Per
istinto e pensiero
di ellephedre
Agosto 1997 - Addio?
Penultimo giorno a Izu, dopo otto giorni di vacanze.
Alexander continuò a nuotare. Voleva godersi
l'acqua di mare finché era
ancora possibile. Dal lunedì successivo doveva tornare al
lavoro, per le
ultime due settimane. Poi, l'America.
Virò con on un'ampia bracciata, iniziando
a descrivere
il percorso di ritorno verso riva. Si era allontanato di molto e il suo
corpo dava i primi segni di cedimento. Durante quell'estate non
aveva avuto molto tempo per gli allenamenti: la mattina si alzava
troppo
presto per correre e la sera tornava tardi dal lavoro. Aveva dedicato
la
maggior parte dei suoi weekend - l'unico ritaglio di tempo libero - ad
Ami, e non era stato sufficiente. Si era rifatto in quella
settimana, ma l'aveva vista troppo poco negli
ultimi due mesi.
Perché il MIT non si trovava in Giappone? Sarebbe
stata la soluzione ai
loro problemi.
Durante la breve permanenza a Izu aveva sentito Ami esitante,
confusa. Era la sua partenza a darle dei dubbi.
Lui aveva un'idea di quali fossero: Ami si stava convincendo
di
dovergli dare il tempo di focalizzarsi sull'esperienza che avrebbe
avuto
negli States.
Se lei avesse continuato con quei pensieri, Alexander ne
immaginava
l'esito: quando l'avesse chiamata dall'America, lei sarebbe stata
progressivamente più reticente a portargli via tempo.
Avrebbe creduto di
distrarlo, di non lasciargli modo di concentrarsi sul suo sogno. Magari
avrebbe persino diradato la frequenza delle loro chiamate.
Al solo pensarci si irritava.
Da lontano avrebbe faticato a farle cambiare atteggiamento.
Senza
vederla e senza starle accanto, sarebbe stato più difficile
ricordare ad Ami
che lui aveva idee chiarissime su cosa voleva da quei mesi della sua
vita.
Non intendeva tornare in Giappone per farle un favore. Lui
aveva
bisogno di tornare indietro, per stare con lei.
Più sentiva che Ami aveva dei dubbi sulle sue
intenzioni, più aveva
voglia di prenderla da parte e domandarle, 'Perché non mi
credi?
Cos'altro devo fare per convincerti?'
Forse stava esagerando. Ami credeva di non poter immaginare
tutti
i possibili esiti di una situazione, pertanto si preoccupava di come
gestire
anche l'ipotesi più remota - quasi come esercizio mentale.
Se solo non
avesse trasformato quei pensieri in possibili paure...
Tornò a concentrarsi sui movimenti del
proprio corpo. Stava nuotando per rilassarsi. Doveva lasciar riposare
il
cervello.
Bracciata destra, spinta
delle gambe.
Bracciata sinistra...
Iniziò a sentire del calore che si diffondeva sotto
un ginocchio. Non si spaventò, ma
diminuì il ritmo. Aveva sovraccaricato i muscoli.
Andò avanti per una decina di metri, poi
sentì una fitta al polpaccio.
Affondò.
Shit!
Boccheggiò per il dolore, inghiottendo acqua.
Balzò verso la superficie
con la testa, annaspando, le mani strette sulla gamba.
Riuscì a
sputare liquido dalla bocca prima di affondare di nuovo. Per istinto
saltò su ancora una volta, per un attimo solo, riuscendo a
far entrare un soffio
d'ossigeno nei polmoni.
Tornò a essere circondato dal mare, ma si
rifiutò di far uscire l'aria. Massaggia,
dannazione! A denti stretti premette sul muscolo
contratto, mentre tutto il suo
corpo andava sempre più a fondo.
Si dimenò con la gamba sana. Doveva tornare a galla!
Lo sforzo gli impose di respirare. Inghiottì altra
acqua di
mare.
Dimenandosi, riguadagnò la superficie con un balzo.
Nel microsecondo
d'aria sputò e trattenne il respiro. Per volontà
di sopravvivenza impedì
al mare di fagocitarlo di nuovo e riuscì a tenere a
galla la testa, per
espellere il liquido salato dalla gola e dal naso. Tentò un
altro
respiro, più completo, ma il suo corpo pesava una tonnellata
e l'oceano
lo afferrò di nuovo.
Non così. Non
qui!
Si sentì ribollire. Ami era a riva!
Ami!
Lei non lo avrebbe mai sentito, erano troppo distanti.
Cercò di zittire la paura mentre si sentiva
affondare ancora, i polmoni
che bruciavano a causa dello sforzo e dell'acqua ingoiata. Impresse un
massaggio deciso al polpaccio, cercando di roteare su se stesso, per
mettersi orizzontale. Non servì, continuò a
piegarsi sull'addome, nel
verso sbagliato. Stava annegando.
Sbatté gli occhi e gli parve di vedere la spiaggia.
Per un momento si
sentì fuori dal mare, con Ami che era saltata in piedi,
notandolo.
Ritrovò la lucidità.
Movimenti meno bruschi.
Riemerse con due bracciate, cercando di respirare con bocca e
naso. Non
riuscì a rimanere fuori dal mare con la testa, ma era
preparato. Soffocò
l'urlo mentre continuava il massaggio alla gamba, per sciogliere il
nodo
di carne duro come la pietra.
A tre metri dalla superficie, mosse le braccia convulsamente,
per
tornare di nuovo fuori.
Doveva solo fare continuare in quel modo. Affonda
e riemergi, affonda e riemergi... Non aveva alcuna
intenzione
di morire.
Ripeté quel ciclo una terza volta e
sentì che poteva controllarlo. Il
suo polpaccio sembrava sul punto di spaccarsi, ma non gli importava.
Devo uscire di
qui! La gamba deve
essere almeno un peso morto, deve smettere di fare così male!
Ogni volta che risaliva cercava di muoversi verso la riva.
Forse stava
sbagliando direzione, ma ci avrebbe pensato in seguito.
Aveva perso il conto delle volte che era riemerso quando
sentì
finalmente che il dolore iniziava a disperdersi.
«Aleeex!»
Ami!
Uscendo dall'acqua con la testa si costrinse a rimanere su un
secondo
di più, per poterla vedere. Ami stava sfrecciando a nuoto
verso di lui.
L'avrebbe fatta affondare!
Smise di combattere contro la forza di gravità,
tornando di sotto. Si
concentrò sulla pressione che metteva nelle dita: finalmente
il muscolo
aveva ceduto, si lasciava plasmare.
D'improvviso sentì una mano sotto il braccio, che
lo tirava verso
l'alto. Le gambe di Ami lo colpirono alla schiena mentre lei spingeva
per farlo riemergere.
Riguadagnarono la superficie con due enormi boccate.
«Lasciami!» gridò lui.
La presa di lei sotto la sua ascella era di ferro.
«Non agitarti!»
«Affogherai!»
«Non sto affondando!!»
Lui iniziò a crederci solo quando rimase col mento
fuori dall'acqua.
Ami gridava da dietro la sua testa. «Smetti di
muoverti e riuscirò
a tenerti a galla!»
Alexander cercò di adagiarsi sulla schiena,
portando stomaco e gambe verso
l'alto. Il polpaccio gli doleva ancora, ma era un dolore sopportabile.
«Ti tengo» affermò Ami,
concitata.
Lui riprese a respirare a pieno regime, tremando.
«Il crampo sta
sparendo!»
«Non parlare!»
Alexander disse più niente. Cercò quanto
più poteva di tenersi in superficie
da solo, per non affaticare Ami.
Trenta secondi dopo - eterni - provò a voltarsi.
«Ce la faccio!»
«Siamo quasi a riva!»
«Ce la faccio!» urlò
più forte, scostandosi. Tutto quello sforzo le
avrebbe fatto venire un infarto!
Ami cercò di riprenderlo, ma lui uscì
fuori dalla sua portata con due
bracciate, muovendo una gamba sola. Stavano a venti metri dalla riva.
Lei gli nuotò accanto. «Non sforzarti,
tra poco si tocca!»
«Ce la faccio, non è una bugia!»
La sentì bofonchiare - parole di disperazione e
rabbia che lei non
aveva mai pronunciato.
A dieci metri dalla spiaggia Ami andò avanti con
una spinta potente.
Quando lui la vide voltarsi, lei era rigida col tronco, in piedi, le
mani allungate nella sua direzione. Alexander si abbandonò
in avanti,
affondando, solo per poter toccare col piede la sabbia immersa. Venne
sopraffatto dalla stanchezza.
Riuscì a fare un passo, poi Ami fu di nuovo con
lui. Lo tirava a
sé, questa volta in piedi anche lei sotto l'acqua.
Riemersero, ansimando per lo sforzo.
«Ci siamo!» Ami lo strattonò
verso la battigia. «Ormai siamo fuori!»
Alexander sentiva i polmoni che macinavano aria come se non
avessero mai respirato. Il
cuore stava per scoppiargli, ma era salvo.
Camminò in acqua, usando la gamba ancora fuori uso
come una leva su cui
non poteva appoggiarsi. Ami si mise su quel fianco, invitandolo a
pesare su di lei.
Lui non riuscì a protestare. Non riuscì
nemmeno a gemere.
Barcollarono, lenti, fino ai primi metri di sabbia asciutta.
Alexander si lasciò cadere in ginocchio, Ami al suo
fianco.
«Va tutto bene.» Lei gli sostenne il
torso, cercando di prendergli la
testa. «Ora starai meglio.»
Lui chiuse gli occhi, tentando solo di immagazzinare ossigeno.
«La
gamba...»
Ami si staccò e iniziò subito un
massaggio deciso. «Sdraiati!»
Disteso sulla schiena, Alexander subì con le mani
sulla faccia, i denti
stretti.
Come era riuscito a tornare indietro con quel crampo?
«Dimmi quando smettere. Devo portarti
dentro.»
Riuscì ad annuire.
Era distrutto, ma ce l'aveva fatta.
Sulla veranda usciva un tubo per l'acqua, dall'interno della
casa. Lei
lo usò per pulirlo dal sale, mentre lui era ancora disteso
sulla sdraio su
cui era riuscito a trascinarsi.
Alexander riuscì a dire una prima frase sensata.
«Perché mi lavi?»
«Ora torni a dormire.»
Sono le dieci, pensò lui - dieci del mattino. Non
ansimava più, ma si
sentiva debole.
«Riposerai finché non ti sarai ripreso
del tutto.» Con più delicatezza,
Ami lasciò scorrere l'acqua pulita sopra i suoi capelli,
passando la
mano tra le sue ciocche.
Lui rimase con la testa china, finché il getto non
si allontanò.
«Dormirò con la testa bagnata?» God, era
così bello poter scherzare.
«Ci penso io.»
Ami portò un asciugamano sulle sue spalle e gli
massaggiò la testa, con
forza ma senza violenza, per asciugarlo il più fretta
possibile. Era
efficiente e metodica, molto controllata.
«Stai bene?» le domandò lui.
«Voglio vederti riposare su un letto.» Lei
incontrò i suoi occhi. Gli
strinse le spalle. «Solo poi starò bene.»
Si abbracciarono nello stesso momento, stringendosi forte.
My God.
Era quasi morto
davanti ai suoi occhi.
Si mossero a passi incerti verso la camera da letto. Alexander
riuscì a
malapena a levare il costume bagnato prima di crollare sul
materasso.
Con un altro asciugamano Ami continuò a muovere le
dita sui suoi
capelli umidi.
Lui sprofondò nel sonno.
Ami si svegliò con un suono. Si era addormentata.
Beep. Beep. Beep.
Impiegò un momento a identificare l'origine. Il
computer di Mercurio!
Corse verso il salotto, trovando il suo strumento appoggiato
sul
tavolo. La spia di allarme lampeggiava.
Ma cosa-?
Lo aprì. Il computer stava analizzando una figura
sdraiata in quella
stessa casa, in camera da letto.
