Ciao bimbi!
Scusate se mi sono fatta attendere tanto per aggiornare ma sono
successe tantissime cose! Innanzitutto mi sono laureata.. e questo lo
sapevate, poi ho fatto un po' avanti e indietro in questo periodo e
credetemi... questo capitolo l'ho scritto sempre e soltanto in
aeroporto. Ho dovuto prendere qualche aereo, ho fatto 4 colloqui di cui
2 di presenza per la stessa azienda, funziona così quando
decidono di farti fare la selezione da neolaureato per uno
stage.
Quando ero davanti ai gate, in attesa dell'imbarco, aprivo sempre il
tablet e scrivevo; ragazzi una cosa allucinante la tratta
Fiumicino-Fontanarossa con Ryanair, non comprate mai quel volo,
spendete un patrimonio in Alitalia che almeno vi danno lo spuntino e vi
collegano al terminal col tubo ma non prendete mai Ryanair
Fiumicino-Fontanarossa, a meno che non costi 15 euro e a volte succede.
Comunque... la novità è che il 23 prendo un altro
volo per Malpensa e il 24 ne prendo uno per Tartu che, per chi non lo
sapesse, si trova in Estonia. Ho vinto una borsa di studio Erasmus+ di
tre mesi e vado a fare un tirocinio post laurea presso l'Istituto di
Tecnologia dell'università locale, sono molto felice
perché è un passo in più per entrare
nel mondo del lavoro. Sono del tutto intenzionata a continuare a
scrivere mentre sarò lì, anzi spero che il mio
soggiorno in Estonia non faccia altro che contribuire come fonte
ispiratrice... la cosa che mi preoccupa è il freddo.
Io sono abituata a minime di 12°C e a Tartu questa settimana
sono previste minime di -7°C.
.-.
Allora, torniamo a noi. Questo capitolo davvero mi ha distrutta. Vuoi
gli impegni, vuoi il dover scrivere sempre in aeroporto, vuoi che sono
un po' esaurita e sotto pressione per i fatti miei, non riuscivo mai a
trovare il punto di convergenza.
Ringrazio Heart_break, Mfelewzi che mi ha chiesto di aggiornare proprio
mentre stavo aggiornando, SasuSaku forever, Saku_Nami e stef23.
Siate clementi, davvero.
Capitolo 21
Folle
I remember when, I
remember, I remember when I lost my mind,
there was something so
pleasant about that place.
Even your emotions had
an echo
in so much space
and when you're out there
without care,
yeah, I was out of touch
but it wasn't because I
didn't know enough,
I just knew too
much…
Does that make me crazy?
Does that make me crazy?
Does that make me crazy?
Possibly…
Crazy - Gnarls Barkley
“Chiedo
scusa? È questo l’istituto Sarutobi?”
Ebisu sollevò gli occhi sulla ragazza
dai capelli rossi che gli si era appena parata davanti.
“Sì. Prego, come posso
esserle utile?”
“Devo parlare con il professor
Sarutobi.”
“Ha un appuntamento?”
“Temo di no.”
“Mi dispiace, il professore in questo
momento è impegnato. Se vuole parlare con lui, prenda
appuntamento altrimenti può aspettare che si sia
liberato… sta facendo la terapia di gruppo del
sabato.”
La ragazza sbuffò leggermente,
mostrando un’espressione confusa e ansiosa.
“È successo
qualcosa?”
“È che… devo
assolutamente andare a parlare lui… ho dei problemi e non so
come fare…”
Ebisu la osservò mettersi le mani ai
capelli, dunque si alzò da dietro la sua scrivania.
“Mi aspetti qui.”
Quando le diede le spalle, la ragazza si
affrettò ad estrarre una pistola dalla cinta dei pantaloni e
a dargli un colpo sulla nuca, facendolo svenire.
“Coglione…”
Si voltò verso tre ragazzi che, fino a
quel momento, erano rimasti in disparte. “Chiudiamolo da
qualche parte, prima che si svegli e chiami la polizia.”
Disse il più alto.
“E secondo te perché credi
che lo abbia stordito, Kidomaru?”
“Sta’ zitta,
Tayuya… e dammi una mano. Dove lo mettiamo?”
Tayuya si guardò attorno, per poi
soffermarsi su una porticina in fondo ad alcuni scalini.
“Deve essere uno scantinato.”
“Mettiamolo lì
dentro.”
Chiusero la porta a chiave e Kidomaru si
voltò verso gli altri due ragazzi: uno di questi era
più grosso, con un’espressione decisamente poco
accomodante stampata sul viso, l’altro era slanciato e con i
lisci capelli argentei.
“Sakon, ci dividiamo?” chiese
al secondo.
Sakon indicò il piano di evacuazione
dell’edificio, appeso al muro. “Ci sono in totale
quattro livelli… proseguiamo per ciascun piano e il primo
che trova Sarutobi, avvisa tutti gli altri. Dobbiamo essere sicuri che
nessuno chiami la polizia.”
Kidomaru estrasse una pinza dalla tasca del
jeans. “Adesso taglio il cavo del telefono.”
Sakon annuì.
“E dopo cosa facciamo?”
chiese Jirobo.
Sakon si voltò a guardare Tayuya ed
entrambi si rivolsero un sorriso sardonico.
