Note: non è un vero nuovo capitolo, lo
avevo già pubblicato nella raccolta
Red Lemon 2. Finalmente sono arrivata a coprire temporalmente il
periodo tra la fine di Verso l'alba e questo episodio, quindi ora ho
potuto pubblicarlo nel punto giusto :) Presto lo eliminerò
dall'altra
storia, appena avrò capito come fare a non perdere tutta la
fanfic -
dato che quello è il primo capitolo pubblicato ;P
Per
istinto e pensiero
di ellephedre
Giugno 1997 - Weekend al mare
«Ami... questo fine settimana ti va di andare ad
Izu?»
Sotto la luce delle plafoniere della biblioteca Ami
sollevò
gli
occhi sgranati da libro, unendo a cuore le labbra.
God,
cosa
non
avrebbe fatto lui a quella bocca. Ma alle undici di
sera stava morendo di sonno, aveva bisogno di farsi una
doccia e... Be', si trovavano in un luogo
pubblico: non aveva senso alimentare una fiammella
se poi non poteva spegnere il fuoco.
Neppure in un angolino
nascosto?
«Ma i tuoi non hanno
venduto la casa?»
«Hanno cambiato idea. La tengono per
l'estate.»
«Oh.»
Ami rivolse uno sguardo pensieroso al libro che teneva tra le
mani. Le
stavano venendo in mente le sue tabelle di marcia, poco ma sicuro.
Aveva centinaia di obiettivi coscienziosi - ammirevoli - che si era
prefissata da sola.
«Abbiamo...» Alexander si ricredette sulla
strategia da usare: se la
poneva come un'esigenza di lei, Ami avrebbe insistito per sacrificarsi
e scegliere la strada della sofferenza. «Ho bisogno di un
po'
di
svago. Restando qui in città mi sembra di
rimanere intrappolato.»
Lei, anima candida e buona che non era altro, si arrese
subito.
«Va
bene, andiamo via nel weekend.» Allungò una mano e
gli
accarezzò la testa. Un dito premette magnificamente contro
la sua tempia. «Mi dispiace vederti così
stanco.»
Be', lui lavorava, ma lei si uccideva di studio. Durante la
settimana
tutti e due si liberavano solo dopo le dieci di sera, ma almeno a
lui davano già dei soldi per quella prigionia.
Damn,
si sarebbe
preso quel dannato bonus che avevano promesso a uno solo di loro e
sì, prima di partire per gli Stati Uniti. Con ogni giorno
che passava metteva mentalmente in conto al lavoro il costo fisico ed
emotivo delle nottate passate in solitaria: cadeva stremato
sul letto non appena rientrava a casa e a volte non aveva nemmeno la
forza per fare una telefonata ad Ami. Gli dovevano milioni e milioni di
yen.
«Neanche a me piacciono queste occhiaie meravigliose
che hai
qui.» La
sfiorò con le dita. «Abbiamo bisogno di rilassarci
entrambi.»
Avevano bisogno di passare più tempo
insieme,
ecco cosa: lui già soffriva al pensiero dei mesi di
lontananza che sarebbero venuti dopo la sua partenza per gli Stati
Uniti. Storia del relax a parte, aveva in
mente un piano molto più interessante per il weekend:
sarebbe stata la fiera dell'amorevole perversione.
Ami si stava perdendo in un'idea. «Magari vogliono
venire
anche le
ragazze?»
No, questa volta non ci sarebbe cascato. Era finito il
tempo dei sì
a tutto, love,
anche quando aveva in mente piani che avrebbero fatto faville per
lei. «Stiamo da soli io e te.»
La delusione di Ami si trasformò in una punta di
dolcezza,
rosata sulle guance, che solo lei riusciva a tirare fuori con
tanta sincerità.
«Hm... sì. Sarà
bello.»
Bello era
il limite tendente a zero di ciò che lui aveva in mente.
«Porta quel tuo costume.»
«Cosa?»
«Il costume dell'anno scorso. Quello nero in due
pezzi.»
La bocca aperta in una deliziosa O sparì
nella
furia dell'imbarazzo. «Non...» Lei si
guardò rapidamente
attorno,
scrutando le sedie vuote della biblioteca.
«Non parlare di queste cose
in pubblico!»
Lui si sporse in avanti e nascose le labbra tra i suoi
capelli,
a un soffio dal suo orecchio. «A cosa stavi
pensando?» Rise piano ed
Ami lo seguì. «Non ci sente nessuno, guarda. Ora
prometti di
portare quel costume.»
Alla fine il suono di assenso di lei fu giocoso, divertito.
Alexander ne fu certo: a differenza dell'estate scorsa, il
fine
settimana alle porte sarebbe stato epico.
Agosto 1996
Ami stava deglutendo. Il nodo alla gola scese giù tra
le sue scapole, sparendo in mezzo alla scollatura più
provocante
che Alexander avesse mai visto in tutta la sua misera e patetica
esistenza.
«Questo costume... l'ho comprato ieri in quel
negozietto.
È
stata un'idea di Minako.»
Avrebbe ucciso Minako Aino, o forse l'avrebbe riempita
di baci. Se Ami si fosse ingelosita, per scusarsi
l'avrebbe portata in camera. A quel punto avrebbe sigillato la porta
agli scocciatori e avrebbe commesso su di lei atti inimmaginabili che
avrebbero fatto morire di piacere entrambi.
Nei miei sogni.
Schioccò la lingua, svegliandosi.
Mentre camminavano, Ami stava guardando la sabbia.
«Non
mi sento
molto a mio agio così.»
Lui sospirò mentalmente, gli occhi fissi
sull'azzurro
immenso del cielo. Concentrarsi sulla poesia della natura lo avrebbe
aiutato a calmarsi. «Stai bene.»
