Per
istinto e pensiero
di ellephedre
Fine marzo 1997 - Troppo vino?
«Cin-cin.»
Ami fece tintinnare il calice con quello di Alexander.
Rimirò
il liquido rosso prima di assaggiarlo.
Le sue papille gustative vennero
invase dal sapore ricco e corposo del vino francese.
Lo inghiottì, sentendone il percorso fino allo
stomaco. «Wow.»
Alexander concordava. «È più
forte di quello che pensavo.»
Già. La gradazione alcolica doveva essere alta.
Avevano recuperato la bottiglia dalla credenza di Yamato, l'amico di
Alexander. Lui aveva detto che qualunque cosa fosser rimasta in casa
era da considerare regalata. Lei e Alexander avevano preso la bottiglia
di vino dopo aver deciso che era il
caso di festeggiare quella sera.
«Non ce l'avrei mai fatta senza di te, Ami
love. Traslocare in un giorno... Abbiamo battuto qualche
record.»
Lei alzò il calice in loro onore. Erano stati
efficienti. «Avevi messo in ordine tutto quanto.»
«Già. Ci
ho messo una settimana.»
Esatto, alla fine cambiare casa non era mai
semplice. Con una rigorosa organizzazione loro avevano ridotto i tempi
al minimo indispensabile. «Ora abbiamo il tempo di andare
dove
vogliamo.» Avevano cinque giorni liberi, tutti per loro. Il
periodo degli esami era terminato.
Alexander si stava guardando intorno, rimirando il salotto di
quello
che era stato un tempo l'appartamento del suo amico. Ora era casa sua.
«Voglio conoscere tanti posti, ma... per almeno una
giornata mi andrebbe
di stare qui. Sento di voler fare qualcosa con questo posto.»
Lui ne era proprio fiero. «Per
esempio?»
«Voglio
riempire il frigo. Ora è solo mio e comprerò il
cibo coi
miei soldi. Sento che sarà diverso fare la spesa. Voglio
anche andare
a comprare le cose che mancano in giro per la casa.»
Sì, incredibilmente non avevano trovato
proprio tutto
nell'appartamento dei genitori di lui: alcuni mobili erano stati troppo
ingombranti per la funzione che avevano. «Allora
domani andiamo
in
un negozio di mobili.»
Alexander pensava. «Sai, anche se sarà un
posto
economico,
non importa. Sono contento. Stare qui mi dà la
carica.»
Lui tenero nel suo palese desiderio di rendere quel
posto
ancora più suo. «Ti meriti tutto
questo.» Ami brindò di nuovo a lui, a
ciò che
aveva conseguito.
«Riuscirai a mantenere questo appartamento. È tuo,
te lo
sei guadagnato. Sei una persona completamente
adulta ora.»
Alexander si illuminò. Fece tintinnare
i loro calici
con più energia.
Quei giorni erano... speciali, pensò Ami.
Pochi giorni prima Alex aveva presenziato alla sua cerimonia
di
diploma. Era venuto alla sua scuola in completo, elegante senza
essere troppo formale, per vederla ricevere in mano il documento che
decretava la fine di un lungo periodo della sua esistenza. Non era
più una studentessa che doveva portare l'uniforme; la scuola
come la conosceva era finita.
Quando avevano chiamato il suo nome sul
palco, Alexander l'aveva applaudita assieme a
sua madre e alle ragazze.
Fuori dall'edificio scolastico, Ami lo aveva visto fare una
faccia
strana quando gli aveva chiesto di fare una foto ricordo con lei.
«Perché sei sorpreso?» gli
aveva domandato.
«Te lo dico dopo» aveva risposto lui. Si
era
messo davanti all'obiettivo, un braccio intorno alle sue spalle, ed Ami
lo aveva visto sfoderare il sorriso più grande che avesse
mai
regalato a una macchina fotografica.
Si era dimenticata di insistere per una risposta, ma in
seguito aveva capito da
sola come si era sentito lui. Era successo quando erano andati insieme
al matrimonio
di Usagi.
Lei aveva pianto nel vedere Usagi e Mamoru che si prendevano
per mano,
guardandosi negli occhi, mentre giuravano di amarsi in eterno.
Avrebbe ricordato per sempre quel giorno assieme alle sue
compagne. In
futuro avrebbero parlato della festa, di quanto fossero state
emozionate mentre si dirigevano insieme verso il luogo della
cerimonia... Si era resa conto che avrebbe ripensato anche ad
Alex, al momento in cui lo aveva tenuto per mano mentre si
scioglieva dalla commozione per Usagi.
Iniziavano ad essere presenti, l'uno per l'altra, in momenti
irripetibili delle loro esistenze.
Ami voleva essergli accanto nel
giorno in cui lui si fosse laureato - la prossima grande tappa della
sua vita.. Era anche felice più che mai di
averlo aiutato a traslocare nella sua prima vera casa: sarebbe
rimasta nei ricordi di lui per sempre, qualunque cosa fosse successa
tra loro.