“Avvisiamo il maestro
Orochimaru.” Concluse, poi.
Quella mattina Tsunade si era svegliata con un
forte dolore alle cosce, ai polpacci e ai legamenti delle gambe.
Una persona qualunque probabilmente avrebbe
pensato di aver praticato un’eccessiva attività
fisica, dopo un lungo periodo di inattività, e che quindi
quei dolori potessero essere legati alla normale produzione di acido
lattico.
Tsunade tuttavia sapeva bene che si trattasse di
qualcosa di diverso.
Da alcuni anni infatti aveva iniziato a soffrire
della Sindrome delle
gambe senza riposo.
Non era una malattia bensì un fastidio
che, saltuariamente, si ostinava a presentarsi.
Quel dolore alle gambe tendeva a sopraggiungere
normalmente durante le primissime ore del mattino e talvolta anche
subito dopo l’essersi stesa a letto.
La sensazione di dolore era identica a quella
dovuta alla presenza dell’acido lattico sulla
muscolatura… ma più forte e tendeva a perdurare
per diversi giorni.
Non si trattava neanche di una vera e propria
infiammazione.
L’unico rimedio utile a far passare
quel fastidio alle gambe consisteva semplicemente nel muoverle: Tsunade
avvertiva dunque la sensazione di fastidio ma una volta in piedi, una
volta intenta a camminare, quel fastidio sembrava svanire del tutto.
Aveva sempre cercato di non darvi troppo peso ma
chiunque conoscesse bene Tsunade sapeva che quella condizione
rappresentava per lei una situazione di disagio.
Ma in realtà ciò che
metteva a disagio Tsunade era il disagio stesso.
A pensarci bene forse Shizune si trattava
dell’unica persona che fosse a conoscenza di quel fatto.
Si affrettò a lavare le stoviglie
sporche del pranzo e messe nel lavandino della cucina, per poi
dirigersi verso il soggiorno, accendendo il televisore.
Poi prese il portatile e iniziò a
scaricare la posta elettronica, mentre il telegiornale mostrava le
ultime notizie.
Stava osservando le newsletter di una nota marca
di capi di abbigliamento, quando il telefono di casa squillò.
Tsunade si voltò a guardarlo: le
persone che conoscevano il suo numero di casa erano relativamente poche.
Chiunque avesse necessità di parlare
con lei poteva farlo telefonando al numero della presidenza, al
cellulare, scrivendole una mail oppure cercandola sui social network.
Ma era davvero difficile che qualcuno potesse
contattarla al suo recapito fisso.
Shizune era una di quelle persone ma erano solite
sentirsi mediante la messaggistica istantanea, Jirayia invece la
chiamava sempre e solo sul cellulare.
“Pronto?”
“Tsunade?”
Era Jirayia.
“Perché mi stai chiamando al
numero fisso?”
“Scusa se ti ho disturbato,
è molto importante.” Disse l’amico
dall’altro capo del telefono. “Sono con i genitori
di una tua allieva… Sakura Haruno. Ti sto chiamando da casa
sua, sei in vivavoce.”
Sakura Haruno?
“Che succede?”
“È successo un casino. Hanno
occupato l’istituto Sarutobi… e pare che Sakura,
Naruto e Sasuke siano scomparsi.”
* *
*
8 ore prima.
“Come sarebbe a dire è uscita?”
“Mi ha detto che sarebbe rientrata
immediatamente ma è già da un’ora e
mezza che è fuori. Sasuke, che succede?”
Sasuke non rispose subito.
Alzò gli occhi sulla signora Haruno e
arricciò le labbra. “Forse mi sono sbagliato. Deve
essere andata direttamente al parco.”
“Non so… mi aveva detto che
avrebbe dovuto prestarti lo yukata.”
Cazzo.
“Provo a chiamare Hinata,
allora.”
Sasuke si congedò in fretta e furia
dalla soglia di casa, affondando la mano nella tasca dei jeans e
facendo il numero di Sakura.
Il cellulare squillava a vuoto, in maniera
insistente.
Chiuse la chiamata con irruenza per poi
selezionare il nome di Hinata dalla rubrica.
Hinata probabilmente fu sorpresa di ricevere
quella telefonata perché Sasuke ne percepì il
tono ansioso.
“Sasuke…?!”
“Hinata, scusa ma è
importante. Sai dove sia Sakura?”
“Sasuke… io non so, ci ho
parlato circa un’ora e mezza fa e mi ha detto che stava
venendo da te, a cercarti.”
Sasuke si bloccò sul marciapiede.
“Come hai detto?”
“Doveva parlarti.”
“Ma eravamo rimasti che sarei andato da
lei, che motivo avrebbe avuto di venire da me? Anche sua madre mi ha
detto che è uscita già da un’ora e
mezza.”
Hinata restò in silenzio per qualche
secondo, prima di parlare.
“Hai visto il giornale di
oggi?”
Sasuke alzò lo sguardo.
“No.”
“È meglio che tu lo veda.
Sakura ti sta cercando.”
Sasuke non seppe bene come rispondere a
quell’imperativo ma si decise ad obbedire, senza fare troppe
storie.
Quando pochi minuti dopo si fu reso conto di cosa
effettivamente stesse parlando Hinata, Sasuke avvertì una
sensazione di cedimento alle ginocchia: era come se improvvisamente un
dolore acuto le avesse attanagliate entrambe, trasmettendo al ragazzo
una sensazione di sofferenza, impossibile da trattenere.
