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Autore: Afaneia    31/03/2009    2 recensioni
Questa songfic prende ispirazione dall'omonima canzone di De André. La trovo una canzone molto bella ed è sempre stata une delle mie preferite.
Genkay è una fanciulla cresciuta in un tempio; una volta cresciuta, però, è essenziale per i sacerdoti trovarle marito.
Genere: Romantico, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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--Finita!! Ho finito di postare anche questa.

Onestamente questo non è il mio capitolo preferito, non mi ha mai convinta più di tanto. Comunque, per me le cose una volta scritte restano così. perciò è così che lo posto.

Ringrazio del commento Ladymarie, un'altra volta, e come al solito, anche se sto diventando parecchio noiosa, Smolly_sev, oltre che del commento anche del sostegno che mi dà sempre (in quest'ultima frase non mi convince più di tanto la costruzione del periodo...mah). Comunque, grazie a entrambe dei preziosi commenti.

Buona lettura.--

Capitolo quarto- Nascondere i sentimenti

Due colpi.

Il bel corpo, esile e flessuoso, si muove rapidamente, mentre la ragazza schiva i pugni dati in rapida successione dal suo avversario; uno scarto secco, la combattente si muove e risponde ai colpi; e per finire attacca usando la sua energia astrale,e l’avversario è al tappeto.

- Sei migliorata tantissimo, Genkay.

- Grazie maestro.- Genkay china appena il capo, mentre il petto affannato si muove su e giù molto rapidamente.

L’anziano maestro si rialza rivolgendole un sorriso.

- Mi sembra ieri che sei arrivata qui, e sei più brava di Toguro ormai.

- Grazie maestro; ma non credo di poterlo mai superare.

- Questo non è vero.

È vero invece; Genkay ne è sicura, l’ha visto combattere qualche volta prima che partisse, ed era bravo.

- Vieni.- Senza aggiungere altro il maestro si volta e Genkay lo segue.

Camminano in silenzio per il parco della scuola di arti marziali.

Si fermano sulle rive del laghetto. Genkay osserva il suo riflesso nell’acqua limpidissima. A risponderle è lo stesso sguardo castano scuro che le rispose tre anni prima dalla fonte da cui attingeva acqua.

- Toguro tornerà questo pomeriggio.

- Oh!- Genkay sussulta sgranando gli occhi; ma non aggiunge altro.

Il suo maestro l’osserva discretamente, cercando d’interpretare lo sguardo malinconico della ragazza fisso sullo stagno.

- Ti spaventa l’idea di rivederlo, bambina?

- No, signore.

- Non mentire a me, Genkay.

La ragazza trae un gran respiro; osserva l’acqua, poi solleva lo sguardo sull’uomo che più d’ogni altra persona le è stato accanto nella sua vita maturata troppo in fretta.

- Signore, non è paura quella che provo: so di non aver paura di lui, è qualcos’altro. È il fatto che stavamo per sposarci, forse, è il fatto che ha scelto deliberatamente di portarmi via dal tempio ma non di avere figli da me…è che nessuno oltre a voi, maestro, ha mai dimostrato verso di me tutto questo rispetto, questo interesse che non è legato al desiderio di me…-

- Genkay, Toguro ti rispetta. Sai che non ha voluto sposarti per concederti la libertà, per darti l’opportunità di scegliere liberamente, quando te ne sentirai in grado, l’uomo che amerai.

- Avrebbe avuto diritto a sposarmi, maestro, per disporre di me e del mio corpo, ma non l’ha fatto!- Genkay sollevò la voce- E io non avevo mai conosciuto nessuno prima d’allora che mi trattasse così gentilmente, senza pretendere nulla in cambio…tutti gli uomini che mi trattavano così volevano…- Genkay tacque e arrossì. – Avete capito.- disse infine.

- Genkay, provi paura al pensiero di rivederlo perché ti senti in debito nei suoi confronti, perché ti ha reso la libertà. È solamente questo.

- Non è paura maestro!- insistè lei – E’ qualcos’altro e non sono capace di dargli un nome; è legato a Toguro, ma non so perché.- Genkay si voltò e scese dalla collinetta, incamminandosi di buon passo.

- Dove vai, bambina?

- Vado ad allenarmi, maestro.

Il sibilare dell’aria.

Colpisco ancora il nulla, unico modo che ho per dare sfogo ai mei sentimenti.

È un allenamento per tutti, per allenare i riflessi, la velocità, la tecnica.

Non per me.

Non per me, che sono sempre stata abituata a cavarmela da sola quando provo qualche sentimento che non riesco a capire.

Non posso parlarne col maestro.

Lo conosco da tre anni, lui, è quanto di più simile a un padre io abbia mai avuto.

Ma non posso parlare con lui di quello che provo.

Colpisco ancora, sperando che il rumore dei miei colpi copra il rumore delle mie emozioni.

Non è così.

Maledetti, maledetti occhi del mio promesso sposo…

Perché non abbandonano la mia mente?

Perché non riesco a scordare la sua voce, quando tentava di tranquillizzarmi, maledizione, perché ho paura di rivederlo?