Lei provò a stare meno curva. Lasciò
cadere le
braccia lungo i fianchi. «Hm. Tanto non c'è
nessuno qui.»
Perché lo sottolineava? Sì, non c'era
nessuno in
giro in quel pezzo di spiaggia. Ed era una meravigliosa giornata di
sole, fatta per l'acqua e per le risate.
Alle undici del mattino non
era piacevole disperarsi per tentare di mandar giù
un'erezione nascosta dietro una tavola di plastica stretta allo
stomaco.
Camminava come un idiota da dieci minuti.
«Andiamo di là?» Ami stava
indicando il
piccolo molo
deserto. Lui si limitò ad annuire e ad andarle dietro.
Il
riflesso del sole sulla schiena arrossata di lei produsse un brillio
perlaceo sugli strati di crema solare non ancora assorbiti dalla pelle.
«Magari
puoi
spalmarla
meglio tu?»
Il consiglio di
Aino lo aveva portato vicino
all'omicidio-suicidio. Kumada era intervenuto in tempo.
«Tieni
questa.»
Gli aveva dato la tavola da surf che aveva trovato in un ripostiglio.
Sotto il braccio aveva preso una palla. «Oggi è
l'ultimo
giorno, dividiamoci per la mattina. Io vado a giocare con Rei e
le ragazze nell'altra spiaggia. Non siamo ancora andati là.»
Aino aveva sfoggiato un sorriso crudele. «Chi dice che anche io
non
abbia
voglia di imparare a fare surf?»
Alexander era ancora dell'idea di imbracciare un fucile a
canne mozze,
per
mettere fine alle proprie sofferenze e a quelle che Aino infliggeva al
resto dell'umanità. Ma poi come avrebbe potuto ringraziarla?
Passato il giorno di atavica agonia - quello - lui avrebbe avuto
talmente
tante nuove immagini a cui appellarsi quando... be', nei momenti in cui
faceva di necessità una perversa virtù.
Aino era crudele, ma necessaria. Chi altro avrebbe potuto
convincere
Ami a mettere un bikini nero tranquillo, carino, che in una spiaggia
deserta avrebbe fatto venire in mente perversioni del peggior genere
solo a lui e a nessun altro?
Era combattuto.
Mentre pensava, avevano cominciato a percorrere il
molo.
Ami si era riparata gli occhi con una mano. «Hai mai
visto
barche che attraccavano qui?»
«No. La casa prima apparteneva a un tizio che aveva
uno
yacht. Quando
c'era gente lui ci saliva da questo punto con una barca a remi,
credo.» Le indicò una casupola in legno,
diroccata.
«Durante l'inverno
lasciava lì la barca.»
Ma Ami era rimasta sorpresa da un particolare. «Uno yacht?»
«Era un tizio strambo tutto
abbronzato, pieno di soldi. Non so
che lavoro facesse.» Alexander ricordava di averlo
incontrato da
bambino,
quando avevano comprato quella villa. «In relazione a quanto
valeva, ci
ha venduto la casa quasi per niente. C'era una brutta storia dietro:
uno dei suoi amici era morto affogato poco lontano da qui, vicino a
quegli scogli.»
Ami sussultò e lui scosse la testa.
«Queste acque
non sono
più pericolose di altre. Quell'uomo aveva avuto un malore
perché era entrato in mare ubriaco.»
«Oh.»
Alexander le accarezzò una spalla: parlare della
dipartita
di un tipo sconosciuto lo aveva riportato alla propria
sanità
mentale. Riuscì a spostare la tavola da surf di lato.
«Non
pensarci. Vuoi provare a entrare in acqua e a stare in piedi su questa
tavola?»
In fondo lui era abbastanza adulto
- e
allenato - da riuscire a comportarsi normalmente da quel momento in
poi. Bastava solo pensare ai cadaveri.
Ami era pensierosa. «Tu sai andarci?»
«No» sorrise lui. Sapeva starci in piedi,
ma non
era in grado di
affrontare onde più alte di trenta centimetri. A
dieci
anni suo padre aveva pagato una persona perché gli
insegnasse, ma il sale che si attaccava alla gola, l'acqua che gli
scendeva nei polmoni e la corrente che lo sballottolava come una
trottola sotto le onde, erano state troppo per lui.
Posò la tavola a terra e con un passo in avanti si
lasciò cadere in mare.
God,
sarebbe dovuto entrare in acqua prima. Era fresca, magnifica.
Ne
uscì con nuova fiducia nel mondo.
«Vieni!»
Sopra il molo Ami annuì, felice col suo costume
nero
che
formava tre triangoli, tutti troppo invitanti per non essere ammirati.
C'era quello tra le gambe - e Alexander lo saltò per non
schizzare di sangue dal naso tutto il mare - e c'erano quelli sopra i
seni, rotondità che lui aveva già visto sotto
ogni costume possibile, o così aveva pensato fino a quel
giorno.
I costumi interi della piscina si bagnavano e aderivano, dando
idee fantasticamente lascive, ma non... Non impreziosivano?
Quel
bikini creava curve rotonde, lasciava vedere quelle che c'erano sempre
state e accarezzavano - dannazione - quello che lui avrebbe dovuto
poter toccare con le mani. O con le dita, con la bocca. Con la lingua...
Splash!
Ami entrò in mare con un tuffo a braccia
unite che
lasciò dietro di sé solo due schizzi. Alexander
aspettò che riemergesse. Fu accolto da un sorriso gigante.
«Wow!»
Be', per questo lui riusciva a dirsi sempre 'sono contento
anche
così'. Esplodeva di felicità quando Ami era
contenta.
Lei tornò vicino al molo. «Okay, provo a
stare
sopra la
tavola.»
«Va bene, ma stai attenta a...»
Alexander ricordava ancora quella mattina. Si era divertito
come un
bambino con Ami al mare, loro due soli.