L’asfalto duro macchiò i
jeans del ragazzo e i pugni che quest’ultimo
sferrò verso il basso, incurante della sporcizia e delle
macchie di pneumatico.
Il volto di Itachi lo osservò dal
giornale, con quell’aria di mistica noncuranza che aveva
sempre caratterizzato ogni sua azione.
Chi per strada lo vide rimettersi in piedi,
pensò semplicemente che fosse accidentalmente
caduto… ma non si trattava di questo.
Quello provato da Sasuke nei confronti di Itachi
non si trattava più di semplice gelosia ancestrale o di
odio, ma di una vera e propria follia che in un brevissimo istante
balenò negli occhi del ragazzo, sostituendo al lucido e
calcolato pensiero sul fratello un’ansia adrenalinica e priva
di inibizione.
Fu qualcosa che durò meno di un
secondo, che solo chi si fosse trovato di fronte a Sasuke avrebbe
notato.
La sicurezza del ragazzo, esattamente
com’era vacillata, ritornò al suo punto di
equilibrio stabile, lasciando nuovamente posto alla solo apparente
compostezza fisica e mentale.
Riprese il telefono e il giornale, poi
digitò nuovamente il numero di Sakura e attese.
Il numero
della persona chiamata potrebbe essere spento o non raggiungibile.
Sasuke cercò di mantenere la calma:
magari le si era scaricato il telefono proprio mentre stava andando a
cercarlo.
No.
Sakura non era esattamente il tipo che si faceva
scaricare il cellulare giusto prima di un appuntamento con lui.
L’opzione chiamata era fallita
perciò l’alternativa che gli restava era andare a
cercarla.
Dove poteva trovarsi?
Hinata gli aveva detto che Sakura era uscita di
casa per andare a cercare lui: questo significava che si era diretta
specificatamente da casa sua in direzione dell’istituto.
Aspettò.
Il ragionamento di Sasuke non faceva una piega,
sicuramente le cose erano andate in quel modo.
Prese a camminare e il suo passo si
affrettò sempre di più, ripercorrendo a ritroso
il medesimo percorso che aveva effettuato qualche minuto prima.
Doveva per forza essere andata così,
sicuramente era andata così.
Non incontrò la ragazza lungo il suo
cammino.
Giunto nuovamente all’istituto, si
avvicinò alla portineria, dove trovò Ebisu.
“Scusami Ebisu, è venuta
Sakura a cercarmi? Sai, quella ragazza con i capelli
rosa…”
“No, Sasuke non ti ha cercato
nessuno.”
CALMA.
“Ok, grazie.”
Uscì e aspettò ancora.
Qualcosa non quadrava.
Riprese il telefono.
“Pronto?”
“Hinata.”
“Sasuke!”
“Hinata, non trovo Sakura. Sono tornato
in istituto e mi hanno detto che non l’hanno vista.”
“Calmati. Non vi siete
incrociati?”
“No.”
“Non hai pensato che possa essere con
gli altri? So che avrebbero dovuto raggiungervi nel
pomeriggio.”
“Esatto, nel pomeriggio. Non
credo che Sakura avrebbe cambiato piani così, senza
avvisarmi. Anche sua madre mi ha detto che sapeva che Sakura avrebbe
dovuto aspettarmi… Sono preoccupato, Hinata. Dopo quello che
ho visto sul giornale, temo che possa essere successo
qualcosa.”
Hinata restò in silenzio per qualche
secondo, poi parlò.
“Chiama Naruto, io contatto
Ino.”
“Ok. Ci sentiamo tra un poco.”
Sasuke non perse tempo a seguire il consiglio di
Hinata e selezionò immediatamente il numero di Naruto dalla
rubrica.
“Sakura? No, non l’ho vista,
sono a casa. Mi aveva detto che doveva vedersi con te.”
Naruto sembrò straordinariamente serio
quando Sasuke l’ebbe contattato.
“Quando?”
“Due ore fa. Ma perché me lo
chiedi?”
“È una storia
lunga.”
“Sasuke…?!”
“Non posso spiegartelo adesso,
è davvero una storia lunga. In ogni caso sua mamma non ha
sua notizie e Hinata mi ha detto di averle parlato; dice che
è uscita per andare a cercare me… ma nessuno
l’ha vista in giro. Sono preoccupato, Naruto…
speravo che almeno tu potessi aggiornarmi.”
“Su cosa dovrei aggiornati? Non so
sinceramente dove sia, mi aveva detto che doveva uscire con te e che
non voleva né me né gli altri tra i
piedi… ma perché sei preoccupato?”
“Non mi risponde proprio al
cellulare.”
Pausa.
“E sua madre?”
“Ti ho detto che non sa niente, quando
sono andato a casa di Sakura mi ha detto che era uscita, dicendole che
sarebbe stata subito di ritorno. Io sono qui davanti al nostro
istituto… come un idiota.”
Naruto non disse niente.
Quando Naruto restava senza parole,
c’era davvero di che preoccuparsi ma l’attesa non
parve durare molto.
“Ha detto che dovevate andare al parco.
Possiamo provare a cercarla lì.”
