Ma
eccomi finalmente qui con questo capitolo decisivo della ff *___* Come
sono contenta di essere arrivata già a questo...quando ho
ripreso in mano la storia mi continuavo a chiedere se avrei avuto
costanza nel riscriverla, invece sembra ce la stia facendo, mi sta
riappassionando e mi vengono in mente sempre nuove idee!
Inoltre
è anche merito vostro che mi spronate a continuare ;) questo
è il mio capitolo preferito...spero lo possiate apprezzare
anche
voi---> Ichigo so
già non lo apprezza troppo XDDD Vero oneechan?
Grazie di cuore a
Melantò,
Eos, Kara, berlinene e tutte coloro che
leggono questa ff !
Un grazie speciale ad
Haley
per
le lunghe recensioni e le mail*___* sul nostro caro Jun! Inoltre il cap
scorso te l’varei lo stesso dedicato anche se non me lo
chiedevi,
eh eh ^___^ Mi sembrava logico! Sono contentissima ti sia piaciuto!
Grazie
millissimissime a Ichigo
per il betaggio extra veloce...se non ci fosse lei *_* ..non
riuscirebbero ad inventarla! Voglio solo l’originale
é_é
A
voi tutte....
Buona
lettura!
Il cuore e il pallone
V parte
Di
Releuse
“Stai in guardia, portiere!”
La voce di Jun Misugi raggiunse le mie orecchie trasportata dal vento
che, quella mattina, soffiava dolcemente. Il timbro intimidatorio si
sposava bene con la posa assunta dal principe del calcio: il dito
indice puntato fermamente nella mia direzione indicava che mi stava
sfidando.
“Questo sarà l’ultimo tiro,
preparati!”
Gridò ancora, con l’espressione di chi sa di avere
la
vittoria in pugno, con quello sguardo da me già definito
come
placido ma bramoso di vittoria.
Lo sguardo del dominatore che già una volta aveva saputo
atterrirmi, inchiodandomi a terra ed impedendomi ogni movimento. In
quell’occasione Jun Misugi mi aveva sconfitto, riuscendo a
consacrare il suo potere assoluto su di me.
Ora, invece, non era più così. Il suo sguardo
provocatorio mi solleticava, incitandomi alla ribellione, a contrastare
la forza del principe. Non mi sentivo più bloccato ed
incapace
di reagire, anzi, ben saldo sul terreno, attendevo la sua prossima
mossa, pronto a sancire la mia superiorità e a combattere
contro
la sua . Avrei parato all’infinito i suoi tiri, in modo da
dimostrargli di essere il migliore.
Vidi la gamba sinistra del principe piegarsi per darsi lo slancio, la
destra indietreggiare e tendersi come la corda di un arco, poi uno
scatto potente ed il suo piede che calciava con forza il pallone,
imprimendogli un effetto che rendeva difficile intuirne la direzione.
Confidenza col proprio
corpo e sicurezza nelle proprie capacità...questo
mi ripeteva mio padre, durante gli allenamenti di karaté
nella palestra di casa.
Furono solo pochi attimi, millesimi di secondo in cui concentrai il mio
campo visivo sul pallone, durante i quali ascoltai i miei sensi,
lanciandomi nella direzione da loro indicata...e il pallone fu tra le
mie mani. Sdraiato per terra, lo sentivo roteare ancora fra i guanti,
finché terminò il suo moto, bloccandosi una volta
per
tutte. Mentre ero ancora disteso, una sensazione
effervescente cominciò a fibrillare per tutto il mio corpo,
provocandomi un moto di gioia e soddisfazione.
“Grande, Wakashimazu!” Esultò Jun,
correndo fino alla porta, raggiungendomi.
Io mi sollevai, mettendomi a sedere, mentre fra le mani
stringevo il pallone quasi con gelosia, come se fosse la Coppa del
Mondo. “Accidenti, sono sfinito, Misugi!” Esclamai,
ancora
seduto e ridendo soddisfatto del mio successo. Mi passai una
mano fra i capelli, nel tentativo di portarmeli indietro, ma erano
troppo sudati. Anche Jun sembrava sfinito, ormai erano due ore buone
che ci allenavamo quella mattina; naturalmente avevamo intervallato il
gioco con delle pause per permettere a Misugi di riposarsi.
“È stata una parata favolosa!” Si
complimentò
Jun, tendendomi la mano per aiutare a sollevarmi e le sue parole non
potevano che farmi piacere oltre a darmi soddisfazione.
Finalmente ti ho
raggiunto, principe del calcio.
Allungai il braccio afferrando la mano di Jun, ma, invece di usarla per
alzarmi, lo tirai verso di me, facendolo cadere sul mio corpo.
“Hey!” Si lamentò lui, contrariato dalla
mia
iniziativa. Mi lanciò uno sguardo truce e poi si sedette al
mio
fianco.