Ricordando, Ami tornò indietro di corsa.
Per un momento, nella stanza, divise velocemente la propria
attenzione tra
Alexander - che dormiva come lo aveva lasciato, con sopra un lenzuolo -
e il computer, senza comprendere. Spense manualmente il suono di
allarme
e focalizzò la sua attenzione su un numero nello schermo.
Veloce, andò
da Alex e lo toccò sulla fronte, col dorso della mano.
Febbre.
«Alex.» Cercò di svegliarlo.
«Alex.»
Lui aprì le palpebre con un brivido, la fronte
corrucciata. Brontolò di
dolore.
«Hai la febbre alta. Dobbiamo abbassarla.»
«Oh,
damn...»
Lei non lo ascoltò più.
Appoggiò il computer sul tavolo e andò a
recuperare una bacinella d'acqua fredda. Rovistò nello
stanzino delle
pulizie in cerca di una bottiglietta d'alcol.
39 di febbre. Era stato lo sforzo?
O il fatto che lo avesse fatto dormire coi capelli bagnati. Ma
lo aveva
asciugato, e un malessere si sarebbe manifestato prima con un
raffreddore, non con una temperatura tanto alta.
Tornò da Alexander solo dopo aver trovato una
boccetta di antipiretico.
Appena la vide rientrare, lui cercò di sedersi.
«Aspetta, ti
aiuto.»
«Hell...
Che corpo inutile!»
Che sciocchezza. «Sarà la reazione a un
grosso stress fisico.»
Lui si massaggiò la fronte con una mano.
Accettò di malavoglia di
aprire la bocca per una cucchiaiata di sciroppo. Quando
mandò giù, tremò
di nuovo.
Lei imbevette il panno di alcol diluito nell'acqua. Fece
sdraiare di
nuovo Alexander, poi lo inumidì sullo stomaco, sotto le
ascelle, sul
collo. Passò
al retro della nuca. «Dormivo» gli
spiegò. «Il computer mi ha avvertito
che stavi male.»
Si rese conto di un'anomalia: come aveva fatto il calcolatore
a
decidere che quella situazione era pericolosa?
Per un momento Alexander si era irrigidito. A lei non era
sfuggita la
reazione. «Hai impostato tu l'avviso»
capì.
Avrebbe dovuto pensarci lei stessa. Se c'erano avvenimenti
misurabili
che potevano costituire una situazione di rischio, impostare un
avvertimento era un'ottima idea.
Che cosa l'aveva fatta venire in mente a lui?
Alexander bofonchiò. «Quanto ho
di febbre...?»
Lei gli disse il numero. «Ora la facciamo
scendere.»
Lui fece silenzio. Stava troppo male per pensare.
Ami lo fece al posto suo. Dopo molto riflettere, giunse a una
conclusione che non gradì.
Erano le tre del pomeriggio. La febbre era sparita da
più di un'ora e
Alexander stava tentando di mandare giù un piatto di
minestra. Era
disgustosa, troppo calda in estate.
Che giornata da
dimenticare.
Prima la quasi morte per affogamento, poi la febbre. Le sue sfortune si
erano concentrate in meno di dodici ore.
Ami era seduta davanti a lui sul tavolo. Era silenziosa,
meditava.
Lui immaginava che lo attendesse un discorso sull'imprudenza
di nuotare
a stomaco pieno. Non aveva voglia di sentirlo: aveva già
ricevuto la sua
punizione.
Il mini-computer di Mercurio era appoggiato su un lato del
tavolo. Ami
lo trascinò verso di sé, piano, con le dita.
«Hai messo l'avviso per la febbre perché
temevi il ripetersi di un
episodio acuto.»
... damn it.
Di
tutte le possibili cose che
aveva fatto, proprio quella doveva tornare a tormentarlo, dopo tutti
quei mesi?
Sospirò. «Ho mal di testa.»
Ami non lo ascoltò. «Non hai bisogno di
avvisarmi col computer per una
febbre generica, che ti consente di alzare un telefono per
chiamarmi.»
«Ami...»
Lei lo scrutava. «Temevi che ti sarebbe venuto un
attacco come quello
di gennaio. Dopo la guerra con gli alieni.»
Lui sforzò il cervello. «Era solo una
precauzione.»
«Pensavamo fosse meningite. Poi in Italia abbiamo
visto che al tuo
corpo stava succedendo qualcosa, in relazione al mio potere.
Perciò i
due fenomeni potevano essere collegati.»
Lui non si era ancora ripreso a sufficienza da anticipare quel
flusso di
pensieri.
Ami andrò dritta al punto. «Hai settato
l'avviso per una ragione. Hai
avuto altri attacchi?»
Lui fissò la minestra.
Lei attese.
«Due.»
Ami chiuse gli occhi, assorbendo la notizia.
«Uno proprio in Italia» chiarì
lui. «È successo velocemente, non sono
stato davvero male.»
Lei era infelice. «Perché non me l'hai
detto?»
Alexander ignorò la domanda. «Il secondo
l'ho
avuto a marzo. Pensavo fosse
una febbre qualunque, ma ero con te e ho potuto controllare nel
computer.»
Ami cercò di ricordare.
«Dormivi» precisò lui.
«E in quel caso la mia febbre non è andata
oltre i trentotto gradi.»
Lei voleva capire. «Perché hai pensato
che fosse collegato agli altri
episodi?»
Per un attimo Alexander si chiese se doveva fornirle i
dettagli. Ma ora
che Ami
sapeva, non avrebbe accettato niente di meno che la totale
verità.
«Sentivo una fitta alla testa. Come la prima volta.»
Lei strinse le labbra. «E qualche ora fa?»
Ne aveva percepita una anche in quel momento, ma la sensazione
era già
svanita.
Probabilmente la febbre si era scatenata perché
c'era stata di nuovo
una forte connessione col potere di lei, In acqua aveva percepito
l'inizio del processo di teletrasporto, come quando, nell'inverno
precedente, si era trovato in balia di un terremoto. Inoltre,
più ci
pensava, più era chiaro che per tirarlo fuori dal mare Ami
aveva usato
una forza che andava oltre le proprie capacità umane. Era
ricorsa
al potere di
Mercurio, anche se non si era trasformata. Questo doveva averlo
influenzato.
Erano gli effetti collaterali del legame di potere che si
andava a
formare tra loro - ykèos, secondo gli alieni.
Ami non lo stava più guardando. Aveva intuito la
risposta che cercava
dal suo silenzio. Ora fissava la parete, riflettendo.
Oberato, Alexander decise di mandare giù quello che
restava della
propria minestra. Tanto, boccone amaro in più o in meno...
Con clemenza, Ami gli lasciò una decina di minuti
per pensare.
Osservandola in faccia lui capì che lei era
arrivata a una conclusione
che li avrebbe fatti discutere. «Cosa vuoi dirmi?»
«Hai cercato di nascondermi che il mio potere poteva
danneggiarti.»
No. Ma aveva temuto che lei riassumesse la questione
in quel
modo. «Sono solo un paio di febbriciattole.»
«Di cui non hai voluto dirmi nulla.»
«Perché tu esageri. Lo avresti preso come
un motivo per-... per dire
che mi stavi causando qualcosa che non dovevi.»
«Non mi preoccupa la febbre.» Ami si fece
dura. «Sarà un tentativo da
parte del tuo corpo di trovare un equilibrio a fronte del mio potere
che
tenta di... di toccarti, modificarti. Mamoru potrebbe aiutarci a
contenere gli attacchi, finché non spariranno. Ma se sarai
ancora
esposto al mio pianeta, gli effetti sul tuo fisico potrebbero diventare
permanenti.»
Lui ne era consapevole. «Perché
è un
problema?»
Lei si arrabbiò. «Perché
è per
sempre, Alex. Poi non potrai più tornare
indietro.»
Incredibile. «Un tempo non dicevi che sarebbe stato
un bene se un
giorno fossi potuto diventare come te? Millenario? L'idea ti faceva felice.»
Lei si risentì. «È ancora
così.»
«Allora perché stai
protestando?»
La mancata risposta confermò tutto quello che lui
aveva
temuto. Non si
permise di aprire bocca: non avrebbe detto cose buone.
Ami cambiò espressione. Distese il viso, lasciando
trasparire dolore e
pentimento. «Mi dispiace. Oggi non dovevo parlare di queste
cose.»
In cuor suo Alexander sapeva perché lei stava
cedendo.
Ami stava rimandando
la discussione perché voleva fargli un discorso importante,
che lo
avrebbe mandato su tutte le furie.
Testarda. E stupida - sì, stupida, dannazione!
Lasciò andare la rabbia solo perché non
aveva le forze per alimentarla.
E, damn it,
voleva a sua volta
un altro po' di serenità. Voleva la Ami che era disposta a
fare di tutto
per stare con lui.
Lei gli risollevò l'umore colmando la distanza tra
loro. Lo abbracciò
forte, chinandosi per baciarlo. «Sono felice di averti ancora
con me.
Dopo stamattina, e la febbre... Voglio pensare solo a farti stare
bene.»
Lui si sentì per metà sanato.
Annuì, accettando la tregua.
In camera si lasciò accarezzare la testa, la
schiena, mentre Ami lo
abbracciava.
Per tacito accordo, per il resto del giorno parlarono a stento.
Il mare che si era quasi portato via il suo Alexander era blu
scuro,
lucente sotto i raggi del sole. Di mattina era una striscia lunga e
immensa, da cui lui non aveva avuto niente da temere per tutta la sua
infanzia.
Era solo il secondo anno che Ami visitava quella casa. Ci
sarebbe
tornata mai più?
Quasi sicuramente la
venderanno. E anche se
non lo facessero...
Non proseguì col pensiero. Non era quello il punto.
Non doveva per
forza finire male. Lei doveva solamente fare ciò che era
meglio per la
persona che amava.
Ci aveva riflettuto per tanto tempo. Aveva cercato di essere
ottimista,
di non concentrarsi sulle ipotesi più negative. Ma non si
trattava più
di libera scelta - per tutti e due - se il suo potere stava decidendo
al
posto loro, secondo suoi tempi.
Attese che terminassero la colazione prima di iniziare il
discorso con
lui. Non si stupì che Alexander non avesse voglia di nuotare
quel
giorno.
«Facciamo una passeggiata?» gli propose.
Lui si voltò a guardarla e annuì,
distante. Aveva intuito, già dal
giorno precedente, la direzione generale dei suoi pensieri. Tuttavia
Ami
dubitava che fosse preparato alla sua proposta.
Camminarono sulla battigia, scalzi, il sole non ancora
abbastanza alto
da scottare la pelle.
Alexander parlò per primo. «Mi
riabituerò all'acqua con la piscina.»
Lei annuì.
«Non mi era mai venuto un crampo mentre
nuotavo.»
«È stato un caso. Magari a causa del poco
allenamento.»
Lui guardava l'orizzonte. «...
Già.»
A un centinaio di metri dalla casa, Ami decise di affrontare
la
questione. «Alex... Ho pensato molto in queste
settimane.»
Cercò una reazione, ma lui era impassibile. Fissava
il mare, dandole la
schiena.
«Andare in America sarà una bella
esperienza per te.»
«Dovrebbe.»
Lei si preparò a gestire altra ostilità.
«Questa sarà l'ultima volta
che ci separeremo. Per anni.»
Vide un momento di confusione.
«Se... se faremo tutto come abbiamo programmato, al
tuo ritorno
prenderemo impegni duraturi tra noi.»
Lui accennò a dire qualcosa, poi si
zittì.
Dopo un momento di attesa, Ami continuò.
«Io non voglio che questo
costituisca un limite. Dovremmo decidere di stare insieme per sempre se
è la cosa che ci sembra giusta adesso. In questo anno,
voglio dire. Se
qualunque situazione che viviamo ci farà pensare che invece
vogliamo
rimandare decisioni importanti...»
«Stai parlando di me, o di qualcosa che vuoi
tu?»