Colpita da un magone, bevve un altro bel sorso di vino.
«Ehi, vacci piano.»
«È buono.» Forse
però
l'alcool stava
cominciando a darle alla testa.
«Vuoi mangiare qualcosa?»
Hm. Non aveva molta fame, e non aveva voglia di cucinare.
Alexander sembrava pensare la stessa cosa. «Andiamo
a cenare fuori.»
Uscire? Ma era così bello e tranquillo starsene in
casa a non fare niente, dopo tutti gli impegni che avevano avuto.
Lui aveva adocchiato una scatola sistemata in una mensola
della libreria. Sorrideva.
«Cosa c'è?»
«È da un po' che non giochiamo a
scacchi.»
Ami voltò la testa. Per l'entusiasmo quasi travolse
il calice di vino. Evitò per un
soffio che il liquido si rovesciasse, ridacchiando. Si
spostò verso la libreria e afferrò
la scatola che conteneva la scacchiera. «Giochiamo
ora!»
Lui era già convinto. Si stava alzando.
«Vado a prendere degli snack.»
Aveva così fame?
Sulla porta del salotto Alexander chiarì.
«Servono per
non stare a stomaco vuoto. Altrimenti il vino ci farà
ubriacare.»
Lei fermò il calice a un centimetro dalle labbra.
«Ho
retto più di questo.» Al pigiama party di Usagi.
Inoltre
quello sarebbe stato il suo ultimo bicchiere.
«Scommetto che avevi mangiato qualcosa.»
Alexander non discusse più, andò in cucina.
Un minuto dopo Ami aveva finito di sistemare i pezzi sulla
scacchiera. Lui tornò indietro con un piattino di
crackers.
«Non ho niente di valido in casa. Devo davvero fare
la spesa.»
Lei ebbe un'idea. «Usciremo
insieme nel cuore della notte. Andremo a prendere qualcosa in un Family
Mart.» Non ci era mai stata oltre una certa ora.
L'entusiasmo
all'idea di fare piccole cose nuove insieme, in quella casa,
l'aveva contagiata.
Alexander prese di nuovo in mano il proprio calice.
«Andata. La città sarà
nostra.»
Lei ricambiò il cin-cin.
Lui bevve in un sorso solo quello che restava del proprio
vino. «Ora ti insegnerò come giocare a
scacchi.»
Davvero? «Che presuntuoso.»
«Vedrai.»
Mezz'ora dopo Alexander sentiva la testa leggera. Aveva
sgranocchiato un paio di crackers, ma la concentrazione per la partita
lo aveva distratto. Era stato più facile continuare a bere
che
preoccuparsi di masticare. La bottiglia di vino era mezza vuota.
Ami pareva nella sua stessa condizione. Mentre guardava la
scacchiera le sue guance erano accaldate. Sulle labbra aveva il
residuo di una goccia di vino. Tirò fuori la lingua, per
leccarla via.
Che cosa seducente.
Lei lo era, in ogni momento.
I suoi occhi blu salirono a guardarlo.
«Cosa?» domandò lui.
«Perché mi fissi?»
Non c'era un vero motivo. Semplicemente, l'aveva davanti e
guardarla era
tremendamente piacevole.
Il sorriso di Ami era divertito. «Ho
qualcosa?»
«No.»
Lei raddrizzò le spalle, inspirando. «Mi
sento... diversa.»
Ah, sì?
«Non credo di potermi più concentrare
sulla partita.»
Sì, lui la capiva.
Ami stiracchiò le braccia verso l'alto, tirando
fuori del
petto. I suoi seni erano piccoli e appuntiti. La temperatura della
stanza si era abbassata.
Lei rabbrividì. «Anche se è
primavera...»
Il suo discorso venne interrotto dal suono di un tuono, in
lontananza.
Ami emise una risata bassa, cristallina. «Ecco.
Piove.»
Per Alexander era una serata perfetta. Era rintanato in casa -
in
una casa che poteva definire completamente sua - con Ami.
Lei smise di stringersi nelle spalle. «Prestami una
tua felpa.»
Lui scosse piano la testa. «Perché
non vieni qui? Ti riscaldo io.»
Ami non arrossì. Il momento in cui
valutò la sua
proposta fu particolare: per una volta in lei non vi furono imbarazzi.
Lo fissò, poi con naturalezza coprì la
distanza tra loro. Salì sulle sue ginocchia.
Alexander le portò le braccia intorno
alla vita.
Col
respiro
di lei sulla fronte, sollevò gli occhi, per bearsi della sua
vicinanza.
Ami era calma, ma perplessa.
«Cosa c'è?»
«Non mi sto vergognando.»
Gli venne da ridere. Affondò il naso nel
collo di lei. Inspirando forte, si inebriò del suo odore.
«Sei così buona.»
«Anche tu. Te l'ho mai detto?»
Alexander si fermò a pensare.
«No.»
Ami si strinse più forte alle sue spalle.
«Sono... stordita.»
«Hm?»
«Dal vino.»
Ah.
