Dopo
quell'episodio, la mia vita andò avanti felicemente. Mamma e
papà
mi amavano, e io più di loro. Crescendo, lo feci nel
più normale
dei modi. Andavo a scuola, avevo i miei amici e tutto quello che si
potesse desiderare.
Per
quel che riguarda i Guardiani, io non li rividi mai più. Mi
ricordavo di loro, naturalmente, e dell'avventura che avevamo vissuto
insieme tanti anni prima, e anche se continuai a cercarli
incessantemente, non riuscii mai a ritrovarli. Comunque sapevo che
erano lì e che vegliavano su di me e su tutti gli altri
bambini,
perché me ne arrivavano puntualmente le prove: a Natale i
regali non
mancavano mai, così come le uova dipinte a Pasqua. Quando mi
cadeva
un dentino, il mattino seguente, guardando sotto al cucino vedevo che
era stato sostituito da una sterlina argentata, e inoltre facevo
sempre sogni bellissimi. Ma più di tutto, se capitava che
fossi
triste o annoiata, d'improvviso il cielo si annuvolava e cominciava a
fioccare allegramente, restituendomi il sorriso.
Ad
ogni modo, l'incontro con Pitch e i Guardiani contribuì a
farmi
ricordare meglio: non solo le cose tristi o le brutte visioni con cui
l'Uomo Nero aveva tormentato i miei primi anni nella nuova vita, ma
anche quelli belli. E, in un certo senso, quelli erano i peggiori,
perché mi sembrava di vivere in una mera imitazione di
quella mia
vita passata, senza tuttavia poterne replicare appieno la
felicità
che avevo avuto prima che Pitch distruggesse le vite di ognuno di
noi. A venticinque anni ancora credevo fermamente nei Guardiani e nei
loro poteri, e presto nacque in me il desiderio, il bisogno di
ripassare nei luoghi che erano stati importanti per me nell'esistenza
di Bellatrix, sperano forse di poter incappare di nuovo in uno di
loro, e così cominciò il mio viaggio alla
riscoperta di me stessa.
E a un anno dall'inizio, il mio viaggio mi aveva portato dove
anticamente sorgeva il paese dov'ero nata, un borgo nella Germania
del Nord il cui nome è dimenticato da secoli assieme alla
sua
esistenza di cui ormai non è rimasta che qualche rovina
diroccata e
pericolante. Da lì, all'altra parte del mondo, dove avevo
vissuto
per ottocentoventuno anni dopo che Sandy mi aveva portato via con
sé.
Trovai il mio rifugio completamente degradato: l'albero cavo che ne
custodiva l'ingresso non c'era più, sostituito da un ceppo
carbonizzato e annerito. Doveva essere andato a fuoco anni prima,
perché era coperto di muschio e rampicanti. Probabilmente
era stato
colpito da un fulmine, oppure qualcuno aveva appiccato il fuoco
volontariamente. Ad ogni modo, non era rilevante: quel luogo non mi
apparteneva più, e io non avevo alcun motivo di restare
lì.
La
mia tappa successiva, così come le due precedenti, non mi
era né
nuova né mi era particolarmente caro: mi trovavo al limitare
della
foresta, poco lontano da una piccola città che negli anni,
per quel
poco che avevo visto io durante la mia visita precedente, non era
cambiata più di tanto. Stavo scrutando oltre gli alberi
più
esterni, nel tentativo di individuare una figura grigia e allampanata
dal profilo appuntito. Ma a quanto pareva, Pitch Black non bazzicava
più quel posto da anni, almeno quanto io non frequentavo il
mio.
Tuttavia,
continuai imperterrita a scrutare come un'attenta vedetta,
finché il
suono di una voce mi distrasse dal mio intento.
<<
Ehi, laggiù! Tutto bene? Si è forse persa?
>>
Mi
voltai senza una parola, e a qualche metro da me si trovava un uomo
sui quarant'anni, vestito in giacca e cravatta. L'uomo mi guardava
con attenzione, stringendo nella mano una piccola valigetta da
ufficio. A parte le sopracciglia leggermente aggrottate in
un'espressione confusa non pareva avermi riconosciuta, ma a me
bastò
una sola occhiata per riconoscerlo all'istante.
<<
Tutto bene? >>
Assentii
con un cenno del capo e continuai a osservarlo, chiedendosi quanto ci
avrebbe messo a fare i suoi dovuti collegamenti. Lui posò a
terra la
valigetta e si avvicinò cautamente, continuando a rivolgermi
la sua
espressione confusa.
<<
Sei sicura di sentirti bene? Come ti chiami? >>
<<
Dovresti saperlo, Jamie! >> risposi io, con una
risata. Lui
parve sorpreso, e attaccò con la domanda successiva.