Con la risposta non lo avrebbe calmato. «Voglio che
arriviamo ai
prossimi passi con piena consapevolezza. Sarà giusto
compierli solo se
tutti e due saremo davvero certi che-»
«Io ne sono certo.»
Sì. Ma erano ancora tante le esperienze che lui non
aveva provato,
nonché le cose che poteva imparare di se stesso, col tempo.
Specie se
era da solo, lontano da lei.
Le venne un magone. «I love you.
Ma credo che amarti, ora, significhi lasciarti il tempo di
riflettere.»
Lui emise un sospiro sarcastico. «Che significa? Mi
chiamerai solo una
volta alla settimana?»
Era ancora troppo spesso. «Ti tornerei in mente
proprio come se fossi
lì con te. Penso che... non sentirci fino a che non torni
sarebbe una
buona...» Non terminò.
Alexander si era voltato a guardarla. Era
sgomento.
Dalla costernazione lui passò alla rabbia.
«Per quattro
mesi?!»
Per tre mesi e ventidue giorni. «Non
cambierà niente se...» Di nuovo,
non finì.
Non lo aveva mai visto tanto adirato.
«Stai cercando di mettermi alla prova?!»
«No! Quattro mesi in mille anni non sono niente! Ma
possono significare
tanto adesso, se standomi lontano, a mente lucida, a te vengono dei
dubbi che-»
Lui era sempre più incredulo. «Quindi non
sarei capace di pensare
con te vicino?»
«Alex...»
Infuriato, lui si voltò, iniziando ad andarsene. Si
bloccò e tornò
indietro, puntandola con un dito. «Sei tu
che hai dei
dubbi!»
Lei scosse veloce la testa.
«Non dire a te stessa che lo fai per me! Sai cosa
voglio io!»
Doveva fargli capire! «Per amore faremmo di tutto!
Ci fa dimenticare
ogni cosa! E se tra qualche anno tu ci ripensassi? Se te ne
pentissi?»
Gli sfuggì un suono inconsulto. «Vedi che
non sei sicura di quello che prometto?! Non mi credi!»
Lei gli credeva invece, per questo aveva paura. «Non
possiamo sapere
come cambieremo, Alex.»
Lui stringeva i denti. «Continui a dire 'noi'.
Quindi non solo non sei
sicura di quello che provo io, ma sei incerta anche su quello che provi
tu.»
«NO!» gridò lei. «Io
voglio solo smettere di opprimerti! Ti ho
costretto a pensare a una famiglia quando non eravamo ancora pronti.
Anche adesso stiamo facendo progetti su questo solo a causa di
ciò che
sono, altrimenti... Altrimenti sarebbe una cosa che rimanderemmo per
anni!» Soffocò un singhiozzo. «Non
è giusto che ti costringa a farlo
ora. Te le ricordo ogni giorno con la mia presenza. Se... se non avrai
cambiato idea dopo essere stato lontano, dopo aver vissuto la vita che
volevi prima di incontrarmi, allora...»
«E per questo sei disposta a non sentirci per tutto
questo tempo.»
La nota di rassegnazione la zittì.
Alexander emise un sospiro amaro.
«Sai come suona questo, Ami? Come la volta che mi
hai lasciato due anni
fa. Quando hai deciso che per non soffrire in futuro era meglio
smettere di
vederci subito.»
Il senso di colpa la attanagliò.
Cercò qualcosa da dire, ma Alexander si era
allontanato a passi larghi,
lasciandola sola sulla spiaggia.
Quattro mesi di silenzio?
Alexander si sentiva... cheated,
tradito. La ragazza che amava non poteva stargli lontana per tanto
tempo.
Passò due ore a cercare argomentazioni che
potessero convincerla
dell'assurdità del suo proposito, poi realizzò di
essere... stufo.
Ami si
permetteva di usare la logica per decidere la direzione della loro
relazione, quando lui non poteva nemmeno immaginare, concepire, di
limitare con un ragionamento quello che provava per lei.
«C'è un un'unica cosa che ho capito di
quello che hai detto.»
Trovandoselo alle spalle, Ami saltò in piedi sul
divano. Lo aveva
aspettato fuori dalla stanza in cui lui si era chiuso.
«Io non riesco a resistere quattro mesi senza di te,
Ami. Tu sì.»
Lei scosse piano la testa, in agonia.
Se l'era cercata. «È una tortura che hai
deciso da sola. Non mi
interessa lo scopo, questi sono i fatti.» E gli facevano male.
Ami deglutì. «La prima volta che ho fatto
l'errore di lasciarti è stato
solo in parte per te.»
Non era più interessato ad ascoltare quel tipo di
spiegazioni.
«Non ti conoscevo abbastanza e avevo paura di quanto
avrei sofferto
quando tu avessi scoperto la verità. Ero terrorizzata al
pensiero che non
mi avresti accettato. Ma ora ti conosco e sto pensando a te. Se facessi
come voglio io...»
Lui aspettò di sentirglielo dire. Voleva sentirlo
ripetere dalla sua
voce.
Ma Ami si rifiutò di continuare.
«È perché sono sicura di quello che
provo che non temo l'attesa.»
Lei non stava nemmeno facendo lo sforzo di capirlo.
«Però per me è un
problema. Non puoi fare questa scelta da sola.»
«Infatti vorrei che tu fossi d'accordo.»
Lui non aveva pensato di potersi arrabbiare di più,
ma
per come la stava
mettendo lei, quella non era una vera richiesta. «E se alla
fine non
sarò d'accordo, farai ugualmente come hai deciso?»
Lei strinse gli occhi, gravata. «Prima vorrei
parlarne.»
Come risposta non era soddisfacente. «Devi dirmi
cosa farai se non
accetto la tua soluzione.»
Ami non disse nulla.
Il silenzio fu esaustivo, tombale.
L'ostinazione di lei era cieca.
Non stava considerando affatto ciò che voleva lui.
Quell'atteggiamento era il
contrario
dell'amore.
Alexander sentì crescere un buco nel petto.
«Mi chiedo cosa faresti se
ottenessi davvero di allontanarmi.»
Lei perse colore in viso.
Ferirla lo rese felice. Detestò la sensazione.
«Non so come fare» mormorò lei.
Straziato, lui ascoltò.
«Non so come dimostrarti quanto tengo a te, per non
farti stare male,
quando adesso è altrettanto importante che non continui a
parlarti di
sentimenti e promesse eterne che... Lo scopo della distanza
è non
legarti.»
Solo udire un singhiozzo gli permise di non scoppiare.
Perché lei era
tanto masochista?
«Non siamo
ancora distanti.» Anche se quel suo modo di fare proprio ora
creava una
distanza tra loro.
Solo vederla tremante, che si tratteneva dal gettarsi in
avanti a
toccarlo, gli diede un minimo di stabilità.
Ami deglutì. «Sapevo che dopo averti
fatto questo discorso avrei
dovuto...»
Cosa? Comportarsi di conseguenza, con coerenza?
Lei chinò la testa. «Per questo volevo
rimandarlo all'ultima
settimana.»
Alexander cercò di non vedere rosso, concentrandosi
sulla parte buona
della confessione. «Volevi rimandare perché vuoi
che le cose non
cambino.»
Per favore, di'
di sì.
Ami perse tensione nelle spalle. «Certo.»
Lui si sentì talmente sollevato che si
arrabbiò. Perché si stava
accontentando di una briciola? Ami non stava cambiando idea, nemmeno
gli
stava parlando in totale sincerità, perché aveva
già deciso di
contenersi - per seguire il suo folle piano.
Rimase in silenzio, aspettando, sperando, inutilmente.
Qualunque cosa la bloccasse, lei avrebbe dovuto liberarsene -
per lui,
per farlo felice!
Perché era disposta a ferirlo pur di rimanere
ancorata ai propri timori?
Lui avrebbe spostato il mondo per lei. Non gli importava nulla del buon
senso, della ragione... Si era sentito amato sopra ogni cosa,
dannazione, e ora non più. Era ridicolo, perché
dentro di sé sapeva
la verità, sentiva che ...
La raggiunse in due passi e la afferrò per un
polso, trascinandola via.
Il gemito di sorpresa non lo fermò.
Si voltò solo quando furono in camera, tenendola
per le spalle. «Visto
che non mi vuoi ascoltare, io non ascolterò più
te.» Le afferrò la testa, soffocando
le sue parole con la
bocca.
Si sentì violento quando la costrinse a rimanere
ferma, poi disperato
nell'istante stesso in cui fu sul punto di cedere, lasciandola andare.
Ma Ami si arrese per prima, iniziando a piangere.
Alexander andò a baciarle le guance umide,
sentendosi ricambiare.
Spiegami, per
favore.
Doveva
capire. Doveva trovare
un senso a
quella pazzia.
La circondò con le braccia, massaggiandole forte la
schiena, la testa.
Cosa avrebbe dovuto sperimentare lui in America? Cosa doveva
ancora
decidere? Perché doveva cambiare idea su loro due, nel
futuro?
Cercò
di parlare, ma Ami
cercava piccoli baci morbidi, consolatori. Lui glieli offrì
per istinto,
poi si rese conto che lei non stava chiedendo, stava dando. Si
sentì riempire di impeto. La afferrò sotto le
natiche,
sollevandola. La cooperazione,
la totale mancanza di resistenza, lo colmarono di felicità.
This.
Era questo che voleva.
Lui e lei senza limiti di tempo, di spazio, di raziocinio.
Non dovrei
andare via. Dovrei
restare.
Fu un pensiero così sbagliato che cercò
di eliminarlo.
Ami aveva toccato il materasso con la schiena. Si
spostò per sistemarsi
e incrociò i suoi occhi. Schiacciò la fronte
contro la sua. «Non vorrei
mai ferirti, per nessun motivo. Perdonami.»
Gli aveva fatto così male sentirsi attaccato da lei
che
volle solo scordare
tutta quella giornata. Volle tornare a sentire la Ami che lo
amava almeno quanto lui
amava
lei.
Anche meno, non
importa. Basta che tu
non possa stare senza di me.
E lei era quella Ami - che lo spogliava, lo baciava e si
lasciava
toccare ovunque. Lo era sempre, anche quando concepiva quella proposta
assurda, così inaccettabile...
Per punirla le tormentò il seno, lo stomaco. Aveva
tra le braccia la
ragazza che gli aveva permesso lentamente, inesorabilmente, ogni tipo
di
intimità - solo perché era lui, perché
era unico per lei.
Posò la bocca aperta sul suo pube, leccando l'apice
delle sue pieghe di carne,
dischiudendole. Sentì i fianchi di lei che si sollevavano,
agitandosi
per la sorpresa, per le troppe sensazioni. Lui le alimentò
con
un altro
piccolo strofinio di lingua, godendosi il tremito che Ami concesse a se
stessa, a entrambi, stringendogli i capelli tra le dita.
Mi mancherai,
ti mancherò.
Per farglielo ricordare usò su di lei le labbra,
l'intera bocca, con
pazienza e molto impegno. Si adoperò per stimolare l'uscita
del suo
liquido salato, scivoloso e dolce, con cui bagnare ogni lembo di pelle
soffice tra le sue gambe.
Ami era preda di brividi continui, di sussulti. Lui si
assicurò di
poterla vedere mentre lei non era più in grado di
controllarsi.
Non era mai stata più tenera e sensuale, deliziosa
in ogni senso, del
momento in cui abbandonò ogni pudore scomponendosi nei
movimenti, le
palpebre serrate e la voce spezzata, mentre col bacino assecondava i
suoi assaggi - senza più ritmo, guidata solo dagli spasmi.
Stava arrossendo sul petto - un effetto del piacere provato -
la stessa
Ami che era avvampata all'idea di un bacio innocente sul collo. In quel
momento lei sfiorava inconsciamente proprio quello, col dorso delle
dita.
Lui la accarezzò sul ventre, risalendo coi baci
dall'ombelico fino alle
clavicole.
