Buonasera
a tutti!
Suppongo
sia inutile dire che mi sento un mostro per averci messo
così tanto
ad aggiornare questa storia – quando ho avvertito che gli
aggiornamenti sarebbero stati irregolari, per la verità,
nemmeno io
pensavo niente del genere! - ma purtroppo, lo giuro, questo
è il
massimo che sono riuscita a fare: ho avuto degli orari
all'Università
semplicemente impossibili, da assommare ai continui disagi causati
dai mezzi di trasporto e, come se non bastasse, ogni singola sera che
non mi ritrovavo a letto già alle dieci c'era qualcuno che
insisteva
per uscire. Paradossalmente il capitolo era pronto già da un
po' di
tempo, ma copiarlo al computer mi ha portato via quasi altrettanto
tempo che scriverlo.
Ciò
detto, mi decido finalmente a pubblicare stasera, sperando che questo
nuovo capitolo possa valere almeno un minimo dell'attesa che ha
comportato.
Ci
tengo anche a fare i miei ringraziamenti a crystal_93, Persej Combe e
Stag Tree per le loro deliziose recensioni al precedente capitolo: so
di essere ripetitiva, ma mi hanno fatto davvero piacere!
Un
bacio enorme a tutti e vi auguro buona lettura.
Al
prossimo capitolo! (Che spero di poter pubblicare in tempi un po'
più
decenti, con la fine delle lezioni)
Afaneia
Capitolo
II
– Promesse da marinaio.
Se
c'è una
lezione che gli ha insegnato la sua recente esperienza di vedere un
colossale leggendario di quasi quattro metri alzarsi e andarsene a
spasso con disinvoltura in mezzo al mare, è che conviene
avere un
piano B in qualunque situazione. Che poi questo piano B sia spedire
una bambina di dieci anni negli abissi di una grotta segreta con
nient'altro che una tutina per ripararsi dal calore non importa:
l'importante è che un piano B ci sia. Sempre.
Quindi
Max, che
in quanto uomo di scienza ha imparato dai suoi errori, si è
presentato a questo appuntamento con almeno una decina di piani
diversi da attuare in base a tutte le possibili situazioni che
potessero verificarsi e ogni eventuale piega che potesse assumere la
conversazione. Il problema, come ha scoperto stasera nel giro di
pochi minuti, è che il comportamento dei bambini non rientra
esattamente in quella categoria di eventi di cui si può
prevedere in
anticipo lo svolgimento.
Hyra
starà con
loro per tutto il finesettimana, dopo che Ivan è andato a
prenderla
direttamente a Ciclamipoli, all'uscita da scuola. Nei giorni scorsi,
Ivan gli ha spiegato che si è sempre occupato di lei per la
maggior
parte dei week end dell'anno e circa la metà delle varie
vacanze
scolastiche, ma in modo piuttosto flessibile, senza regole precise:
in effetti, lui e Aima sembrano un perfetto esempio di
civiltà
genitoriale (Max se ne è sorpreso, in un certo senso, ma
dopotutto,
a ben pensarci, ha il sospetto che se qualcuno proibisse a Ivan di
vedere sua figlia, finirebbe col passare un quarto d'ora non
precisamente edificante). Questo regime si è interrotto per
qualche
mese nel periodo in cui le attività dei loro Team si sono
intensificate, ma ora, a quanto pare, Ivan non ha più alcuna
intenzione di perdersi i suoi momenti con sua figlia.
A
questo
proposito, Ivan ha tassativamente insistito perché lui
rimanesse in
casa per tutto il week-end. Egli gli aveva proposto di trovarsi
un'altra sistemazione per i finesettimana in cui Hyra si
fermerà da
loro, o almeno per i primi tempi, per non confonderla troppo
(«...dopotutto io e te non siamo sposati. Potrai
resistere per un
paio di notti da solo senza dovermi denunciare per abbandono del
tetto coniugale»), ma Ivan si
è mostrato decisamente
contrario(«Smettila, Max. Hyra capisce molte
più cose di quelle
che credi, non si sconvolgerà perché dormiamo
insieme. È una
bambina intelligente, sai?»), e Max, alla fine,
è rimasto.
Ivan
ha voluto
fare le presentazioni tra di loro non appena entrato in casa, e per
Max, che lo conosce più del suo proprio respiro, non
è stato
difficile intuire il perché: emozionato e orgoglioso
così, lui
quest'uomo non l'aveva visto mai.
Quanto
alla
bambina, per la verità, all'inizio gli è stato un
po' difficile
giudicare. Dopo aver nascosto per almeno un paio di minuti la faccia
contro il ginocchio di suo padre, forse sperando che in quel modo
egli non potesse vederla, alla fine tutte le affettuose insistenze di
Ivan hanno portato i loro frutti: finalmente Hyra si è
decisa a
guardarlo e, con grande solennità, gli ha teso la mano.