“Dici che sia andata lì? Ma
per fare cosa, se eravamo rimasti che ci saremmo visti a casa sua?
Doveva prestarmi uno yukata, tra l’altro… dovevo
cambiarmi da lei.”
“Sasuke, non ne ho idea… ma
da qualcosa bisogna pur cominciare. Hai detto che hai parlato con
Hinata, giusto?”
“Sì, starà
parlando con Ino.”
“Va bene, proverò a parlarne
con lei. Mi faccio spiegare bene cosa non vuoi dirmi.”
Sasuke sbuffò ma si rese conto di non
essere in una posizione adeguata per protestare.
“D’accordo. Allora adesso
vado al parco.”
“Ok, ci vediamo lì. Comunque
ascolta una cosa.”
“Che
c’è?”
“I genitori di Sakura… sanno
che Sakura non si trova?”
Sasuke esitò prima di rispondere.
“Non ho lasciato trasparire questo.”
“Chiama a casa di Sakura e prova a
vedere se per caso sia rientrata.”
“Sì, è una buona
idea.”
“Sasuke?”
“Sì?”
“Rischiamo di ottenere un buco
nell’acqua. Diamoci un tempo massimo, chiediamo ai ragazzi di
darci una mano… ma in caso se vediamo che la situazione non
migliora mettiamo in allarme la famiglia di Sakura… e la
polizia.”
Sasuke deglutì.
La polizia?
Chiuse il telefono senza dire altro.
Naruto osservò il display del
cellulare per qualche secondo, per poi dirigersi in salone, dove
Jirayia stava indossando il soprabito.
“Jirayia, è successa una
cosa strana.”
“Che succede?”
Il tutore lo guardò in maniera
interrogativa: i più gli avevano confidato che
dacché si era allontanato dallo stile di vista
dell’istituto, Naruto aveva continuato ad essere
sì impulsivo ma pian piano aveva anche iniziato ad essere
più deciso e perspicace.
Vederlo arrivare con quell’espressione
turbata era un vero e proprio campanello di allarme.
“Mi ha chiamato Sasuke.”
Affermò il ragazzo, in modo concitato. “Sostiene
che Sakura sia sparita dalla circolazione e che nemmeno sua madre abbia
sue notizie. Dice che avrebbero dovuto vedersi e che non risponde al
cellulare, è come se fosse spento.”
“Credi che le sia successo
qualcosa?”
“Sasuke sostiene che avrebbero dovuto
vedersi a casa di lei e che ad un certo punto, stando a quanto dice la
signora Haruno, Sakura sia invece uscita di casa in fretta e
furia.”
“E sulla base di cosa afferma che le
sia successo qualcosa?”
“Mi ha detto di parlare con
Hinata.”
“Beh, chiamala.”
Naruto osservò il sopracciglio alzato
di Jirayia e agguantò il telefono cordless poggiato sul
tavolino, cercando di digitare il numero di casa dell’amica.
“Vediamo… sì, mi
pare che il numero… ok, squilla.”
Jirayia attese.
Anche Naruto rimase in attesa finché
non ebbe ottenuto una risposta.
“Sì, buongiorno…
sono Naruto Uzumaki. Vorrei parlare con Hinata, è in
casa?”
“…”
“Grazie.”
Naruto guardò Jirayia, iniziando a
parlare poco dopo. “Sì, Hinata. Sono Naruto, senti
mi ha chiamato Sasuke, era preoccupato per Sakura. Mi spieghi che
succede?”
Jirayia vide il ragazzo strabuzzare gli occhi in
modo insolito.
“Itachi Uchiha?!”
Gli fece segno di mettere il vivavoce e Naruto
annuì con un cenno del capo. “Senti Hinata, non ti
imbarazzare ma ti sto mettendo in vivavoce, sono con
Jirayia… sai, lui è un poliziotto.”
“O-o-ok!” si udì
un timido trillo, proveniente dall’altro capo del telefono.
“Non perderò troppo tempo… Stamattina
sul giornale è uscito un articolo dedicato al fratello di
Sasuke, Itachi Uchiha.”
Jirayia strinse il bordo del tavolo.
“Non ho ancora comprato il giornale oggi, cosa
diceva?”
“Diceva che hanno concesso la
libertà vigilata al fratello di Sasuke perché
è malato e non vedente.”
Jirayia non parve sorpreso. “Credo che
sia una notizia datata.”
“Sì.”
Confermò Hinata inaspettatamente. “Il problema
è che Sakura ultimamente aveva avuto a che fare con un
ragazzo non vedente che spesso e volentieri trovava i mezzi per
trovarla e un po’ la corteggiava… a scuola o
comunque nei dintorni. Stamattina ha visto la foto sul giornale e ha
scoperto essere proprio il fratello di Sasuke e… anche io
l’ho incontrato mentre ero con lei… posso
confermarlo, quando ho visto la foto l’ho riconosciuto
subito.”
“Che cosa intendi quando dici che
Itachi Uchiha spesso e
volentieri trovava i mezzi per trovarla, pur essendo non vedente?”
“Voglio dire che era sempre con
qualcuno in grado di riconoscere Sakura. Come se la
seguissero… una sorta di stalking. Io le avevo detto di non
fidarsi.”
“Quindi?”
“Sakura è convinta che
Sasuke lo sapesse e che non le avesse detto niente.”