<<
Mi... mi conosci? >>
Annuii
di nuovo, aspettandomi che mi riconoscesse a sua volta. Ma
ciò non
accadde, e la cosa spiazzò me.
<<
Ti ricordi di me, vero? >>
<<
Non ti ho mai visto prima, mi dispiace. Che ci fai qui, da sola?
>>
<<
Aspetto. >>
<<
Cosa? >>
Stavolta
non gli risposi, ma tornai a guardare tra gli alberi nel tentativo di
scorgere una figura umana qualsiasi.
Un
fruscio alle mie spalle mi disse che Jamie si era seduto su un masso
dietro di me. Forse si era messo a osservare gli alberi a sua volta,
comunque rimase in silenzio alcuni minuti.
<<
Da piccolo, venivo spesso qui a giocare con i miei amici d'infanzia.
Tra noi ragazzini si diceva che questa foresta fosse abitata
dall'Uomo Nero, e allora ci sfidavamo in una prova di coraggio:
vedere chi tra di noi si addentrava più lontano tra gli
alberi. Ci
piaceva venire qui al tramonto, verso sera. Una volta ci siamo
addentrati così a fondo che non riuscivamo più a
trovare la strada.
Mia madre si arrabbiò tantissimo, non mi fece più
uscire per un
mese! >>
<<
E l'Uomo Nero... l'hai mai visto? >> chiesi,
mentre un
sospetto si faceva rapidamente largo in me. Mi voltai verso Jamie,
aspettando di sentire la sua risposta.
Lui
si passò una mano tra i capelli e scosse la testa.
<<
Ovviamente no! >> disse, con un tenue sorriso, <<
Cose come l'Uomo Nero non esistono, sono solo leggende! Roba per
bambini, per farli stare tranquilli. Sai, cose del tipo:
“lavati
bene i denti, o la Fatina non verrà”! Quale
genitore non racconta
ai figli delle Leggende? Ne avrai sentito parlare sicuramente anche
tu, no? >>
Quelle
parole furono come un pugno allo stomaco. Dunque, Jamie aveva finito
col dimenticare. Proprio lui, il primo bambino a credere in Jack
Frost, l'unico che durante la seconda ascesa di Pitch non aveva mai
smesso. Ad alcuni succede, purtroppo, ma non pensavo che lui sarebbe
stato tra loro. A volte, quando un bambino cresce, la sua lucina
corrispondente sul Globo dei credenti si spegne. Non solo! Alcuni non
solo si dimenticano di credere nei Guardiani, ma addirittura che essi
esistano! Di solito succede verso i dieci anni d'età, ma i
casi più
longevi si protraggono anche ai dodici o tredici. È
inesorabile, con
la crescita. E poi, invece, ci sono altri bambini le cui luci non si
spengono mai. Conoscendo Jamie ero sicura che la sua luce avrebbe
continuato a brillare, e invece chissà da quanto si era
spenta!
<<
Pronto? Ci sei? >>
Jamie
continuò a guardarmi con curiosità, aggrottando
di nuovo le
sopracciglia da dietro le spesse lenti quadrate incorniciate di
plastica nera.
<<
Mi sembri un po' pallida... ti senti bene? >> chiese
di
nuovo, alzandosi.
Io
annuì di nuovo, ma interiormente non mi sentivo bene per
nulla.
Jamie doveva averlo capito, e dopo qualche istante in cui
sembrò
riflettere mi prese per mano.
<<
Andiamo, ti porto a casa mia. Non abito lontano, non c'è
molta
strada da fare... >>
Io
non feci resistenza, e mi lasciai guidare docilmente da lui fino alla
casa che era stata dei suoi genitori. Il giardino era leggermente cambiato: l'erba cresceva
trascurata in piccoli cespugli filamentosi e il prato era disseminato
di giocattoli qua e là, ma per il resto la
casa era esattamente come l'ultima volta che l'avevo vista
dall'esterno. Perfino la finestra dalla quale l'avevo aiutato a
“evadere”, aveva le stesse tende di allora.
Mi
trovavo seduta sul divano nel suo soggiorno, a osservarmi attorno con
interesse. Su una credenza in noce erano disposte come in una vetrina
decine di foto in cornice, una delle quali ritraeva una bellissima
donna dagli occhi verdi e gentili e i capelli neri raccolti in
un'acconciatura
semplice.
Neanche
mi ero accorta che Jamie era tornato, porgendomi premurosamente una
grande tazza fumante.
<<
Ancora non mi hai detto come ti chiami...! >> buttò
lì
lui, sedendosi sulla poltrona di fronte.