Allora Max
ha visto uno scricciolino di forse trenta chili, con lunghissimi
capelli neri, sopracciglia scure e molto folte, che quasi si
congiungono alla radice del naso, la carnagione olivastra e vellutata
di qualche paese esotico, e gli stessi occhi di Ivan. Da questo
dettaglio, chissà perché, Max si è
sentito molto colpito, senza
che ce ne fosse un vero motivo. Ma perché, poi? È
la figlia di
Ivan. È poi tanto strano che una bambina abbia gli occhi di
suo
padre?
Ma
la
somiglianza con Ivan non si limita a questo. Vinti i primi iniziali
minuti d'imbarazzo, dopo che Ivan le ha spiegato con calma che lui
era il ragazzo di papà e che da allora
in poi sarebbe rimasto
sempre con lui, Hyra si è limitata a far cenno di
sì un paio di
volte col capo, per dar segno di aver capito, ha aspettato un po' e
infine si è decisa a domandare a suo padre quello che,
evidentemente, non vedeva l'ora di chiedergli sin dal suo arrivo:
«Papà, ora posso andare a giocare in giardino con
Mightyena, però?
Non lo vedo da così tanto tempo!»
Dopodiché,
completamente dimentica della loro presenza, Hyra ha afferrato la
Pokéball che Ivan le porgeva e si è defilata
strillando,
immensamente felice di poter finalmente incontrare di nuovo il suo
amico Pokémon.
In
effetti, di
tutti i piani B che aveva elaborato nella propria mente, Max si rende
conto soltanto ora di non averne approntato nessuno per
l'eventualità
che alla figlia del suo compagno non importasse semplicemente nulla
della sua presenza.
«Beh,
è
andata bene, no?» constata Ivan allegramente, appogiandosi
allo
schienale del divano con aria immensamente compiaciuta, non appena i
latrati giocosi di Mightyena e le risate sguaiate di Hyra provenienti
dalla finestra aperta lo informano che no, non c'è alcun
pericolo
che sua figlia li senta.
Max
è
abbastanza sicuro di avere un'espressione assolutamente idiota in
viso da almeno qualche minuto. È inutile dire che la
reazione di
Hyra gli è giunta alquanto... inaspettata. Per la
precisione, si
sente stupido esattamente come quella volta che Groudon si è
risvegliato e se n'è andato allegramente a spasso per
l'oceano in
barba a ogni sua possibile previsione... solo che stavolta a
confonderlo così tanto è una bambina.
«Tu
dici?»
chiede con sincera perplessità.
«Sicuro
che lo
dico.» Certo, è inutile parlare con lui. Ivan
è felice come un
bambino che abbia appena ricevuto un regalo desiderato da troppo
tempo. «Anzi, sai che ti dico? Dopo cena potresti presentarle
i tuoi
Pokémon, che ne pensi? Sono certo che Hyra li
adorerebbe.»
«Sì,
certo.
Senti, Ivan, non so se ci hai fatto caso, ma non mi è parso
che le
importasse molto.»
«Beh,
certo
che no!» risponde Ivan, scoppiando a ridere della sua risata
roboante. Avvicinandosi a lui gli tira quella che dovrebbe essere,
almeno nelle sue intenzioni, un'amorevole pacca sulla spalla, che per
poco non gli provoca una lussazione. «Max, Hyra è
una bambina
intelligentissima, ma è una bambina. Ha bisogno di abituarsi
a
vederti qui ogni week end, prima di capire veramente che sei il mio
ragazzo. Che ti aspettavi?»
Già,
che si
aspettava? A questa domanda Max non si sente in grado di produrre una
risposta così, su due piedi, ragion per cui evita cautamente
di
rispondere. La verità è che forse non si
aspettava niente, e che
anche lui stesso, a sua volta, ha veramente realizzato per la prima
volta l'esistenza di Hyra solo nel momento in cui essa ha assunto una
forma precisa, davanti a lui, e nel suo viso egli ha riconosciuto gli
occhi di Ivan. Comunque, questo pensiero suona troppo stupido da
pronunciare ad alta voce, perciò Max si limita ad
appoggiarsi per un
solo attimo, familiarmente, al petto di Ivan.
«Immagino
che
tu abbia ragione» ammette malvolentieri (e lo ammette solo
perché i
bambini sono uno dei rarissimi campi in cui Ivan possa vantare una
maggiore conoscenza, tanto teorica quanto pratica, della sua, insieme
alle barche e poco altro).
Per
tutta
risposta, Ivan scoppia di nuovo a ridere. «Aye, sicuro che ho
ragione, Maxie. Fidati, conosco mia figlia.»
Ovviamente
questo Max non lo riconoscerà mai, forse neppure di fronte a
se
stesso, ma in fin dei conti è rassicurante sentire nel petto
di Ivan
tutta questa certezza.
