Entrambi
erano un po' timidi, pur conoscendosi fin dall'infanzia. Ormai erano
due persone diverse, notò Amy, fissando negli occhi mister
aria-da-bullo. Trovava quello sguardo inquietante, la metteva a
disagio. Non era familiare.
Non voleva però perdersi in questo genere di pregiudizi,
perciò chiese a Matt se volesse andare a fare una
passeggiata da qualche parte.
- No... ho poco tempo. - La risposta del suo amico la
sorprese non poco. Che diamine doveva fare a quell'ora? - Sono venuto
solo per dirti una cosa veloce.
- E cosa? - chiese Amy, curiosa.
Matt la prese per le spalle e la fissò negli occhi. - Sei in
pericolo.
La ragazza vacillò sotto il peso delle braccia di Matt,
sorpresa. - Io sono cosa?
- In pericolo, Amy. Non cedere all'istinto, dammi retta, o
perderai il gioco.
Lei ci capiva sempre meno. - Ma di che stai parlando?
- Ora devo andare. - Il ragazzo fece per andarsene, ma Amy lo
trattenne per un braccio. - Aspetta! Non puoi ricomparire, dirmi due
parole in croce, per di più incomprensibili, e poi sparire
di nuovo!
- E perché no? - rispose Matt, prima di liberare
il braccio e allontanarsi.
Amy restò a fissarlo, mentre il vento soffiava forte e le
scompigliava i capelli, e le nubi si facevano più scure. Le
parve di sentire in lontananza quattro misere parole. - E' stato un
piacere.
***
Amy camminava per strada, come in trance, sinceramente perplessa. Matt
si aggiungeva alla lunga lista delle cose per lei incomprensibili.
Ripeté sottovoce le parole che aveva detto il suo amico
prima di sparire: "Non cedere all'istinto, dammi retta, o perderai il
gioco". Chissà di cosa stava parlando.
Sentì la rabbia crescere dentro, pensando all'ex dolce
visino di Matt, ora diventato una specie di bullo. L'innocenza nei suoi
occhi era sparita. Ad Amy non piaceva quella versione del suo compagno
di giochi. Lo voleva come prima.
Ma si rese conto che era impossibile che le cose tornassero come prima.
Troppo tempo era passato dall'ultima volta che si erano visti e non
c'era più quel legame affettivo. L'aveva dimostrato lui
stesso, solo pochi minuti prima, allontanandosi senza neanche un ciao.
Si chiese da dove spuntasse fuori, dopo tutti quegli anni, e
perché. Si chiese come mai fosse venuto proprio da lei a
darle quello strano avvertimento.
Si chiese tante, troppe cose, e non trovò nessuna risposta.
Ci pensò a lungo, anche mentre apriva la porta di casa e ci
entrava, volando verso il telefono per controllare la segreteria.
Come se Matt le avesse lasciato un messaggio.
Scosse la testa, scalciando via gli anfibi, ed
entrò in salotto. Quel tipo era incomprensibile persino per
lei, la più strana di tutti.
Amy spalancò gli occhi. Aveva visto un'ombra dietro il
divano.
Uscì di corsa dalla stanza, e per poco non
inciampò nel tappeto del corridoio. Respirò a
fondo. Sicuramente se l'era immaginato.
Rientrò cautamente in salotto, guardandosi bene intorno. Si
avvicinò lentamente al divano e guardò.
Due occhi rossi come il sangue la fissavano.
Amy urlò, un urlo agghiacciante, e chiuse istintivamente gli
occhi, mentre cercava di correre via. Inciampò di nuovo e
cadde. Sentì un rumore di vetri infranti e un forte dolore
al braccio, poi qualcosa di caldo e appiccicoso. Sangue.
Riaprì gli occhi, cercando di sfuggire, ma quando
guardò verso il divano si accorse che non c'era nessuno.
Salì le scale, tenendosi forte il braccio sanguinante. Si
era solo tagliata con un pezzo di vetro, nulla di grave, per fortuna,
ma era meglio medicarlo in ogni caso.
E nascondere l'ex statuetta di cristallo prima che sua madre si
accorgesse del disastro.
Entrò in bagno ed aprì l'armadietto delle
medicine. Era così turbata che le tremavano le mani mentre
cercava il disinfettante e qualche benda. Non era possibile che fossero
tutte allucinazioni. Non poteva crederci.
Forse sto diventando pazza, pensò, svitando il tappo del
disinfettante e preparandosi al dolore.
Tamponò la ferita con un asciugamano, e poi ci diede sotto
con il disinfettante.
Cercò di trattenersi dall'urlare per qualche secondo. Poi
prese le bende e iniziò a legarle sul taglio, riflettendo.
Quelle visioni le stavano condizionando la vita.
Perché erano solo visioni.
Tentò di convincersi che fosse tutta questione di
allucinazioni, e che non c'era niente di reale. Ma aveva bisogno di
risposte. Di certo non poteva chiederle alla madre.
Ma a chi?
Amy si guardò allo specchio, mentre stringeva l'ultimo lembo
di benda. Aveva i capelli arruffati, gli occhi rossi, un'espressione
distrutta. E con suo immenso disappunto, dalla chioma corvina spuntava
un orecchio appuntito.
E poi ebbe un'illuminazione.
Suo padre.
"Devo trovarlo," si disse. "Ovunque lui sia. E' strano quanto me. Forse
saprà darmi qualche spiegazione".
Si sentì improvvisamente stanca, anche se erano solo le sei
del pomeriggio. Decise di riposarsi un po' sul suo letto.
Scese le scale, raccolse i cocci della statua di cristallo e li
buttò nella spazzatura, poi pulì quel poco sangue
che era colato sul pavimento ed andò in camera. Si stese sul
letto, esausta.
Accese lo stereo. Le note familiari di Apology, degli
Alesana, si diffusero nell'aria. Amy, infastidita, abbassò
il volume finché la musica non divenne un piacevole brusio
di sottofondo. Chiuse gli occhi.
Prima di abbandonarsi all'oblio, si ricordò le parole di
Matt per l'ennesima volta.
Non cedere all'istinto o
perderai il gioco.
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