Jirayia alzò gli occhi verso Naruto:
lo vide rabbrividire.
“Credi che quindi stamattina sia andata
a cercare Sasuke, per chiedergli spiegazioni?”
“No… lo so per certo, ho
parlato al telefono con lei. Mi ha detto che stava andando da lui in
istituto e ha chiuso la chiamata. Poi circa un'ora e mezza dopo mi
ha telefonato Sasuke e mi ha detto che Sakura è
assolutamente irreperibile.”
“Sì, è quello che
ha appena raccontato a me.” Intervenne Naruto, duramente.
“Ma quello stupido non ha voluto raccontarmi i
dettagli.”
“Ho parlato con Ino e mi ha detto che
lei non ha assolutamente visto o sentito Sakura.”
“Ok, grazie Hinata.” Concluse
Jirayia. “Ti lascio parlare con Naruto.”
Naruto prese il telefono e tolse il vivavoce.
“Sasuke mi ha detto che sarebbe andato a controllare al parco
ma gli ho detto che se ci sono problemi è meglio chiamare la
polizia.”
“Sì, hai fatto bene. Dovete
aiutarvi a vicenda… io purtroppo con questo ginocchio non
posso fare molto. Mi puoi tenere aggiornata?”
“Certamente. Ti ringrazio,
Hinata… sei stata molto gentile.”
“A dopo, Naruto.”
“Ciao.” Naruto chiuse la
comunicazione e prese a osservare Jirayia, poggiandosi alla scrivania.
“Che devo fare?”
Jirayia si passò una mano sul viso.
“Vestiti. Ti accompagno al parco.”
Sasuke sapeva che, decidendo di recarsi a casa di
Itachi senza dire nulla, Naruto si sarebbe imbestialito come pochi.
Arrestò la sua corsa solo dopo essersi
reso conto di essere giunto presso il condominio in cui viveva Itachi,
così vicino sia alla scuola sia all’abitazione di
Sakura.
La sensazione che provò
però fu ben diversa da quella di perplessità che
aveva avvertito sotto casa di Sakura, da quella di estemporanea follia
accanto all’edicola o da quella di inquietudine dinanzi
all’istituto.
Quella che provò Sasuke, una volta
fermatosi, fu paura.
Ma non provava paura al pensiero che Sakura si
fosse cacciata in qualche guaio.
Provava paura al solo pensiero di dover
affrontare Itachi.
Un pensiero balenò nella sua mente
mentre osservava il portone: davvero era intenzionato a citofonare a
suo fratello?
Cos’avrebbe potuto chiedergli?
Ciao Itachi,
sono tuo fratello Sasuke. Sono ancora in collera con te per aver
sterminato la nostra famiglia ma oggi sono venuto qui per chiederti se
per caso hai sequestrato Sakura.
Era un pensiero surreale e ridicolo.
Ovviamente provò a citofonare ma non
ottenne alcuna risposta.
Le cose erano due: o non era in casa o non voleva
rispondere.
Sasuke rimase incollato al citofono ma non
c’era assolutamente possibilità di ricevere alcun
segno di vita.
Provò a citofonare a qualcun altro.
“Mi scusi, sono un amico di Itachi.
Forse non ha sentito il citofono… sono
preoccupato.” Buttò lì su due piedi.
“Non è che potrebbe aprirmi?”
Pregò il cielo che se la bevessero:
Itachi era cieco, non sordo ma poteva anche essere che una persona con
una disabilità come la sua corresse dei rischi anche tra le
mura di casa e che fosse legittimo preoccuparsi.
Volle il cielo che il portone si aprisse e che
Sasuke si precipitasse lungo le scale, fermandosi ad intervalli
regolari per analizzare i nomi sopra i campanelli di ciascuna porta,
finché al terzo piano non si fu imbattuto nel nome Uchiha.
Prese a suonare ma non ricevette alcuna risposta
perciò iniziò a bussare in maniera incessante.
Poggiò istintivamente
l’orecchio sulla superficie di legno ma non udì
alcun suono e quella convinzione balenò nuovamente nel
cervello di Sasuke.
O
non era in casa o non voleva rispondere.
Mentre osservava la superficie del legno della
porta, udì la suoneria del suo cellulare e rispose.
“Naruto.”
“Sasuke ma dove ti sei cacciato? Sono
qui al parco.”
“Ti sto raggiungendo.”
“Ma dove sei?”
Sasuke fece un respiro profondo e chiuse gli
occhi.
“Sto uscendo da casa di mio
fratello.”
“…”
“Non è qui. E se
è qui, allora non risponde nessuno.”
“Dove stai?”
“Non importa. Ci vediamo al
parco?”
“D’accordo, sono
all’ingresso est.”
Naruto chiuse la comunicazione e si
voltò verso Jirayia. “Sasuke è andato a
casa di suo fratello.”
Jirayia arricciò il labbro,
guardandolo attraverso il finestrino abbassato.
“Che ti diceva?”
“Dice che non c’è
nessuno o che non risponde nessuno.”
Jirayia agitò il giornale appena
acquistato. “Qui c’è scritto che Itachi
Uchiha lavora al centro operativo. È davvero possibile che
non sia in casa.”
“Che pensi che dobbiamo fare?”
“Bisogna avvisare la famiglia di Sakura
e chiamare la polizia.”
