina ha sempre sognato di visitare le meravigliose città americane di cui le aveva tanto parlato la sua amica Rose e, finalmente, i suoi desideri stanno per avverarsi: viaggerà con la famiglia a bordo del Titanic, alloggiando in una lussuosa cabina di Prima Classe.
Ma, come ben si sa, la crociera si concluderà in un tragico epilogo ed il sogno diverrà incubo.
Quale sarà il destino della famiglia Sandler e dei passeggeri da loro incontrati durante il viaggio?
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Jack Dawson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Rosalinda Dewitt Bukater
Note: Lemon, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ATTO I – POV Lily

La parte esterna del Titanic non aveva soddisfatto le aspettative della secondogenita del professor Sandler, tuttavia, la raffinatezza gli interni di Prima Classe riuscì a strapparle un sorriso.
La famigliola affidò i bagagli alle cameriere, dopodiché si diressero tutti al Ponte A per assistere alla partenza: il professor Sandler e zio Eric si fermarono a chiacchierare con alcuni conoscenti, mentre le due ragazze si avviarono a passo spedito verso il parapetto.
Una folta chioma rossa, raccolta in un’ordinata acconciatura, attirò immediatamente la loro attenzione: la proprietaria di quella meravigliosa capigliatura era una ragazza di media altezza, le cui piacevoli forme arano avvolte da un elegante abito bianco e blu.
- Rose! – esclamò Lily, abbandonando il solito contegno da principessa snob e raggiungendo di corsa l’amica.    
Rose Dewitt Bukateer si voltò sorpresa, giusto in tempo per ricambiare l’abbraccio della Sandler più giovane: - Ragazze! Mi stavo giusto chiedendo quanto tempo avremmo impiegato per incontrarci!    
- Beh, la nave sarà pure enorme, ma penso che, durante il tragitto da qui a New York, sicuramente a furia di girare in tondo ci saremmo ritrovate almeno una volta – scherzò Violet, abbracciando la diciassettenne – La tua allegra famigliola bazzica da queste parti oppure si è rintanata in salone per non respirare la stessa aria degli altri immondi nobiliastri?
Lily pestò con forza il piede della bionda, ma Rose non sembrò prendersela per il commento: - Non lo so – rispose – alla prima occasione mi sono allontanata con una scusa. Cal cominciava ad asfissiarmi.
In quell’istante, la Sandler minore si sentì tremendamente in colpa: l’aver storto il naso per l’aspetto della nave le sembrò improvvisamente un gesto egoista e infantile, specialmente se paragonato al disagio che stava vivendo in quei giorni la sua migliore amica.
“Zio” Richard Dewitt Bukateer, amico di vecchia data del professor Sandler, si era suicidato l’anno prima, lasciando la famiglia sommersa dai debiti, così Rose era stata promessa in sposa al facoltoso quanto insopportabile Caldeon “Cal” Hockley. Lily aveva conosciuto Cal qualche settimana prima ed era uscita da quell’incontro alquanto disgustata: il futuro marito di Rose era un trentenne egocentrico e maschilista, visibilmente convinto di essere Dio sceso in Terra.
Un vero idiota, senza dubbio, ma un idiota ricco, il che era ciò che più importava alla vedova di zio Dewitt Bukateer.
- Che ne pensate della nave? - domandò la rossa, ignorando l'occhiata insistente di un ragazzo elegantemente vestito. 
- A me non dispiace - rispose allegramente Violet, attorcigliando attorno al dito indice una ciocca dei capelli castani della sorella - E' Lily che, come al solito, ha qualcosa da ridire...
- Non mi piace molto la forma e credo sia troppo grande – si giustificò l’altra, rifilando un’occhiataccia alla maggiore.
Rose sorrise piuttosto svogliatamente, abbassando lo sguardo: - Ad essere sincera, nemmeno a me sembra un granché. Insomma, è sempre la solita storia: posti lussuosi pieni di gente snob, aristocratici che ti guardano dall'alto al basso, come se attendessero impazienti un tuo minimo errore… tutti pretendono da te un particolare atteggiamento, quasi fossi una loro marionetta...
Si interruppe, rendendosi conto di aver parlato un po' troppo, ma Violet si intromise circondandole le spalle con un braccio: - Che vuoi farci, è questo il prezzo che si paga stando nell'alta società! Io credo che dovremmo infischiarcene di ciò che pensano gli altri.
- La fai sempre facile, tu – borbottò Lily voltandosi, rischiando di scontrarsi con la madre di Rose, che in quel momento giungeva dalla direzione opposta.
- Oh, scusami, Ruth... – balbettò la sedicenne, indietreggiando di un passo.  La donna rispose con un sorriso molto forzato: - Dovresti tenere la testa alta quando cammini, Lily – osservò, senza accennare il minimo saluto -  Sei un'aristocratica, non una volgare contadinella! 
La ragazza, stizzita, si morse la lingua per non replicare, per nulla abituata a ricevere dei rimproveri, ed inorridì non appena notò che la rossa era fastidiosamente avvinghiata al braccio di suo padre, il quale lanciava occhiate disperate qua e là. Zio Eric finse di soffiarsi il naso per celare le risa.
Approfittando dell’attimo di silenzio che si era appena creato, Cal Hockley, si fece avanti con aria melliflua, afferrando la mano della fidanzata. I suoi capelli neri, notò Lily con disgusto, erano pomposamente impomatati, al punto da sembrare unti.
 - Ti stavamo cercando, Zuccherino – disse, sorridendo viscidamente - Perché sei scappata via subito? Il professor Sandler ci stava deliziando con alcune sue interessanti teorie sulla Lettura Anglico-Americana fino a poco fa...
- Letteratura Anglo-Americana - lo corresse il signor Sandler, cercando con nonchalance di liberarsi dalla morsa di Ruth.
Cal fece finta di non averlo sentito e fissò Rose con fare mieloso. Lei alzò gli occhi al cielo, si morse le labbra, ed, infine, borbottò semplicemente: - Scusami, Cal. La prossima  volta avviserò, prima di allontanarmi.
Ruth lanciò uno sguardo adorante alla coppia, come se sentisse già risuonare nella propria testa il motivetto della loro marcia nuziale, poi domandò ingenuamente alle sorelle Sandler: - Volete unirvi a noi, ragazze? Pensavamo di assistere alla partenza da una postazione migliore...