“Stiamo qui ancora un po’...” Gli dissi,
gettando la
testa all’indietro e poggiandomi sui gomiti. “Non
ce la
faccio ad alzarmi...!”
“Bah, eppure dovrei essere io quello più
stanco...!” Ironizzò Misugi.
“Giusto! Quindi stai qui seduto e fai il bravo!”
Risposi, prendendolo in giro.
L’aria fresca di quella mattina stava dando sollievo alle
nostre
guance arrossate per la fatica, mentre il respirarla piano e a pieni
polmoni acquietava lentamente il mio affanno.
Misugi mi guardava con espressione soddisfatta. “Hai parato
quasi
tutti i miei tiri stamattina...anche la rovesciata di poco fa...la
prossima volta che giocheremo l’uno contro l’altro
dovrò stare molto attento, non sarà
un’impresa
facile!” Esclamò scherzoso.
“Bè, dai...” Cominciai, mentre tenevo
ancora la
testa inclinata e gli occhi chiusi per rilassarmi.
“...potremmo
invece trovarci a giocare insieme contro la Francia il prossimo
mese!” Lo stuzzicai, facendogli intendere che forse sarei
tornato
in campo.
In verità non avevo ancora deciso, non avendoci mai
seriamente
pensato, però, in quel momento, non ero riuscito ad esimermi
dal
dirgli quelle parole. Non mi ero ancora reso conto che
pensare al
gioco in campo con Misugi alleggeriva tutto il peso che sentivo gravare
sulle mie spalle.
“...e come al mondiale giovanile dovrai aiutarmi a proteggere
la
porta! Cavolo, se non avessi fermato quel tiro di Pierre El Cid in
rovesciata avremmo rischiato di perdere la partita*...”
Jun ridacchiò “Bè, ma tu eri anche
ferito alla mano!”
“Sì, ci credo! Un simpatico giocatore francese mi
era
caduto in ginocchio sul dorso...al diavolo!” Sbuffai,
irritato da
quel ricordo. “La partita con la Francia è stata
davvero
faticosa, questa volta non dobbiamo farci mettere in
difficoltà!”
Misugi sorrise: “già, sarebbe bello poter giocare
di nuovo
insieme...” poi, però, mutò
improvvisamente la sua
espressione, facendosi serio “...ma non so se
potrò
partecipare all’amichevole con la Francia a dire il
vero!”
“Cosa? E perché?” Finalmente aprii gli
occhi,
prestando più attenzione al discorso, mentre tornavo seduto.
Le
sue parole mi fecero improvvisamente preoccupare.
“Attendo gli esiti di alcuni esami...purtroppo
l’ultima
volta mi hanno trovato molto affaticato e il medico mi ha proibito di
giocare finché i valori non torneranno a posto...”
Parlava
con assoluta calma Misugi, come se stesse ripetendo parole non riferite
a lui e che non lo toccavano minimamente. Quello era il tono che aveva
sempre usato con noi compagni, ogniqualvolta ci si trovava insieme con
la nazionale; ai miei occhi e a quelli dei compagni, Jun Misugi era
sempre apparso così, il principe di vetro perennemente
controllato e determinato. Eppure questa volta c’era qualcosa
a
tradirlo. I pugni serrati che stringevano l’erba, lo sguardo
abbassato e fisso in un punto indefinito, il tremore che stava
aumentando in tutto il suo corpo e che ormai si era reso percepibile
anche ai miei occhi. Non sapevo cosa dire, davvero, ma fu Misugi a
continuare a parlare.
“Ken...” Mi chiamò ed io colsi il
turbamento anche
solo dal mio nome pronunciato “...hai presente la
frustrazione
che provi quando stai in panchina, perché sei infortunato,
perché c’è Wakabayashi al tuo posto o
per qualsiasi
altro assurdo motivo? Quella sensazione di impotenza che ti dilania
dentro, perché non puoi essere in campo con i tuoi
compagni?”
Un attimo di silenzio, un sospiro, il mio.
“Sì, Jun. La conosco bene.” Risposi con
rammarico,
capendo cosa stava per dirmi, ma il sentirlo dalla sua voce fu qualcosa
di tutt’altro effetto.
“Ecco! Quella è la sensazione che io sento ogni
giorno!
Ogni giorno, capisci?” La voce di Jun si era alzata di tono,
caricandosi di rabbia. “Perché so che il mio stare
in
panchina non è provvisorio, perchè so che non
potrò mai più giocare una partita completa con i
miei
compagni di squadra, perchè questo cuore maledetto me lo
impedisce!” Misugi sbatté i pugni sul terreno e
poi vi ci
conficcò le unghie, con forza, rischiando di farsi male.
“Eppure...” Disse poi, rilassando
d’improvviso il
corpo e sorridendo con amarezza. “...eppure continuo ad
amarlo,
il calcio.”
“Jun, io...” Ero senza parole. Non avevo mai visto
Jun
Misugi in quello stato, così...disperato. Lui era il
principe,
il fiero numero ventiquattro della nostra nazionale, il giocatore che
sapeva sempre dosare le parole di conforto o di severità per
incentivare i suoi compagni, la spalla sempre presente della nazionale.