“Posso aspettare Sasuke?”
“Naruto, non fare fesserie. Voglio che
andiate a casa di Sakura dopo.”
“A casa di Sakura?”
“Dovete spiegare voi ai genitori di
Sakura che cosa può essere successo.”
“Ah… sì,
capisco.”
“Perciò trova Sasuke e
andate lì, io cercherò di raggiungervi quanto
prima.”
“Ci vediamo lì?”
“Sì.”
“Ti ricordi dove sta?”
“L’abbiamo accompagnata
più di una volta a casa.” Disse Jirayia.
“E tu adesso dove vai?”
Jirayia lo guardò. “Vado a
lavoro e nel frattempo do un’occhiata in giro. Tienimi
aggiornato, farò il possibile per venire da voi.”
Naruto annuì e osservò
l’auto di Jirayia allontanarsi lentamente.
Si appoggiò alla superficie ruvida del
muretto della recinzione del parco, in attesa che Sasuke giungesse
presso il punto di incontro che avevano concordato.
Passarono alcuni minuti, in cui il biondo si
ostinò a mangiucchiare le pellicine sul bordo delle unghie,
finché qualcosa non attirò la sua attenzione: tre
ragazzi e una ragazza entrarono a passo spedito nel parco.
Era quasi sicuro di averli già visti
nei dintorni della scuola, mai dentro.
La ragazza aveva i capelli di un particolare
rosso acceso e non perse tempo a scoccargli un’occhiataccia e
a dirgli: “Che cazzo hai da guardare?”
Naruto non arrossì di certo ma, preso
alla sprovvista, si affrettò a rivolgere lo sguardo altrove.
“Te la prendi con tutti gli sfigati che
ti guardano.” sentenziò uno dei tre ragazzi, che
sembrava avesse il fisico imbottito di grasso e muscoli insieme.
“Fatti i cazzi tuoi, ciccione. Non ti
spacco la faccia perché dobbiamo fare quel lavoro.”
Naruto riuscì a udire solo le parole bagascia e merda secca prima
che il volume delle loro voci scemasse completamente.
Non dovette attendere a lungo prima che arrivasse
Sasuke: sembrava distrutto.
“Niente, vero?”
“Niente.”
“Sasuke, ho parlato con Hinata e con
Jirayia. Dobbiamo andare dai genitori di Sakura… avvisare la
polizia.”
“La polizia?”
“Jirayia mi ha detto che sul giornale
c’è scritto che tuo fratello lavora al centro
operativo… sai, magari è al lavoro e con questa
storia di Sakura non c’entra niente.”
Sasuke
ci mise un po’ ad elaborare le parole pronunciate da Naruto:
era come se appena udito il termine niente la vista gli si fosse
completamente annebbiata.
Sentì le gambe vacillargli sotto il
peso del corpo ma la sensazione che provò non fu la stessa
avvertita quella mattina, alla vista del giornale.
Fu come se gli fossero venute a mancare
totalmente le forze.
* *
*
Quando Sakura aprì gli occhi, tutto
ciò che vide attorno a lei fu il buio più totale.
Provò ad alzarsi da terra ma
scoprì presto che le sue braccia erano state legate a delle
sbarre di legno, a giudicare dalla consistenza al tatto.
“Aiuto!” gridò,
scuotendole. “Qualcuno mi aiuti!”
Silenzio. Sembrava che non stesse volando una
mosca.
Com’era finita lì?
Quella non era una domanda a cui poteva
rispondere.
Una cosa però insisteva nel
tormentarle la mente: cloroformio.
Qualcuno l’aveva fatta
svenire… e sapeva anche chi.
Gaara.
Aveva visto il suo sguardo folle proprio poco
prima di perdere i sensi, i suoi occhi chiari cerchiati da quei solchi
profondi, dovuti a una grave mancanza di sonno.
La vera domanda era: perché?
Neanche a quel quesito avrebbe potuto dare una
risposta, almeno non in quel momento.
L’unica cosa che sapeva di Gaara era
che non fosse affatto normale e che l’ultima volta che aveva
messo le mani su una persona, quest’ultima era finita in
ospedale in maniera quasi irrimediabile.
Le mani erano legate alle sbarre con una di
quelle fascette di plastica, usate per unire insieme i cavi elettrici.
Provò a tastarsi le tasche, per quel
che poteva.
Ovviamente non aveva il cellulare addosso, glielo
aveva preso.
Era bloccata, in trappola, in un luogo che non
conosceva.
Però, a giudicare dall’odore
che aspiravano le sue narici, probabilmente si trovava in una palestra:
quell’odore di sudore misto a polvere le trasmise una
sensazione sgradevole che ovviamente contribuì ad alimentare
il suo stato di malessere.
I suoi dubbi però scemarono, almeno in
parte, quando vide una soglia aprirsi in fondo alla sala in cui si
trovava, lasciando intravedere la silhouette di qualcuno in contrasto
con una fonte luminosa.
I capelli scompigliati sul capo le suggerirono
immediatamente che si trattava proprio di Gaara ma
quell’apertura verso l’esterno, e quindi verso la
luce, le permisero di squadrare con attenzione qualche dettaglio
dell’ambiente circostante, imperscrutabile al buio.