ATTO II – POV Joelle

- Partenza con un’ora di ritardo. Questo viaggio comincia proprio bene.
Joelle Grace Conn, domestica e sarta diciannovenne, abbozzò un sorriso alla vista del volto imbronciato della padroncina Emily, che non aveva smesso un solo istante di brontolare da quando la famiglia Browning aveva messo piede sulla nave.
John Browning posò gentilmente la mano sulle spalla della primogenita, tentando invano di calmarla: - Abbiamo sfiorato un incidente, tesoro –spiegò, riferendosi al rischio corso poco prima dalla piccola nave New York, quasi risucchiata dal Titanic durante la partenza – Sono sicuro che tra poco salperemo.   
- Come no – ribatté l’altra, incrociando le braccia.    
Joelle, che conosceva Emily meglio di chiunque altro, sapeva bene che il suo malumore non derivava realmente dal tempo di attesa: la famigliola (composta da padre, madre e tre figli) si sarebbe recata in America per assistere al matrimonio di una parente e, con l’occasione, la figlia maggiore, ormai quindicenne, sarebbe stata introdotta nel mondo dell’alta società. Per una ragazzina solitaria e scorbutica come Em la prospettiva non era di certo allettante, tanto più se ad essa si abbinava il sospetto che i genitori fossero intenzionati a trovarle un marito.
- Fino a ieri non volevi partire, adesso hai cambiato idea? – scherzò la giovane domestica – Abbiamo portato sulla nave un’altra Emily? Magari una Emily che non guarda le persone come se volesse prenderle a pugni?
I signori Browning ed i loro figli più piccoli, Jane di dodici anni e Anthony di sette, si lasciarono sfuggire una risatina, ed anche Emily, seppur cercasse di ostentare irritazione, non poté nascondere un sorriso.
Proprio in quel momento, la nave cominciò a muoversi lentamente, mentre i passeggeri radunati sul ponte emettevano borbottii eccitati.
- Vuoi provare ad avvicinarti al parapetto per far assistere anche i tuoi piccoli alla partenza, cara? – domandò la signora Browning, riferendosi a Gabriel e Cerìse, i due gemellini che Joelle aveva partorito l’anno prima – Potranno vantarsene quando saranno più grandi.
- Oh… certamente, grazie signora – rispose entusiasta la diciannovenne, prendendo in braccio il maschietto, mentre Emily si occupava della bimba – Loro padre, il mio povero Michael… avrebbe sicuramente apprezzato tantissimo quest’idea.
Mrs Browning si portò una mano al cuore, sospirando tristemente. La storia di quella povera creatura, rimasta vedova così presto, mentre portava in grembo due bambini, riusciva ad impietosirla ogni volta che ci pensava. Persino suo marito si commuoveva non appena Joelle nominava l’amato coniuge scomparso.
Con un braccio, la domestica sistemò meglio il piccolo Gabriel contro il proprio petto, mentre con la mano libera afferrava quella di Anthony Browning, poi cominciò a muoversi cautamente tra la folla, raggiungendo finalmente il parapetto. Emily e Jane la affiancarono quasi subito.
Il vento accarezzò il volto lentigginoso di Joelle, scompigliandole i capelli, mentre il Titanic scivolava sulla superficie del mare, prima lentamente, poi acquisendo man mano velocità.
I volti della gente che salutava dal molo erano pressoché indistinguibili dall’alto del ponte di Prima Classe, ma la ragazza allargò comunque le labbra in un radioso sorriso, salutando chiunque a gran voce. Anthony e Jane la imitarono con entusiasmo, sporgendosi addirittura dal parapetto e agitando le braccia fino a quando la nave non lasciò il porto, avviandosi verso il mare aperto.
- Per me questo è l’inizio di un’incredibile avventura- commentò la giovane domestica – Voglio dire, avrò l’occasione di osservare da vicino la moda americana del momento!  Ci sarà qualche stilista famoso tra gli invitati al matrimonio, no? E poi, se non sbaglio, mi hai detto che sulla nave c’è anche Lucy Duff Gordon! Sarebbe così bello poter anche solo ammirare il suo stile da lontano…
- Sono contenta che almeno tu sia così entusiasta, Jo – commentò la maggiore dei fratelli Browning, venendo però interrotta dalla sorella.
- Guarda che tu sei l’unica a brontolare, Em, come al solito – osservò Jane, ignorando l’occhiataccia da parte dell’altra – Non ti va mai bene niente.
- Non litigate in pubblico – s’intromise prontamente Joelle – Ricordatevi che la gente che vi circonda ha l’abitudine di storcere il naso per molto meno.
Emily borbottò qualcosa tra sé riguardo al naso storto dei passeggeri di Prima Classe e al posto in cui potevano ficcarselo, ma evitò di prolungare la discussione.
La domestica si lasciò sfuggire un sorriso, poi volse lo sguardo verso l’orizzonte: sì, non vedeva l’ora di giungere a New York. Lì avrebbe sicuramente avuto grandi possibilità di conoscere celebrità della moda, di osservare da vicino i capolavori di sartoria d’oltremare.
E chissà, magari ottenere delle informazioni riguardo suo fratello, fuggito in America anni prima e da allora mai più rivisto… 


