--Finita!! Ho finito di postare anche questa.
Onestamente questo non è il mio capitolo preferito,
non mi ha mai convinta più di tanto. Comunque, per me le cose una volta scritte
restano così. perciò è così che lo posto.
Ringrazio del commento Ladymarie, un'altra volta, e
come al solito, anche se sto diventando parecchio noiosa, Smolly_sev, oltre che
del commento anche del sostegno che mi dà sempre (in quest'ultima frase non mi
convince più di tanto la costruzione del periodo...mah). Comunque, grazie a
entrambe dei preziosi commenti.
Buona lettura.--
Capitolo quarto- Nascondere i sentimenti
Due colpi.
Il bel corpo, esile e flessuoso, si muove rapidamente,
mentre la ragazza schiva i pugni dati in rapida successione dal suo avversario;
uno scarto secco, la combattente si muove e risponde ai colpi; e per finire
attacca usando la sua energia astrale,e l’avversario è al tappeto.
- Sei migliorata tantissimo, Genkay.
- Grazie maestro.- Genkay china appena il capo, mentre
il petto affannato si muove su e giù molto rapidamente.
L’anziano maestro si rialza rivolgendole un sorriso.
- Mi sembra ieri che sei arrivata qui, e sei più brava
di Toguro ormai.
- Grazie maestro; ma non credo di poterlo mai superare.
- Questo non è vero.
È vero invece; Genkay ne è sicura, l’ha visto combattere
qualche volta prima che partisse, ed era bravo.
- Vieni.- Senza aggiungere altro il maestro si volta e
Genkay lo segue.
Camminano in silenzio per il parco della scuola di arti
marziali.
Si fermano sulle rive del laghetto. Genkay osserva il
suo riflesso nell’acqua limpidissima. A risponderle è lo stesso sguardo castano
scuro che le rispose tre anni prima dalla fonte da cui attingeva acqua.
- Toguro tornerà questo pomeriggio.
- Oh!- Genkay sussulta sgranando gli occhi; ma non
aggiunge altro.
Il suo maestro l’osserva discretamente, cercando
d’interpretare lo sguardo malinconico della ragazza fisso sullo stagno.
- Ti spaventa l’idea di rivederlo, bambina?
- No, signore.
- Non mentire a me, Genkay.
La ragazza trae un gran respiro; osserva l’acqua, poi
solleva lo sguardo sull’uomo che più d’ogni altra persona le è stato accanto
nella sua vita maturata troppo in fretta.
- Signore, non è paura quella che provo: so di non aver
paura di lui, è qualcos’altro. È il fatto che stavamo per sposarci, forse, è il
fatto che ha scelto deliberatamente di portarmi via dal tempio ma non di avere
figli da me…è che nessuno oltre a voi, maestro, ha mai dimostrato verso di me
tutto questo rispetto, questo interesse che non è legato al desiderio di me…-
- Genkay, Toguro ti rispetta. Sai che non ha voluto
sposarti per concederti la libertà, per darti l’opportunità di scegliere
liberamente, quando te ne sentirai in grado, l’uomo che amerai.
- Avrebbe avuto diritto a sposarmi, maestro, per
disporre di me e del mio corpo, ma non l’ha fatto!- Genkay sollevò la voce- E io
non avevo mai conosciuto nessuno prima d’allora che mi trattasse così
gentilmente, senza pretendere nulla in cambio…tutti gli uomini che mi trattavano
così volevano…- Genkay tacque e arrossì. – Avete capito.- disse infine.
- Genkay, provi paura al pensiero di rivederlo perché ti
senti in debito nei suoi confronti, perché ti ha reso la libertà. È solamente
questo.
- Non è paura maestro!- insistè lei – E’ qualcos’altro e
non sono capace di dargli un nome; è legato a Toguro, ma non so perché.- Genkay
si voltò e scese dalla collinetta, incamminandosi di buon passo.
- Dove vai, bambina?
- Vado ad allenarmi, maestro.