È
così sbagliato volermi perdere qui?
Ami gli prese il viso tra le mani, cercando un bacio lungo,
intenso. Si
spostò quando lui cercò di pesarle sopra,
mettendosi su un fianco e
sovrastandolo. Appoggiato contro lo schienale del letto, Alexander fu
ancora più certo di tutto quello che aveva pensato.
L'avrebbe amata per il resto della sua vita. Lei era l'unica
persona
che lo faceva sentire così vivo, così completo.
Ami si incastrò con lui, poi sussultò e
si tirò subito su, allungandosi
di lato, sul comodino. Alexander la aiutò a recuperare il
preservativo.
Lo infilarono di fretta, insieme, per tornare a essere uniti come
agognavano.
Tornando ad averlo in sé, Ami lo
abbracciò. Rimase ferma, adagiata
contro il suo petto, stringendolo.
Lui capì. Non
essere sciocca. Appoggiò
il viso al suo. Non ci
sarà mai
un'ultima volta.
Ami iniziò a ondeggiare come aveva imparato - per
istinto e da lui -
fino a offrirgli quanto di meglio poteva dargli in quel momento.
Certezze.
Al termine, chetati, riposarono.
Senza che si fossero scambiati una sola altra parola,
Alexander ne
aveva sentite molte da lei. Eppure, Ami non aveva ancora cambiato idea.
«Spiegami» le chiese. Era deciso a capire,
ora che
si era calmato.
Ami si sollevò, per smettere di avvolgerlo
col proprio corpo,
forse per non distrarlo. O magari per iniziare a distanziarsi, ma non
era più il primo pensiero che lui voleva avere.
«Erano cose che pensavo già da tempo. Ma
ho preso questa decisione solo
quando ho saputo dell'influenza del mio potere su di te.»
... almeno era sincera. Era una decisione, non una proposta.
Lei non aveva intenzione di rivedere il
suo
proposito.
«A causa del fatto che diventerebbe un vincolo
potenzialmente eterno?»
«Sì.»
Lui provò a seguire il ragionamento. «Di
cosa dovrei pentirmi, Ami?»
Lei appoggiò le mani sulle sue spalle,
allontanandosi per guardarlo
meglio. «Non credo che le cose che posso immaginare
completino la
lista.»
Era un modo così tragico di esporre la questione,
da risultare
desolatamente comico.
Ma lei non si stava divertendo. «Per esempio... Se
in America tu scoprissi che non vuoi
aspettare per
lavorare alla Nasa, come sognavi? So che avresti tempo, con me -
tantissimo - ma l'attesa potrebbe generarti frustrazione. È
più normale
che una persona della nostra età sia pronta a studiare che
a...»
Sposarsi. Mettere su famiglia.
Se solo fossero rimasti ai tempi in cui lei era ancora capace
di
dire, 'Un
giorno voglio che ci sia un Adam.'
Ami proseguì. «Magari non sarà
nemmeno questo. Al MIT potresti scoprire
che la tua passione è un'altra. Forse avrai voglia
esplorarla subito.
Non sappiamo nemmeno quanto tempo ci vorrà per tornare a
essere persone
normali in qualcosa. Parliamo di dieci anni come minimo. Forse venti.
Trenta.»
Era tanto tempo, sì. Non era un'idea che lui
trovava
completamente
piacevole.
«Non ti sto chiedendo di mettere da parte un futuro
insieme, Alex.
Penso solo che, con una pausa, sarebbe più facile
focalizzare
tutte quelle cose che un giorno potrebbero sembrarti grandi
limitazioni.»
Lei aveva un modo unico di rivoltargli l'animo. «Una
pausa?»
Ami ebbe un'esitazione. «Nel sentirci.»
«Quindi non una pausa nella nostra
relazione.»
Non capiva nemmeno come potessero fare un discorso simile
mentre erano
ancora nudi, semi-abbracciati.
Il silenzio quasi lo uccise.
Lei chinò la testa. «È un
periodo breve che non cambierà nulla se per
noi non cambierà niente.»
Lui riuscì a mantenersi calmo solo
perché
poté stringerle le mani. «Dimmi
che parli così solo per... coerenza e
completezza.» Nella testa di lei,
quel periodo di silenzio doveva significare dargli la
possibilità di
riflettere e
cambiare idea sul loro futuro, perciò bisognava prendere in
considerazione la possibilità che lui non volesse
più tornare a essere
una coppia con lei, dopo.
Ami aprì i palmi tra le sue mani, incrociando le
loro dita. «Mi fa male
dire queste cose. Non è una proposta che avrei scelto di
farti se ormai
non fosse necessaria. Quindi... non posso agire a metà. Non
posso da una
parte dirti di andare, perché questo è l'ultimo
periodo in cui potrai
fare scelte completamente autonome e libere, e poi giocare a tenerti
stretto a me, ricordandoti che sarò qui ad aspettarti.
Sarebbe ingiusto.
Il silenzio a quel punto sarebbe persino crudele. Potrei semplicemente
chiamarti tutti i giorni come avevo intenzione di fare all'inizio. Per
come ti conosco, ti terrei legato nello stesso modo.»
Era un ragionamento sensato, almeno nella testa di lei. Eppure
andare
via, senza nessuna promessa, era un'idea che generava in lui... paura?
Inquietudine.
Sentì che era qualcosa che aveva bisogno di capire
su se stesso.
Ami lo guardava negli occhi. «Ci penserai?»
Solo a una condizione. «Voglio che anche tu pensi al
motivo per cui mi
stai facendo questa richiesta.» Chiarì, prima di
sentirla protestare.
«Potresti trovare argomentazioni
valide anche per l'idea che siamo pronti già adesso a
restare insieme.
Invece hai scelto di focalizzarti sulla tesi opposta. Voglio che ti
domandi il motivo.»
Interdetta, Ami annuì. Si scostò,
sedendosi accanto a lui. «Lo farò.»
Bene. E adesso lei non doveva prendere male una sua decisione.
Non
nasceva da una volontà di ripicca. «Ho bisogno di
tempo per pensare a
queste cose. Visto che sarà una separazione lunga, un
assaggio mi
aiuterà a capire se posso sopportarla.»
Vedere la reazione di Ami lo aiutò a capire
maggiormente: lei era
affranta, ma determinata a non mostrarlo. Voleva sopportare con
rassegnazione. «È giusto.»
... testarda.
Non dissero più nulla.
Lui aveva bisogno di qualcosa prima di entrare in quel periodo
di
penitenza. «Ami love.»
Lei raddrizzò la testa.
«Ricordami come mi chiameresti, se tutto questo
problema non
esistesse.»
Lei si sciolse in un pozzo di serenità, prezioso
per quanto era
effimero. «My love. My only love.»
Unirono i visi, sfiorandosi con un bacio. Poi lui si
alzò e si rivestì.
Tornarono a Tokyo senza discutere ulteriormente di quella
situazione, per
l'impegno che avevano preso.
Ami era devastata, ma non pentita. Si sentiva come se avesse
commesso
l'errore più grande della sua esistenza, eppure non avrebbe
potuto
comportarsi diversamente: non avrebbe amato davvero Alexander se avesse
fatto di tutto per tenerlo legato a sé, pur sapendo che in
quel modo
poteva rovinarlo. Impedirgli
di inseguire sogni che lui non sapeva ancora di avere non era altro che
quello.
Finché c'era stata la possibilità per
Alex di tornare indietro, aveva
avuto un senso aspettare e vedere come andavano le cose tra loro.
Secondo lei erano perfette, ma se non gli dava quell'unica
preziosissima
possibilità di riflettere sulle scelte che stava compiendo,
lui
non l'avrebbe mai più avuta - non alle attuali condizioni.
Non si facevano passi indietro facilmente quando c'era una
famiglia,
quando c'era un bambino. Fosse stato solo quello, poi. Alex non sarebbe
potuto tornare a condurre una vita normale con semplicità,
una volta che
si fosse legato a una persona universalmente nota come guerriera
Sailor.
Se stando al MIT cambiava idea su tutto, era quello il momento
giusto
per uscire da quella situazione e dalla loro relazione.
L'idea non le generava dei brividi. Era
un'eventualità così assurda da
causarle solo un vuoto dentro il cervello, nel cuore, una sensazione
di... silenzio assoluto.
Potrebbe
lasciarmi.
Lei lo stava persino spingendo in quella direzione col proprio
atteggiamento, ma... ma...
E se andasse
via davvero?
Probabilmente lei avrebbe pianto per il resto dei suoi giorni.
Non
sarebbe mai più stata intera.
Tuttavia, non era in suo potere convincerlo a restare. Se lui
sceglieva
di andare, significava che prima o poi sarebbe finita comunque - che il
suo amore era stato fortissimo, ma confinato a quei pochi anni, alla
loro giovinezza.
Perché ci ragionava su in quel modo, come pensando
a un estraneo? Era Alexander. Era il suo amore. Lui avrebbe
dato la vita per
stare con
lei.
Io ci credo,
non finirà.
Aveva finito col riflettere, più e più
volte, sulla domanda che lui le
aveva posto.
Perché aveva scelto di concentrarsi sulla
possibilità che lui non fosse
felice con lei, in futuro? Lo aveva fatto prima di sapere quanto era
stato vicino un possibile punto di non ritorno.
Erano... paure. Da dove uscivano?
Dalle probabilità, si rispondeva. Erano tante le
persone che si
pentivano di decisioni importanti prese da giovani - statisticamente,
il
cervello terminava di maturare solo intorno ai venti, venticinque
anni. Era vero che le loro circostanze li avevano resi
più maturi della loro
età, ma era arrogante pensare che solo per questo avessero
l'esperienza di vita di un adulto formato. Lei aveva sentito troppe
storie di persone che avevano rinnegato completamente scelte del
passato, parlando di come la maturità acquisita avesse fatto
loro capire
la portata dei loro errori. Non voleva che Alexander fosse uno di loro,
un giorno.
Dando per assodato che loro due erano ancora immaturi, c'erano
comunque
altrettante esperienze di coppie che avevano superato una vita insieme
pur conoscendosi da giovanissimi, nonostante i molti problemi
incontrati
nel percorso. Non era tutta una questione di ragionamenti, di calcoli.
Era fondamentale la volontà.
“Tu non mi credi!” era stata l'accusa di
lui.
Era davvero così?
C'erano momenti in cui Ami percepiva, sapeva, che Alexander
provava
sentimenti forti quanto i suoi. Quando stava con lui non aveva dubbi.
Leggeva nella sua mente come lui leggeva in quella di lei. Si capivano
su ogni cosa, era una comunione di pensieri assoluta.
Era la distanza a farle mettere in prospettiva la situazione,
normalizzandola. Lui poteva essere sicuro solo di quello che provava al
momento, come chiunque. Non c'era sentimento che non si affievolisse
col
tempo, che non cambiasse. Seguendo quella logica, anche quello che
provava lei poteva mutare con gli anni.
“Sei tu che hai dei dubbi!”
No. Quello che lei sentiva non era comune, era diverso.
O forse lo era solo nella sua testa, ma sapeva che il modo
in cui
amava Alexander non poteva diminuire. Conosceva la maniera in cui lo
amava adesso e non aveva idea di come lo avrebbe amato un giorno -
poiché potevano cambiare entrambi - ma non avrebbe mai
potuto
dimenticare il tempo trascorso insieme e tutto ciò che li
aveva legati.
Pertanto, poteva solo amarlo di più in futuro: ogni singolo
cambiamento che lui
aveva manifestato era stato solo un motivo per lei di tenere di
più a lui.
Conosceva la parte più intima e profonda del suo
ragazzo -
erano complementari,
in sintonia assoluta. Non potevano rivoluzionarsi fino a cancellare
l'essenza di sé. E anche se fosse successo, tra secoli, si
sarebbero
accompagnati a vicenda nel percorso di trasformazione. Erano leali,
attenti, desiderosi di farsi del bene a vicenda.