Aveva pensato di
essere stato uno stupido a focalizzarsi sulle medesime
ossessioni di sempre; stando in coppia con Ami lui era felice in
tanti altri modi.
Poi lei era uscita dall'acqua, e precedendolo si era
tirata
su sul molo, mettendogli involontariamente davanti le natiche. E il
costume, e il modo in cui era incredibilmente morbida e bagnata per
l'acqua proprio tra le cosce...
Quella notte avrebbero dovuto sedarlo con un calmante.
Svegliandosi nel presente - tempi in cui fare l'amore con Ami
era
diventata una assodata realtà - sorrise.
Sì. Fine settimana leggendario in arrivo.
«E così preferisci il fresco mare di Izu
alle
acque della
piscina comunale?» Rei guardò sognante il cielo.
«Come ti
capisco.»
«Sono io che non capisco voi.» Usagi
sospirò sconsolata. «State
qui a lamentarvi di non poter andare al mare quando, volendo,
potreste andarci
tutte. Sono solo io quella bloccata in città! Ami! Io e
Mamo-chan non potremmo unirci a voi? Izu è vicino vicino,
magari
Mamoru riesce ad ottenere un pomeriggio libero per-»
Makoto scosse la testa. «Non disturbarli,
Usagi.»
Sconsolata, Usagi desistette senza nemmeno protestare.
«Hai
ragione.»
Ami si sentì in colpa. «Scusate se
non vi
sto
invitando. L'estate è lunga. Forse la settimana
prossima...»
Rei evitò a stento una risatina. «Di cosa
ti stai
scusando?
L'anno scorso ci hai fatto ottenere una vacanza favolosa, io ancora ti
ringrazio. Se quest'anno si
potrà ripetere, bene, ma non forzare Alexander.»
Makoto concordò. «Poveraccio. La scorsa
estate ha
sofferto
come un cane.»
«Eh?»
Usagi guardò di traverso Rei. «Scusa,
spiega di
nuovo
perché tu non puoi muoverti da Tokyo? Chi glielo fa fare a
Yuichiro di lavorare?»
«Lo chiedi a me? Nessuno, si costringe da
solo. Ma
non
è solo un problema di tempo, il fatto è
che...»
Rei aggrottò la fronte, frustrata.
«Si rifiuta di spendere
qualcosa di quello che guadagna.
Dice che non gli spetta. Ho deciso di trovarmi un lavoro io:
pagherò una vacanza per entrambi a fine agosto. Mi sono
stancata di litigare con lui per soldi, è assurdo. Faccia
come vuole.»
Makoto si piegò in avanti. «State
litigando?»
«Hmm... Siamo stressati. Discutiamo in
continuazione,
ma sono
io
che inizio, senza volerlo. Non è periodo per parlare di cose
serie con Yu.» Rei si appoggiò al palo del
corridoio di casa
sua. «Stasera non parlo più. Magari gli faccio un
messaggio
alle
spalle. È tutta la settimana che ne vorrei uno anche
io.»
Makoto andò dietro la sua schiena. Le fece segno
di
mettersi in posizione. «Io ho troppa richiesta nel negozio,
non voglio
deludere i clienti. Non è un buon momento per andare in
vacanza. Inoltre Gen è occupato. Fra
un mese decidiamo.»
Usagi iniziò a piagnucolare. «Con
Mamo-chan non
potremo
decidere niente! Tuo padre è un orco, Rei!»
«Non sarò io a contraddirti»
Con le mani di
Makoto che le
sciogliavano i
muscoli delle spalle, Rei rilasciò un sospiro di
godimento. «Però sembra che Mamoru lo sappia
trattare, no?»
«Non riesce a farsi dare una vacanza»
obiettò Usagi.
«Forse non è il momento di chiederla ora,
a
giugno. Vedrai
che
per agosto si inventerà qualcosa. Andrete da qualche parte
per
il tuo compleanno?»
«No, per quello ci vuole una mega-festa! Dovrete
esserci
tutte, ho
richiamato persino Minako!»
«Ehm, scusate...» Ami
tossicchiò.
Ottenne l'attenzione delle
altre e proseguì. «Prima stavate parlando di Alex,
solo che
poi siete passate a un altro discorso...»
«Hm?»
Gli sguardi interrogativi la fecero sentire
sfacciata nell'insistere. «Cosa intendevate dire quando...
Quando lo
compativate per l'estate scorsa? Perché, cosa c'era che non
andava?»
«Ahh» sorrise Usagi. «Ma niente.
Poverino, aveva una voglia pazza di
stare solo con te.»
«A fare sesso» dichiarò
lapidaria Makoto.
Ami avvampò e Rei scosse la testa. «La
solita cima
di
raffinatezza.»
Makoto premette due dita sui muscoli di Rei,
strappandole
un
gridolino. «Ma scusa, Ami ora sa. Perché essere
ancora
delicate?
Il concetto è quello.»
«È un concetto che si può
esprimere in
tanti
modi. Fare
l'amore, stare in intimità, passare la notte
insieme...»
«Facendo sesso» canticchiò
Makoto.
«Ami-chan.... Non siamo più bambine,
possiamo
chiamare le cose col loro nome e parlarne, no?»
Nel tentativo di offrirle un sì, Ami
buttò fuori
una serie di smorfie.
Makoto non si impietosì. «Dico solo che
lui
vorrà
rifarsi questo fine settimana. Accontentalo.»
«Sai che sacrificio» ridacchiò
Usagi. Si
intristì
immediatamente. «Che invidia. Una notte al mare, con la
spiaggia sotto
i piedi e lo scroscio delle onde in sottofondo...»
«Andremo in bicicletta» la interruppe Ami.