Forse lo era anche lui.
Ami fece una pausa. «Non è
male.»
Già. Non lo era affatto.
Rimasero in silenzio.
Alexander non resistette. «In che senso sono
buono?»
Ami si divertì, un suono sottile che giunse al suo
orecchio con un soffio leggero. Provò un brivido.
«Hai un buon sapore. Mi fa venire voglia di...
baciarti.»
Fallo, allora.
Non glielo
disse. Sollevò la testa e incontrò la sua bocca.
Sciolse le labbra di Ami con un bacio languido, intenso. Lei e tutto
il suo
corpo persero forza tra le sue braccia.
Con una piccola spinta delle anche, Alexander la fece sdraiare
sulla
schiena. Ami continuò ad accettare il bacio, non
una sola
protesta a interromperli.
Wow.
Lei non si arrendeva mai tanto presto.
Si staccò dalla sua bocca. «Sei davvero
ubriaca?»
«Hm?»
A pochi centimetri dai suoi occhi, Alexander non
riuscì a trovare le parole. «Non fai
mai...» Così.
Ami non lo comprese. Rabbrividì di nuovo e lo
strinse più forte. «Ho freddo.»
Si persero di nuovo nel bacio. Era bello sentirla
rispondere senza alcuna inibizione. Lei si scioglieva sempre alla fine,
ma arrivarci era un lavoro, una conquista. Ora
invece...
Ami sorrise contro le sue labbra. Gli tirò su la
maglia. «Dammela.»
«Cosa?»
«La voglio, ho freddo.»
Divertito, lui si staccò.
«Così
tanto?» Iniziò a spogliarsi. Quando riemerse
dall'indumento,
Ami aveva un sorriso furbo in volto.
«Ho voglia di metterla. Mi piace il tuo
odore.»
Lui la trovò dolce e passionale.
Libera. «Prendilo dalla fonte.» Si
chinò in avanti, rubandole un altro contatto di labbra.
Ridacchiando, lei si ritrasse. Si era presa la sua maglia.
«Mi basta questa.»
Alexander finse dolore. «Veramente?»
Nascondendo la bocca dietro il tessuto, Ami scosse veloce la
testa.
Giocava. Era adorabile.
Lui fu audace. «Mettila. Con nient'altro
sotto.»
Le si mozzò il respiro. Ami rimase a guardarlo, per
un
momento. Poi, con gli occhi che puntavano la stanza per non
guardarlo direttamente, iniziò a togliersi
le
calze. Appena denudò un piede, lui glielo
afferrò,
premendo forte con un dito sulla pianta. Le uscì
un gemito.
«Ti bacerò su queste dita.»
Ad Ami scappò una risata.
«Non vuoi?»
«È assurdo.» Lei lo disse
mentre continuava a
spogliarsi. Aveva levato la maglietta, rimanendo in reggiseno. Era il
capo di biancheria che gli aveva fatto perdere la testa qualche
settimana prima.
«God,
ti sta così bene.»
«Cosa?»
«Quel pizzo.»
Sulle guance di lei comparve un po' di colore. Si era
ricordata
solo in quel momento di cosa indossava. «Ne ho comprati
altri.»
Davvero?
«Perché il primo ti è
piaciuto.»
Lui boccheggiò: era incredibile sentirla
tanto sincera.
«Perché non ti stai spogliando anche
tu?» gli domandò lei.
Dovette darle ragione. Le stava facendo fare tutto il lavoro
da
sola, ma aveva voglia di osservarla.
Sciolse la cintura dei pantaloni.
Sollevando il sedere dalla moquette, fu a gambe nude in un paio di
secondi.
«Troppo veloce» si lamentò Ami.
«Dovevo fare piano?»
«Era più romantico.»
Okay. Magari doveva ricordarlo in futuro.
Lei stava levando la gonna. Si vergognò solo in
quel momento,
ma non ebbe esitazioni nei movimenti: rimase in slip, il modello
ricamato semi-trasparente che non la copriva quasi per niente.
Con incredibile audacia si mise dritta, sulle ginocchia,
dandogli una splendida visione del proprio corpo.
Alexander memorizzò ogni centimetro quadrato di
pelle.
«Si vede tutto quello che pensi.»
Eh?
Non riuscì a guardarla negli occhi.
«Dal tuo pene.»
Lui scoppiò in una risata alta.
Ami si divertì. «È
vero!»
Ma lei non aveva mai usato quella parola in vita sua!
Alexander non riuscì a smettere di sussultare.
Lei deglutì il proprio divertimento. Gli si
avvicinò. «Sono un futuro medico. Penso a queste
cose.»
Buono a sapersi.
Sentì le mani di lei sulle spalle. Si
lasciò mettere a sedere.
Ami teneva gli occhi sul suo bacino. Lo studiava, spostando lo
sguardo su tutta la sua forma. «A
volte... mi
fai male quando entri.»
... ah.
«Devo essere molto umida prima.»