Ma io non ho paura.

È semplicemente che…

Ecco, ho paura di qualcosa, ma non so di che cosa!

È terribile per me, io che sono una guerriera, io che ho imparato a badare a me stessa!

Colpisco ancora, ancora, ancora, cercando di sconfiggere i miei sentimenti, di combattere le mie emozioni.

Ma non ne sono capace e lo so troppo bene.

- Buongiorno.

Genkay si volta con un sussulto; e deve sollevare molto lo sguardo per vedere il volto dell’uomo alto e abbronzato che le è di fronte.

- Toguro!- Istintivamente fa un passo indietro. Osserva quello che avrebbe dovuto essere il suo sposo, appena tornato dal suo viaggio con i compagni, la sacca sulle spalle.

- Non sei cambiata affatto, Genkay.- Toguro sorride. – Ma sei ancora più bella dell’ultima volta.

- Dove sono i tuoi compagni?

- Sono rimasti indietro. Li ho preceduti.

- Vuoi che ti porti dal maestro?

- Ti spiacerebbe sederci un poco?

Genkay annuisce, senza distogliere gli occhi dal suo volto.

Si siedono sotto un albero.

- Non sapevo che saresti tornato oggi.

- Avevo mandato una lettera al maestro.

- Me l’ha detto solo oggi.

- Ti infastidisco?

- No!- Genkay scuote con vigore il capo. – No, questo no, al contrario!

E si stupisce, di pensarlo davvero!

Si stupisce, di essere davvero, in qualche modo, felice del suo ritorno!

Si stupisce del fatto che sarebbe capace di stare lì seduta sul prato, anche ore ad ascoltarlo parlare!

Si stupisce del fatto che non prova più paura ma che sta bene, che è felice, lì.

Felice…

Come posso dire di esserlo?

Come posso dirlo?

Ma è così, io sono felice qui, sono felice di potere stare qui, seduta al suo fianco,ad osservarlo, semplicemente.

L’ho sempre saputo e mi rifiutavo d’ammetterlo anche a me stessa, che lo amavo.

Che lo amo, che quest’uomo, forse, potrebbe riamarmi.

E poi Genkay sgrana gli occhi, consapevole, adesso.

Ma lui non può riamarmi…

Mi ha portato con sé perché sentiva di doverlo fare, ma lui non mi ama…

Non può amarmi…

Lo saprei.

Vorrei solamente avere il coraggio di dirglielo;

ma non posso farlo perchè se lui mi amasse me l’avrebbe già detto; m’avrebbe presa in sposa, tre anni fa.

E invece saremo buoni amici, null’altro che questo.

E non è triste che io, una ragazza –credo di poterlo ammettere senza vanità- persino graziosa, debba rimanere non amata, per sempre?

Non è triste che l’uomo che amo debba accontentarmi di guardarlo, di fingermi sua amica, per struggermi in silenzio nel fondo dell’anima?

Ma bene o male è questo il mio destino.

M’arrendo a lui, al fato che mi vuole distruggere, e spero di non avere a soffrire del mio silenzio.

 

 

Lei.

Lei che è così bella che i miei compagni neppure crederebbero ch’io possa aver rischiato di sposarla;

lei che è così bella che non pare possibile che un normale essere umano possa permettersi di stare al suo fianco.

Lei che da quando sono partito ossessiona la mia mente col suo ricordo.

Lei che io amo con tutta l’anima, per la quale non esiterei a dare la mia vita se ciò servisse a farla felice.

Lei che non saprà mai quel che io provo per lei, lei che non dovrà mai saperlo perché lei non può amare un uomo come me.

Genkay merita qualcosa che non sono io, merita tutto ciò che desidera, merita la felicità ch’io non riuscirei a darle.

Ride con le sue labbra come petali di rosa, più simile a una dea che a una donna umana;

e vorrei dirglielo,vorrei vivere per sempre al suo fianco, per proteggerla e farla felice,e non lasciarla mai.

Ma io non posso averla e devo arrendermi.

Cercherò di tacere finchè potrò, e quando non potrò più morirò per morire col mio segreto.

 

E l’amore che non può essere ricambiato tace, anche per sempre.

Per non ferire il suo amore,

e soprattutto per non esserne ferito.

E due giovani, troppo giovani per sapere amare,troppo innocenti per sapere cosa dire, tacciono,

e uccidono il loro amore.

Lo soffocano, tra le mani, per non averne a soffrire, per portarlo con sé nella tomba quando morranno.

Ma l’amore non muore mai.

L’amore torna, nelle notti insonni, a tormentare l’amante sotto forma degli occhi dell’amato.

E tace per mezzo secolo, per tutta la vita, finchè non muore con chi lo nutre.

E non si capisce mai bene se è il proprietario a uccidere il suo amore che lo tiene in vita, o l’amore, che uccide il proprietario che tiene in vita e da cui è tenuto in vita.

Ma l’amore tace, e non è detto che si spenga.

E non lo puoi lasciar morire, perché sai che morirai con lui…

Owari.

   
 
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