«Abbiamo programmato una
gita sabato mattina. Giriamo tra le colline dei dintorni mangiandoci un
panino, poi la sera magari facciamo un tuffo in acqua prima di cenare e
poi-»
«Farete sesso.» Fu un coro di tre voci
ridenti.
Ami non seppe più sotto che ombra nascondersi.
«Sì, forse.» Si morse le labbra.
«Ma non sono faccende di
cui bisogna per forza parlare,
no?»
Makoto non ebbe nemmeno bisogno di rifletterci.
«Mah, secondo
me
parlarne è un'ottima cosa. Soprattutto se lo fai col tuo
lui.»
«E con le amiche!» aggiunse Usagi.
«È troppo divertente!»
Rei rannicchiò le gambe contro il petto.
«A volte
sarebbe stato meglio, Usagi, se tu avessi ritenuto un po' della
discrezione degli inizi. Ormai su te e Mamoru so più cose
io-»
«Anche tu mi hai detto tutto di te e
Yuichiro!»
«Non tutto!» arrossì Rei,
indicandole di
abbassare la voce.
«Be', mi hai detto tante cose utili. Io le ho
sfruttate, e
secondo me tu hai fatto la stessa cosa!»
«Ehi!» L'indignazione felice di Makoto fu
reale.
«Perché non
avete coinvolto anche me? Io non leggo libri come Ami, imparo per
sentito dire. Se potessi ancora sorprendere Gen-»
«Eh-ehm!» Ami interruppe il discorso prima
che
degenerasse. «Io...» Sotto gli occhi delle sue
amiche si
sentì sotto una lente di ingradimento. «Io sono
ancora
riservata. Per adesso.» Fece quella piccola concessione.
Makoto non si lasciò convincere. «Allora
parlo io,
come
amica. Hai mai fatto...?»
Rei si esibì in una smorfia. «Non fare
gesti con
le mani!»
«Okay okay, scusa.» Makoto si sporse in
avanti, una
mano accanto alla
bocca. «Avvicinati, Ami.»
Ami fu ancora una volta cosciente di un grosso problema che
l'affliggeva: era eccessivamente curiosa. Mandò avanti
l'orecchio.
Makoto cominciò a sussurrare.
«Allora... psst
pssst pst. E poi pst pssst pst pst.»
«Interessante» ridacchiò Usagi,
che non
aveva sentito nulla.
Sorridendo, Rei le fece segno di sedersi vicino a lei.
«Vuoi un
massaggio
anche tu? Quello di Makoto mi ha sciolta, voglio diffondere il relax.
Lasciamo che Ami impari qualcosa di nuovo in segreto.»
Ami saltò indietro, porpora in volto.
«Ho
imparato
abbastanza.»
Makoto incrociò le braccia, pensierosa.
«Visto
come hai
reagito,
per te è ancora una cosa nuova. Non capisco come sia
possibile.»
«Alexander è...» Di fronte al
silenzio
delle altre, Ami
preferì non sbilanciarsi. «Non è
successo, tutto
qui.»
Makoto si fece tenera. «Può essere una
cosa molto
bella.
Come
qualunque cosa, se la fai...» Ci pensò su.
«Per l'altra
persona.
Solo per questo.»
Usagi si intromise con cenni di assenso entusiasti.
«Confermo!»
«Come fai a sapere di cosa stanno
parlando?» Rei
disegnò la
linea della sua colonna vertebrale.
«Ahhh! Uh... cosa? Ah, sì, figurati se
non ho
capito. Ami,
poi
chiedi di ricambiare. O fallo prima. Bah, prima o dopo non conta,
provalo!»
Ami chiuse gli occhi e respirò a fondo.
«Credo che
tu abbia
frainteso.»
Usagi aguzzò lo sguardo e ridacchiò.
«Però siccome tu sei intelligentissima adesso non
stai facendo
confusione su quello che intendo. Dai retta anche a me! Mako-chan, ma
tu
allora che cosa le stavi dicendo?»
«Per oggi abbiamo imbarazzato Ami
abbastanza.
Andiamo a
prenderci un gelato?»
«Sììì!»
Balzando
in avanti Usagi si
trascinò dietro Rei - a cui si era impigliata con la clip
della
gonna - Makoto - a cui fece un involontario sgambetto - ed Ami - a cui
finì addosso con tutte le altre.
«USAGI!!!»
«Scusate...» fece mesta lei.
Sdraiata in mezzo al mucchio, Rei sospirò.
Quattordicenne o
donna sposata che fosse, Usagi non era mai cambiata.
Di venerdì sera, ormai a mezzanotte, Ami si profuse
in un inchino di fronte a Minato-san, che era rimasto ad
attendere il
loro arrivo alla casa di Izu fino a quell'ora.
«Grazie
infinite.»
Lui - un signore di sessant'anni basso e amichevole - le
sorrise
benevolo. «Non si preoccupi. Per me è un piacere
sapere che
avrò ancora questo lavoro per l'estate.»
Alexander le aveva spiegato che i suoi genitori pagavano molto
bene
Minato-san per occuparsi della casa, ma la sua presenza a
quell'ora tarda era comunque un grosso favore.
«Devo ridare la chiave all'agente immobiliare questo
lunedì?» le domandò lui.
Ami dovette ammettere la propria ignoranza. «Non lo
so.
Alexander
mi ha
detto che non hanno intenzione di venderla fino a settembre,
ma...»
Scosse la testa. «La chiamiamo domani, così si
può organizzare. Se dobbiamo darle le chiavi, passiamo noi
da lei.»
Minato-san annuì. «Dov'è
Alexander-san?»
Ami indicò l'interno buio della macchina.
«Sta
dormendo. Ora
lo sveglio per entrare.»
«Ha lasciato guidare di notte una signorina come
te?»
Tanta premura era esagerata. «Lui ha lavorato fino
alle dieci
e siamo
partiti appena ha finito. Ero più in forma io.»