Sì, se n'era accorto. Perciò cercava
di farle avere un orgasmo prima. Era un po' laborioso, ma era una
fatica così piacevole... «Mi
dispiace.»
«Non è colpa tua.»
Ancora lei non lo guardava in faccia. Lo spinse più
forte
all'indietro, fino a farlo sdraiare. «Credo di doverci
pensare da sola di tanto in tanto. Con la testa.»
Lui non capì cosa voleva dire.
«Eccitarmi col pensiero» chiarì
Ami.
Sarebbero bastate quelle parole a farlo diventare duro, ma Ami
fece di
più, appoggiando il bacino sul suo, in un deliberato
strofinio.
Vederla tanto sicura, seminuda sopra di lui, lo
portò al massimo dell'eccitazione.
«Per esempio, questo...» Ami strinse le
labbra, ripetendo il
movimento circolare dei fianchi, aggiungendo la forza del proprio peso.
«È... wonderful.»
Lui le aveva stretto la vita, la bocca
aperta e
gli occhi socchiusi.
Senza chiedere, lei continuò a fare uso del suo
corpo,
muovendo il bacino controllatamente, per incrementare il piacere di
entrambi.
Lui avrebbe voluto essere torturato in quel modo per sempre,
ogni notte. Ogni mattina, tutti i giorni.
Allargò la presa alle natiche di lei,
prendendone una per palmo.
Ami sussultò, poi si spinse contro le sue mani,
senza inibizioni. «Vuoi... farlo?»
Lei era timida nella scelta dei termini, anche quando
non
era completamente lucida.
«Sì» rispose lui.
«Non senza preservativi.»
Il cervello non gli si era ancora spento a tal punto.
«Vado a
prenderli.»
Per alzarsi la sollevò, capovolgendola
di
lato. La seguì dapprima per impedirle un impatto troppo
rapido col pavimento,
poi solo per il piacere di stringerla. Si chinò a baciarle
il
collo, sovrastandola. «You
are delicious.»
Ami ansimò, affondando le unghie nelle sue spalle.
«Va' a prenderli.»
Per allontanarsi lui fece forza sulle braccia.
Una volta in piedi, lievemente più in
sé, cercò
di dare un senso ai propri dintorni. Dove aveva visto l'ultima volta i
preservativi?
Non erano più nel solito cassetto.
Aveva cambiato casa.
Si diresse verso la camera da letto, dove aveva lasciato il
borsone
con le ultime cose che aveva portato. Vi rovistò dentro,
trovando una striscia dei prodotti che cercava.
Stringendoli in mano, tornò indietro. Forse doveva
far venire Ami in camera?
Sul punto di chiamarla, le parole gli morirono in
gola.
Ami era rimasta sdraiata sul pavimento, esattamente come
l'aveva
lasciata. Stava guardando la finestra, le ginocchia lievemente piegate,
i pugni socchiusi vicino alla testa. Il suo ventre si sollevava piano,
come i suoi seni. Sotto il pizzo bianco lui intravedeva il rosa scuro
dei capezzoli turgidi, che tiravano il tessuto.
E il freddo? Non
sarà comodo.
Ma una parte di lui non
aveva nessuna di quelle preoccupazioni. Non era interessato alle
conseguenze.
Appena lo sentì vicino, Ami voltò la
testa. Sorrise, serena. «Questa casa già mi
piace.»
«Come mai?»
«Mi fa sentire come se non avessi regole.»
Quello era l'alcool. Ne era affetto anche lui,
perché aveva
appena avuto un'idea.
Era un proposito che poteva realizzare con Ami in
quello stato, mentre lui stesso si sentiva in quel modo. C'erano
meno domande nella sua testa, meno freni. Più desideri.
Tornando a sistemarsi accanto a lei, la guardò
negli occhi. Quelli di Ami rimasero fissi sui suoi, poi lei si sporse
in avanti. Reclamò un bacio profondo, avvolgendogli la vita
con le gambe.
Alexander non ebbe più alcun dubbio su cosa fare.
Ami si svegliò la mattina dopo, di colpo. Sentiva
la testa leggera, sanata. Cercò invano le coperte. Aveva
dormito senza un solo straccio addosso.
Sbatté le palpebre.
Ebbe un flash di quello che era accaduto la notte prima.
Incredula, si tirò a sedere sul letto.
Concentrandosi, focalizzò i ricordi.
Si riempì di mortificazione.
Cosa-? Come-?
Cercò invano i vestiti sul pavimento, per coprirsi
e ritrovare un po' di pudore. I suoi abiti erano rimasti in salotto.
Si strinse nelle braccia e si allontanò dal letto.
Era umida tra le gambe, per la prima volta per un'esperienza che la
faceva sentire strana, incerta.
Sgattaiolò in bagno.
Seduta sul bordo della vasca, ripercorse con la mente le sue
azioni della notte precedente. Si vide da fuori come se... come se non
fosse lei.
Non era lei che si era dimenata in quel modo. Non era lei che
si era lasciata... e poi aveva...
Invece sì.