Il sibilare dell’aria.
Colpisco ancora il nulla, unico modo che ho per dare
sfogo ai mei sentimenti.
È un allenamento per tutti, per allenare i riflessi, la
velocità, la tecnica.
Non per me.
Non per me, che sono sempre stata abituata a cavarmela
da sola quando provo qualche sentimento che non riesco a capire.
Non posso parlarne col maestro.
Lo conosco da tre anni, lui, è quanto di più simile a un
padre io abbia mai avuto.
Ma non posso parlare con lui di quello che provo.
Colpisco ancora, sperando che il rumore dei miei colpi
copra il rumore delle mie emozioni.
Non è così.
Maledetti, maledetti occhi del mio promesso sposo…
Perché non abbandonano la mia mente?
Perché non riesco a scordare la sua voce, quando tentava
di tranquillizzarmi, maledizione, perché ho paura di rivederlo?
Ma io non ho paura.
È semplicemente che…
Ecco, ho paura di qualcosa, ma non so di che cosa!
È terribile per me, io che sono una guerriera, io che ho
imparato a badare a me stessa!
Colpisco ancora, ancora, ancora, cercando di sconfiggere
i miei sentimenti, di combattere le mie emozioni.
Ma non ne sono capace e lo so troppo bene.
- Buongiorno.
Genkay si volta con un sussulto; e deve sollevare molto
lo sguardo per vedere il volto dell’uomo alto e abbronzato che le è di fronte.
- Toguro!- Istintivamente fa un passo indietro. Osserva
quello che avrebbe dovuto essere il suo sposo, appena tornato dal suo viaggio
con i compagni, la sacca sulle spalle.
- Non sei cambiata affatto, Genkay.- Toguro sorride. –
Ma sei ancora più bella dell’ultima volta.
- Dove sono i tuoi compagni?
- Sono rimasti indietro. Li ho preceduti.
- Vuoi che ti porti dal maestro?
- Ti spiacerebbe sederci un poco?
Genkay annuisce, senza distogliere gli occhi dal suo
volto.
Si siedono sotto un albero.
- Non sapevo che saresti tornato oggi.
- Avevo mandato una lettera al maestro.
- Me l’ha detto solo oggi.
- Ti infastidisco?
- No!- Genkay scuote con vigore il capo. – No, questo
no, al contrario!
E si stupisce, di pensarlo davvero!
Si stupisce, di essere davvero, in qualche modo, felice
del suo ritorno!
Si stupisce del fatto che sarebbe capace di stare lì
seduta sul prato, anche ore ad ascoltarlo parlare!
Si stupisce del fatto che non prova più paura ma che sta
bene, che è felice, lì.
Felice…
Come posso dire di esserlo?
Come posso dirlo?
Ma è così, io sono felice qui, sono felice di potere
stare qui, seduta al suo fianco,ad osservarlo, semplicemente.
L’ho sempre saputo e mi rifiutavo d’ammetterlo anche a
me stessa, che lo amavo.
Che lo amo, che quest’uomo, forse, potrebbe riamarmi.
E poi Genkay sgrana gli occhi, consapevole, adesso.
Ma lui non può riamarmi…
Mi ha portato con sé perché sentiva di doverlo fare, ma
lui non mi ama…
Non può amarmi…
Lo saprei.
Vorrei solamente avere il coraggio di dirglielo;
ma non posso farlo perchè se lui mi amasse me l’avrebbe
già detto; m’avrebbe presa in sposa, tre anni fa.
E invece saremo buoni amici, null’altro che questo.
E non è triste che io, una ragazza –credo di poterlo
ammettere senza vanità- persino graziosa, debba rimanere non amata, per sempre?
Non è triste che l’uomo che amo debba accontentarmi di
guardarlo, di fingermi sua amica, per struggermi in silenzio nel fondo
dell’anima?
Ma bene o male è questo il mio destino.
M’arrendo a lui, al fato che mi vuole distruggere, e
spero di non avere a soffrire del mio silenzio.