ATTO III – POV Joanne

Sarebbe stato molto più saggio attendere che Sean terminasse di sistemare i bagagli in cabina, tuttavia la curiosità era troppo forte e Joanne Chloé Martinez non vedeva l’ora di esplorare ogni singolo angolo della gigantesca nave.
Probabilmente non aveva ancora smaltito l’adrenalina provocata dall’incredibile catena di eventi avvenuta poco prima: la fuga da casa, il denaro insufficiente per l’acquisto del biglietto, il fortuito incontro con Sean e il miracoloso imbarco clandestino.
Non che imbrogliare l’innocente controllore le avesse fatto piacere, ma era più che certa che, se egli fosse stato al corrente della sua situazione, avrebbe per lo meno riflettuto due secondi, prima di farla tornare sui propri passi.
Il clima cupo e solitario della grande Villa Martinez, le asfissianti pretese dei genitori che si ricordavano di avere una figlia soltanto quando dovevano imporle qualcosa, il rischio di vedere il proprio sogno svanire…
Joanne si scosse dai propri pensieri con una brusca scrollata di spalle: no, non doveva rovinarsi il viaggio pensando ai due despoti che l’avevano messa al mondo: aveva ventinove anni, un grande amico su cui poter sempre contare ed un brillante futuro da scrittrice davanti a sé. Le rigide regole, le imposizioni e le punizioni ingiuste facevano parte del passato.
Calò la veletta in pizzo del cappello sul proprio sguardo, sicura che l’avrebbe aiutata a non attirare l’attenzione, e cominciò l’esplorazione scendendo al ponte di Terza Classe.
Si fermò un istante per aiutare una giovane cameriera che aveva appena rovesciato un’intera pila di asciugamani, dopodiché attraversò i corridoi delle cabine per uscire finalmente all’aria aperta.
Non le dispiacque trovarsi circondata da gente semplice, poveramente vestita. Osservò con attenzione i loro atteggiamenti, gli sguardi, il modo di conversare, con lo scopo di annotare tutto quanto nel proprio quadernetto la sera stessa. Ogni minimo dettagli avrebbe potuto fornire degli spunti per nuovi personaggi o intrecci di trame.
Di tanto in tanto, i passeggeri squadravano con una rapida occhiata incuriosita quella signorina bionda ben vestita, ma tornavano quasi immediatamente alle proprie occupazioni.
“Tornerò sicuramente qui più di qualche volta” pensò sorridendo “Hanno tutti l’aria così gentile e rilassata… e c’è un bel clima accogliente e famigliare, quasi mi sembra…”
- Ursäkta mig, ung dam.
Joanne si rese conto appena in tempo di essere in procinto di scontrarsi con un ragazzo alto e robusto dai capelli castani, poco meno che trentenne. Parlava in lingua svedese ma, fortunatamente, la bionda non fu colta impreparata: tra le attività a cui i suoi genitori l’avevano costretta rientrava lo studio di diverse lingue, tra le quali lo svedese.
Comprese che il giovane si era appena scusato con lei, così sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi e replicò: - Det är mitt fel. Jag ser inte där jag tänkte.
Il moro sembrò colpito sentendosi rispondere nel proprio idioma, così ricambiò il sorriso e tese la robusta mano da lavoratore: - Olaus.
- Joanne – rispose prontamente lei, stringendola.
Lo svedese sembrò voler aggiungere qualcosa, ma si interruppe non appena un ragazzo italiano dai capelli scuri gli assestò da dietro un’amichevole pacca sulla spalla.
- Ehi amico! Ancora non ho capito come ti chiami e non capisco un accidenti della tua lingua, ma credo che tuo fratello ti stia cercando. A meno che non abbia perso il cane, ma non mi pare voi abbiate un cane, giusto?
- Fabrizio – s’intromise un biondino smilzo dall’accento americano – Come tu non capisci la sua lingua, lui non capisce la tua... che tra l’altro a volte faccio io stesso fatica a comprendere, visto che sembra uno strano miscuglio tra italiano e inglese...
- Quante storie, Jack! – protestò l’altro – E come pensi dovrei parlare con questo qui? A gesti? Oppure tu potresti fargli un disegno, sapresti disegnare suo fratello con la faccia da ”sto cercando qualcuno o qualcosa”?
- Oppure – fece eco Joanne – Potreste domandare all’interprete che avete davanti di riferire ad Olaus il vostro messaggio.
Il ragazzo di nome Fabrizio sembrò illuminarsi non appena si accorse della sua presenza: - Ma come ho fatto a non notarVi prima? Perdonatemi, incantevole signorina – disse galantemente, inchinandosi e baciandole la mano – Fabrizio De Rossi, al Vostro servizio.
- Lei è la terza con cui ci provi da quando siamo saliti sulla nave – rise il suo compagno americano, rivolgendo poi un bel sorriso alla bionda – Jack Dawson, piacere.
- Joanne Martinez – rispose lei, trattenendo a fatica una risatina per i modi buffi dell’italiano – Volete che traduca il vostro messaggio?
Alla risposta affermativa dei due, Joanne riferì ad Olaus quanto stato detto. Lo svedese ringraziò distrattamente i compagni di stanza, salutò Joanne sorridendo (quasi un po’ timidamente) e poi si avviò di corsa in direzione delle cabine.
- Allora – riprese Fabrizio, con aria da seduttore – Come mai una signorina elegantemente abbigliata bazzica per i quartieri dei poveracci?
Jack lo colpì con una leggere gomitata, ma la ventinovenne non si mostrò infastidita dalla domanda: - Alloggio in Seconda Classe, ma volevo fare un giro. Mi piace esplorare posti nuovi.
- Beh, puoi fare un giro con noi – propose il moro, offrendole il braccio ed ignorando il proprio compagno, intento a scuotere la testa – Anche noi adoriamo esplorare.
Joanne scoppiò a ridere, afferrò il braccio dell’italiano e rispose: - D’accordo, accetto volentieri.