<<
Bellatrix. >> risposi, dopo un secondo di
disorientamento.
Mi morsi prontamente la lingua: sebbene fossi rinata come Seren, aver
vissuto più tempo come Bellatrix mi provocava ancora qualche
confusione.
<<
È un nome strano, ma bello! Non è la prima volta
che lo sento, ma
non deve essere molto usato... eppure mi sembra di aver conosciuto
un'altra Bellatrix, anni fa. >>
<<
Davvero non ne hai più memoria, Jamie? >>
chiesi, sporgendomi in avanti per fissarlo meglio, la mia voce ridotta
a un sussurro incrinato, << Calmoniglio, Dentolina...
Sandy e Nord... Jack! Non ti ricordi più di loro, di noi?
>>
<<
Jack? Jack Frost, dici? >>
Io
annuii, speranzosa. Ma lui si precipitò a disilludermi con
un'altra
risata.
<<
Era la mia leggenda preferita, la sua! La storia di questo ragazzo
dai capelli di neve che porta il gelo e l'inverno... mi affascinava
più di tutte! >>
Io
bevvi un sorso di tè, per dissimulare la mortificazione che
le sue
parole mi avevano iniettato in corpo.
<>
Lui
scosse di nuovo la testa, sorridendo.
A
dirla tutta, non ne sarei rimasta sorpresa nemmeno se avessi
mantenuto il mio aspetto di prima. Ero cambiata almeno quanto lui, in
quei ventisei anni. La forma del mio viso e quella dei miei occhi era
in realtà più o meno la stessa di allora, seppure
un po' più
affilati o arrotondati. In più i capelli mi si erano scuriti
e li
avevo lasciati crescere, il che contribuiva ad allontanare il mio
nuovo volto da quello che Jamie aveva conosciuto, di cui
però non
aveva memoria.
<<
Chi è quella donna? >> chiesi per
cambiare argomento,
accennando al ritratto della donna che torreggiava su tutte le altre
foto.
<<
Mia moglie, Eloise >> rispose Jamie, indicando
una foto che
li ritraevano in abiti formali: lui con uno smoking grigio topo, lei
in un bell'abito bianco dal taglio semplice.
<<
È molto bella! >>
<<
Purtroppo è morta anni fa. Di cancro. >> continuò
Jamie,
con il volto contratto da un'espressione amara.
<<
Mi... mi dispiace... >> azzardai, sentendomi in
colpa.
<<
Non dispiacerti, sono cose che accadono... bisogna solo trovare la
forza di andare avanti, tutto qui. >>
<<
E tu l'hai trovata, questa forza? Anche se hai perso qualcuno che ha
lasciato un vuoto tanto incolmabile? >> chiesi,
con voce
tagliente. Mi ricordava tutto quello che avevo passato io secoli
prima, rivedevo in Jamie la piega che avrebbe potuto prendere la mia
vita antica: trovare la forza di superare il dolore, o lasciare che
il dolore ti corroda. Eravamo il risultato di reazioni differenti
alla stessa situazione, ma mentre io mi ero lasciata vincere, lui era
riuscito a rialzarsi, o almeno così evincevo dalle sue
parole. Ma in
quanto a fatti?
<<
Non è stato facile, e da solo di certo non sarei riuscito a
risollevarmi. Per fortuna che c'è mia figlia!
>>
E,
quasi come evocata da forze sovrannaturali, dal piano di sopra si
sentii un forte scalpiccio che rimbombò nel salotto dalle
scale. Un
attimo dopo, nella stanza irruppe un piccolo uragano biondo che si
gettò al collo di Jamie con urletti eccitati.
Indossava
un vestitino azzurro e un vecchio, familiare cappello da esploratore.
<<
Papà, papà! Guarda cosa abbiamo trovato io e
Linda! >> urlò
la bambina, mostrando al padre una vecchia scatola di cartone.
<<
Quante volte te lo devo dire? Le cose di papà non si
toccano! Qui
dentro c'è roba vecchia, arrugginita! Potresti farti male,
lo sai!
>> la rimproverò lui, togliendole la
scatola dalle mani.
Dopodiché, forse pentito del suo atteggiamento troppo
aggressivo, le
sfilò affettuosamente il cappello per scompigliarle i
capelli.
<<
Facciamo così, puoi tenerti il cappello se prometti che non
curioserai più tra le mie cose! >>
La
bambina emise un urlo di gioia e si buttò al collo del padre
di
nuovo ,
per
poi balzare a terra e sparire con un sonoro scalpiccio su per la scala.