Non aveva mai fatto trapelare simili emozioni prima d’allora,
davanti a nessuno e, mi rendevo conto, nessuno di noi si era mai
seriamente chiesto come vivesse Misugi quella situazione.
Ricordai quando fu messo fuori squadra dalla nazionale giovanile, a
causa del suo cuore definito dai dirigenti di
‘cristallo’.
Kojiro mi aveva raccontato di come si fosse stupito nel sentire le
parole di Jun Misugi a quella notizia: sembra che avesse sorriso ai
suoi compagni, dicendo che se non lo facevano giocare per i suoi
problemi al cuore era giusto, che lo stavano facendo per lui. Davanti a
loro, davanti a tutti mostrava sempre quella serenità che lo
contraddistingueva, mentre ora, con me, manifestava tutta la sua
rabbia, mostrandomi i suoi veri sentimenti.
Non sapevo cosa dire e, forse, era giusto che io non dicessi nulla e
che ascoltassi la sua sofferenza in silenzio. L’unica cosa
che
sentii di fare fu afferrare le spalle di Jun e tirarlo verso di me, per
poterlo abbracciare. Il principe del calcio si lasciò
stringere
forte e, a poco a poco il suo corpo smise di tremare.
Per la prima volta provai vergogna di me stesso per le incertezze che
mi avevano assalito e per l’incapacità di
controllarle.
Già, perchè noi in fondo in un modo o
nell’altro
rientravamo in campo, ne avevamo la possibilità. Io potevo
ancora lottare con Wakabayashi per la maglia di titolare se solo lo
avessi voluto, mentre Jun, per quanto desiderasse giocare con tutto se
stesso, non poteva più farlo pienamente.
Io, invece, potevo ancora scegliere.
***
Non c'era giorno in cui non facevamo l'amore. Si capiva che entrambi
non vedevamo l'ora che arrivasse quel momento, ogni volta la foga ci
assaliva e bramosi ci gettavamo l'uno nelle braccia dell'altro. Bastava
solo uno sguardo, dovunque fossimo, per sentire la passione pulsare
dentro di noi e venire inglobati in quel gioco che cominciava
con
piccoli gesti di seduzione, una carezza sul braccio, un respiro sul
collo e che poi si trasformava in un’esplosione di
eccitazione.
Penso di non aver mai avuto un'attrazione sessuale tanto intensa per
qualcuno, un desiderio così impetuoso, bruciante ed
incontrollabile. Jun era capace di far sgretolare la mia ragione con la
sua sola presenza, con il lieve movimento delle labbra o con i suoi
gesti, come quando si sfilava la maglietta continuando a fissarmi negli
occhi.
Quelle sue dense iridi castane, dentro le quali potevo specchiarmi,
senza riconoscermi, nelle quali scoprivo un me stesso sconosciuto fino
a quel momento, avevano la forza di risucchiarmi in un sentiero del non
ritorno.
Con un tacito accordo avevamo deciso di prolungare quella permanenza
alla pensione e io misi mano ai risparmi di alcuni lavoretti fatti
durante le vacanze scolastiche per poter tenere fede a quel patto. Jun,
in verità, non mi aveva mai detto quanto tempo sarebbe
dovuto
stare laggiù, si era soltanto limitato a chiedermi
se mi
andava di fermarmi ancora qualche giorno. “Ti farebbe
bene...” Aveva detto con il suo tipico fare sereno, come se
fosse
uno dei tanti consigli dati ad un compagno di squadra qualsiasi, da
buon intenditore di salute, ma, invece, credo che la cosa giovasse
anche a lui.
“Tre giorni...” Gli avevo alla fine risposto
“...mi
fermerò ancora tre giorni...” Sapevo che in fondo
aveva
ragione, stare in quel posto mi stava facendo ricaricare le energie.
Lontano dal caos di Yokohama, dalla vita frenetica, dagli allenamenti
obbligatori, potevo finalmente decidere io cosa mi andava di fare
durante la giornata e riflettere su ciò che mi avrebbe
aspettato
al rientro. Eppure...non era solo per quello. Era come se rimanendo
lì mi volessi ancorare a tutti i costi a qualcosa che non
volevo
lasciare fuggire e che con il rientro mi sarebbe potuta sfuggire di
mano. Non me ne rendevo ancora conto, ma la catena che mi stava
stringendo sempre più nella direzione di Misugi stava
chiedendo
di non venire spezzata.
Alla fine i tre giorni trascorsero veloci, troppo veloci.
Era uno scherzo del
destino o eravamo noi che ci stavamo risvegliando?
L’ultima giorno riprendemmo anche il discorso del calcio.
Eravamo
alla sorgente termale, saranno state le sette di sera. Mentre ci
rilassavamo facendo un bagno caldo, Jun si fermò davanti a
me
interrogandomi con uno sguardo indecifrabile, misto fra il timore e la
preoccupazione.