«Fino alle dieci di
sera?
Voi ragazzi di Tokyo vi uccidete di lavoro. Avete
fatto bene a venire qui a rilassarvi, ogni tanto ci vuole.»
Le offrì un inchino del capo. «Vi auguro un buon
fine
settimana.»
«Anche a lei» lo salutò Ami.
Scendendo
dal portico
illuminato della casa tornò verso la macchina e
aprì la portiera. «Alex...»
mormorò, sporgendosi
verso di lui. «Siamo arrivati.»
«Hm?»
«Siamo arrivati. Entriamo in casa, così
puoi
dormire sul
letto.»
Lui si allontanò dallo schienale con uno scatto.
«Diavolo.
Dovevi guidare solo per metà strada.»
Lei ridacchiò. «Non importa. Siamo
arrivati. Minato-san mi
ha dato le chiavi ed è già andato via.»
Alexander si strofinò gli occhi con una mano.
«Non
volevo
dormire tanto.» Cominciò a scendere dalla
macchina,
massaggiandosi forte il collo provato. Ami lo precedette verso il
bagagliaio, ma alla fine tirarono fuori insieme le poche cose che si
erano portati dietro.
Mentre Alexander infilava le chiavi nella porta d'ingresso,
lei
respirò a pieni polmoni la brezza del mare.
«Già
l'aria mi fa sentire diversa.»
«Io la sentirò meglio
domattina»
commentò lui,
facendo scricchiolare le spalle. «Adesso mi faccio una
doccia.»
«Non dormi?»
«Dopo la doccia.»
In preda agli effetti del sonno interrotto lui era quasi
sempre
di cattivo
umore, come mai in altri momenti. Per lei quell'atteggiamento burbero
era fonte di divertimento.
Dopo essere entrati, Alexander andò dritto in
bagno.
Lei sistemò le loro cose nella stanza da letto del piano
inferiore, l'unica che avevano chiesto di preparare. Mise come pigiama
una lunga maglietta, larga e comoda, e si sistemò sul letto.
Accese la piccola televisione appoggiata su un comò
sistemato sulla
parete opposta.
Il notiziario le fece da sottofondo
mentre appoggiava la testa sul cuscino e rilassava i muscoli.
Sentì la loro tensione proprio mentre si scioglievano.
Nella stanza solo l'abat-jour faceva penombra.
Le sarebbe sembrato di
stare a Tokyo se, dalla veranda semi-aperta, non avesse sentito
l'assenza di rumori all'esterno. Era un silenzio che non esisteva in
città.
Che pace.
Il peso di mesi di studio ininterrotto le sarebbe sembrato
più leggero se la sera, a giornata finita, fosse potuta
tornare sempre in un posto come quello. L'idea della casa al mare era
bella, ma lei ora vi si trovava bene perché
non era sola. C'era Alexander, che sapeva la ragione per cui lei
stava studiando così tanto. Lui stava facendo i
suoi stessi
sacrifici, con lo stesso scopo... Quello di cui non parlavamo
più
molto. Era un accordo implicito tra loro, forse una maniera per non
programmare anche la felicità.
Alexander uscì dal bagno, la bocca aperta in uno
sbadiglio
sfacciato.
Lei spense la televisione. «Forse è
meglio se non
metto la
sveglia? Possiamo fare la nostra gita anche
dopodomani.»
Lui si sdraiò sul letto. «Vediamo come ci
svegliamo.
Sì, lascia stare the
alarm.» La abbracciò, poi
per il troppo caldo si
allontanò e si limito a rimanerle vicino. «Good night.»
Lei lo baciò sulla fronte.
«Buonanotte.»
La mattina seguente Alexander si svegliò col sole
negli
occhi e
una sensazione che si fece pensiero. Si voltò.
Eccoti qui.
Si trattenne dal toccare Ami e la lasciò dormire.
I missed you..
Oh, se gli era mancata. Aveva nostalgia di quando si svegliava
con lei
in un giorno di settimana qualunque - alle sei magari,
dopo una sera in cui avevano deciso di non farsi scoprire da
Saeko-san. Ami dormiva da lui e si teletrasportava a casa di mattina
presto, prima che sua madre tornasse. Giusto da un mese avevano
scoperto che non era più possibile.
Alexander cercava di sentirla tutti i giorni al telefono, nei
venti minuti di
pausa pranzo
effettiva che aveva a disposizione. A volte entrambi erano
così
mentalmente impegnati ed esausti che riuscivano a parlare solo di
lavoro e di studio. Alla fine lui rimaneva col telefono in mano,
sentendo che era mancato qualcosa.
Parlavano meglio di sera, quando Ami
aveva smesso di studiare, ma a quell'ora era il sonno il loro nemico.
Gli mancava uscire con lei, o divertirsi un martedì
o
giovedì
qualsiasi, solo perché lo aveva deciso. Il weekend
era sacro solo di domenica, anche se gli avevano detto - assicurato -
che da quella settimana gli avrebbero lasciato libero anche il sabato.
Solo per dargli il tempo di studiare per gli
esami di luglio, naturalmente, ma per fortuna sua si era
già portato avanti su quei libri. Altrimenti... Non volle
pensarci.
Era una persona pigra?
Forse si sarebbe sentito costretto anche
se avesse lavorato solo dalle nove alle cinque, come le persone
normali. Ma quelle stavano lontane mille miglia dai reparti interni di
banche d'affari
che strapagavano poveri deleritti che davano l'anima ogni giorno -
ufficialmente con orari umani, officiosamente dalle otto del mattino
fino alle dieci di sera - per scoprire in quali titoli fosse meglio
investire, armati di approfonditi e variegati studi statistici. Giusto perché mi
pagate, pensò. Gli era piaciuto - troppo, a
conti fatti - scegliere come disporre liberamente della propria
giornata.