... se era tutto così perfetto, se conosceva
Alexander e la loro
relazione a tal punto, perché prendeva in considerazione la
possibilità
che lui cambiasse fino a pentirsi di essere rimasto con lei?
Perché
non sono onnisciente e devo
essere umile. Anche
io sono solo una ragazzina innamorata.
Le
sue assolute certezze potevano essere illusioni. Lei ci
credeva così tanto che le avrebbe rese reali. Era pronta a
scommettere la sua esistenza su quello che provava, ma... non poteva
chiedere ad Alexander di fare la stessa cosa. Non finché lui
non ne fosse stato
ragionevolmente più sicuro.
Smise di mandare avanti il ragionamento, provando ad
ascoltarsi da
sola.
I suoi pensieri avevano proprio il sapore dei dubbi.
Per lei era normale averli quando desiderava troppo qualcosa.
Sperare
di essere amati non sempre portava a dei buoni risultati e... sembrava
irreale essere tanto importante per un'altra persona - anche se si
trattava di Alexander.
Comunque, amore era pazienza, abnegazione. Era mettere chi
amava prima
del più forte desiderio personale che aveva. Non era
importante quanto
lei volesse avere Alexander vicino: se questo non era sufficiente a
rendere
più
giusta la vita di lui, doveva lasciarlo andare.
Stava ad Alex deciderlo. Solo lui poteva sapere cosa
voleva. Lei
non avrebbe sfruttato la sua debolezza - il desiderio di farla felice -
contro di lui.
Devo darti
più di quanto prenda da
te.
Per la verità, aveva l'impressione di aver preteso
molto da lui
nell'ultimo anno e mezzo. Per questo era giunto il momento di
ricambiare.
A qualunque costo, a qualunque prezzo.
Nei primi giorni, Alexander aveva faticato a riflettere. Si
era
concesso di penare: in fondo, sarebbe stata la sua condizione
permanente
in America, se andava via da Tokyo accettando la decisione di Ami.
Una pausa.
Non importava quale fosse lo scopo, per lui era un termine
odioso.
Una pausa, innanzitutto, significava la libertà di
inseguire altre
relazioni. Ami non lo avrebbe mai fatto, ma la sola idea che lei
potesse
lasciarsi avvicinare da qualcun altro, immaginando che altrove lui
stesse facendo lo stesso...
Aveva faticato a non far ribollire il sangue.
Una pausa significava anche sentirsi abbandonati.
Su quel concetto aveva meditato molto.
Grazie all'ultima discussione con Ami, aveva dato una forma
più chiara
alla dipendenza che aveva da lei - una condizione che aveva accertato
già da tempo.
Amami anche
meno di quanto ti amo io,
aveva pensato. Purché
tu non possa
stare senza di me.
... perché quel bisogno di sentirsi necessario per
lei? Perché gli
faceva male pensare che Ami potesse sopravvivere in pace senza di lui?
Per logica, temeva sensazioni che aveva già
provato. Con fastidio,
aveva cercato di ricordare quando si era sentito in quel modo. Qual era
l'origine di quella paura?
“La mamma va a fare compere.” In un
ricordo, sua madre Eve, con un
sorriso gentile, nervoso, si muoveva rapida verso la porta,
sfuggendogli. “Gioca con Nanny Shoko.”
Lui si era risentito, perché voleva sua madre, ma
lei non desiderava
mai restare con lui.
“Magari ti ci porta papà.”
Sempre sua madre, e un'altra bugia, in un
nuovo sfuggente ricordo. Suo padre Michael non voleva avere a che fare
con lui, ancora meno di lei. Quando non era occupato a lavorare, andava
a cenare con amici, assieme a sua madre. E lui restava a casa da solo,
con la tata del giorno - quando ancora non c'era Nanny Shoko.
Aveva in mente un episodio specifico, che ricordava da sempre.
Gli era
rimasto stampato in testa come emblema dell'atteggiamento dei suoi
genitori nei suoi confronti.
Era un bambino, di cinque o sei anni. Era sera. Si era tolto
il pigiama
che gli avevano messo, cercando nell' armadio i vestiti eleganti, per
uscire assieme ai suoi genitori. Voleva accompagnarli, non
voleva
più essere lasciato indietro. Li aveva sorpresi sulla porta,
raggiungendoli.
Sua madre era stata fiera di lui. “Che bravo, ti sei
vestito da solo?
Sei così carino!”
Alexander si era goduto i complimenti. Era stato felice
finché non
aveva visto il sorriso condiscendente di suo padre - un sorriso che lo
scherniva, che già negava.
“Okay, ma ora torna a dormire.”
“Io voglio venire con voi!”
"No, è una cosa da grandi. Va' a letto.”
Sua madre non lo aveva supportato per nulla. Gli aveva offerto
una
scrollata di spalle graziosa - faceva sempre così, come se
non fosse mai
colpa sua. “Su, va' a sentire la favola
della tata.”
Alexander si era messo a piangere. Loro erano usciti dalla
porta, senza tornare indietro.
Avevano preso per un capriccio un desiderio serio, disdegnando
l'unica
volta che lui aveva avuto il coraggio di opporsi ai loro continui
abbandoni.
La sensazione di esclusione era stata assoluta nella sua testa
di
bambino.
Non voglio mai
più sentirmi così.
Con Ami aveva scelto una persona cresciuta in condizioni non
troppo
diverse dalle sue, a cui poteva dare l'affetto che lui stesso aveva
desiderato.
Si sentiva così bene quando riusciva a sanare in
lei quel vuoto. Ami
faceva lo stesso per lui. Eppure, adesso gli diceva che poteva andare
avanti
anche senza la sua presenza.
... per lui era diverso. Traumi d'infanzia a parte, aveva
bisogno di un
legame presente, continuo.
Naturalmente in quattro mesi non sarebbe cambiato nulla tra
loro -
nemmeno mille anni avrebbero spento quello che provava per lei -
ma...
era una sofferenza immane separarsi in quel modo. Se poi Ami lo stava
facendo davvero per lui, per dargli una scelta, era una cosa
assolutamente inutile.
Lei probabilmente aveva sfogliato i depliant del MIT - un suo
discorso
glielo aveva fatto pensare. Anche lui li aveva letti e si era riempito
la testa di sogni. Non limitava la propria immaginazione alla
possibilità di
frequentare la migliore delle università. Sarebbe diventato
il compagno
di una guerriera Sailor e, poiché era una condizione con
oneri e grossi
limiti, era pronto a sfruttarne tutti i vantaggi, a tempo debito.
Appena ne avesse avuto la possibilità, si sarebbe
specializzato in
tutte le branche di sue interesse. Avrebbe avuto un'infinità
di anni a
disposizione per farlo. Nel momento in cui avesse deciso di
concentrarsi
su una ricerca, avrebbe avuto mezzi che una persona normale poteva solo
sognare. Se non per una questione economica, per una questione di
potere: sarebbe stato amico della regina della Terra, dopotutto - lo
aveva detto Usagi stessa.
Erano progetti di cui aveva parlato ad Ami, nel momento in cui
aveva
iniziato a concepirli. Lei li aveva presi per uno scherzo - forse
sottovalutando la sua ambizione - ma lui era serissimo.
Se doveva
sacrificare qualche decennio di vita per arrivare a quella condizione,
non sarebbe stato facile, ma ne sarebbe valsa la pena. Da persona
comune
il suo tempo per studiare e fare ricerca era estremamente limitato.
Invece, nella strada che intendeva seguire, aveva secoli di studio
davanti a sé. Avrebbe potuto plasmare il futuro del mondo.
Nell'attesa, lo attendeva la vita migliore che potesse
immaginare -
l'inizio di un'esistenza con la ragazza che lo rendeva felice. Forse
era
presto per il matrimonio, e per un bambino, ma più sentiva
che quelle
possibilità si allontanavano, più le desiderava.
Sarebbe stato bello rendere Ami una madre, perché
lei aveva tanto amore
da dare - più di quanto lui riuscisse ad assorbire. Per
quanto
riguardava lui stesso, responsabilità a parte, sarebbe stato
divertente
gestire un bambino. Gli avrebbe voluto molto bene - già solo
per il
fatto che sarebbe nato da Ami - e questo avrebbe reso la sua vita
migliore.
.... era tutto così chiaro e lineare che non capiva
come lei potesse
non coglierlo. Al punto in cui erano arrivati, non sarebbe
nemmeno bastato
spiegarglielo di nuovo.
Ami stava agendo sulla base di paure personali che lui aveva
creduto di
essere riuscito a sedare nei quasi due anni che avevano trascorso
insieme. E invece...
Qualche altro giorno di discussione non avrebbe cambiato le
cose.
Era una sconfitta.
Alexander non voleva ancora rassegnarsi all'idea che, per
convincerla
davvero che
non c'era da temere per il loro futuro, dovesse interrompere le
comunicazioni con lei per così tanto tempo. Non era sicuro
che qualcosa
in lui non sarebbe uscito incrinato dalla necessità di
dimostrare altra
pazienza.
Sin dall'inizio era stato comprensivo, troppo, per paura di
essere
rifiutato. Ami lo lasciava, e quando tornavano insieme lui non chiedeva
la ragione. Per mesi lei era reticente a contatti più intimi
di un bacio
e lui nemmeno si preoccupava di farle capire che voleva di
più - per non
spaventarla. Scopriva che lei era una guerriera Sailor e da subito non
gli importava - non si preoccupava del silenzio, delle
verità omesse per
quasi un anno - pur di avere la certezza che sarebbero rimasti insieme.
Infine, lei iniziava ad avere dei dubbi sul loro futuro e invece di
rimanere fermo nella propria rabbia, lui si sforzava di
comprenderla.
Non gli andava più bene. Non gli era mai parso di
sopportare in
precedenza, ma ora stava avendo quell'impressione.
Perché
non mi ascolti?
Col fiatone, smise di correre, rallentando il ritmo fino a
camminare
lungo il muretto del parco. Il suo obiettivo era la fontanella che
zampillava acqua al centro del piazzale.
«Ehi!»
Si voltò.
Yuichiro lo raggiunse a passo svelto. «Ciao! Era da
tanto che non ti
vedevo correre!»
Già. Ma finalmente era sabato, e dato che non stava
vedendo Ami...
«Come va?»
«Bene, e a te? Manca poco alla tua
partenza!»
Esatto. Una settimana.
Yuichiro notò la sua espressione.
Abbandonò la corsa
sul posto e, incerto, si grattò la testa. «Ehm...
l'altra
sera
Rei voleva fare
un'uscita di coppia con te ed Ami.»
Ah.
«Ami ha detto che eri impegnato.»
Bell'uscita diplomatica.
Yuichiro aveva domandato per vedere come lui reagiva.
Smettendo di camminare, Alexander si chinò sul
getto della fontana.
Bevette, poi parlò. «Non stiamo
litigando.»
«Okay.» Yuichiro era sollevato, ma ancora
confuso.
«Non siamo d'accordo su una cosa
importante.»
«Non devo sapere, però... mi dispiace
vederti
abbattuto, proprio adesso.»
Già. Stava per partire e sarebbe tornato solo a
Natale.
Era ancora agosto. Si avvicinava il compleanno di Ami.
Sentì il bisogno di sfogarsi. «Lei vuole
che
non ci sentiamo per tutta la
durata del mio scambio in America.»
Yuichiro era sorpreso. «Ami?»
«Sì. Si è
intestardita.»
Come lui, Yuichiro non capiva. Si fece ancora più
incredulo. «Sarebbe
una specie di... pausa?»
Ecco! «Suona così, vero? Lei dice che mi
serve del tempo per pensare al
futuro.»
Yuichiro non commentò. Andò a sedersi
sulla panchina vicina, per
spremersi meglio le meningi.
«Nemmeno Ami sa a cosa dovrebbe servire questo
periodo di prova»
continuò Alexander. «Pensa di
saperlo. Ci ha costruito sopra tutto un ragionamento, ma non
è possibile
che siamo stati insieme per tutto questo tempo - in tutto quello che
abbiamo passato - senza che lei non abbia già ottenuto le
certezze che
dice di voler trovare. Per me, non per se stessa - è questa
la scusa che
si dà.»