ATTO IV – POV Charles


Più il tempo passava, più Charles Leonard Fitzherbert si domandava cosa sua sorella ci trovasse nell’elegantone babbeo che aveva sposato.
“Chissà cosa la attira di più” pensò ironico, varcando la soglia della propria cabina di Seconda Classe “La faccia da idiota, la simpatia da sardina affumicata o il portamento da mummia? Bah, si è pure fatta mettere incinta da quel coso…”
Charles avrebbe potuto giurare solennemente di aver perlomeno provato a socializzare con il cognato, per amore di Agnes, ma qualsiasi tentativo di “spronarlo” ad uscire da quel guscio di imbranataggine era miseramente fallito.
- Nemmeno le mie fantastiche filastrocche sconce hanno avuto successo – borbottò accigliato – Magari, se Agnes non mi avesse ordinato di smettere, avrei ottenuto qualcosa… ma probabilmente no, quel tipo è un caso perso.
Avrebbe passato i mesi seguenti a stretto contatto con quel “caso perso”, ma l’idea di poter vivere finalmente il sogno americano gli faceva apparire la tediosa prospettiva come un accettabile compromesso.
Christopher Nolan Thompson, membro dell’ambasciata americana, aveva conosciuto Agnes Fitzherbert  grazie al (o, a detta di Charles, “per colpa del”) mandato che l’aveva spedito a Londra qualche anno prima. Al termine del periodo di trasferimento, il giovane aveva prenotato un viaggio in Prima Classe insieme alla moglie per poterla (finalmente) presentare ai genitori ancora ignari. Un terzo biglietto, di Seconda Classe, era destinato al maggiore dei fratelli Fitzherbert, Robert, ma, grazie ad una serie di circostanze (tra cui l’inattesa gravidanza della sorella diciannovenne) e ad una brillante sequela di argomenti a proprio favore, Charles era riuscito a convincere il fratello a cedergli il posto.
In qualità di studente di Medicina (anche se non troppo diligente) avrebbe potuto aiutare Agnes nei mesi di gestazione, nonché restare con lei in America durante i primi anni di maternità.
Un po’ gli era dispiaciuto dover piantare in asso i suoi amici dell’università, in particolare Lloyd e Bryan, ma il richiamo dell’America era troppo forte per essere ignorato.
Una volta che ebbe sistemato i propri bagagli, sfilò gli occhiali da vista, diede una rapida ravvivata ai propri capelli scuri ed uscì con fare tronfio dalla cabina.
Non gli andava di re-incontrare subito Chris il Babbeo, così scelse di fare una passeggiata sul ponte di Seconda Classe, tanto per sondare un po’ il terreno, visto che avrebbe passato buona parte della crociera in quella zona. Magari avrebbe fatto qualche incontro interessante, “magari qualcuno che apprezzi le mie filastrocche”, pensò con una nota di puntiglio.
Era talmente impegnato a guardarsi attorno, mentre attraversava il salone, da non accorgersi in tempo del giovane che giungeva dalla direzione opposta con passo nevrotico. Una piccola imprecazione (che però fu udita da buona parte dei presenti) sfuggì dalle labbra del ventunenne, quando si ritrovò praticamente l’altro passeggero in braccio.
- Amico, guarda dove vai – lo rimproverò, ignorando bellamente il fatto di aver commesso la medesima imprudenza.
Quello balzò subito all’indietro, controllandosi scrupolosamente le pieghe dell’elegante giacca. Tirò quindi fuori una specie di spazzola dalla tasca destra e corresse con fare meticoloso ogni singola imperfezione.
Charles aggrottò la fronte, leggermente spiazzato dall’eccessiva pignoleria dello strano passeggero: dimostrava circa una trentina d’anni, era molto magro e non raggiungeva il metro e settanta. Aveva i capelli castani e le iridi tinte di verdeazzurro, i baffi ben pettinati e gli zigomi affilati.
- Mi scusi – disse in tono gentile, non appena ebbe terminato di sistemarsi – Sto cercando una mia amica, si è allontanata dalla cabina mezz’ora fa e non riesco a trovarla. Per caso l’ha vista? E’ bionda, magra, probabilmente indossa un cappello con la veletta nera in pizzo…
- No, mi dispiace, io sono appena uscito dalla mia stanza – rispose Charles, ignorando i plateali gesti di una ragazza dalla parte opposta del salone – Perché la sua amica gira con una veletta nera? E’ forse in lutto?
L’interlocutore face un sorrisino di circostanza, ignorando il commento sarcastico: - La ringrazio lo stesso, signor…
- Charles Leonard Fitzherbert  - disse il ragazzo con un piccolo ghigno – Ma tutti mi chiamano Charlie o Leo o… beh, no, Lev è un lusso che concedo soltanto alle signorine…
- Sean Emmett Grimm, molto piacere – tagliò corto l’altro – Probabilmente mi vedrà al piano in una di queste serate. Ma mi tolga una curiosità: la signorina che si sta sbracciando in fondo alla sala ce l’ha con Lei?
Charles provò a focalizzare la persona indicata dal pianista e, osservando meglio i colori dell’abito, la riconobbe: - Oh… è mia sorella. Con il suo permesso, signor Grimm, temo sia mio dovere raggiungerla.
- Perché non indossa un paio di buoni occhiali da vista, signor Fitzherbert? – osservò pragmatico il maggiore – Se permette, la miopia può provocare situazioni imbarazzanti…
Il ventunenne rispose con una semplice risatina: - Ah! Io mica sono miope! – mentì, raggiungendo poi di corsa la sorella minore.  