Max
ha la
certezza che sta per accadere qualcosa di sgradevole quando, per la
prima volta non solo dall'inizio della loro convivenza, che non ha di
certo una durata degna d'esser presa in considerazione, ma
addirittura dalla prima volta che sono andati a letto insieme, Ivan
(già perfettamente vestito nonostante sia sabato mattina) lo
sveglia
passandogli due dita sulla guancia; e non perché Ivan,
abitualmente,
dorma sino a chissà quale ora tarda, o perché non
lo abbia mai
svegliato prima d'ora; ma perché vederlo alzato prima del
tempo ha
sempre voluto dire, solitamente, vederlo sgusciare via dal suo letto
prima dell'alba, il che andava bene, al tempo della loro inimicizia,
oppure sesso mattutino, il che è sempre andato bene in
qualunque
circostanza. Ma stamattina Max è abbastanza certo che non
possa
verificarsi nessuna delle due cose, ragion per cui, con la
consapevolezza dell'infarto che sta sicuramente per arrivargli, egli
balza a sedere sul letto e domanda: «Che vuoi?»
«Ehi.
Guarda
che stavo cercando di svegliarti dolcemente» ribatte Ivan,
che non
sembra essersela presa particolarmente, comunque, dato che conclude
la frase, allontanandosi dal letto, con un disinvolto «O una
roba
del genere, insomma.»
«Preferisco
il
vecchio metodo, grazie» ribatte Max, senza specificare quale
vecchio metodo, prima di guardare l'orologio. Sono le sette e
quarantacinque. «Che diamine ci fai alzato così
presto?»
Chinandosi
ad
allacciare le scarpe con l'aria di uno che stia spudoratamente
evitando di guardarlo, Ivan risponde con tutta la simulata noncuranza
di cui è capace (cioè pochissima):
«Lavoro.»
No,
no, no, no.
Questo assolutamente non era nei patti.
«Che cosa?»
«Oh,
andiamo,
Max... solo un paio d'ore» garantisce Ivan, nel tono
più serio che
riesce a produrre; ma per quanto egli si sforzi, la sua voce continua
a vibrare incontrollabilmente di divertimento, ed egli continua a
evitare di guardarlo direttamente. «Alan mi ha chiesto di
dargli una
mano con un paio di scartoffie che ci siamo dimenticati di compilare.
Lo sai com'è con la burocrazia.»
In
una
situazione normale, Max pondererebbe con la massima cura ciò
che sta
per dire in questo momento, per evitare di suonare come una ragazzina
isterica in preda al panico.
Il
problema è
che Max è in preda al panico.
«Non
puoi
lasciarmi solo in casa con tua figlia!»
«E
perché?
Sono assolutamente certo che non mangi carne umana.»
Forse
lei
no, ma io mangerò la tua se continui a divertirti alle mie
spalle.
«Non
la conosco neppure, Ivan!
Che cosa pensi che dovrei dirle?»
«Max,
non è
che ci sia tanto da conoscere. Ha sette anni. Non ha ancora deciso
neppure se il suo colore preferito è il giallo oppure il
rosso!»
Finalmente,
Ivan si decide a voltarsi e a guardarlo negli occhi. Ma se Max ha
coltivato finora la speranza di vederlo dispiaciuto, o come minimo
serio, per una volta nella sua vita, a questo punto non può
fare
nient'altro che rimproverarsi da solo della sua ingenuità.
Questo
bastardo si sta divertendo come mai prima d'ora. «A
proposito, è
abituata a svegliarsi da sola, ma se per le nove non si fosse ancora
alzata dovresti andare a darle un'occhiatina. Per colazione prende
del latte col cacao e i biscotti al cioccolato che abbiamo comprato
ieri. Le piace tanto quel cartone animato con una bambina che vive
con un Ursaring, e ha il permesso di guardarlo dopo le undici se
prima ha fatto i compiti. A proposito, come te la cavi con le
divisioni a due cifre?»
«Credevo
che
avessi detto che starai fuori solo due ore» obietta Max, che
non ha
alcuna intenzione di farsi distrarre dal problema principale.
È
evidente che
Ivan si sente colto in fallo.
«Aye,
certo,
certo, Maxie! Te lo dicevo così, per dire. E poi, se sei in
dubbio,
puoi sempre chiamarmi. Lascio il telefono acceso, okay?»
A
questo punto
della conversazione, Ivan è ormai perfettamente vestito e
pronto per
uscire. Sta cercando di svincolarsi dalla conversazione per potersene
finalmente andare abbandonandolo al suo destino, e Max sa di non aver
più molto tempo a disposizione per fare la sua ultima mossa.
«Ivan»
riprende con voce bassa e distinta, molto lentamente, e scandisce le
parole con la massima serietà. «Io ti
ucciderò se varcherai quella
soglia.»
Per
tutta
risposta, Ivan si protende sul letto e lo bacia sonoramente sulla
bocca. Max rimane così stupefatto che per un po',
effettivamente,
non gli viene in mente nessuna osservazione valida con cui
controbattere.
Al
contrario,
Ivan è perfettamente padrone di sé. Tornando a
tirarsi su per
allontanarsi dal letto, con l'aria compiaciuta e gongolante di
qualcuno che abbia appena trovato un'argomentazione semplicemente
inattaccabile e non si aspetti repliche, recupera la sua giacca e lo
guarda soddisfatto. Max rimane stupidamente immobile.
«Oh,
Max, ti
ricordi? Avevamo vent'anni la prima volta che hai minacciato di
uccidermi. Quanta passione che c'era, eh?»
Dopodiché,
senza attendere risposta, