Kokkuri-san,
parte 1
Un
anno, trecentosessantaquattro giorni, ventitrè ore e un
minuto.
“Aki,
tutto bene?”
Certo,
tutto a posto. Sto benone, veramente benone. Tra cinquantanove minuti
sarà solo l’anniversario della morte di Katsumi.
La MIA Katsumi.
“Sì, bene” risposi, cercando di essere
piuttosto convincente.
Senza riuscirci, a quanto pare.
Odiavo quel momento, odiavo mia sorella per avermi chiesto come
stavo, odiavo me stesso per come le avevo risposto, odiavo
l’aver
allontanato da me a poco a poco tutte le persone a me più
care,
odiavo quella solitudine e quel mutismo in cui mi ero rifugiato dalla
morte della mia amata, odiavo l’ubriaco che l’aveva
uccisa,
odiavo tutto e tutti.
Odiavo me stesso più di tutti. Ancora e ancora e ancora.
Perchè nonostante tutto il mio amore per lei, il mio
“giglio”,
come la chiamavo sempre, la mia ragione di vita, non mi ero ancora
deciso a farla finita.
Codardo.
Avevo perso tutto, TUTTO, quella notte, eppure ero ancora qui, a
dormire, mangiare, lavorare. Per modo di dire.
Perchè rimanevo in vita? Perchè sospettavo che
non l’avrei
rivista dopo la mia dipartita, e allora usavo ogni momento della
giornata per vederla. Mi bastava chiudere gli occhi, ed ecco che
compariva la sua chioma corvina e lucente, che amavo accarezzare in
ogni momento della giornata, i suoi occhi scuri e dolci, che mi
sapevano guardare dentro come nessun’altro, le sue labbra
rosse,
che avrei voluto (oh, quanto avrei voluto) baciare una volta, una
volta soltanto.
In camera mia avevo ancora le sue foto, le foto di noi due al parco,
oppure al museo, noi due idioti che ci mettevamo in posta davanti
alla macchina fotografica e ci facevamo fotografare dal passante di
turno con le espressioni più assurde, perché ci
divertivamo.
E lo facevamo solamente seguendo le nostre passioni e perdendoci
nella natura.
Katsumi era una ragazza semplice e spontanea, e per questo ancora
più
speciale.
Rimettiti
la maschera prima che Reiko si accorga di qualcosa!
Ma era troppo tardi.
“Lo so a cosa pensi” mi disse mia sorella,
cresciuta così in
fretta, divenuta una giovane donna intelligente, giudiziosa e bella
sotto i miei occhi, senza che nemmeno me ne accorgessi.
Vuoi
veramente morire lentamente? Vuoi perdere anche lei?
“Non dire niente” risposi con voce strozzata. Non
dovevo perdere
il controllo, non ora.
“Va bene” rispose sommessamente lei, abbassando la
testa e
alzandosi lentamente.
“Aspetta, non volevo ...” cominciai a scusarmi, ma
lei mi bloccò
subito.
“Resta qui”
La attesi per cinque minuti. Poco tempo per quello che mi stava
portando. Doveva averci già pensato prima.
Non appena rientrò nella stanza la guardai con espressione
interrogativa. Cosa aveva in mano?
Lei mi fece cenno di avvicinarmi, e senza dire una parola,
appoggiò
sul tavolo della sala una moneta ed un foglio. Capii improvvisamente
quali erano le sue intenzioni e la guardai basito.
“Reiko, cos’è questa roba?” le
chiesi con voce leggermente
alterata, mentre lei si sedeva, ricambiando il mio sguardo.
“Lo sai cos’è” mi rispose
risolutamente, “e sai anche perché
l’ho portata”
Ero allibito. Che intenzioni aveva?
“Dove l’hai presa? Vuoi farmi arrabbiare?
Perchè ci stai
riuscendo!” esclamai alzando la voce, pronto per una
discussione in
piena regola. Almeno avrei sfogato in qualche modo il mio dolore.
Ma Reiko mi stupì. Ancora una volta.
Con calma si alzò dalla sedia, e avvicinatasi a me, mi
sussurrò:
“Non posso sopportare di vederti in questo stato,
fratellone”,
abbracciandomi successivamente.
All’inizio non ricambiai, ma il fatto di sapere che
nonostante
tutto il male che stavo facendo a me stesso, a lei e ai nostri
genitori, loro mi volevano bene, nonostante tutto.
La strinsi a me e liberai il mio dolore in calde lacrime, mentre
anche lei cominciava a piangere.
Lei lo sapeva: non c’era altro modo per andare avanti se non
provare l’impossibile. E lo sapevo.
Altrimenti non mi sarei costruito tempo addietro una Kokkuri, un
metodo per poter parlare con gli spiriti. Prima di tutto servavano
almeno due persone. Secondo, non avevo mai avuto il coraggio di
tentare. E se le mie speranze fossero andate in fumo? Se non avessi
saputo nulla? O, ancora peggio, se avessi saputo che la mia Katsumi
era in un brutto posto? Non avrei potuto sopportarlo, il cuore mi si
sarebbe spezzato in quel momento stesso, e sarei morto dalla
disperazione.
Ma ora ero pronto, perché avevo Reiko con me. Eravamo noi
due, e
questo bastava.
Mi sedetti, facendo un respiro profondo, di fronte a lei,
contemplando il suo viso calmo e tranquillo.
“Sei pronto?”
Non riuscivo a parlare, per cui feci solo un cenno affermativo con la
testa.