ATTO V – POV Lily

La lunga tavola, sontuosamente apparecchiata per la cena, era coperta da una candida tovaglia di seta e circondata da almeno una trentina di sedie.
- Si accomodi pure vicino a me, Lily.
Il volto sorridente di Lady Leslie concesse alla ragazza una piccola distrazione dal tremendo senso di nausea che aveva incominciato a tormentarla già poche ore dopo la partenza.
La contessa di Rothes era una bella donna poco oltre la trentina, dai lucidi capelli castani e gli occhi neri simili a pozzi profondi. Aveva un bel modo di fare e Lily sedette accanto a lei senza esitazioni, invitando il padre ad occupare la sedia accanto alla propria.
Dentro di sé, Andrew Sandler tirò un sospiro di sollievo, ben felice di staccarsi dai tentacoli di Ruth.
Zio Eric e Violet si sedettero di fronte ai familiari, così come Rose, Cal ed i Richardson, una delle famiglie più facoltose all’interno della nave.
- Le sue figlie sono cresciute moltissimo dall’ultima volta che ci incontrammo, Andrew – affermò Ann Elizabeth Isham, un’elegante cinquantenne dai capelli biondi, accarezzando la testa del proprio cane alano, Dane, accucciato sotto la sua sedia – Sono davvero meravigliose!
- La ringrazio, Ann – rispose cordialmente il professore, assumendo, per un istante, un’aria un po’ malinconica – Non poteva essere altrimenti: avevano una madre meravigliosa…
- Oh, tutti noi pensiamo sempre a Danielle con molto affetto – asserì Lady Leslie, dando dei colpetti affettuosi sulla mano di Lily – E voi due, figliole, me la ricordate molto.
- Beh, sono certo di ricordagliela anch’io, Contessa – sorrise zio Eric, evitando che la situazione si incupisse troppo – Anche se ho sempre trovato ingiusto che Danielle avesse preso tutta la bellezza per sé. Insomma, i gemelli non dovrebbero condividere virtù e difetti?
- Ma Eric! – rise la signora Richardson, una donna attraente e formosa, dai folti ricci biondi – Non parli così, Lei è un uomo affascinante!
- Sempre troppo gentile, Anna – ringraziò il quarantaduenne, approfittando della distrazione del Colonnello Richardson per strizzarle l’occhio.
Lily aggrottò la fronte, un po’ stupita da quel gesto, ma fu immediatamente distratta dalla voce acuta e cristallina di Missouri Richardson, che si era appena rivolta al cameriere per ordinare del salmone con maionese. 
Miss Sandler non aveva mai scambiato qualche parola con i due figli dei Richardson, li aveva incontrati un paio di volte a qualche festa ma se n’era sempre tenuta alla larga.
Missy era una signorina alta e raffinata, classe 1889, che portava i capelli biondi pettinati in un singolare taglio a caschetto. A Lily piacevano molto gli abiti che indossava e più d’una volta era stata tentata di chiederle dove se li fosse procurata, tuttavia, lo sguardo glauco e ambiguo della giovane era sufficiente ad intimidirla.
Ma se, per la piccola Sandler, Missy era fonte di soggezione, il fratello di lei, James, provocava un ben più fastidioso senso d’inquietudine: un diciannovenne dall’aria solitaria e un po’ cupa, con gli occhi celesti costantemente celati dietro ai trascuratissimi capelli scuri. Lily non l’aveva mai visto sorridere ed era abbastanza sicura di non averlo nemmeno mai sentito parlare. Aveva talvolta scorto dei rapidi movimenti delle labbra, solitamente indirizzati alla sorella maggiore, nulla di più.
- Quanti anni avete adesso, ragazze?
La domanda della Contessa di Rothes scosse Miss Sandler dai propri pensieri.
- Io ne ho compiuti sedici due settimane fa – rispose Lily velocemente, quasi rischiando di mordersi la lingua – Violet ne ha fatti diciotto a Febbraio.
 - E nessuna delle due ha ancora un uomo al proprio fianco – commentò Ruth, beccandosi un’occhiataccia da parte della figlia.
Lily arrossì per il nervoso e, d’istinto, aprì la bocca per rispondere a tono, ma si bloccò non appena Violet commentò sarcastica: - Beh, visto come stanno andando fidanzamenti e matrimoni, ultimamente, non moriamo di certo dalla voglia di impegnarci, Ruth.
Molti commensali si lasciarono sfuggire una risata di comprensione, senza però capire la sottile allusione rivolta ad un fidanzamento in particolare, ossia quello di Rose.
Ruth serrò le labbra nervosamente, per poi replicare con un sorrisetto di circostanza.
- A proposito di matrimoni – s’intromise Missy Richardson, mettendo in mostra i denti candidi con un sorriso malizioso – Vorrei farvi notare che futuri parenti dello Zar Nicola sono appena entrati in sala…