Scattò in piedi, smettendo di ricordare per istinto
di conservazione. Si pulì velocemente e raggiunge il
salotto, ritrovando per terra tutti i suoi vestiti.
Sul tavolino al centro della stanza c'erano ancora la
scacchiera e due calici con residui di vino sul fondo.
È stato l'alcool.
Rendersene conto le diede solo un attimo di sollievo. Non
cancellava ciò che era avvenuto.
Vestita, con la giacca indosso, aveva già una mano
sulla porta quando decise di tornare indietro.
Non cercò Alexander, che ancora dormiva nella
stanza. Si diresse al borsone dove lui aveva sistemato tutti i
medicinali. Per pietà recuperò una pastiglia di
Bufferin e andò in cucina, a riempire un bicchiere d'acqua.
Era stato l'alcool, si ripeté. Lei non stava
subendo gli effetti della sbronza solo perché aveva un
fisico speciale, particolare.
Lasciò la medicina sul bancone, ricordandosi che
tutto il suo potere non le era servito a mantenere un minimo di ritegno
quella notte.
Con le guance in fiamme, a disagio, scappò dal
nuovo appartamento di Alexander come una ladra.
Quando Alexander si svegliò, il
suo cervello martellava contro le pareti della nuca.
Dolorante, si voltò su un fianco.
Ami?
Il letto accanto a lui era vuoto, freddo.
Si mise a sedere, un movimento rapido che gli fece
vorticare la testa. Impiegò un momento a riprendersi.
Dannazione, era una sbornia. Si era ubriacato.
Ami non c'era.
La chiamò. Nel non sentire risposta
iniziò ad allarmarsi.
Si alzò, vagando per le stanze.
Non c'era alcun segno di lei. I suoi vestiti erano andati, la
giacca non era più appesa all'ingresso del
corridoio. C'era
solo...
Si avvicinò al bancone della cucina. Sul ripiano
era appoggiato un bicchiere d'acqua e una pastiglia bianca - un
antidolorifico.
Ami se n'era andata.
Si concentrò, combattendo contro il
dolore alla testa. Perché lei non lo aveva svegliato? Per
caso la notte prima lui aveva fatto qualcosa che...?
Ricordò tutto. Sbiancò.
Cazzo.
Usagi era in luna di miele. Rei era andata in gita con
Yuichiro, Makoto era in viaggio con Gen e Minako era andata fuori
città per lavoro. Per Ami le vacanze non erano mai capitate
in un momento meno opportuno: aveva bisogno di parlare con
qualcuno. Luna era rimasta in città, ma lei sarebbe
rimasta scandalizzata già dalla sua prima frase.
Ieri notte ho
bevuto troppo. E con Alex... non sono stata io.
Non era abbastanza amica di Haruka e Michiru per parlare con
loro di questioni tanto personali. Inoltre, era certa che loro
avrebbero riso di lei,
dandole piccole pacche sulla testa per la sua
ingenuità. Solo le sue amiche avrebbero potuto
comprendere la sua confusione, anche se neppure a loro avrebbe potuto
dire tutto quello che era successo la notte prima.
Nei suoi ricordi era in ginocchio sopra Alexander, le dita di
lui rigide tra le sue gambe, ben insite il suo corpo.
«Qui ti piace?» lo aveva sentito
domandare. Senza alcuna vergogna si era spinta contro la sua mano,
roteando le ànche. Mentre lei continuava, lui le aveva
chiesto ancora cosa volesse, fino a premere forte coi polpastrelli su
un rilievo rotondo e gonfio, ipersensibile. Ami ricordava di
aver chiuso gli occhi per l'estasi mentre lui percorreva
quella protuberanza per intero, strofinandola. Poi Alexander aveva
deciso che
colpire veloce con le dita, a ripetizione, era la chiave giusta. Gli
spasmi le avevano fatto tremare le ginocchia.
Era ricaduta
su di lui, mentre il suo corpo ancora si stringeva sulla sua mano,
pulsando.
Fino a quel punto era stata semplicemente disinibita. Poi
aveva perso completamente la ragione.
Si erano spostati in camera da letto.
Il loro primo rapporto era iniziato in maniera naturale,
intensa - entrambi così attenti a stare stretti l'una
all'altro che a stento avevano respirato. Ricordava il peso di lui sul
corpo e come avesse cercato di tenerlo ancora più vicino,
perché la coprisse per intero. Aveva abbandonato la testa
all'indietro, per aprirsi più a fondo ai loro baci - per
assaggiarlo meglio, per percepirlo meglio.
Poi lui si era sollevato sulle braccia. «Devi dirmi
come.»
«Cosa?»
«Dimmi come devo muovermi.»
Si era agitata, cercando di farlo chinare, inutilmente. Lui
aveva anche smesso di muovere il bacino.
Lei lo aveva chiamato per nome, la supplica implicita.
Alexander le aveva liberato la fronte dai capelli, insistendo.
«Tell
me how.»
«Come prima» si era lasciata sfuggire lei.