«Si riferisce al futuro lontano.»
«Sì, quello eterno.» In cui
erano coinvolti tutti quanti.
«Un po' di paura è normale.»
Alexander ascoltò.
«Ma non può superare il desiderio di
capire quello che vuoi tu. Non
sembra una cosa da lei.»
Già. Di solito Ami si prodigava per dargli quello
che voleva, una volta
che aveva inquadrato cos'era. Almeno non era il solo a pensarlo.
«Non ne ho
parlato di nuovo con lei, ma è possibile che non riesca a
farle cambiare
idea.»
Yuichiro era preoccupato. Si alzò.
«Spiegami meglio mentre andiamo al
tempio.»
A casa sua?
Yuichiro annuì. «Su una cosa del genere
Rei potrà darti più risposte di
me. Hai bisogno di qualcuno che conosca Ami da tanto perché
io...»
Scosse la testa. «Non riesco a capire. Non sembra la Ami che
vedo con
te. Lei non ti lascerebbe andare.»
Sentirlo dire a un'altra persona lo sanò. Esatto,
Ami non voleva lasciarlo
andare via in quel modo, nonostante quello che diceva.
Seguì Yuichiro verso il tempio Hikawa.
Non trovò una Rei Hino molto ben disposta. Erano le
otto
di mattina di un fine settimana e Yuichiro dovette andare a svegliarla
per portarla in salotto.
Senza ancora aver bevuto il suo caffé, lei era meno
benevola del solito.
«Non vieni mai a parlarmi e ti decidi a farlo
all'alba di un
sabato?»
Alexander si divertì. «Io e Yuichiro
eravamo fuori a correre da
un'ora.»
«Non so quanto vi danno per andare a sudare con
questo caldo.»
Yuichiro si avvicinò al tavolo con una tazza
fumante. Rideva. «Più
tardi il sole scotta troppo. Possiamo allenarci solo di mattina
presto.»
Lei ricevette in mano il caffé. Portandolo al naso
aggrottò la fronte,
disgustata e pentita. «Non lo voglio!» si
lamentò.
Yuichiro non capì. «Eh? Ma tutte le altre
volte...»
«Oggi fa troppo caldo! Yuu...» lo
implorò, rendendogli la tazza. «Per
favore, portami qualcosa di freddo!»
Lui era ansioso di accontentarla. «Dello
yogurt?»
«Sì. E dei toast. Con la marmellata che
ho messo ieri in frigo.»
«Torno subito!»
La scena suscitò in Alexander una risata bassa.
Rei mise il broncio. «Non prenderlo in giro. Yu
è buono con me.»
«Non ridevo di lui. È per il modo in cui
vi comportate. Andate molto
d'accordo.»
Rei accettò il complimento. «Lui ha molto
pazienza.»
Non sempre Alexander lo capiva, ma in quel momento lo
invidiava. Non
importava il tipo di rapporto che avevano due persone, contava solo che
fossero felici. Yuichiro era molto servizievole con Rei, ma Alexander
era sicuro che lei lo ripagasse a modo suo. Anche solo la gratitudine
con cui lo
aveva guardato dava un'idea di come lei facesse sentire al suo
ragazzo l'importanza che lui aveva nella sua vita.
Rei sospirò, incrociando le braccia. «Yu
ha detto che sei qui per
parlare di Ami. Questo mi impensierisce.»
«Hai già deciso di darmi la
colpa?»
«Chi l'ha detto? So che lei ha tante fisime. Mi
preoccupa che tu voglia
parlarmi di lei ora, quando stai per partire. Significa che Ami le sta
tirando fuori adesso.»
«È così.»
Rei sbuffò. «Quella ragazza...»
Si sporse per ricevere il vassoio che
Yuichiro stava portando. Sul ripiano c'era tutto quello che lei aveva
chiesto, più un succo d'arancia che le fece spuntare un
grosso sorriso in volto.
«Raccontami tutto mentre faccio colazione. Grazie,
Yu.»
Alexander iniziò a parlare.
Rei e Yuichiro lo ascoltarono con attenzione. Lui
raccontò tutto quello
che aveva in testa, teorie comprese.
Tentò di lasciare da parte ciò che
provava in merito a
quella situazione. Se stava rivelando ad altri con tanto dettaglio
quello che stava succedendo, era solo con la speranza di capire meglio
cosa stava passando per la testa ad Ami.
«Non le hai più parlato da
allora?» gli domandò Rei.
«No. Non la sto punendo. Devo ancora decidere cosa
dirle.» Anche se il
tempo a loro disposizione stava finendo.
Lui non aveva intenzione di lasciar passare altri giorni nel
silenzio,
senza vederla. Di lì a breve non l'avrebbe vista
più, per cause di forza
maggiore, per infinite settimane.
«Non è venuta a cercarti.»
Il commento di Rei non gli suonò bene.
«È determinata»
commentò lei.
Così pareva anche a lui.
Rei smise di giocare col cucchiaino che teneva in mano.
«Chiariamo:
vorrei prenderla per le spalle e scuoterla fino a farle entrare un po'
di sale in zucca. Però...» Si interruppe e
guardò verso il cortile,
pensando. «Credo di capire perché si comporta
così.»
Se aveva un'idea, lui era aperto a ogni opinione.
«È un discorso ampio, ma seguimi: che
cosa ti fa credere nell'amore?»
Era un discorso ampio davvero. «Aver visto che
esiste?»
«Sì, ma vederlo da fuori non è
abbastanza convincente.
Devi averlo provato sulla tua
pelle per crederci. Per far sì che una persona abbia fiducia
nell'amore,
deve esserci qualcuno che l'abbia amata.»
... non parlavano di amore romantico. «Intendi, da
bambini?»
Rei annuì. «È la prima prova
d'amore che riceviamo.»
Il ragionamento gli sembrava fallace. «Io non ho
avuto dei grandi
genitori. Credo comunque nell'amore.»
Rei aveva pronta una risposta. «Anche mio padre
è stato pessimo e non
ricordo granché di mia madre. Non parlo per forza di
genitori. Parlo di
qualcuno, chiunque, che a un certo punto della tua vita ti abbia
convinto che sei una persona degna di essere amata, proprio nel momento
in cui eri più influenzabile, indifeso e pronto a credere a
tutto. Per
me quel qualcuno è stato mio nonno.»
Alexander si accorse dell'attenzione con cui Yuichiro guardava
Rei.
«Ami mi ha detto che non avevi una relazione stretta
coi tuoi genitori,
ma fino all'anno scorso, a casa tua, non stava ancora quella tata? La
signora Shoko? Ami ha detto che le sei ancora affezionato.»
«È stata come una madre
per me.»
Rei aveva provato il suo punto. «È la
persona che ti ha dimostrato che
sei importante e degno di essere messo davanti a ogni altra esigenza.
Tutti abbiamo bisogno di qualcuno così.»
Lui stava iniziando a capire in che modo quel discorso si
legasse
ad Ami.
Rei proseguì. «Quando ho conosciuto Ami,
lei era una ragazza...
titubante. Interagiva con noi, ma stava un po' in disparte. Meno con
Usagi, perché Usagi non ti permette di chiuderti in te
stesso. È
contagiosa.»
Parlava di ricordi felici.
«Ad Ami piaceva quando la includevamo nel gruppo, e
quando c'era da
intervenire lo faceva con forza se aveva delle convinzioni ferme, ma
poi si comportava come se avesse qualcosa di cui scusarsi. Come se
avesse imposto troppo una presenza non richiesta.»
Suonava proprio da Ami.
«Quando ci siamo affezionate l'una all'altra, Ami
non aveva remore a
mostrare che teneva a noi, ma si stupiva quando noi dimostravamo di
tenere a lei. Era una cosa che la destabilizzava all'inizio. Non sapeva
come reagire. A me sembrava troppo timida e ritrosa. Provavo a
convincerla a essere più rilassata, ma per lei non era
normale sentire
di essere fondamentale per la felicità di qualcun
altro.»
Con uno sguardo, Rei capì che lui sapeva di cosa
stava parlando. «È
cambiata tanto da quando avevamo quattordici anni. Ma alcune sensazioni
rimangono nella parte più profonda di noi.»
«Sua madre non è così
male.» Alexander non sapeva nemmeno perché stava
difendendo
la signora Saeko.
«Però lavora tanto.»
«Sì. Ma per Ami questa non è
più una situazione pesante.»
«Si è abituata. Trova naturale essere
seconda rispetto al lavoro di
lei.»
Di questo si era accorto anche lui.
Rei sospirò. «Comunque il cuore del
problema non
è Saeko-san. Ricordi
qualche mese fa, alla cerimonia del diploma? Per un momento Ami ha
creduto che suo padre fosse venuto a vederla.»
Già. Ami si era confusa a causa sua. Lui le aveva
chiesto, “È venuto
tuo padre?” Nella calca della folla che parlava tutta
insieme, lei non
aveva capito che era una domanda. Aveva creduto che suo padre si fosse
presentato per quel giorno importante della sua vita - una cosa che
anche Alexander aveva dato per scontata.
Le era mancato il fiato. Si era
voltata, guardandosi attorno, colma di speranza.
Al suo fianco Rei aveva compreso prima di lui che cercava
qualcuno.
“Chi cerchi?”
“Mio padre”, aveva risposto Ami, esitando
a esplodere in un sorriso. “È
venuto.”
Alexander si era avvicinato ad ascoltare e aveva capito di
essere stato
frainteso. “No, chiedevo se era arrivato.”
Aveva visto qualcosa spegnersi negli occhi di Ami. Lei aveva
nascosto
la delusione. “Papà non viene. Non è
una cosa che fa per lui.”
Lui aveva compreso quanto lei ci fosse rimasta tremendamente
male.
“Love...”
Ami aveva scosso la testa, forzatamente serena.
“È fatto così. Ma ci
sono le ragazze e la mamma. Ci sei tu.” Lo aveva baciato, in
pubblico,
incurante degli sguardi. “Sei venuto tu per me.”
Terminando di ricordare l'episodio, Alexander ebbe una
migliore
comprensione di quello che Ami stava facendo.
Rei lo osservava. «Ami non è cresciuta
sapendo che per qualcuno lei
veniva prima di qualunque altra cosa. Sono certa che Saeko-san abbia
cercato di dimostrarglielo. Ami ha tanti bei ricordi di lei, ma da
piccola tornava a casa e spesso sua madre non c'era. Non serve essere
presenti solo nei momenti importanti per far pensare a qualcuno che
conti davvero per lei.» Parlandone, Rei stessa si
rattristò. «Il padre
di Ami ha inciso a fondo dentro di lei l'idea che esistono sogni,
passioni - cose - che possono contare più di lei nella vita
di chi
dovrebbe amarla. È questa la realtà che Ami
è abituata a gestire. Fa
paura e fa male. Concedersi di sperare che qualcuno non ti
tratterà mai
più in quel modo equivale ad aprirsi alla
possibilità di una delusione
che può distruggerti.»
... lui capiva. Lo comprendeva. Ma questo significava che...
«Vale anche se parliamo di te, Alexander, che l'hai
sempre messa al
primo posto rispetto a qualunque altra cosa. Ami ha difese contro
l'indifferenza, ma non è preparata a gestire l'idea
che l'amore che
provi per lei un giorno possa diventare qualcosa di simile alla
noncuranza con cui è stata trattata. Se lo aspetta, o non lo
esclude.
Credo che... stia cercando di prevenire che accada, per come
può.»
Lui non ebbe niente da dire. Stava iniziando a
comprendere cosa doveva fare in merito alla
scelta
che gli era stato chiesta di fare.
Rei inclinò la testa, cercando i suoi occhi.