ATTO VI – POV Sean

“Non ti azzardare ad avvicinarti di nuovo a quel dannato strumento! La prossima volta che ti vedo ti taglio le dita e ti chiudo in cantina per il resto dei tuoi giorni!”
Sean si scosse con un brivido, lasciando quasi cadere a terra il prezioso pettine d’argento, unico cimelio di famiglia. Era da un po’ di tempo che la voce di suo padre, il suo sguardo furente, le sue percosse non si ripresentavano nella sua testa, eppure, come al solito, il ricordo si mostrò in modo maledettamente nitido.
Voltò il pettine e sfiorò con un dito la foto della sua piccola Elise, sospirando malinconico. Era passato quasi un mese dall’ultima volta che l’aveva vista, da quando gli era stata portata via senza una spiegazione, senza nemmeno concedergli la possibilità di dirle addio.
- Ti ritroverò, amore mio – promise con un sussurro – A costo di setacciare ogni singola via di Philadelphia. Papà ti troverà e ti riporterà a casa.
Ripose il pettine al suo posto, indossò un paio di guanti candidi ed uscì dalla cabina, dirigendosi verso il salone di Seconda Classe. In cuor suo sperava che Joanne se ne fosse rimasta buona ad attenderlo ma, come previsto, della ragazza non vi era alcuna traccia.
- Per fortuna che non doveva dare nell’occhio – borbottò Sean tra sé, cominciando a guardarsi attorno alla ricerca dell’amica: era riuscito a farla imbarcare clandestinamente per darle una possibilità di fuga dalle pressioni della famiglia e facendole fare un passo in avanti verso il proprio sogno (dopotutto, lei non aveva forse fatto lo stesso, anni prima, dandogli rifugio in casa propria e permettendogli di trovare lavoro al pub come pianista?) ma l’idea di essere scoperti lo inquietava non poco.
Qualcuno gli posò una mano sulla spalla, facendolo sobbalzare: - Salve Sean, sei pronto per stasera?
John Law Hume, violinista nonché uno dei membri più giovani dell’orchestra ufficiale della nave, osservava il trentaduenne con un gran sorriso. Era un bel giovanotto dai grandi occhi azzurri e le guance piene, innamoratissimo della fidanzatina che, purtroppo, non aveva potuto seguirlo nel viaggio verso New York.
- Oh… sì, naturalmente. Ci vediamo tra poco alle prove, John.
Il ragazzo annuì, allontanandosi verso il reparto cabine, così Sean riprese la frenetica ricerca della migliore amica fuggiasca. Sussultò bruscamente non appena si scontrò con un giovanotto dai capelli scuri, che reagì al contatto con una colorita imprecazione.
- Amico, guarda dove vai!
Sean si scostò da lui immediatamente, sistemandosi con cura le pieghe della giacca. Non sopportava le imperfezioni, i suoi genitori gli avevano inculcato a suon di scapaccioni una profonda ossessione per l’ordine, che sicuramente non sarebbe mai guarita.
- Mi scusi – disse infine, ignorando il tono leggermente irritato dell’altro – Sto cercando una mia amica, si è allontanata dalla cabina mezz’ora fa e non riesco a trovarla. Per caso l’ha vista? E’ bionda, magra, probabilmente indossa un cappello con la veletta nera in pizzo…
Dal modo in cui il ragazzo strizzava gli occhi per mettere a fuoco le persone attorno a loro, Sean immaginò soffrisse di miopia, sicuramente non grave ma comunque sufficiente ad impedirgli di identificare la signorina che lo stava chiamando dalla parte opposta della sala.
Era un curioso personaggio, tanto che il giovane pianista non poté fare a meno di notare diversi bizzarri dettagli durante la loro breve conversazione, come il fatto di non riuscire a stare fermo, il vizio di accompagnare le parole a gesti delle mani ed il modo rapido di muoversi, pure restando fermo nello stesso punto.
Quando egli si allontanò, Sean fu colto da una strana sensazione: aveva già incontrato quel giovanotto da qualche parte.