Lui era tornato a muoversi, premiandola. Le aveva obbedito anche
quando lei gli aveva chiesto di tornare ad abbracciarla. Poi si era
comportato in modo deliberatamente insensato, smettendo di rispondere
agli aumenti di ritmo che lei gli chiedeva coi fianchi. Voleva sentirla
parlare. Aveva addirittura rallentato, evadendo il suo sguardo mentre
si chinava a strofinare la bocca contro il suo collo. Aveva
detto una cosa, l'unica che le faceva pensare che il vino avesse
avuto la meglio anche su di lui.
«Vorrei che fossi più alta.»
«Eh?»
«Mi devo piegare troppo per fare questo.»
Era scivolato all'indietro, quasi uscendo da lei, per tormentarle il
seno. Aveva usato i denti più del solito, causando un
minuscolo dolore. Lo aveva trasformato subito in piacere -
acuto, troppo acuto - succhiandola vorace. Forse era quello l'attimo in
cui
lei aveva smesso di pensare.
«Fallo forte!»
Senza aprire gli occhi aveva sentito la pausa di lui.
«Hard»
aveva ansimato e
al solo ricordo del proprio tono si vergognava, per la disperazione con
cui lo aveva
pregato.
Alexander l'aveva accontentata con foga, senza pause. Dopo tre
spinte lei aveva
cambiato idea. «Rallenta!» Aveva avuto un'idea
molto precisa di quello che voleva il suo corpo - pensieri racimolati
da tutte le loro esperienze insieme. Poiché lui si era
immediatamente fermato, una parte di lei aveva capito di poter chiedere
qualunque cosa. «Prendi un ritmo
costante. Rotea i fianchi mentre...» Alexander lo aveva
capito da
solo, muovendosi in maniera circolare nel terminare la spinta.
Il suo cervello si era annebbiato.
«Così!»
Quello che la faceva imbarazzare maggiormente era quanto
fosse stata lasciva. Aveva continuato a dare istruzioni,
perché lui non si era mai,
mai, mosso in precedenza esattamente come voleva lei. Anche se era
riuscita comunque a raggiungere picchi di sensazione straordinari,
quella
notte era andata oltre. Aveva emesso suoni a ogni spinta - gemiti,
sospiri, mugolii. Non era stata in silenzio neppure un
momento. A un certo punto gli avevo chiesto di smettere di
roteare il
bacino, di insistere con gli affondi. Sapendo cosa aspettarsi, il suo
corpo lo aveva stretto a ogni spinta, ricevendo stimolazione
nell'istante migliore, nella maniera più perfetta - in
continuazione, senza fine.
Non ricordava nulla di come si era mossa quando aveva
raggiunto il culmine. Aveva solo memoria di quanto fosse stato grande
il piacere - così giusto e totalizzante da farle credere di
averlo sempre cercato. Di Alexander non si era quasi curata,
ma lui aveva trovato soddisfazione ugualmente - con ansiti che
ricordava
più profondi del solito, e movimenti veloci, irregolari,
controllati a
stento nella loro forza.
Quando era finita, lui si era spostato e lei era
rimasta a guardare il
soffitto, sveglia - in pace col mondo e coi propri sensi.
Erano passati dieci minuti e avevano ricominciato.
Il rossore le fece male al viso.
Si era lasciata voltare, lo stomaco premuto sul letto. Non
aveva emesso protesta quando lo aveva sentito entrare da
dietro - anche se non
avevano mai usato quella posizione e un po' di pudore
avrebbe dovuto imporle di fermarlo. Invece non solo si era sistemata
meglio
con le gambe, per accoglierlo più a fondo, ma si era
ripetuta dalla sessione precedente - rilasciando suoni a
volontà, parlando. Come se quello fosse stato un frangente
fuori dal tempo, un momento staccato dalla realtà in cui il
pensiero non era concesso.
Rabbrividiva al ricordo di ogni istante, di ogni reazione.
Non sono quel tipo di
persona.
Non si sentiva a suo agio il giorno dopo. Non
poteva pensare di essersi lasciata vedere
e sentire mentre... mentre faceva... e gridava...
Con che faccia sarebbe tornata a guardare Alexander? Al
momento si vergognava così tanto che non era certa di
volerlo più incontrare.
Si alzò, vagando per la sua camera.
Stava reagendo in maniera ridicola.
Ma come avrebbe potuto fargli capire che quella non
era... lei? Che anche se lo era stata, questo non significava che
covasse il desiderio nascosto di fare l'amore in quel modo.
Non era vero! Lei desiderava stargli accanto come sempre, come
prima. Non voleva che lui avesse di lei un'idea
così... sbagliata? No, diversa.
Comunque, Alex aveva avuto più
testa di lei la notte prima. Si era atteggiato in quel modo
deliberatamente, per
portarla proprio in quella condizione di irrazionalità.
Avercela con qualcuno che non fosse se stessa la
liberò di un peso. Non era stata tutta colpa sua.
Anzi, se era stata colpa di lui...
