Lo Sterminatore di Incanti
Lo Sterminatore di Incanti
Esistono sul serio, gli Sterminatori di Incanti.
Uomini senza identità che hanno consacrato la propria vita alla spada e alla fede.
Uomini che vivono per uccidere.
Uomini che hanno sfiorato l'abisso, e sono sopravvissuti.
L'aria odorava di sudore, terra, acido e veleno.
Henning lo percepiva nel palato, nel grumo di sangue nella gola, nel
cranio spaccato della creatura che aveva appena massacrato. Nei
racconti si sussurrava che fossero streghe, Incanti. Seducevano gli
uomini con la loro pelle fulgida, i seni piccoli, lo sguardo filato col
fuoco. Non erano altro che apparenze, perché bastava chiudere
gli occhi per sentire il loro fetore di decomposizione. Si nutrivano di
desideri, di uomini.
Henning rotolò al fianco della carcassa della
strega, slacciò le cinghie di cuoio della fodera della spada,
riprese fiato sotto il primo bagliore mattutino.
Non aveva molto tempo.
Acceso un piccolo fuoco, scaldò la lama della sua daga e se la
premé sulle ferite aperte. Non urlò, ormai Henning non
aveva più niente per cui urlare.
La sua carne bruciata aveva lo
stesso gusto di quella di un pollo, di quelli un po' vecchi, con la
scorza spessa che si masticava a fatica.
Gli brontolò lo stomaco, e Henning si ripromise che prima o poi
si sarebbe concesso una notte di vero cibo e riposo in una taverna.
Ma gli uomini come Henning non rispettavano mai le promesse.
Lo Sterminatore di Incanti recise un lembo della pelle della strega e poi montò a cavallo.
*
Lo chiamavano Cancello degli Inferi: un nome
appropriato per quel santuario arroccato nel ventre dell'altura, che
delimitava il confine tra ciò che apparteneva agli umani e
ciò che invece loro si erano presi.
Era stato costruito con le pietre di una frana, dopo che una notte la
montagna aveva seppellito donne, uomini e bambini durante il sonno.
Erano terre povere quelle, sfibrate da fame e malattie. Da quell'altitudine Henning riusciva a distinguere il colore secco del
grano, i campi stretti nella cinta muraria del castello che dominava la
valle.
Henning legò il proprio cavallo ad un fusto,
gli diede una pacca sul muso, si issò la bisaccia sulla spalla.
Il portone del santuario era già socchiuso; a lui bastò
percorrere la navata di torce, inginocchiarsi all'altare e chiedere
assoluzione.
Alle sue spalle, le ginocchia rattrappite dall'umidità, una donna piangeva con le mani congiunte alla croce.
Si chiamava Murien, suo marito era morto, aveva tre figli, due piccole
femmine e un maschio di sedici anni. Il giovanotto si chiamava Vinn, ed
era il motivo per cui Henning aveva iniziato quella caccia.
Vinn aveva incontrato la strega sulla strada del villaggio. Lei stava
raccogliendo margherite in un cesto, lui l'aveva guardata. Avevano
fatto l'amore dietro una quercia.
Una volta tornato a casa, Vinn era crollato a terra con febbre e
vomito. La sua pelle era diventata grigia, come se ne avessero
appannato il colore.
Il monaco del santuario l'aveva benedetto, poi gli aveva offerto un
giaciglio nella casa del Signore sperando nella clemenza divina. Alla fine
aveva chiamato
Henning.
Lo Sterminatore si fece scortare al capezzale del giovane e
ne tastò la fronte bollente, il sudore sulle tempie, le labbra
tagliate dalla secchezza.
Il monaco, che stava strizzando un panno in un bacile d'acqua, si
fece da parte con un sospiro.
Murien stropicciò le mani dentro la gonna lurida.
«Può guarirlo?»
«Posso salvarlo» disse Henning. Lasciò cadere la
bisaccia sul pavimento, un rumore di ferraglia cozzò sulla
pietra
cava. Con un mortaio sminuzzò la pelle della strega che aveva
succhiato la vita a Vinn; poi la scosse in un liquido pastoso
finché non si disciolse.
«Fateglielo bere» fu l'ordine.
Murien titubò, le tremarono le mani. Solo quando il monaco la
esortò a raccogliere il filtro, la donna si
sfogò in un pianto di gioia. Aveva salvato il suo unico figlio,
gli era debitrice, gli doveva la vita.
Henning non si attardò oltre. Riprese il galoppo senza aspettare
l'urlo di una madre che avrebbe visto il proprio figlio tossire schiuma
bianca e tossire finché non avrebbe sanguinato i denti, poi i
polmoni.
Henning poteva solo salvare l'anima, purificare lo spirito, non guarire un corpo dannato.
Quella notte dormì alla pioggia, contro un tronco bagnato.
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