Davanti a quegli occhi sentii il disagio formicolare sulla mia pelle
bagnata. L’umidità dell’ambiente rendeva
inoltre
pesante il respiro gettandomi per alcuni istanti in uno stato di
claustrofobia. Tentai di cacciare quelle sensazioni crescenti evitando
di far parlare Jun, accarezzandogli la guancia e chinandomi per
baciarlo, ma non me lo permise. Con decisione mi afferrò il
polso, guardandomi fisso negli occhi.
“Non lasciare il calcio, Ken!” Esclamò e
non capii se fosse un ordine o una supplica.
...il calcio....
Dopo alcuni istanti in cui il mio corpo s’irrigidì
per
difesa, cercai di calmarmi, comprendendo che non potevo più
sviare il discorso. Sentendomi rilassare, Jun
mollò
la presa.
Il mio problema con il calcio. Non che non ci avessi pensato in quei
giorni, anzi, soprattutto da quando Misugi mi aveva rivelato le sue
frustrazioni, avevo cominciato a rifletterci seriamente. Inoltre, il
confronto con lui era stato stimolante e...divertente.
“Perché il calcio deve anche divertire!”
Aveva detto
una volta il principe del calcio e aveva ragione. Già, mi
rendevo conto che giocare con Jun non mi pesava e che adoravo quella
continua battaglia che avevamo silenziosamente creato, come se fosse un
gioco tutto nostro. L’avrei sfidato all’infinito.
Oltretutto, quella sensazione d'intorpidimento che sentivo fino a pochi
giorni prima si era sciolta, quasi dileguata. In verità non
ero
certo di quello che volessi davvero fare, né se azzardare
una
totale convinzione sul mio rientro mi avrebbe fatto bene,
perciò
tentai una via di mezzo.
“Forse...tornerò sul campo, Jun” Dissi,
espirando
tutta l’aria che avevo accumulato nei polmoni, come per
liberarmi
di un peso e allo stesso tempo mi venne da sorridere.
“Contento?”
I suoi occhi s’illuminarono. “Dici
davvero?”
“Si. Il mio letargo è durato abbastanza. Devo
cercare di
riprendere in mano la situazione, anzi, il gioco...e al diavolo Genzo
Wakabayashi! Prima o poi lo supererò.” Le mie
parole erano
cariche di fierezza e lo sguardo di Jun mostrava una sincera
approvazione. “La prossima volta che ci incontreremo sul
campo
non riuscirai a farmi neanche un goal! Ormai conosco le tue mosse,
‘principe del calcio’!” Ironizzai.
“Questo non mi sembra un ‘forse’....”
Rispose compiaciuto il principe.
E poi lo guardai nuovamente, fisso negli occhi, cercando il suo assenso
per il mio improvviso desiderio che lui colse subito, finché
lo
trovai in quelle sue labbra che s’incresparono in un
accennato
sorriso.
Gli afferrai il viso e cominciai a baciarlo, dapprima lentamente, poi
con maggior intensità. Jun ricambiò appoggiandomi
le mani
sulle spalle e facendo aderire maggiormente il suo corpo al mio. Le
mani di Misugi vagavano sulle mie braccia, espandendosi sul petto,
scivolando per tutto il corpo, facendo pressione con i palmi e
graffiandomi leggermente...era una cosa che mi faceva davvero
impazzire. Le acque in cui eravamo immersi fino al torace si smuovevano
al ritmo dei nostri movimenti ed ogni tanto Jun ne raccoglieva un poco
e me la gettava addosso, prima di accarezzarmi nuovamente, come se gli
piacesse sentire il mio corpo bagnato sotto le sue dita.
Io seguii il suo esempio ed esplorai ancora una volta quel bellissimo
corpo. Sentivo pulsare la testa, il rossore assalire le mie guance ed
un’intensa sensazione di possesso che non avevo ancora
provato
cominciò a diffondersi in ogni terminazione nervosa del mio
corpo; era come se quella sera fossi più forte e meno
vulnerabile. Gli riempii di baci il collo, poi con la lingua cominciai
a scendere sul petto, leccandogli un capezzolo, al che lo sentii gemere
forte. Intanto la mia mano destra aveva trovato il suo sesso e
cominciai a torturarlo con un tocco dapprima leggero, poi sempre
più insistente. Facendo leva col mio corpo lo costrinsi ad
indietreggiare, facendolo distendere con la schiena sopra una pietra
liscia che emergeva dall’acqua. Io ero sopra di lui e cercavo
i
suoi occhi: nello sguardo di Jun colsi un velo di sorpresa ed imbarazzo
che vidi scomparire subito, lasciando spazio ad
un’espressione di
complicità e fiducia. Subito dopo presi a baciarlo sotto
l'ombelico, a ripassarne i contorni con la lingua per scendere poi
ancora più giù fino ad assaporare la sua
eccitazione. Il
principe del calcio sembrava apprezzare il trattamento che gli stavo
improvvisamente riservando, infatti mi afferrò la testa,
stringendo le mani fra i capelli per premermi così con forza
verso di lui. Durante quei movimenti, con una mano cercai
l’apertura fra le sue natiche e cominciai a penetrarlo con le
dita.