Si permise di riflettere sull'implicazione.
Squillò il telefono. Mentre prendeva in mano la
cornetta, esitò per un
momento, poi rispose alla chiamata.
«... Ami?»
Combatté col risentimento. «...
ciao.»
All'altro capo del telefono Alexander stava cercando qualcosa
da dirle.
Lei la percepì come un'ammissione di colpa.
«Ti è passata la
sbornia?»
«Sì. Ami-»
«È passata anche a me. Credo che
starò a casa oggi.»
«... Ah.»
Se fosse stato così semplice - se fosse stata solo
colpa di lui...
«Allora ci vediamo.»
Riattaccò. Confusa e irritata,
tornò a riflettere.
I fucked it up.
Per strada Alexander si
maledì per l'ennesima volta.
C'era un pattern nel suo atteggiamento. Cercava di essere
attento,
rispettoso, procedeva sempre con estrema cautela... poi dal nulla il
suo
cervello entrava in cortocircuito. Diceva cose che Ami non era pronta
a sentire, o - peggio - faceva cose che lei non era in grado di
reggere.
Ami glielo faceva capire, in tutti i modi possibili, da
sempre. Quindi perché diavolo la notte prima si
era
spinto
tanto in là?
Per l'alcool. Non
berrò mai più assieme a lei, mai più
in assoluto.
Dannazione, le inibizioni esistevano per una ragione. Ami non
era il tipo di persona che era capace di dimenticarle dopo una sera.
Anzi, lei non si sentiva mai a suo agio se si lasciava andare
senza prima aver preso una decisione consapevole, ragionata. Altrimenti
poi si sentiva scoperta, infelice. Destabilizzata.
Posso rimediare, vero?
Aveva pronte delle spiegazioni. Aveva intenzione di dirle che
potevano dimenticare tutto. Cancellato, come se non fosse mai successo.
Probabilmente avrebbe funzionato solo se lui se ne fosse stato
tranquillo per un bel po', ma...
Brontolò.
Non gli importava del sesso. Voleva solo sapere di poterla
sfiorare senza sentirla sobbalzare. Ami si era sempre
avvicinata a lui con fiducia, certa di non avere nulla da temere. Ora
si sentiva smentita, no? Anche se lei
non aveva
fatto
nulla che non avesse desiderato realmente - nel profondo del suo
essere, in quella parte che non conosceva pause, imbarazzi, che era
solo totale e incondizionata resa...
Chiuse gli occhi.
Aveva il suo materiale da sogno. Poteva usarlo per frenarsi
per... per tutto il tempo che sarebbe servito. Era pronto a
mentire, a dire che era stato il vino a
guidarlo.
Non mi sarei mai comportato
così, love. Mi
vergogno, come te.
Poteva essere bugiardo a tal punto?
Sì, sospirò. Gli importava
più di un bacio, dato con calore, che di intimità
fisiche in cui lei non si sentisse coinvolta. Forse sarebbe stato un
percorso in salita, di nuovo. Forse sarebbe durato a lungo, ma... non importa.
Per favore,
perdonami.
Un'ora e mezza dopo la chiamata di Alexander, Ami
sentì suonare il campanello di casa.
Se lo era aspettata. Dopo lunghe riflessioni era giunta alla
conclusione che aveva più bisogno di un confronto che del
silenzio.
Comunque, non sarebbe stata lei ad andare da lui. Se
si vergognava, era anche colpa di Alexander. Non spettava a lei fare il
primo passo.
Scese per le scale.
In fondo, tu non ti sei
vergognato di sicuro. Scommetto che stamattina eri fiero di te.
Non sapeva ancora come sentirsi a pensarla in quel modo. Non
sapeva se doveva essere risentita, se poteva passarci sopra o...
Aprì la porta di casa.
Davanti a lei il suo ragazzo era costernato.
Ah.
Lui rimase fermo sulla soglia, in silenzio, meditando sulle
sue prime parole.
In lei la pietà sorse spontanea.
«Entra.» Gli fece spazio.
Coi piedi sull'ingresso, Alexander rilasciò un
sospiro. «Scusami.»
Ami non lo guardò in faccia.
«Se stanotte è accaduto qualcosa che non
ti è piaciuto... Non volevo che ti sentissi
così.»
In lei si sciolse un nodo di incertezza. La notte prima era
stata pienamente partecipe dell'esperienza che ora la turbava, ma per
tutto quel pomeriggio aveva pensato che forse aveva perso una parte di
loro due: quella che le permetteva di sentirsi compresa e consolata
quando provava ritrosie che per lei erano naturali. Si era convinta
che, pur conoscendola, Alexander avesse volutamente disdegnato quella
parte di lei. Ma se non era così... «Non
l'hai fatto apposta?»
Udì silenzio.
Alzò gli occhi e lo guardò in faccia.
Lui stava decidendo se dirle la verità.
Non fu una consapevolezza che le diede troppo fastidio.
«Preferisco che tu sia sincero.» Anche se la
risposta poteva non piacerle.