<<
Linda è la nostra tata >> si
affrettò a spiegare Jamie,
sollevando il coperchio della scatola per controllare che dentro non
mancasse nulla. << Una brava ragazza, quelle
due si
vogliono un bene dell'ani... >>
Restò
qualche istante in silenzio, osservando il fondo con un'espressione
più accigliata di quelle che gli avevo già visto
sfoggiare.
<<
Che... che succede? >> chiesi titubante,
posando la tazza
ormai vuota.
<<
Oh niente... è solo... cavolo, sarà da quando ho
quattordici anni
che non guardo qui dentro! >>
Afferrò
qualcosa e lo tirò fuori per mostrarmelo. Quando vidi di che
si
trattava, per me fu difficile mascherare la sorpresa e farla passare
per disorientamento.
<<
È solo un giocattolino, niente di che... ce l'ho da anni,
dovrebbe
essere una specie di torcia. Ma ero sicuro che fosse rotta, non
ricordo nemmeno chi me la diede, so solo che smise di funzionare quasi
subito... >>
E
invece, la stellina che gli avevo donato anni prima splendeva forte e
luminosa, esattamente come nel giorno in cui gliela avevo data. La
cosa sembrava crucciarlo particolarmente, ma per me non esisteva
alcun mistero: ha già detto, no, come alcune luci non
smettano mai
di risplendere nonostante si provi in ogni modo di spegnerla.
<<
Non c'è neanche il vano delle batterie, e non è
fosforescente >>
riprese Jamie, rigirandosi quel piccolo oggettino tra le dita.
<<
Figurati, >> continuò, riponendo la
stella nella sua
scatola, << che non ricordo nemmeno
più chi me l'ha data!
Chissà come può essere che funzioni adesso,
mentre invece, in tutti
questi anni... Mah, chissà! >>
Richiuse
la scatola, la ripose sul divano accanto a sé e mi sorrise.
Sorrisi
anche io, senza riuscire a trattenere una smorfia saccente.
Eh
già, Jamie... Chissà!
…
Chiedo
perdono per aver toppato anche l'ultimo appuntamento, ma ieri, dopo
aver fatto un controllo generale non sono riuscita a postare causa
sfioramento di crisi interiore. In parte dovuta proprio al capitolo,
in parte per altri mazzi. Tra i quali un cosplay di Muscolone che mi
sta dando qualche noia, ma insomma... se non è noia
è mainagioia!
Il
capitolo, giusto. Non credo sia uno dei miei meglio riusciti ma
fidatevi, sono stata in grado di mettermi con tutto l'impegno
possibile e scrivere anche di peggio.
Nella
stesura originaria avevo pensato di far vedere Seren/Bellatrix
sposata con Jamie, ma vedendo che la descrizione di come questo
avrebbe potuto succedere stava diventando troppo lunga ho deciso di
troncarla per non annoiare nessuno. Voi fate conto che, alla fine,
sia successo :3
…
…
…
Ok,
inutile girarci intorno. Siamo alla fine e in un modo o
nell'altro
devo farmene una ragione. Che posso fare io, se non ringraziarvi fino
allo sfinimento? Sembrerò idiota, ma senza tutti i feedback
che mi
avete dato in tutte queste settimane probabilmente avrei smesso di
postare al terzo capitolo. Quindi Dracarys grazie specialmente a te,
grazie mille per avermi impedito, seppure senza saperlo, di avermi
fatto cestinare la storia dopo tutto il lavoro che ci ho impiegato.
Grazie davvero. Non è perfetta, probabilmente ci
sarà anche qualche
errore qua e là, ma rappresenta due anni della mia vita e la
me
stessa di allora mi avrebbe sicuramente tirato un cazzotto di quelli
tosti se mi fossi azzardata a cancellarla. Insomma, mollare avrebbe
significato non rendere giustizia a tutto il sangue/sudore/lacrime
versato per scriverla, o le innumerevoli notti passate a scrivere con
le cuffie nelle orecchie e la torcia sotto al lenzuolo per non farmi
scoprire ancora sveglia alle tre e mezza di notte. Insomma, senza di
te che ad ogni capitolo mi hai dato un parere e un incoraggiamento,
hai voglia...!
D'accordo,
la sto menando un filino troppo. Vado a scegliere un'OTP su cui
scrivere la mia prossima... roba. E intanto a scolarmi una pinta di
burrobirra, che quella non guasta mai. Grazie di nuovo a tutti quelli
che, al solito, hanno avuto la pazienza di sorbirsi i miei deliri fin
qui, a chi ha messo la storia tra le seguite/preferite, e naturalmente
agli altri recensori (di cui ovviamente non ricordo i nomi
perché ho il cervello bucato) che mi hanno dato un riscontro
positivo. Spero di rivedervi in qualche fanfiction futura (vostra o
mia!)
Saluti,
Tec
|