Sacrifici.
Per un fine ultimo ne valeva la pena. Aveva poco tempo, solo
pochi
mesi, per preparare la sua vita ai cambiamenti che aveva in mente. Il
denaro era necessario, triste ma vero.
Per lui
era sempre stato troppo facile averne. Due giorni addietro aveva
ricevuto il primo stipendio serio della sua vita e... era
soddisfacente sapere che quei soldi non
erano stati un regalo. Li aveva guadagnati, erano davvero suoi.
Sono grande sul
serio.
Era ora
che lo diventassi.
Mancavano meno di tre anni all'arrivo dello sconvolgimento
finale che avrebbe cambiato l'esistenza del mondo intero. Cercava di
non pensarci troppo. Meno che mai, se era possibile.
Aveva problemi
più immediati da risolvere. Una cosa alla volta.
Inspirò e si beò della ragione per cui
lavorava
tanto. Era Ami, e anche quell'odore dolce di sudore appena accennato
che aveva lei quella mattina, mentre ancora dormiva.
Il sole la colpiva sulle palpebre. Un suo occhio si
aprì.
«Morning»
mormorò lui.
Ami aggrottò la fronte.
«Hm...mmuaaa!»
Il suono dello sbadiglio lo fece ridere.
«'ngiorno» lo salutò lei,
nascondendo il
viso contro il
cuscino.
Che ore sono?
Fu una domanda a cui nessuno dei due ebbe voglia di dare voce.
Lei lo spiò con un occhio sereno, semi-aperto.
«Qui ti
sveglia il sole...» Si mosse indolente sotto le lenzuola.
«È piacevole.»
Ami allungò una mano, posandola sui suoi
capelli.
Tracciò piccole linee con le dita. «Stai
meglio?»
Lui annuì.
Lei lo raggiunse con un movimento improvviso:
incastrò le
braccia attorno al suo corpo - una contro il suo petto e l'altra
attorno alla
sua schiena. «Non ci sono uccellini che cantano.»
Un suono acuto, roco e lontano, la smentì.
«Oh.» Ami si sorprese. «Un
gabbiano?»
«Credo di sì.»
Lei nascose il viso contro il suo petto. Dove la maglia
di cotone leggero lo lasciava scoperto, posò un bacio.
Alexander le infilò una mano tra i capelli. Ne
sentì
l'assoluta morbidezza mentre lei continuava a strofinare il naso contro
la
sua pelle. Lo
baciò di nuovo, piano. «Ti voglio bene.»
«Me
too.»
Talmente tanto che, a volte, pensava di sapere
perché era stato giusto non
fare l'amore con lei prima dell'inverno scorso.
Come avrebbe potuto,
senza capire? Come
avrebbe potuto, senza amarla come l'amava adesso? Ormai non gli
importava
più niente di spingersi oltre, gli bastava... stare.
Così.
Ami salì con le labbra, carezze umide che lo
percorsero sul
collo, provocandogli brividi. Li chetò una piccola
folata
d'aria, entrata dallo spiraglio aperto della veranda. Ami si strinse
a lui, cercando la sua bocca, e
neppure il vento bastò più.
I suoi propositi di
casta serenità si evolsero fino a sparire, la mano di
lei che saliva e poi scendeva dal suo petto fino allo stomaco.
«Sai?»
No,
la
baciò lui, assaggiandola sul collo.
«Tu sei davvero... bello.»
Stranito, ne rise senza guardarla.
«Grazie?»
«Non il tuo viso, il...» Ami lo
accarezzò con più
fermezza sullo stomaco, la mano che non si staccava da lui.
«Mi
piaci molto.»
Be', allora in quel senso a lui piaceva piacerle molto. E
stava
cominciando
a diventare colpa di Ami se gli stavano tornando in mente tutte le idee
lascive che aveva elaborato in quella settimana. Ma in fondo... che
male c'era? Sarebbe stato davvero amorevole nel proporgliele, e poi
nell'attuarle.
Le
avrebbe amate anche lei e si sarebbero amati a vicenda.
Cercò di accarezzarla sul fianco, ma Ami
scivolò
via. «Aspetta.»
Che cosa?
Ami sollevò maglia del suo pigiama.
Tracciò
piccoli cerchi con le mani, un sorriso lasciato a guardarlo. Si
chinò di nuovo, a baciare la pelle che stava accarezzando.
«You smell good.»
Anche lei aveva un buon profumo, ma, per una volta, lui non
sentì tanto l'ardore di averlo sotto il naso quanto di
guardare, sentire. L'inglese di Ami era il preludio a momenti di
abbandono che
lei percepiva come profondamente romantici. Lui non riusciva a
immaginare cosa avesse in mente ora.
Stava per
sedersi su
di
lui e...? Quello sarebbe stato un ottimo modo di cominciare quell'epico
fine settimana.
I baci di Ami sul stuo stomaco si erano fatti... timidi.
Teneri, a ben
vedere. La sensazione gli ricordò
di quando da bambino qualcuno - sua madre, Nanny Shoko? -
aveva fatto
la stessa cosa. Se ne dimenticò e chiuse gli occhi, passando
una mano tra i capelli soffici di lei. Ami lasciò scorrere
le mani su entrambi i suoi fianchi, salendo sino all'altezza della vita
come a... prenderlo.
Il gesto gli diede idee perverse che
lei non aveva cercato, ma che ebbero un effetto immediato.
Ami
salì con la bocca e scese con la mano, tanto
inequivocabilmente che la infilò sotto i boxer del suo
pigiama. Li tirò giù.
Lo choc più grosso dell'esistenza di Alexander
durò
giusto un secondo, perché quello dopo... Sobbalzò
e si tirò su per metà, evitando a stento di
mordersi la lingua mentre stringeva i denti.