ATTO VII – POV Danielle

- Danielle, per favore, fà attenzione quando scendi le scale con quella pila di asciugamani – si raccomandò il signor Andrews, osservando con una certa apprensione i movimenti della cameriera dai capelli rossi – Ti prego, un gradino alla volta… lentamente…
Danielle O’Connell si limitò ad annuire, abbozzando un timido sorriso. Il signor Andrews era un uomo molto gentile, conosceva per nome buona parte del personale e, nonostante la ventitreenne irlandese fosse perseguitata da un’incredibile sfortuna che la portava sempre ad inciampare o combinare guai sul posto di lavoro, egli non l’aveva mai rimproverata, né umiliata, né  insultata (a differenza degli orribili padroni per cui aveva lavorato anni prima).
Riuscì miracolosamente ad arrivare illesa al ponte di Terza Classe, anche se era piuttosto sicura che la sua sfortuna non avrebbe tardato a presentarsi. Infatti, proprio mentre si addentrava cautamente nel corridoio che portava alle cabine, due indisciplinati bimbi scandinavi le ostacolarono il tragitto, rincorrendosi tra loro e litigando.
Cercando di evitare di essere investita, Danielle si scansò a destra, ma inciampò in una piega del tappeto e finì lunga distesa a terra, la faccia affondata nel mucchio di asciugamani ancora caldi.
Pregò con tutta sé stessa che i membri del personale o dell’equipaggio non bazzicassero proprio da quelle parti e cercò di rialzarsi in fretta per salvare il salvabile.
- Posso aiutarti? 
Danielle sussultò, alzando di scatto lo sguardo: una donna bionda sulla trentina, il cui volto era parzialmente celato dalla veletta nera del cappello, si era appena inginocchiata di fronte a lei, valutando il disastro con una rapida occhiata.
- Non… non si disturbi – balbettò la cameriera arrossendo – La prego, non voglio che…
- Non è un disturbo per me – ribatté l’altra con un sorriso – Quando vivevo ancora con i miei genitori mi faceva piacere dare una mano ai domestici… naturalmente, senza che i miei ne fossero al corrente – aggiunse, lasciandosi sfuggire una risatina.
Ripiegarono gli asciugamani ancora utilizzabili, sistemando gli altri in un sacchetto che Danielle portava legato al braccio.
-La ringrazio – sussurrò la minore timidamente – E’ stata molto gentile.
- Non c’è di che – disse la donna, strizzando l’occhio – Buon proseguimento.
- Anche a Lei…
La consegna degli asciugamani proseguì senza altri intoppi, così, quando ebbe terminato, Danielle si avviò spedita verso la lavanderia. Spiando nel sacchetto semi-aperto, si poteva intravedere il segno del rossetto lasciato sull’asciugamano su cui aveva posato il viso durante la caduta.
Attraversò il corridoio delle cabine a ritroso, ma si interruppe non appena una misteriosa musica giunse alle sue orecchie. Incuriosita, proseguì lentamente, cercandone la fonte: era il meraviglioso suono di un pianoforte.
Ce n’era uno a disposizione dei passeggeri nella sala principale: il suonatore non poteva chiaramente essere uno dei due pianisti ufficiali della nave, ossia Brailey e Grimm, visto che loro si occupavano già di allietare i viaggiatori di Prima e Seconda Classe, eppure la sua maestria non sembrava affatto inferiore.
Poteva forse trattarsi di un artista squattrinato, un signorotto caduto in miseria, un insegnante licenziato per ignote ragioni…
La fantasia della cameriera viaggiava attraverso infiniti possibili scenari, intrecciando storie da romanzo e situazioni drammatiche.
“Potrebbe anche essere una donna” osservò, bloccandosi all’istante non appena raggiunse la soglia della sala. Per una qualche strana ragione non volle farsi vedere, così si appiattì contro il muro e sbirciò cautamente: il pianista era un uomo, abbigliato semplicemente. Era voltato di spalle, perciò Danielle non ebbe modo di osservarne i lineamenti, ma per lei furono più che sufficienti i fugaci momenti in cui i suoi occhi si persero dietro l’armoniosa danza delle sue dita sui tasti. La melodia prodotta era un celestiale e struggente incontro di malinconia e speranza, di mistero e rivelazione.
C’era un minuscolo sgabuzzino situato proprio nel punto in cui la ragazza si trovava: Dani aprì la porticina senza far rumore, sgusciò dentro e sedette silenziosa contro la parete, le ginocchia strette al petto ed il sacco di asciugamani sporchi ancora serrato tra le dita.
Chiuse gli occhi e rimase lì ferma ad ascoltare, fino a quando la musica cessò. Allora Danielle uscì cautamente dal proprio nascondiglio, esitando diversi secondi prima di affacciarsi finalmente alla soglia della sala.
Il pianista se n’era già andato.