Il pavimento verde di linoleum, l’ombra
della rete del campo di pallavolo e la sagoma del contenitore metallico
dei palloni le fecero subito capire che si trovava non in una palestra
qualsiasi ma proprio in quella della Leaf.
Era a scuola ed era legata alla spalliera della
palestra femminile.
“AIUTO!” gridò.
“È inutile che gridi. Non
possono sentirti.”
Gaara manifestò subito una compostezza
inattesa, quasi lucida.
“Che cosa vuoi?!”
esclamò Sakura in maniera irruenta. “E
perché mi hai portata qui?”
“Questi non sono affari tuoi.”
“Ah, no?!”
Chissà che ora era.
Proprio mentre si poneva quell’ennesima
domanda, Sakura intravide un barlume di speranza: probabilmente, anzi,
sicuramente, Sasuke in quel momento la stava cercando.
Sasuke non era di certo il tipo da rimanere con
le mani in mano se lei inaspettatamente non si fosse presentata a un
appuntamento con lui.
Le venne da sorridere: per una volta la sua
testardaggine sarebbe risultata utile a qualcosa.
Ma in realtà non c’era alcun
motivo letico per cui avrebbe dovuto essere contenta.
Era comunque in trappola.
“Perché mi hai portata qui a
scuola?” insistette.
Niente
panico…
Gaara non rispose. Si limitò ad
osservarla con uno strano sguardo corrucciato, come se stesse
rimuginando su qualcosa di poco convincente.
“Evidentemente è destino che
la gente mi aggredisca nelle palestre di questa scuola.”
“Chi ti ha aggredita qui?”
“Non è stato qui,
è successo nell’altra palestra… dove si
fanno i corsi di pugilato.”
Sakura alzò gli occhi sul ragazzo.
Non sapeva bene se fosse il caso di dirgli quello
che stava pensando ma non aveva molta scelta, in qualche modo doveva
riuscire ad uscire da quella circostanza poco piacevole.
“Sono stata aggredita da Dosu Kinuta e
i suoi amici.”
Ottenne l’effetto sperato: Gaara
probabilmente non era al corrente di quell’informazione e il
riferimento a Dosu Kinuta forse non lo aveva spaventato ma quanto meno
scosso.
“Dosu Kinuta? E
perché?”
“Questi non sono affari tuoi.”
Gaara la guardò: le parti si erano
invertite.
“È molto meglio per te che
tu me lo dica.”
“Non provare a torcermi un solo
capello.”
“Non puoi chiamare la
polizia.” Gaara estrasse il telefono di Sakura. “Il
tuo telefono ce l’ho io… ed è
spento.”
“Fuori è pieno di persone
che a quest’ora mi staranno già
cercando.”
“Cosa te lo fa pensare?”
“Lo so e basta.”
“Dimmelo.”
“Te lo dico solo se mi dici
perché mi trovo qui.”
Silenzio.
Il fatto che Gaara non stesse ribattendo mise
Sakura in stato di allerta: evidentemente quella faccenda che lui
l’avesse sequestrata e che tuttavia fuori ci fosse qualcuno
disposto a cercarla sembrava turbarlo molto.
Forse aveva dato per scontato che quel territorio
sarebbe rimasto off limits abbastanza a lungo da non dover avere
problemi.
Le cose non stavano così, almeno non
per lei.
Ma la domanda continuava ad essere una:
perché lei si trovava lì?
“Tu stai con Sasuke Uchiha,
vero?”
Sakura distolse lo sguardo, arrossendo.
“Non sto con Sasuke…”
“Ma lo conosci bene.”
“Perché la cosa ti
interessa?”
“Sono io quello che fa le
domande.”
“Non ti dirò niente
finché non mi dirai che cosa ci faccio qui.”
“Sei qui perché l'ho voluto
io. Perché, come ti ho detto, conosci Sasuke
Uchiha.”
“Non ti dirò niente su
Sasuke, stai perdendo il tuo tempo.”
“Invece…” Gara si
accovacciò, per osservarla più da vicino.
“Adesso mi spieghi perché Orochimaru si sta dando
tanto da fare per questo Sasuke Uchiha.”
A Sakura si raggelò il sangue: il
fantasma di Orochimaru che andava alla ricerca disperata di Sasuke le
fece, per l’ennesima volta, tornare in mente in quale
situazione di disagio sociale vivesse il ragazzo; le fece ricordare che
non tutte le persone erano ben intenzionate o disposte a vivere una
vita fatta di lavoro, sacrificio e onestà.
Alcune persone erano disposte a tutto pur di
ottenere ciò che volevano e Orochimaru era una di queste,
Sakura lo aveva sentito sulla sua stessa pelle cosa significava essere
vittima di un sopruso.
Anche quello che le stava attuando Gaara era un
vero e proprio terrorismo psicologico, mirato ad ottenere qualcosa,
qualcosa che con Sakura aveva poco a che fare.
“Io non lo so.”
“Ne sei sicura?”
“Anche se sapessi qualcosa, stai certo
che non ti direi niente. Ma in ogni caso stai perdendo il tuo
tempo… io non so niente.”
Sakura sentenziò quel pensiero con
fermezza, come se in quel momento non fosse legata alla sbarra della
spalliera, con di fronte un ragazzo dalla sanità mentale
piuttosto limitata.
“Che ti ha fatto Dosu Kinuta?”