Sentii i muscoli contrarsi tentando di difendersi, mentre Jun
tratteneva con forza i lamenti fra i denti.
Faceva caldo, il vapore dell'acqua si mescolava con quello dei nostri
corpi ansimanti e ansiosi di fondersi l'un l'altro.
D’improvviso, però, Misugi poggiò le
mani sulle mie spalle facendo leva per allontanarmi.
“Wakashimazu, io...”Sussurrò con un filo
di voce ed
io sospesi quel trattamento, cercando i motivi nei suoi occhi. Il viso
di Jun voltato su un lato evitava il mio sguardo, ma il suo corpo lo
tradiva: tremava e sembrava spaventato.
“Hey...” Accarezzai allora il suo viso, con il
cuore
prepotentemente agitato nel petto e una sensazione di colpa che
serpeggiava nello stomaco. “Se non te la senti ci fermiamo,
Jun” Lo rassicurai. “Possiamo fare come abbiamo
sempre
fatto, sarò io a...” Ma non finii la frase,
sentendo le
dita di Jun poggiarsi sulle mie labbra e vedendo i suoi occhi
finalmente nei miei.
“No...va bene così...”
Sussurrò Jun, mentre
respirava agitato. Potevo leggere una forte emozione nei suoi occhi.
“Io...lo voglio davvero...”
Gli sorrisi, mentre passavo la mia mano fra i suoi capelli e compresi
il suo stato d’animo.
“Continua, Ken...” La sua voce si sciolse
nell’aria,
come le mie mani che avevamo ripreso a vagare sul suo corpo.
Lentamente alzai le gambe di Jun e le poggiai sopra le mie spalle. Lui
afferrò con forza le mie braccia appoggiate sulla pietra e
gridò, non appena affondai dentro di lui. Per un attimo
tutto si
offuscò, la sensazione di essere compresso nel suo corpo
annebbiò ogni mio pensiero, ma, poi, mi bloccai, temendo di
avergli causato troppo dolore. Invece Jun mantenne il controllo e mi
sollevò le braccia, spingendomi intenzionalmente
all’indietro. Perdendo l’equilibrio scivolai in
acqua,
finendo seduto in terra e lui sopra il mio grembo. Il principe del
calcio mi rivolse uno sguardo d’intesa prima di afferrarmi la
testa e baciarmi con foga. Averlo completamente seduto sopra di me mi
faceva ribollire dall'eccitazione...il forte petto che premeva contro
il mio, i fianchi poggiati sopra le mie gambe, il mio sesso sprofondato
in quel corpo morbido.
Ricambiai i suoi baci avidamente e poi ricominciai a spingere dentro il
suo corpo, sentendo Jun abituarsi alla mia presenza e cominciare a
godere. Avevo terribilmente caldo, percepivo le gocce di sudore
solleticarmi la schiena, mescolarsi con quelle di Misugi e con l'acqua
della sorgente, mentre i nostri corpi avevano preso a muoversi
simultaneamente. Ero sempre più eccitato e anche il capitano
della Musashi non era da meno. Quelle nuove sensazioni erano
terribilmente travolgenti e noi non potevamo fare altro che
assecondarle fondendoci con loro. Il movimento frenetico, l'aria
soffocante, il calore dei nostri respiri, tutto danzava seguendo il
nostro ritmo.
Anche i brividi sulla schiena.
L'eccitazione mi assalii violentemente come mai prima
d’allora ed
il cuore scoppiò quando gridai nel venire dentro il suo
corpo,
sentendo nello stesso tempo Misugi venire a sua volta. Lo abbracciai,
lo strinsi possessivo in quegli istanti, mentre credevo di impazzire.
“Sono pazzo, Misugi” Dissi ansimando, non
connettendo ancora la mia voce alla ragione.
Il viso di Jun stava appoggiato nell’incavo del mio collo, lo
sentivo affannato e piacevolmente stanco.
“E io di...come te” Sussurrò con un filo
di voce.
...ed io ebbi paura di quello che stava per dire...
*****
Drin drin drin drin drin
drin drin drin drin
Non riconobbi subito quel suono e, anzi, credevo di starlo sognando.
“Il telefono, Ken...” Disse Jun, sciogliendosi
dall’abbraccio in cui ci eravamo rifugiati dopo il bagno alla
sorgente. Eravamo stanchissimi.
“Eh?” Ci misi diversi secondi a ricordarmi di avere
un
telefono in camera vicino alla finestra, per giunta mai usato.