«Ami dovrebbe fidarsi di
te, ovviamente. Ma non ha in mente tutto quello di cui abbiamo parlato
mentre prende le sue decisioni. Agisce per ragioni inconscie. Non
sentirti per mesi, e poi vederti tornare, le darà la
sicurezza che tu
non cambierai con lei nel tempo. Ha razionalizzato la situazione che ha
bisogno di veder accadere per sentirsi più sicura. Questo
non esclude
che stia davvero pensando anche a ciò che è
meglio per te - quello che
sostiene ha un senso - solo che... non sarebbe così ferma
nella sua
decisione se non ci fosse qualcosa di cui ha paura. Ti ascolterebbe di
più.»
Per scrupolo, Alexander volle chiedere un'opinione.
«Cosa dovrei fare
allora?»
Rei scosse la testa. «Dipende da te. Se quello che
vuole ti fa stare
male, devi farglielo capire. Ami dovrebbe tenerti più in
considerazione.
Non mi sento di consigliarti di accontentarla. Non so nemmeno se alla
fine dei quattro mesi sarà davvero convinta che tu non
potrai mai più
cambiare modo di tenere a lei. Ma come amica, penso che se l'hai amata
per tanto tempo... Se sai come lei potrebbe sentirsi dopo...»
Yuichiro la fermò, mettendole una mano sulla
spalla.
Alexander comprese il suo scopo. «Non preoccuparti.
Non la sento come
un'ulteriore costrizione.»
«Comunque» disse Yuichiro, «non
è giusto che ti si chieda altro. Non
esiste solo Ami nella vostra relazione.»
Rei era rimasta in silenzio, mesta. «Spero che
riusciate a trovare una
soluzione.»
Alexander chinò il capo, grato. «Lo spero
anche io. Ti ringrazio per
quello che mi hai detto. Grazie a entrambi.»
Salutò e tornò a casa.
Il conto alla rovescia era arrivato a sette, pensò
Ami. Sette giorni
alla partenza di Alexander per l'America.
Lei lo aveva messo in difficoltà imponendogli di
riflettere su una
decisione difficile. Lui meritava rispetto per il tempo che aveva
chiesto per pensare, ma persino lei riusciva a comprendere che dovevano
trovare un compromesso. Fargli capire che non sentiva il bisogno di
averlo vicino, prima che se ne andasse, non era accettabile. Era
un'ulteriore ferita, e lei gliene aveva già inflitta una
grande.
Aveva iniziato a farsi venire dei dubbi.
Davvero non
posso cambiare idea?
No. No.
Lo avrebbe intrappolato senza possibilità di scampo
nella vita che
voleva con lui, nei propri desideri.
Alexander meritava tutto ciò che era e che sarebbe
diventato. Lei non
poteva limitare un ragazzo come lui, senza avergli offerto almeno una
possibilità.
«Chi è?»
Sentì la voce di lui nell'interfono del palazzo. La
luce
della telecamera la illuminava in viso. Lei non poteva vederlo di
rimando e rimase in
silenzio, in attesa.
La serratura del portone d'ingresso scattò.
Inspirando, Ami si fece coraggio e oltrepassò la
soglia. Dentro
l'ascensore, corrugò la fronte.
Sei egoista,
si accusò.
Continuava a pensare a ciò che provava lei con
riguardo a lui. In quel
momento aveva timore di incontrarlo, e al contempo provava
trepidazione,
ma avrebbe dovuto pensare solo a come si sentiva Alexander, per la
situazione in cui lei
lo aveva
messo.
Inoltre, il silenzio di mesi che gli aveva chiesto l'avrebbe
fatta
stare tranquilla in futuro. Questo era un punto della questione su cui
si era molto concentrata.
Lo stava facendo per se stessa?
Lui non era felice con quella soluzione. Anche se l'avesse
accettata,
l'avrebbe subìta. Non era nella sua natura trattenersi
dall'esprimere
affetto per così tanto tempo, né crogiolarsi
nell'idea che le cose
sarebbero andate bene solo aspettando. Quella era lei.
Uscì dall'ascensore e si apprestò a
suonare il campanello della porta.
Alexander scostò l'uscio per primo.
Si guardarono.
«Ciao» disse lui.
Ami si sentì felice, vergognandosi. Ma Alexander
ricambiò il sorriso, appena,
e lei non si concentrò più sul senso di colpa.
«Ciao.»
Lui si spostò per farla entrare.
Sull'ingresso lei tolse le scarpe e appoggiò di
lato la borsa.
Alexander la attendeva in salotto, in piedi.
Ami seguì la direzione del suo sguardo.
«Le tue valigie.» Erano posate
a terra, aperte, piene per metà.
«Sto cercando di capire cosa portare.»
Lui doveva ancora andare al lavoro quella settimana. Sfruttare
l'ultimo
weekend libero per prepararsi al lungo viaggio era indispensabile.
«Ti
aiuto.»
«Ho fatto una lista.» Alexander gliela
indicò, sul tavolo. «Dimmi se
sto dimenticando qualcosa.»
Sarebbe stato via durante gli ultimi giorni dell'estate, poi
per tutto
l'autunno. Nelle ultime settimane le temperature sarebbero scese a
livelli invernali.
Interi mesi in cui lei non avrebbe potuto vederlo,
né sapere che
esperienze aveva fatto. Non gli sarebbe stata accanto.
«Non portare troppe magliette»
mormorò.
Lui si avvicinò di qualche passo. «Ne ho
messe dentro una decina. Le
userò per cambiarmi nei primi giorni, poi per andare a
correre.»
Certo, lui voleva riprendere le corse mattutine. Avrebbe
finalmente avuto
il tempo.
Scorse la lista e sorrise. «Il cuscino?»
«Sai che preferisco usare il mio.»
Divertito,
Alexander le fece notare un segno
accanto alla voce. «Lo porterò solo se
avrò abbastanza spazio, ma voglio
farcelo entrare.»
Già, lui dormiva molto bene col quel cuscino - era
voluminoso e
consistente, perfetto per riposare sdraiati su un fianco, come faceva
lui di solito.
... lei non lo avrebbe visto svegliarsi per molto tempo.
«L'appartamento è pagato.»
Alexander si era piegato un poco, per
attirare la sua attenzione. «Per Shun era complicato
affittarlo nei tre
mesi in cui ero via e io volevo ritrovarlo com'era. Mio padre copre le
spese. È soddisfatto che vada in America e per lui sono
briciole.»
Ami annuì. Era un pensiero in meno. Non ne erano
stati sicuri.
«Potrai entrare con la tua copia della chiave. Ti
lascerò anche la
mia.»
Certo. «Mi occuperò della posta.
Toglierò la polvere.»
A lui spuntò un sorriso quieto. «No,
intendevo... Potrai venire a stare
qui tutte le volte che ti va.»
Ami sentì una stretta al petto - nostalgia, sempre
più forte, al
pensiero di una lontananza che ancora non si era concretizzata.
«Mi
fermerò a dormire qualche volta.» Nel letto che
forse avrebbe conservato
l'odore di lui.
«Porta Ale-chan se vuoi. Così non starai
da sola.»
Lei allungò una mano, trovando
un suo braccio. Si
adagiò a lui, posando la fronte contro la sua spalla.
Avrebbe sentito la sua mancanza ogni singolo giorno.
Si sentì sfiorare su un gomito, poi Alexander si
allontanò, sedendosi.
«Ho preso una decisione su quello che mi hai
chiesto.»
... era molto calmo.
Lei non aveva idea di cosa stava per dirle.
«Accetto la tua idea a metà, Ami. Due
mesi di silenzio, non quattro.
Non ho bisogno di arrivare a Natale per capire cosa
significherà
l'esperienza al MIT nella mia vita. Per quanto riguarda noi... ho
capito
di aver bisogno di riflettere.»
... eh?
«Due mesi saranno sufficienti. Hai ragione quando
dici che devo
sfruttare questo periodo di lontananza per rivalutare cosa voglio dal
mio futuro. Così le scelte che farò saranno le
più giuste e ragionate.»
Era quello che lei gli aveva chiesto. Era quello che voleva.
Cercò una sua mano, cercando di non tremare.
«Due mesi andranno bene.»
Si sentì stringere le dita e capì di non
averlo ancora perso.
«Ci sentiremo a novembre?» gli
domandò.
Lui annuì.
Lo aveva portato a pensare che aveva bisogno di riflettere su
loro due.
Per l'ansia, Ami non sentì altro che il battito del
proprio cuore. «Io...
Questo ultimo anno e mezzo insieme...»
«Lo so, Ami, non fare già i discorsi
finali. Terrò a mente tutto quello
che abbiamo passato. Tutto
quello che ci siamo detti.»
Per lei ogni singola parola era ancora vera. Non voleva che
cambiasse
nulla, niente.
Avanzò di un passo, e quando lui non si ritrasse lo
abbracciò con tutta
la propria forza.
Non si permise un solo altro pensiero.
Lo strinse e lo amò con ogni frammento della sua
anima.
Alla fine, la scelta più giusta si era formata
nella mente di Alexander
con naturalezza, senza quasi pensarci.
Ne aveva ricavato un senso di pace, e la sensazione che non
avrebbe
potuto comportarsi in maniera diversa.
Due mesi di silenzio servivano se l'idea che ci fossero lo
aveva messo
tanto in agitazione.
Non era più preoccupato.
Aveva pensato alla Ami che era ancora rassegnata a non avere
un padre
che le voleva più bene di qualunque altra cosa, e si era
ricordato della
Ami che un anno e mezzo prima era tornata da lui, in lacrime, per
dirgli
che aveva mentito, che lo amava e voleva stare insieme.
Lei aveva già rischiato, per lui.
Si era messo a pensare all'anno che avevano trascorso nella
serenità
più assoluta, e a quanto la loro relazione fosse diventata
più forte
dopo che lui aveva scoperto la verità, nonostante tutto.
Alieni, poteri, una vita millenaria... Non lo aveva scalfito
niente.
E
ora lo spaventavano pochi mesi di distanza?
Perché non era sicuro. Perché anche lui
aveva ancora paura di essere
abbandonato, dimenticato, messo da parte.
Eppure, la sua certezza che Ami lo avrebbe amato esattamente
come prima
al suo ritorno non erano solo parole. Era una verità di cui
era
cosciente fin nel profondo del suo essere.
Anche se ormai ne era convinto, una breve separazione gli
avrebbe fatto
bene, per seppellire in eterno, coi fatti, quel timore dove meritava di
stare: nel passato.
Con quella decisione si sentiva finalmente a posto, anche per
ciò che
ne avrebbe tratto Ami. Lei meritava di essere liberata da
quell'incertezza, che la
condizionava e la confondeva.
Lui non stava più riflettendo sui se, né
sui come. Forse, come aveva
detto Rei, quel periodo di assenza di comunicazioni non sarebbe bastato
a convincere completamente Ami che non c'erano più rischi
che lui
cambiasse idea in futuro, su di lei, ma Alexander non aveva inteso fare
promesse a vuoto.
Se diceva di voler spostare il mondo per Ami, allora aveva
anche
intenzione di cambiare il modo in cui lei vedeva il mondo che la
circondava. Esisteva qualcuno che l'avrebbe sempre messa al primo
posto.
Sarebbe riuscito a convincerla che quella persona esisteva ed era lui.
Non importava quanto tempo ci sarebbe
voluto, né cosa sarebbe stato necessario fare. Sarebbe
riuscito in
quell'impresa con
lei, perché
tutti e due tenevano a rendersi felici stando insieme.
Era la prima tappa ostica di un percorso che avrebbe
presentato altre
difficoltà in futuro. Non sarebbe mai stato tutto semplice e
sereno in
una vita lunga come quella che avrebbero avuto. Proprio
perciò, lui non
intendeva arrendersi al primo ostacolo.
Non era più un sacrificio, né una
sofferenza. Si trattava semplicemente
di una presa di consapevolezza.
