A
casa Moroboshi regnava la quiete; solo Shutaro, con gli occhi
spalancati nel buio, giaceva prono assorto in mille pensieri senza
concedersi a Morfeo.
La
convivenza con la famiglia Moroboshi non lo preoccupava, dopotutto il
cibo era comestibile e la vicinanza con Lamù sopperiva
perfettamente alla lontanaza dall' usuale lusso...il suo timore
nasceva dalla considerazione del fatto che, un domani nemmeno troppo
lontano, avrebbe dovuto separarsi dalla bella Oni.
Nel
frattempo, però, quanto si sarebbe affezionato a quella dolce
creatura?
Sicuramente
tanto, da soffrirne parecchio al momento della naturale divisione.
Si
mise di lato e si sforzò di prendere sonno; il duro pavimento
in legno sulla quale era adagiato il sottile futon non era certo il
riposo a cui era abituato!
Ataru
seguiva col capo chino e la cresta bionda, ballonzolante, la schiena
ritta e fiera del signor Mendo - alias suo padre dal risveglio (
traumatico ) di quella mattina.
I
due procedevano spediti lungo corridoi e scale sotterranee che si
addentravano sempre più nelle viscere della tenuta Mendo; il
ragazzo si chiedeva cosa si celasse dietro quelle innumerevoli porte,
disposte ordinatamente lungo le spoglie pareti di quei condotti.
"...
cosa si suppone dovrei fare, ora?? " pensò fra se il
signor Mendo, mentre senza una meta definita scorreva i lunghi
passaggi dei sotterranei della sua dimora.
Buttando
uno sguardo alle porte constatò che gli uomini in nero erano
ancora tutti a riposo nei loro alloggi, fino all'indomani nessuno di
loro sarebbe tornato in serivizio.
Si
pettinò ad ogni passo i baffetti neri, lisciandoli con
l'indice ed il pollice della mano sinistra : " ...i polpi..."
pensò "...oggi non hanno ancora mangiato. "
Il
passo si fece più spedito.
I
due scesero ancora un paio di rampe di scale ed immettendosi su un
nuovo, lungo e buio corridoio, Ataru notò un'unica porta
piantonata da due militari in divisa.
Le
guardie ostentavano un grosso AK47 a testa, un' arma più
adatta ad un campo di guerra che alla dimora di un riccone; sulla
porta in legno, dotata di fessura d'ispezione, capeggiava la scritta
' videosorveglianza-centro di registrazione'.
Passando
davanti ai soldati, impegnati nel saluto militare rivolto ai due, al
ragazzo tornarono in mente le parole del misterioso individuo della
torre dell'orologio; si ripromise che più tardi avrebbe
certamente fatto luce sul buio che occupava i ricordi della sera
della festa di compleanno.
Una
porta scorrevole si spalancò su una sala molto ampia.
I
due si trovarono al cospetto di una piscina dall'acqua ferma; su un
piedistallo di marmo vi era adagiato un barattolo, il signor Mendo lo
indicò allungano un braccio e puntandolo con l'indice.
"
Hai scordato di dare il cibo ai polpi. " disse con tono
asciutto; tuttavia la voce, in quella grande stanza sgombra, ad Ataru
parve tonante.
Il
ragazzo obbedì, impungò il baratto e ne svitò il
tappo.
Senza
tante cerimonie prese una manciata di quella roba maleodorante e la
buttò sulla superficie piatta e ferma dell'acqua.
Nonostante
la luce fioca data da poche e lontane lampade al neon, Ataru notò
che i polpi se ne stavano sul fondo e lo fissavano con sguardi
incerti e preoccupati; nessuno degli intelligenti animali osava
muovere un solo tentacolo nella sua direzione, od in quella del cibo.
"
Abbine miglior cura, di questo passo non ti resteranno altri amici
che loro..." si limitò a consigliare il signor Mendo,
prima di abbandonare la stanza.
Ataru
restò immobile a lungo e lo stesso fecero i polpi, poi posò
il barattolo e si incamminò sulla via del ritorno alla parte
superiore dell'abitazione.
Passando
davanti alla porta della videosorveglianza i soldati rifiutarono di
conderegli il saluto militare; l'aria era tesa ed Ataru non faticò
a notare un certo nervosismo...armandosi delle migliori gentilezze,
chiese ai militari il permesso di 'curiosare' un poco dentro la
stanza.
"
Accesso negato " rispose uno dei due.
Il
ragazzo tentò, con parole di miele, di persuadere le rigide
guardie ma quella sul lato sinistro della porta assestò un
violento colpo alla nuca del ragazzo col calcio ligneo del pesante
fucile.
Ataru
cadde sulle ginocchia, reggendosi la testa dolorante con entrambe le
mani.
"
AAAhhh!!!" esclamò " ...fa un male boia ma che
diav..."
Il
secondo militare abbassò l'arma e la puntò senza troppi
convenevoli sulla fronte del ragazzo, ancora adorno dei vestiti e
della cresta da mototeppista.
"
Lo Shutaro Mendo che noi rispettiamo e per il quale prestiamo i
nostri servigi non è certo la larva che sto osservando ora.
Guardarti mi da il voltastomaco, sparisci prima che mi venga voglia
di far sbocciare un bel fiore rosso sulla tua zucca avariata ".
Gli
occhi gelidi e spietati del militare scatenarono la paura in
Ataru...i suoi denti cominciarono a frangere rumorosamente; il
soldato che lo colpì alla nuca appoggiò il piede sulla
sua schiena e con violenza lo spinse pancia a terra:
"
Striscia, Larva!" ridacchiò.
Voltandosi
con crescente terrore Ataru incrociò gli occhi con quelli,
simili a vampe infuocate, dell'aggressore.
Corse
a perdifiato lungo i corridoi e salendo scale, con le lacrime sulle
guance.
Attraversò
il grande salone principale della casa, vuoto e buio; solo l'ansimare
tagliava il pesante silenzio.
Nei
grandi corridoi non riuscì a trovare la sua stanza, od a
ricordare dove fosse...si abbandonò in lacrime contro una
parete, affondando il volto nelle mani : " Mi odiano...tutti, mi
odiano...!" sussurrò gemendo di dolore.
Nella
parete, improvvisamente, si aprì una porta; il ragazzo che
fino a quel momento poggiava saldamente con la schiena, reggendosi,
contro il sostegno si trovò a gambe all'aria e ruzzolò
nella nuova apertura...un attimo dopo l'uscio si richiuse,
inghiottendo Ataru.
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