ATTO VIII –POV Lily

La cena era terminata da un pezzo e la maggior parte dei passeggeri illustri si era radunata nel salone principale, dove le note dell’orchestra allietavano le chiacchiere e le presentazioni.
Lily sedette su un divanetto accanto a Rose, mentre Violet e zio Eric improvvisavano un buffo ballo di coppia, urtando di tanto in tanto qualche ricco passeggero (e quasi mai involontariamente).
- Come ti senti? – domandò la Sandler minore alla migliore amica, approfittando dell’assenza di Cal e Ruth.
Rose diede un’alzata di spalle: - Sicuramente meglio di quella cameriera che ha rischiato di rovesciare i piatti – disse, alludendo alla scena a cui avevano assistito poco prima.
La sfortuna di Danielle aveva colpito ancora, ma senza andare completamente a segno: mentre la ragazza incastrava il piede nella gamba di una sedia, perdendo l’equilibrio, il signor Andrews (sull’attenti dal momento in cui ella era entrata in sala) si era alzato alla velocità della luce, afferrando al volo i preziosi dischi di ceramica e bloccando la caduta della bella irlandese permettendole di aggrapparsi alle proprie braccia. 
- Le è andata bene – commentò Lily, nascondendo a malapena un sorriso – Oh, ma hai visto quei tizi della Russia?
- I Volkov – annuì Rose – Ne avevo sentito parlare.
- Ma secondo te è vero quello che ha detto Missy Richardson? Il ragazzo è veramente promesso ad una delle granduchesse Romanov?
- A Marija o Tatjana – asserì la rossa, squadrando distrattamente la facoltosa famiglia di Mosca: erano sette in tutto, genitori, quattro figli e marito della maggiore tra le tre ragazze.
Il primogenito, nonché unico maschio, in quel momento si stava intrattenendo in una formale e distaccata conversazione con Cal, Mr Browning ed i signori Duff-Gordon. Il suo nome era Lukas e, fisicamente, rappresentava deliziosamente il prototipo del principe azzurro: alto, affascinante, curato, con meravigliosi ricci biondi e magnetici occhi turchini.
- Ha delle belle mani – notò Lily, mentre Lukas offriva un sigaro agli interlocutori maschili – La maggior parte delle ragazze in sala non gli ha tolto per un istante gli occhi di dosso.
- E non solo le ragazze – ridacchiò Rose.
-Già – Miss Sandler accettò distrattamente il calice di vino offerto dalla cameriera maldestra e bevve un piccolo sorso – Probabilmente anche Cal se lo porterebbe a letto. Ma non è il mio tipo.
- E chi sarebbe il tuo tipo? – la punzecchiò l’amica – Uno con la barba?
- Chiudi il becco – ribatté l’altra, sussultando non appena una ragazza minuta sbucò all’improvviso da dietro le poltrone. Aveva i capelli biondi e grandi occhi scuri, fissi in direzione del gruppetto di Lukas Volkov.
La riconobbe come la domestica della famiglia Browning.
- Vi chiedo scusa – balbettò la diciannovenne, senza distogliere lo sguardo dal centro della propria attenzione – Secondo voi mi sarà permesso avvicinarmi?
- Non lo so – rispose Rose – Non ho idea di che tipo sia Lukas Volkov…
- Oh… no, io non mi riferivo a lui – precisò Joelle, torcendo le mani tra loro per l’emozione – La signora Duff-Gordon… io… vorrei così tanto poter anche solo ammirare da vicino la sua ultima creazione… la sta indossando proprio ora…
- Perché non ti avvicini con la scusa di riferire qualcosa al signor Browning? – suggerì Lily, senza sapere perché si stesse facendo coinvolgere dai drammi di una giovane domestica – E cogli l’occasione per guardarla. Magari puoi anche farle un complimento, quello non penso sia indecoroso.
- Posso fare così! – rispose Joelle, illuminandosi – Vi ringrazio!
Le due ragazze aprirono la bocca per replicare qualcosa, ma la biondina si era già allontanata, sistemandosi le pieghe dell’abito con fare convulsivo.
- Buon per lei se riesce ad entusiasmarsi per così poco – commentò Miss Sandler, distraendosi all’istante non appena vide il padre dialogare allegramente con i membri della famiglia Richardson.
-Strani tipi quelli – osservò Rose, squadrando Missy e Jamie con fare sospettoso – Non sono mai riuscita a parlarci.
- Nemmeno io… - mormorò la mora, aggrottando la fronte non appena un giovane ed affascinante ufficiale raggiunse il gruppo, provocando una curiosa reazione ad entrambi i fratelli Richardson. La voce di Missy era sufficientemente squillante da giungere fino alle orecchie delle due amiche, nonostante lasciasse trasparire una certa tensione.
- Credo di avervi parlato più volte di Dunn… cioè, del Sergente Duncan Peters… a Settembre ha cominciato ad occuparsi del corso di Jamie in accademia, quindi… sì, è uno dei suoi istruttori.
Il signor Richardson sorrise calorosamente, praticando il saluto militare, al quale Duncan Peters rispose con zelo.
Approfittando della distrazione dei genitori, Missy e James si scambiarono un’occhiata nervosa.
- Non hai l’impressione… che abbiano tutti qualcosa da nascondere in quella famiglia? – domandò Lily, sospettosa – Sono così… insoliti.
Rose fece per rispondere, ma uno schianto improvviso interruppe i discorsi di tutti i presenti, che si voltarono all’istante verso la fonte del rumore: Danielle O’Connell aveva appena rovesciato un intero secchio di posate sporche sul prezioso pavimento della sala.




***
Angolo dell’Autrice: Oggi, come al solito, parla Tinkerbell.
Ecco qua il primo capitolo con i POV dei primi cinque personaggi dei partecipanti all’interattiva, che accompagnano quello di Lily. Nel prossimo capitolo credo inserirò il POV di altri cinque, tra i quali Lukas Volkov, ma dipende anche dalle schede che arriveranno.
Allora, innanzitutto spero di aver mosso bene Joelle, Charles, Joanne, Sean e Danielle, in caso ci sia qualcosa di sbagliato chiedo ai creatori di farmelo notare in modo da poter correggere nei capitoli successivi.
Ho scelto di non rivelare subito ogni dettaglio dei loro background, in particolare quello di Sean legato alla sua bambina, questo naturalmente per riservare le rivelazioni migliori per i capitoli seguenti.
Ah, per quanto riguarda i dialoghi in svedese tra Olaus e Joanne… ehm, purtroppo posso affidarmi solo a Google Traduttore, quindi ci saranno sicuramente degli errori (quello che gli ha risposto lei, comunque, significa a grandi linee: “E’ colpa mia, non guardavo dove stavo andando”). E restando in tema, solitamente i personaggi si danno del “Lei”, ma a Fabrizio faccio adoperare il “Voi” perché nella mia mente lui viene dal Sud Italia, dove mi pare che una volta si usasse più il “Voi” del “Lei” (magari sbaglio, però in realtà questa cosa mi piace quindi la terrò per buona).
Che poi in realtà la vera lingua della storia è l’inglese, dove il Lei non esiste, ma facciamo finta di niente XD
Per ora dovrebbe essere tutto, grazie per aver letto e al prossimo capitolo!
Tinkerbell e Phoebe.
  
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