Alexander deglutì. «L'alcool toglie le
inibizioni.»
«Sì.»
«Quando le ho... non mi comporto così con
te. È una scelta, perché so come ti fa
sentire.»
Non era una cosa che lei, in fondo, non avesse sempre saputo.
I loro momenti di intimità potevano sempre essere stati
caratterizzati da dolcezza, comprensione, lentezza... ma che lui fosse
capace di andare oltre, e lo volesse... Lei lo sapeva già.
Arrossì e di nuovo con gli occhi sul pavimento
tenne a dire la sua. «Non posso essere ubriaca ogni volta che
lo facciamo.»
Gli uscì un suono costernato. «No! Non
voglio che-»
«Lasciami finire. Siccome non avrò sempre
la testa annebbiata, io sarò... come sono sempre stata, come
prima. E vorrei sapere...» Tremò, scoprendo questa
volta non il corpo, ma il proprio animo. «Vorrei sapere se
per te questo va bene.»
«Sì,
Ami.» Alexander si chinò e la strinse, forte.
«Certo. Mi dispiace di averti fatto pensare che... che
non...» Scosse la testa. «Io ti voglio come
sei.»
I love you like
this. Le tornò in mente una frase molto simile,
detta
tra gli ansiti la sera prima, quando lei si era comportata in maniera
completamente diversa.
Stranamente, non se la prese.
Ricambiò piano l'abbraccio, e mentre consolava
allargò la propria concezione di amore.
Significava amare tutto di una persona? Anche nello scoprire
lati nuovi di lei. Anche nella consapevolezza che quegli stessi lati
potevano non manifestarsi mai.
Alexander aveva aspettato un anno prima di manifestarle il suo
desiderio di fare l'amore. Nel mentre non si era mai lamentato, non
aveva mai preteso. Gli andava bene impostare la loro relazione
sui ritmi di lei, anche a costo di sacrificare i propri.
Ami iniziò a vergognarsi un po' meno di come si era
comportata quella notte. C'erano cose peggiori che perdere la testa con
qualcuno che l'amava a quel modo.
Lo baciò su una guancia, con affetto. Si
sentì leggera e seppe di poter sdrammatizzare.
«Hai detto che mi volevi più alta.»
Cercò di non arrossire nel ricordare le circostanze. Si
alzò in punta di piedi. «Cercherò di
mettere più spesso i tacchi, così non dovrai
piegarti troppo.»
Riuscì a strappargli un sorriso.
«Non prendere sul serio nulla di quello che ho detto
ieri.»
Eppure avrebbe tenuto a mente quella notte ugualmente, anche
se non era pronta a riviverla. «Fai lo stesso con me, per
favore.» Si concesse di sorridere con un poco di imbarazzo.
Alexander era immensamente sollevato. «Mi va di
ricordare qualcosa.»
«Hm?» Lei sperò che non fosse
nulla di troppo azzardato.
«Ti piace essere presa in braccio.»
Ami ricordò e sentì caldo alle guance.
«Quello...» Quando si erano spostati dal salotto in
camera, lei lo aveva fatto aggrappata a lui. Perché glielo
aveva chiesto. «Ecco...»
«E ho degli occhi bellissimi.»
«Come?»
«Hai detto anche questo ieri.»
Si era lasciata sfuggire più assurdità
di quelle che pensava.
Alexander si stava divertendo, sempre più.
Lei decise di rispondere. «Anche tu avrai detto
altre cose sciocche.» Lei doveva solo rinfrescarsi la memoria.
Lui si sedette sul bracciolo del divano vicino, prendendole la
mano. «Se vuoi sentirmele dire, chiedi. Ti dirò
tutto quello che vuoi, Ami love.»
Per Ami ogni cosa tornò straordinariamente al suo
posto. Si sentì riempire di tenerezza. «Prova con
la prima che ti viene in mente.»
«Ieri notte, quando dormivi già da tanto,
mi sono girato verso di te e ti ho abbracciato. Avevo una mezza idea di
svegliarti per ricominciare, perciò ero ancora ubriaco, ma
ho messo il naso nei tuoi capelli e mi sono calmato. Ho pensato...
'Voglio morire qui. Voglio vivere qui. Così.'»
Lei sentì un groppo alla gola. «Questa
non è una sciocchezza.»
«No. Ora non commuoverti.»
Ami non lo fece, lo abbracciò.
Voglio morire
qui,
pensò a sua volta. Oh,
no, io voglio vivere qui.
Così.
Fine marzo 1997
- Troppo vino - FINE
NdA: Questa storia... è questa storia. Alla fine mi
ha generato un sacco di pensieri ed emozioni diverse nello scriverla.
Mi piace.
Spero di aver suscitato qualcosa anche a voi.
Elle
P.S. La traduzione di alcune parole ed espressioni.
Hard = forte
Tell me how = Dimmi come
I fucked it up = Ho fatto una caz***a.
I love you like this = 'Ti amo così', ma
è più un 'Ti amo quando sei
così'
Gruppo
Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...