Dopo aver preso la moneta, Reiko la appoggiò sul torij
rosso, e mi
fece cenno di toccarla con il dito, come stava facendo lei.
Dopo un momento di esitazione, feci come lei mi aveva indicato, e
aspettai, voltando per un momento lo sguardo alla finestra aperta: il
mezzo d’entrata per lo spirito. Dopo un altro suo cenno,
presi un
bel respiro, preparandomi per quello che sarebbe successo dopo.
“Kokkuri-san, Kokkuri-san, se ci sei sposta la
moneta” mormorammo
insieme all’unisono, continuando “Kokkuri-san,
Kokkuri-san, se ci
sei sposta la moneta, Kokkuri-san, Kokk ….”
Stavamo andando avanti quando la moneta si mosse improvvisamente,
come mossa da una forza sconosciuta, verso la parola
“sì”.
Guardai mia sorella, che ricambiò il mio sguardo, pallida
come un
cencio. Non era uno scherzo, allora.
“Kokkuri-san, Kokkuri-san, dove si trova Katsumi?”
mormorammoo di
nuovo.
La moneta dopo un momento si spostò velocemente: prima una
q, poi
una u, ed infine una i.
QUI.
“Qui?” dissi con voce strozzata. Il mio giglio era
qui con me?
Dopo un cenno di Reiko, continuammo: “Possiamo parlare con
lei?”
Nuovi movimenti, c-e-r-t-o.
CERTO.
Ero un fascio di nervi: stavo impazzendo? Avrei potuto parlare di
nuovo con la mia amata? Cominciai a singhiozzare silenziosamente, gli
occhi appannati, il sorriso sulle labbra.
Reiko abbassò la testa: anche lei era molto emozionata.
Quando la
rialzò però smisi di frignare
all’istante.
Il volto pallido come la morte, le labbra blu, gli occhi bianchi.
Quella non era Reiko.
“Reiko? Reiko?” cominciai a sussurrare, mi alzai in
piedi, e
stavo per lasciare la moneta quando Reiko (o ciò che
c’era dentro
Reiko) ribattè subito: “Non farlo!”
Mi bloccai. Riconoscevo quella voce, l’avrei riconosciuta
ovunque.
Lei era Katsumi.
“Katsumi? Sei tu?!” domandai incredulo, con il
cuore che
rischiava di uscire fuori dal petto per l’emozione.
Lei annuì, con un debole sorriso: “Sì,
amore, sono io, ma non
posso stare per molto” concluse, “potrei fare del
male a Reiko”
Ma io già non pensavo più a mia sorella: il mio
giglio era con me,
di nuovo, anche se per poco tempo. Dovevo fare alla svelta.
“Mi dispiace, giglio mio” le dissi con voce rotta,
mentre lei con
espressione triste scuoteva la testa, e replicava: “Non devi
scusarti di nulla, amore, quello che mi è successo
è stato un
incidente, non ho provato dolore, e non provo rancore per
quell’uomo”
Io non riuscivo a crederci: anche da morta la mia amata non provava
rancore, aveva perdonato quel bastardo, quando io avrei voluto solo
farlo a fette! Come se mi avesse letto nel pensiero, lei disse:
“Non
devi pensare queste cose, amore, tu devi pensare a vivere: io sono
felice qui, e voglio che lo sia anche tu … Oh, devo andare,
Reiko
non ce la farà ancora per molto” disse
improvvisamente strizzando
gli occhi.
“Aspetta, dammi almeno un ultimo bacio” la
supplicai, mentre lei,
con lo sguardo più dolce del mondo annuiva, pregandomi
però di non
togliere il dito dalla moneta per non interrompere il contatto
bruscamente.
Ci alzammo contemporaneamente, ci avvicinammo per quello che poteva
permettere il tavolo, le nostre bocche erano sempre più
vicine,
sussurrando contemporaneamente “Ti amo”
….
…. e all’improvviso mi trovai con lei in un altro
tempo, in un
altro spazio, dappertutto, e in nessun luogo, e lei era come quando
le proposi di sposarmi, le sue labbra morbide come le ricordavo, e
lei tangibile come prima.
Ma durò solo qualche secondo.
Riaprii gli occhi solo per trovarmi di fronte a mia sorella, senza
averla nemmeno sfiorata. E lei pareva essere tornata in sé.
“Stai bene?” le chiesi preoccupato.
Lei annuì con la testa, spiegandomi che ora dovevamo
chiedere allo
spirito di andare dove era venuto. Ci sedemmo nuovamente, pronti per
concludere quell’esperienza, e facemmo la nostra ultima
domanda.
“Kokkuri-san, Kokkuri-san, puoi tornare da dove sei
venuta?”
La moneta non si muoveva. Era un buon segno? Reiko non sembrava
convinta.
“Dovrebbe rispondere sì, e poi spostare la moneta
sul torij”
replicò confusa, quando la moneta si mosse.
La risposta non era quella che aspettavamo.
NO.
Ciao a tutti! Questa è la prima parte di un raconto in due
parti
sulla Kokkuri, una specie di tavola ouija giapponese, composta da un
foglio con caratteri hiragana e un torij disegnato in rosso (che
indica la porta dell’aldilà) e una moneta per
comunicare con lo
spirito XD ringrazio sempre HoshiOujo e TheAuthor99 e anche
MarinaAgnes per le recensioni e tutti coloro che leggono senza
commentare XD
A presto
Uadjet
|