“Lui e i suoi amici mi hanno pestata
perché volevano qualcosa da Sasuke.” Rispose
Sakura con sdegno. “Li aveva mandati Orochimaru…
ma ti ripeto, io non so niente di cosa voglia da lui… e
spero di non doverlo mai sapere.”
Gaara continuò a osservare Sakura con
una freddezza glaciale.
Stava probabilmente ragionando su quale dovesse
essere la prossima mossa ma forse in quel momento non era in grado di
prendere una decisione.
Si limitò a farle un’altra
domanda.
“Ora che sai perché sei
qui… dimmi perché sei tanto convinta che presto
arriverà la polizia.”
“Non lo so se arriverà la
polizia.” Sbottò Sakura. “Ma sono sicura
che qualcuno in questo momento mi stia cercando. Sasuke mi
starà cercando.”
“Questo lo immaginavo ma supponi che
per esempio Sasuke si sia imbattuto nelle persone sbagliate.”
“Persone come te?”
Gaara non rispose ma attese comunque una replica
alla sua tesi.
Sakura strabuzzò gli occhi.
L’idea che in quel momento Sasuke fosse
con qualcuno dalle pessime intenzioni e che lei fosse lì a
dover ragionare sulla follia di certi individui non la spaventava.
La terrorizzava.
Ma Gaara non aveva tenuto conto di una cosa.
Gaara non aveva tenuto in considerazione il fatto
che nella vita di Sakura non ci fosse solo Sasuke ma ci fossero anche
altre persone, come i suoi genitori, Naruto, o Hinata.
Persone con cui lei, prima di cacciarsi in quella
situazione tanto precaria, aveva parlato e che conoscevano i suoi
programmi per la giornata e soprattutto i suoi recenti stati
d’animo, le sue ansie e preoccupazioni.
Sakura non sapeva se Gaara volesse Sasuke o lei
per arrivare in maniera indiretta a Sasuke.
Tuttavia, se davvero Gaara si trovava in
prossimità di casa sua o dell’istituto Sarutobi,
certo non avrebbe mai potuto conoscere la causa per la quale Sakura
fosse tanto motivata ad andare a parlare con Sasuke, in quel frangente.
“Tu non ce li hai degli amici, vero
Gaara?”
Sakura seppe di aver toccato un nervo scoperto
quando vide Gaara mostrare un’espressione di rabbia atroce
mista ad imbarazzo.
“Che hai detto…?”
“Ti ho chiesto se hai degli amici. Lo
sai che cosa vuol dire avere degli amici?”
Le dita delle mani di Gaara avevano preso a
tremare convulsamente mentre reggevano il telefono di Sakura.
Probabilmente non era preparato ad
un’affermazione del genere.
Decise di cavalcare quell’onda.
“La verità è che tu, Gaara,
non hai la più pallida idea di che cosa siano i rapporti
interpersonali e non puoi neanche lontanamente immaginare che cosa
accade quando una persona a cui vuoi bene è nei
guai.”
“Perché tu osi parlarmi in
questo modo…?”
Fece cadere il telefono a terra e le sue mani
presto si tuffarono in mezzo ai capelli, stringendoli.
Era fatta.
A Sakura non importava se Gaara le avesse fatto
del male ma ormai il gioco valeva la candela.
“Te lo spiego subito… tu non
lo sai ma stamattina ho scoperto una cosa e ho deciso di chiamare la
mia amica Hinata per confidarmi con lei e dirle cosa fossi intenzionata
a fare; tu non puoi essere a conoscenza del fatto che questo pomeriggio
io e Sasuke avremmo dovuto incontrare il nostro amico Naruto e tutti
gli altri al parco e che sarebbe risultato strano non farci vedere nei
paraggi; certo l’opzione alternativa poteva essere che
entrambi ci fossimo concessi del tempo insieme ma a questo punto
entrano in gioco i miei genitori. A mia madre avevo detto che sarei
uscita ma sarei anche tornata subito a casa e… sai
com’è, quando io dico a mia madre di fare una cosa
ma non la faccio, irrimediabilmente se lei lo scopre, si preoccupa e
inizia a telefonare in maniera osses…”
Sakura non riuscì a finire la frase.
C’erano tante cose che Gaara non sapeva.
Gaara non sapeva quanto Sakura e Hinata fossero
amiche; Gaara non sapeva come mai Sakura fosse importante per Sasuke;
Gaara non sapeva, anche se presto lo avrebbe imparato, quanto Naruto
fosse diffidente nei confronti delle persone che si nascondevano dietro
a una maschera e non si rivelavano per come erano, sia che si parlasse
di Sasuke e del suo passato, sia che si parlasse di Gaara e della sua
violenza, nascosta dietro alla sua apparente indifferenza.
E poi c’era un’altra cosa che
Gaara non sapeva e non avrebbe mai avuto modo di conoscere.
L’amore di una madre.
And I hope that you are
having the time of your life
but think twice, that's
my only advice…
Come on now, who do you,
who do you, who do you,
who do you think you are?
Ha ha ha! Bless your
soul…
You really think you're
in control…
Well,
I think you're crazy,
I think you're crazy,
I think you're crazy,
Just like me…
Crazy - Gnarls Barkley
Prossimo
capitolo: Non è abbastanza
Secondo
voi che canzone metterò la prossima volta?
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