Avrei tranquillamente fatto a meno di rispondere, ma chi stava
dall’altra parte sembrava non voler assolutamente cedere. Con
disappunto e ancora un po’ assonnato, mi alzai dal futon
afferrando bruscamente la cornetta.
“Pronto?!” Risposi scocciato.
“Hey, Ken! Ce ne hai messo a rispondere, ma che facevi,
dormivi?”
Riconobbi subito in quel suono squillante ma gentile la voce di Takeshi
Sawada. E fu come risvegliarsi da un lungo sonno.
“No, io...cioè sì, stavo
dormicchiando...” Risposi, cercando di mettere insieme le
idee.
“Occavolo, ti abbiamo disturbato?” Rispettoso come
sempre.
“Ma no, che dici, Takeshi!” Esclamai con un
sorriso,
scoprendomi felice di sentire la voce del mio amico e riprendendo la
padronanza di voce e pensieri.
Velocemente coprii una parte della cornetta con la mano, spiegando con
labiale a Jun chi ci fosse dall’altra parte. Misugi sorrise,
facendo ‘ok’ con il pollice. “Ma sbaglio
o hai detto
‘abbiamo’?” Chiesi
all’improvviso.
“Bè, sì...c’è
anche il capitano! In
verità ha insistito lui per chiamarti, ma lo sai che vuole
fare
il duro!Ahia, Kojiro!”
“Sawada vuoi morire?” Il grugnito di Hyuga.
Intuì che Takeshi avesse ricevuto un pugno dal capitano e mi
immaginai subito la scena, scoppiando a ridere. In quegli anni noi tre
c’eravamo uniti molto, crescendo insieme e Hyuga aveva
imparato
ad essere meno aggressivo e scostante nei nostri confronti, scoprendo
come fosse divertente scherzare con i propri compagni.
“Che ridi, Ken, sei terribile!” Scherzava il
centrocampista del Toho.
Era bello sentirli, ero felice.
“Abbiamo chiamato a casa tua e tua madre ci ha detto che sei
andato in vacanza...hai fatto bene, Wakashimazu!” Mi disse
comprensivo.
“Ma quale fatto bene, quello scansafatiche!”
Borbottava
Huyga dietro di lui, ma Takeshi lo ignorava. “Come
stai?”
Mi chiese all’improvviso.
Ed io risposi, senza pensarci un secondo, con la massima
sincerità. “Bene, Takeshi. Sto
benissimo.” E non
seppi nemmeno chiedermi il motivo di quella risposta.
“Ah, dai, sono davvero contento! Prenditi il tempo che ti
serve
amico mio...ma, capitano, che fai?” Sawada non
finì di
parlare che Kojiro probabilmente gli strappò la cornetta
dalle
mani. “Ma quale tempo!” Lo sentii inveire.
“Senti, portiere!” Sì, era proprio il
capitano.
“Vedi di non adagiarti troppo sugli allori e di tornare in
squadra. Altrimenti vengo lì e ti prendo a calci nel culo!
Mi
sembra che hai ronfato abbastanza!”
Eh...i suoi soliti modi gentili. Mi venne da sorridere immaginando
quella scenetta a Yokohama, in qualche cabina telefonica vicino alla
scuola. Ormai conoscevo bene i miei amici e sapevo anche che quel
comportamento di Kojiro nascondeva una sincera preoccupazione: anche
lui avrebbe sofferto se avessi lasciato la squadra e il calcio ed,
inoltre, non me lo avrebbe mai perdonato.
“Non preoccuparti, capitano...” gli dissi
completamente calmo “...tornerò
presto...”
Inoltre, avevo davvero voglia di scendere in campo con loro.
“Questa è una bella notizia, Ken...”
Sentii la voce
di Hyuga rilassarsi e abbassarsi di tono. “Devi riprendere la
tua
vita normale...tornare alla vita di tutti i giorni”
Sussultai, colpito da quella frase. So che Kojiro intendeva la vita
quotidiana con loro, nel Toho, come scuola e come club di calcio;
voleva che ritornassi sul campo come portiere della squadra e della
nazionale giovanile, come loro compagno e amico. Per questo non poteva
sapere ciò che mi causarono le sue parole in quel momento.
“Hey, Wakashimazu, ci sei? Sta per cadere la lin...”
...tu tu tu tu tu tu tu
tu tu tu....
Rimasi immobile per alcuni secondi con la cornetta ancora attaccata
all’orecchio. Rivolsi uno sguardo alla finestra, individuando
la
mia immagine riflessa sul vetro e confusa fra i rami smossi dal vento.
Fuori era già buio. Continuando ad osservare il mio
riflesso,
riattaccai il telefono.
Improvvisamente stordito e particolarmente inquieto cominciai a
chiedermi come eravamo arrivati a quel punto. Era come risvegliarsi da
un lungo sogno, quando si è incapaci di realizzare se il
momento
che stai vivendo sia o meno reale. Cosa mi era successo in quei giorni?