Aveva ridotto il tempo di silenzio richiesto da Ami
perché quattro mesi
di silenzio erano solo una tortura. Al fine di quello che avevano
bisogno di capire, singolarmente e insieme, la metà del
tempo bastava.
Nonostante quello che diceva, Ami sarebbe stata in ansia
già per tutto
settembre e ottobre.
Forse lui aveva incrementato le sue preoccupazioni con le
parole che
aveva scelto per comunicarle la propria decisione, ma era necessario:
lei
doveva convincersi che lui stesse rivalutando a fondo la
possibilità di
un futuro insieme, o al termine dei due mesi poteva trovare altre scuse
per non essere ancora sicura, guidata com'era dalla paura. Ami doveva
essere sinceramente convinta che lui stesse ragionando come lei, sui
pro
e i contro, poiché nella sua testa solo i ragionamenti
logici erano
inconfutabili e rendevano le decisioni salde.
Aveva senso. Solo che quei ragionamenti lui li aveva fatti
tempo
addietro e continuavano a dargli la stessa risposta.
Da novembre ci avrebbe creduto di più anche lei.
A due giorni dalla sua partenza, Alexander era sereno per il
futuro e
triste all'idea della lontananza.
Lui avrebbe avuto modo di distrarsi in America: c'erano
lezioni
interessanti da frequentare e un ambiente nuovo da scoprire. Avrebbe
anche rivisto Shun.
Ma Ami... Ami sarebbe rimasta in Giappone con le proprie
preoccupazioni.
La separazione era necessaria, eppure questo non lo faceva
sentire meglio
al pensiero di quanto lei sarebbe stata sola e incerta.
Le
servirà.
In sua assenza, nei limiti del loro d'accordo, stava provando
a fare qualcosa
per lei - tramite una delle ragazze.
Per il resto, doveva accettare che era una situazione che non
poteva
cambiare. Doveva avere pazienza.
Novembre sarebbe arrivato con lentezza, ma inesorabilmente.
A quel punto, sarebbe andato tutto a posto.
Ultimo sabato di agosto. L'aereo di Alexander per Boston
partiva alle
sei e mezzo di sera.
Ami era andata a trovarlo sin dalla notte prima. Aveva dormito
abbracciandolo. La mattina, aveva ricontrollato con lui le valigie e la
casa.
Avevano lasciato l'appartamento alle due, per raggiungere il
nuovo
aereoporto internazionale di Tokyo, a Narita, col treno, carichi di due
grossi bagagli più il trolley che lui si sarebbe portato in
cabina.
Conteneva un cambio di emergenza e il suo computer - nel caso
perdessero
il resto dei bagagli, aveva chiarito Alex. Una volta gli era
successo.
Prima di uscire di casa, Ami aveva notato che dalla scrivania
mancava
il portaritratto della foto che avevano scattato con la Polaroid -
quella nella vecchia stanza di lui, in cui Alexander le aveva rubato un
bacio sulla guancia, a occhi chiusi, mentre lei guardava l'obiettivo
sorridente.
Per tutto il viaggio in treno aveva cercato di apparire
normale,
soffocando la sofferenza.
Tre ore dopo avevano depositato i bagagli più
grossi al banco della
compagnia aerea. Si erano mossi per l'aeroporto tenendosi per mano. Per
un'altra mezz'ora si
erano fermati in un ristorante, in attesa,
mangiando qualcosa. Infine, erano andati alla ricerca del gate a cui
lui
doveva presentarsi.
Era la porta numero 83.
Ami rimase guardare il tabellone. La scritta accanto al numero
indicava
che l'imbarco era già iniziato.
Tra i controlli di sicurezza e doganali che lui doveva
passare, avevano
solo qualche altro minuto insieme.
Alexander le indicò una fila di sedili vuoti,
accanto a una vetrata.
«Andiamo a sederci.»
Lei lo seguì, stringendogli più forte le
dita.
Da seduto, lui sollevò le loro mani unite,
sorridendo. «Mi rimarrà il
segno se stringi così.»
Lei non riuscì ad allentare la presa
Buon viaggio,
doveva dirgli. Non
trovò la voce.
Non voleva salutare.
Lui cominciò a parlare. «Non saranno due
mesi semplici, Ami.»
Lei studiò ogni linea del suo viso, il colore dei
suoi occhi, la
sensazione della sua guancia sulle mani - da un ricordo. Il sapore del
suo bacio, la morbidezza dei suoi capelli, il modo in cui rideva o
rifletteva, assorto.
Insieme avevano letto, studiato, dormito, scherzato, giocato,
amato,
vissuto.
Lui continuò. «Ti prometto di riflettere
seriamente su tutto. Non
sprecherò questa occasione.»
Occasione? Una situazione che capitava una sola volta nella
vita.
Come la fortuna di trovare qualcuno con cui essere
così incredibilmente
felice, come lo era stata lei. «S-studia molto»
balbettò. «Passa del
tempo con Yamato.»
Alexander annuì.
«Io...» Iniziò la frase, poi si
perse. Perse le parole, il coraggio.
Cominciò a tremare.
Alexander attese, quindi le prese entrambe le mani tra le
proprie.
«Be
well, Ami. Non starò bene pensando che non sei
felice.»
... lei non lo sarebbe stata mai più.
Lui se ne stava andando. Lo stava perdendo.
Cercò con tutta se stessa di essere forte, ma si
spezzò. «Ti amerò per
sempre!» Esplose in un singhiozzo. «Anche se non
torni indietro!»
Si ruppe in un pianto e non riuscì a restare ferma
nell'abbraccio in cui
si trovò rinchiusa. Si aggrappò ai vestiti di
lui, alla sua schiena,
convulsamente. Doveva lasciarlo andare, come aveva deciso, come era
giusto! «Per
favore, torna» implorò.
Non controllò più quello che stava dicendo.
«Ti amerò più di qualunque
altra cosa al mondo, per
favore.
Lo
farò bastare!»
Alexander emise un lamento. «Shh, you are my
heart, Ami. Cosa stai dicendo?»
Lei pianse più forte.
«Certo che torno. Non posso stare senza di
te.»
Ami sentì baci sul viso. Ne prese uno sulla bocca,
la testa tra le mani
di lui. Aprì gli occhi sui suoi, la vista annebbiata.
Anche Alexander soffriva. «Tornerò, e
dopo
Natale non staremo più
lontani. In questi due mesi non cambierà nulla per me. Non
può.»
Lei annuì contro la sua fronte, velocemente.
«Devi crederci, okay? Devi credere in me.
Farò andare tutto bene.»
Lei riacquistò un po' di ragione. «Scusa
se...»
«Stop.
Sono contento che tu me
lo abbia detto. Non potevo lasciarti se pensavi una cosa
simile.»
Si baciarono ed Ami si sentì di nuovo intera, come
lui.
Che cosa aveva fatto? Come aveva potuto?
«Ti credo» gli disse e scelse, con
coscienza e inequivocabilmente, di
essere convinta che Alexander avrebbe avuto la vita migliore che poteva
cogliere, in quei due mesi e tornando poi da lei. Perché era
la sua
scelta.
Alzandosi, lui le passò le mani sulle guance
bagnate. Ami si strofinò
gli occhi da sola. «Vai. Ti aspetterò.»
«Ti penserò tutti i giorni.»
Lei lo strinse in un altro abbraccio, libera. «Io
anche tutte le
notti.»
Udì una risata bassa e comprese la propria gaffe.
«Buono a sapersi!»
Si divertì, commossa. «You are my
only love. In ogni momento, anche quando non sei accanto a
me.»
Comprese quanto lui avesse avuto bisogno di udire parole come
quelle
solo quando vide come lo fecero sentire.
In piedi, rimasero abbracciati, senza l'intenzione di
lasciarsi andare.
«Buon viaggio» si costrinse a dire Ami,
cercando di stargli più vicina,
per guarire qualunque ferita avesse aperto in lui col proprio
comportamento.
Alexander provò a distanziarsi. «Due mesi
saranno eterni, ma...
voleranno. So che sembreranno finiti subito quando ti
sentirò di nuovo.»
Ami annuì, sicura quanto lui, prendendosi e
regalandogli un altro
bacio. Non sarebbero mai bastati, a nessuno dei due. «Ti
accompagno.»
Andò con lui fino alla barriera dedicata ai solo
viaggiatori con
biglietto.
Alexander le accarezzò i capelli.
«Avrò tante cose da raccontarti
quando torno.»
Ami annuì. «I love you.»
«I
love you» rispose lui.
Si lasciarono la mano.
Alexander iniziò a percorrere il percorso a
serpentina che portava ai
controlli di sicurezza, nascosti dietro una parete. Prima di
oltrepassarla, ormai a dieci metri di distanza da lei, si
fermò.
Ami sollevò una mano per salutarlo, felice e al
contempo triste.
Lui si espresse in un breve sorriso sereno, pieno di certezze.
Bye,
disse con la bocca.
Scomparve oltre il muro, diretto negli Stati Uniti.
«Voglio ammazzarla e voglio abbracciarla.
Dov'è?»
Rei faticava a trattenere Usagi. «Aspettiamola qui.
Deve passare da
questa parte.»
Erano andate all'aeroporto sull'impulso di un momento, per
consolare
Ami. Dopo aver saputo tutto, Usagi non aveva voluto saperne di restare
indietro.
«Avresti dovuto dirmelo prima!»
«Saresti intervenuta!»
Makoto non si era potuta unire perché era giorno di
ressa alla
pasticceria, ma aveva pregato entrambe di andare.
«Ami sarà devastata, statele vicino anche
per me!»
Per tutto il viaggio in treno Usagi aveva parlato
dell'intenzione di
strozzarla. «Come può fare una cosa simile ad
Alexander? E a se stessa?!
Sta sabotando la loro relazione!»
Rei non lo credeva, o sarebbe andata lei stessa a parlare con
Ami. «Non
so cosa abbia deciso lui, ma può risolvere il problema di
Ami come noi
non potremo mai fare con le parole.»
«Questo lo dici tu!» Usagi si era
rattristata. Parlava e si lamentava
per non stare in pena.
Erano arrivate all'aeroporto da un quarto d'ora e si
guardavano intorno
senza sosta, in cerca di Ami.
Rei la individuò dietro un gruppetto di persone.
«Eccola!»
Senza aspettare, Usagi le corse incontro.
«Ami!»
Rei le raggiunse mentre Usagi stringeva le mani di lei.
«Stai bene?»
«Com'è andata?»
domandò Rei.
Sorpresa, Ami sorrideva. «Siete venute per
me.»
«Certo!» protestò Usagi.
«So cosa stai passando. Non potevamo lasciarti
sola!»
Ami era silenziosa, ma serena. «Non preoccupatevi.
Ho fatto la cosa
giusta.»
«Lasciarlo andare?» osò
chiederle Usagi.
Ami scosse piano la testa. «Dirgli che lo amo e che
voglio assolutamente vederlo
tornare.» Si lasciò abbracciare. «Non
è stato un addio. È stato solo...»
Bye,
aveva detto lui.
Ami chiuse gli occhi, sicura.
Era stato solo un arrivederci.
Agosto 1997 - Addio? - FINE
Note: Ho paura. Ho paura di non aver scritto questo capitolo
trasmettendo tutto quello che volevo, tutto quello che ho sempre
provato
in merito a questa situazione tra Ami e Alexander.
Spero di esserci riuscita. Probabilmente me ne
renderò conto meglio col
passare delle settimane, quando rileggerò come fossi una
lettrice
qualunque.
Nel frattempo sono felice di aver trovato il modo di narrare
queste
vicende. Era così
importante.
Ora finalmente posso scrivere di ciò che viene
dopo, piano piano (ma
non troppo :P)
Il prossimo capitolo sarà dedicato ai due mesi di
separazione tra Ami e
Alex. Poi... Per una volta non dico nulla, che ho già
parlato troppo :)
Grazie infinite di essere qui a leggere! Ogni vostro commento
sarà oro
per me!
Elle
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dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon,
Verso l'alba e oltre...