Ami lo
guardò, rosa in viso appena un po' più del
normale, troppo tranquilla per il resto.
Lui la guardò di
rimando, mentre stava inginocchiata davanti a lui, le mani che
stringevano la sua carne.
Non ebbe il cervello per produrre una sola espressione
sensata.
Stava sognando. Per forza. Non si era ancora svegliato.
La mano di Ami si mosse sulla sua erezione in una carezza
delicata,
determinata,
che distrusse quell'idea e gli strappò un ansito soffocato.
Chiuse gli occhi e fu costretto a riaprirli subito, perché
Ami aveva- Oh God,
con
la bocca lei stava-
Al pensiero si sostituì l'assolutezza
della sensazione e
dell'immagine, che fu talmente onirica, assurda e - diavolo - la cosa
più erotica
che lui avesse mai visto in vita sua.
Annichilito, si
dimenticò della
vista.
Ami baciava come baciava sempre, con passione innocente e
curiosità, sentendo, assaggiando e... gustando.
Lui non
ebbe
la forza di gettare la testa all'indietro, ma come problema
sparì subito anche quello: Ami lo aveva chiuso interamente
tra le labbra umide e calde, e lui...
Facendo violenza al proprio corpo la spostò di
lato. A bocca aperta
si sollevò sulle ginocchia, cercando di
rannicchiarsi e di non sporcarla mentre provava l'orgasmo
più... più...
Rimase miracolosamente in silenzio. Poi
dondolò come
un
pupazzo, svuotato anche della logica.
Alzando gli occhi trovò
Ami con lo
sguardo basso che... osservava. Solo poi lei passò
a
guardare lui, in faccia. Avvampò e perse il rossore in un
secondo, senza dire niente.
'Non guardarmi
così.' Lei lo pensò
solo per un attimo e non lo disse. Si vergognò un poco,
questo sì, poi deglutì e... accennò
un
sorriso. «Ho capito.»
... ah?
Lei sorrise, pregna di un imbarazzo mite. Indicò la
porta
accanto al letto. «Vado in bagno.»
Scese dal letto, e a passo calmo andò dove aveva
detto,
senza
chiudere la porta.
Oh.
Oh, arrossì Ami.
Oh, capì.
Capì tante cose.
Si sentì così accaldata che guardando la
doccia
non resistette. Si spogliò, aprì l'acqua ed
entrò sotto il getto che la colpì allo stomaco,
chetando i suoi bollori.
Oh.
«Aspetta!»
Alexander entrò in bagno tanto rapidamente da non
darle
nemmeno il tempo di coprirsi con le mani.
«Non fare la doccia» le disse lui,
indicando
la stanza da letto, perso. «Torniamo di
là.»
«Ehm...» Lei cercò di
nascondere seni e
ventre come meglio
poteva, poi si spostò dietro il vetro opaco della cabina.
«... Perché?» Non le venne in mente
una domanda più
intelligente da porre.
«Devo... Voglio... Vieni di là,
Ami.»
Quando Alexander riuscì a sorridere, il mondo
tornò a essere un
pochino più normale. «Non bagnarti la testa, torna
ora di
là con me.»
«... va bene, ma...» Le sfuggì
una risata nervosa. «Aspetta un attimo, mi rinfresco e vengo
fuori.»
Senza ascoltarla, Alexander allungò le mani per
prenderla, entrando con
metà corpo nella cabina.
«Ti bagni!» rise lei, ma la
disarmò
l'esultanza muta di lui,
che la strinse senza lasciarla.
«Non importa. Esci.»
Lui abbassò la bocca verso la sua. Appena
prima di
abbandonarsi al bacio lei scattò all'indietro con la testa.
«Ah.» A labbra serrate cercò di
assaggiare da sola la
propria lingua.
Lui esitò un momento a sua volta, poi la
baciò
sull'angolo delle labbra e tra
le labbra, incurante di qualunque altra cosa.
Senza uno straccio di vestito addosso e con l'acqua che la
rinfrescava
sulle gambe, lei si sentì ugualmente come dentro un
vulcano. Gemette piano nel bacio e cercò di calmarsi, di
smettere. «Adesso esco» riuscì a
dire, dolce nel tono:
quando parlava così Alexander la ascoltava sempre.
Ma lui
non si allontanò. Si mosse anzi in avanti, di quel
poco che bastava perché l'acqua iniziasse a bagnargli una
spalla sopra la maglietta del pigiama. La lasciò con una
mano, solo per mandare a scorrere quelle stesse dita
su un
suo seno, facendole quasi perdere l'equilibrio sul piatto della doccia.
«Esci, Ami» le ripeté, docile.
«Voglio ricambiare.»
Ricamb-
Le
esplose il cervello. «No!» Si colorò di
rosso persino sulla
punta del naso. «Voglio dire, io devo... Allora mi serve fare
la
doccia.» Non credette a quello che aveva detto - a quello che
aveva concesso -
ma si ritrovò con un altro bacio e non ebbe la
testa o il desiderio di ritrattare. Non aveva chiuso gli occhi per
l'imbarazzo - perché voleva vedere Alexander -
e notò di sfuggita lo strano movimento di lui. Alex aveva
messo
la mano sotto il getto diretto dell'acqua, per prendere qualcosa dai
piccoli ripiani sull'angolo opposto. Del sapone, capì lei,
quando
sentì la sensazione scivolosa contro lo stomaco.
Sobbalzò piano, non troppo perché era ancora
stretta forte.
«Okay» lo sentì dire, e
sorridere.
«Ti serve qui, vero?»
Lei scivolò per davvero quando la barra di sapone
prese
a
scorrerle
tra le gambe. Raddrizzò le ginocchia solo per guardare
Alexander in faccia.
Aouhm?
Il suono muto della sua domanda sconnessa non
incontrò risposta.