Avevo la sensazione che il tempo si fosse fermato e che dopo quella
telefonata avesse ricominciato a scorrere.
D’un tratto mi tornò in mente la mia vita, il
calcio, il Toho, Hyuga e Takeshi.
‘Io sono il portiere del Toho...’ Ripetei fra me,
come se me ne rendessi conto solo in quel momento.
“Hey, tutto bene?” La voce di Jun che mi ricordava
di non
essere da solo dentro quella stanza. Mi voltai nella sua direzione e lo
vidi seduto sul futon che cercava d’interpretare il mio
sguardo
confuso.
Jun Misugi, il principe del calcio. Quei giorni eravamo stati sempre
insieme e lui era diventato una presenza sicura, tant'è che
non
mi ero mai veramente domandato come sarebbe potuto essere...il dopo. La
sua essenza si era impadronita di me, pervadendomi, dominandomi,
addentrandosi nelle vene, nutrendosi della mia carne. Era come se
avessi perso la ragione.
Mi avvicinai a lui, senza rispondergli e mi sedetti al suo fianco. Jun
mi passò una mano fra i capelli, ma capì subito
che
qualcosa non andava e rimase in attesa.
In verità non sapevo neppure definire ciò che
eravamo
diventati. Da rivali e compagni della nazionale ad amici e poi...ad
amanti? Non sapevo proprio cosa pensare. Io sarei tornato alla mia vita
e anche Jun.
‘Come faremo a...’ Fui assalito da una paura
spaventosa a
quel pensiero... la squadra, gli amici, il campionato, gli
altri.
Non avrei certo potuto portare avanti una...non sapevo neanche cosa
fosse quello che mi legava a Jun! Relazione? Storia? Io e lui non ne
avevamo mai parlato, lui non aveva accennato nulla in proposito, non mi
aveva mai chiesto niente, né io potevo farlo con lui.
E che cosa dovevo chiedergli dopotutto? Non avevo alcun diritto,
neanche sapevo cosa volere da lui. D’improvviso provai un
forte
desiderio di tornare al più presto alla mia vita, che tutto
tornasse come prima ed allo stesso tempo fu come se una lama mi
squarciasse il petto.
Lottando contro l’angoscia che mi tormentava, schiusi
leggermente
le labbra, nel tentativo di parlare. “Misugi...”
Dissi con
un filo di voce, chiamandolo per cognome.
E lui la percepì la distanza che avevo appena creato con i
gesti
e con le parole. “Dimmi...”
M’incitò, con voce
seria.
Cercai di sorridere, di essere forzatamente tranquillo, volgarmente
bugiardo.
“Mi chiedevo come faremo a far finta che non sia successo
nulla, quando torneremo alla nostra vita quotidiana...”
Stavolta una crepa, nel mio di cuore.
Jun si voltò di scatto verso di me, i suoi occhi si fecero
dapprima sorpresi, poi, come per nascondere le emozioni, di ghiaccio.
“Cosa intendi?” Ed anche la sua voce.
Avevo il cuore in gola, stavo male, ma mi sforzai di continuare,
ferendomi ancora di più, perché stavo lottando
disperatamente contro i miei veri sentimenti che ancora non ero stato
in grado di decifrare. “Bè, non è che
potremo
continuare con questa storia...” Cercai
l’approvazione
guardandolo, ma, davanti a me, c’era solo un muro di
ghiaccio.
“Sarà difficile nascondere che c'è
stato qualcosa
fra noi, ma dovremo...sforzarci!” Deglutii, incalzando
sull’ultima parola e mordendomi nervosamente un labbro.
Quella
non era la verità e lo sapevo. Non volevo parlare
così,
eppure lo facevo.
L'aria sembrò congelarsi e dei brividi cominciarono a
turbare il mio corpo.
Jun s’irrigidì e lo vidi stringere i pugni, si
voltò poi verso di me privo di un'espressione
interpretabile.
Non era arrabbiato, né triste, neanche deluso. Solo...
imperscrutabile.
Non sapevo cosa volesse dirmi ed io ero ansioso di sentire la sua
risposta, perchè, se lui avesse messo in discussione il mio
discorso, forse le mie sicurezze si sarebbero nuovamente infrante e
avrei potuto...
“Bhè...mi sembra giusto!” Disse
lapidario.
“Basterà far finta di niente. Non ci vuole la
laurea...”
Le sue parole mi fulminarono e rimasi senza fiato, incredulo. Non...non
mi capivo, era come se non mi aspettassi tale risposta da parte sua, ma
non volevo chiudere tutto questo? Perchè ora stavo
improvvisamente così male? La risposta era davanti ai miei
occhi.
Jun era sempre stato sorridente e gentile in quei giorni, non aveva mai
nascosto il suo desiderio nei miei confronti, si era sempre lasciato
andare come e più di me. Mi era stato vicino, mi aveva
ascoltato, spronandomi anche a giocare a calcio. Ora, invece, non lo
riconoscevo, chi era la persona che avevo davanti e che mi guardava con
quello sguardo...spietato?