Lui aveva chiuso gli occhi, teneva la
fronte appoggiata sulla sua. «Voglio toccarti così
dappertutto, Ami.» Lasciò cadere il sapone e
continuò con le dita, costringendola a reprimere un ansito.
Alla fine lei non resistette e liberò la voce, stringendogli
un braccio tanto
forte da graffiarlo con le unghie.
«Voglio baciarti così dappertutto. Per
favore.»
Ami nascose il viso contro il suo collo per non ascoltarlo
più, per ascoltarlo meglio. Premette il bacino contro la
sua mano, dondolando contro le sue dita.
Piano piano, ancora.
Stava
andando a pezzi, in fiamme,
sì.
Lui la baciò forte sulla tempia. «I love you.»
«Hmm» gemette indecentemente lei.
«I love you
too.»
Alexander si tirò indietro. Bagnandosi di nuovo,
prese il
manico della doccia.
Attonita, lei si appoggiò con le mani alle pareti
della
cabina, per rimanere in piedi da sola.
«Ti sciacquo» spiegò lui.
«Ma...»
«Di là, Ami.»
Lei si fece lava di miele e non disse più niente.
Accompagnò la mano di lui mentre dirigeva il getto
dell'acqua contro il suo corpo, per lavare via le tracce di sapone. A
risciacquo terminato, decise di smettere di essere solo una marionetta,
felice di subire carezze. Inspirò e
afferrò l'asciugamano grande che le passò lui.
«Togli quella maglietta bagnata» gli disse.
Alexander lo fece senza protestare. Non era timido come lei.
Lui aveva
sempre il controllo.
Si ricordò di come
glielo aveva rubato solo poco prima e camminò verso l'uscita
del bagno, avvolta da un asciugamano, aspettandosi da un momento
all'altro, con timore e
trepidazione, che anche quello le venisse tolto di dosso, al pari di
ogni altra difesa.
Arrivò invece al bordo del letto senza
sorprese, con
Alexander che si sedeva davanti a lei.
«I
love you so
much, Ami love.»
Lei si sporse in avanti, su di lui, lasciando andare
l'asciugamano.
Lasciò andare tutto, pudore e imbarazzo. Si
aggrappò alla persona che amava e nel bacio che ricevette -
che diede
- bruciò tutte le ragioni che le erano d'ostacolo. D'amore
avvampò e per amore si lasciò sdraiare sul
materasso, rimanendo ad ascoltare il pulsare del proprio ventre
che agognava un contatto. Cercò le mani di lui,
sorridendo nel trovarle. «Ti amo»
sussurrò
ancora. Più
di qualunque cosa.
Preparata com'era a vibrare, si inarcò nel ricevere
la
carezza di un dito tra le gambe, riprendendo a salire la china di
sensazioni da dove l'aveva interrotta.
Si sentiva turgida, troppo sangue a dare energia ai recettori
che costruivano la sensazione innominabile che voleva con
tutta se stessa.
Altri due tocchi studiati la spinsero verso
quell'orlo, in caduta libera. Erano carezze meravigliosamente umide -
come il
sapone,
pensò alla lontana. Poi sentì un sapone che era
bollente e ruvido, umido, e si muoveva.
Strinse le gambe - troppo, ma non bastò. Portò la
mano alla bocca e baciò come stava facendo lui, ad occhi
chiusi e senza ragione.
Perché
ti amo,
ed era meraviglioso, tutto.
Sussultò a scatti, a singhiozzi, e
pulsò,
strappandosi il respiro in ondate - tutto dentro di lei che rispondeva
all'unisono, muovendosi per l'eccessivo piacere. Non aveva ancora
finito che ricominciò daccapo, senza un momento di tregua.
Quando terminò realmente, scoprì che era montata
in lei un'euforia che la stava facendo sorridere al soffitto, al nulla.
Alexander si sollevò in tempo per vederla.
«Oh, damn. So
beautiful now.»
Provarono un bacio, ma lui si fermò con una risata
bassa e
strofinò la bocca contro il dorso della mano. «Be right back.»
Lei se ne rimase sul letto, a respirare stremata di
contentezza. Fu
invasa da un'ondata di torpore che si posò sulla sua
mente come una coltre amorevole.
«Non dormire.»
Spalancò gli occhi. «Sorry.»
Alexander era tornato e si era messo a carponi sul materasso.
«Chi ha
detto che ho finito?»
Lei, che era talmente allegra che riconobbe subito che lui era
tornato
quello di prima - il ragazzo che conosceva e che non era più
tanto meravigliosamente determinato ad avere tutto di lei.
«Non sei
stanco?»
«Prima sono durato dieci secondi. Che
vergogna.»
Lei scoppiò in una risata alta e venne travolta da
un
abbraccio. Sentì un bacio sotto l'orecchio. «Sono
contento
di essermi rifatto.»
«Si dice così?»
«Sto solo cercando di vantarmi, così ti
do un
minuto per recuperare. Ti prego, rimani sdraiata
così, my love.»
«Vuoi approfittarti di me.»
«L'idea è questa. Concedimi la
grazia.»
Lei smise di scherzare, sfiorandogli la guancia con le labbra.
Sì,
fu la sua risposta.
La grazia di aversi - a vicenda - era un dono.
Lo
avrò
adesso, e con me tu lo avrai in eterno.
Giugno 1997 - Weekend al
mare - FINE
Note: dopo aver riletto i precedenti capitoli sono stata molto
contenta di vedere che questo si incastra bene nella storyline che ho
creato, nonostante lo avessi scritto prima di tutti gli altri. Ora
finalmente posso proseguire verso la parte clou di questa raccolta.
Aspettatevi un po' di tempesta tra Ami e Alexander ;)
Grazie di aver letto!
ellephedre
Gruppo
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Moon, Verso l'alba e oltre...