“Più sereno adesso?” Un sorriso
maledettamente ironico “Meglio dormire ora. Sono
stanco.”
Il principe del calcio si distese, senza più guardarmi in
faccia, voltandosi sul lato opposto, terminando con un infinito e
lacerante silenzio. Non più una parola, non più
una
carezza.
Come se nulla fosse mai esistito.
Ed intanto, qualcosa dentro al mio corpo mi stava sbranando
l’anima.
***
I raggi del sole di quella mattina si poggiavano ostinati sul mio viso,
infastidendo gli occhi. Avevo un forte mal di testa e non riuscivo a
svegliarmi completamente.
“Mhn...Misugi” Mugolai, cercando con le braccia il
calore
del suo corpo, ma le mie mani scivolarono nel vuoto. Aprii di colpo gli
occhi, guardandomi intorno e scoprendo di essere da solo nella stanza.
Constatai che quella parte del futon era fredda e immaginai che Misugi
si fosse alzato presto. Cominciai ad avere una strana sensazione ma
l’interpretai come un senso di smarrimento, ormai troppo
abituato
alla sua presenza in questi giorni. Molto probabilmente era andato a
fare due tiri al campo, deluso dal mio comportamento, in fondo, non
aveva più detto una parola. Amaramente ricordai il discorso
della sera prima e mi pentii di aver parlato in quel modo. Forse
avremmo dovuto discuterne con più calma e riflettendoci un
poco,
solo che ‘a caldo’ non avevo potuto fare altro che
avere
quella reazione. Ero spaventato da ciò che il nostro
rapporto
poteva comportare, non potevo negarlo.
C’era comunque qualcosa che non mi tornava e decisi
così,
prima di tutto, di bussare nella camera di Misugi, magari era
semplicemente andato lì a riposare. Noncurante dei capelli
disordinati e del viso stanco, indossai i pantaloni della divisa di
calcio, rapido nei movimenti, poiché c’era
qualcosa che mi
stava mettendo fretta. Aprii di scatto la porta e mi precipitai verso
la stanza di Misugi.
Mi bloccai all’entrata, sbarrando gli occhi e la voce mi si
chiuse in gola.
La porta era spalancata, così come la finestra ed insieme
facevano corrente. La stanza vuota: non più un vestito, una
borsa, neanche l’accappatoio appoggiato sulla sedia.
Incredulo,
continuavo a fissare il vuoto.
“....mazu...Signor Wakashimazu...”
Meccanicamente mi voltai nella direzione di quella voce, ancora in
stato di shock. C'era il signor Matsumoto dietro di me con
alcune
coperte in mano. Lo feci passare, senza dire una parola.
“Grazie ragazzo.” Si accinse a mettere le
coperte
nell'armadio ed io osservavo i suoi movimenti in silenzio. Mi sembrava
tutto un sogno, un bruttissimo e assurdo sogno. Fu
l’uomo a
spezzare il mio mutismo con la sua domanda, risvegliandomi.
“È successo qualcosa al signorino Jun?”
In un primo
momento il suo sguardo era severo, come di chi avesse intuito, ma
subito dopo si fece quasi comprensivo.
“Perchè...” Chiesi con grande sforzo,
quasi
balbettando. L’uomo fece un profondo respiro e probabilmente
si
stava domandando se fosse giusto dirmi la verità.
“Vede...è che stamattina aveva uno sguardo
così cupo, come se fosse ferito profondamente.”
Strinsi i pugni, divorato dal senso di colpa.
“In questi giorni mi era sembrato così
sereno...aveva pure rimandato la partenza...”
“Cosa...?” Cominciai a tornare in me.
“Perchè, quando sarebbe dovuto andare
via?”
“Il giorno dopo il suo arrivo, signor
Wakashimazu...”
Non credevo alle sue parole...Jun mi aveva detto che non aveva una
data, invece...per stare con me...
“Stamattina invece è voluto partire
così
d'improvviso. Sono preoccupato, non l’avevo mai visto
così
turbato...il signorino non è una persona che esterna
facilmente
le sue preoccupazioni...”
Non potevo più ascoltare, non ne ero più in
grado, quelle
parole mi stavano facendo troppo male. Così mi allontanai e
tornai in camera. Chiusi la porta alle mie spalle, tremando. Respiravo
lentamente, cercando di riflettere.
Poi uno scatto, un pugno violento sulla porta, la mano che mi faceva
male.
“Sei un bastardo, Jun Misugi...”
Sei un bastardo, Ken
Wakashimazu.
Fine V parte
* ...ho rivisto da poco questa puntata...povero Ken si era fatto male e
tutti assalivano la sua porta, ma proprio quando la palla sembrava
ormai entrata...chi c’era a deviarla? Jun *_* Poi durante i
rigori è lì pensieroso guardando Ken e Ishizaki
gli
chiede che cos’ha... è amooore*_*
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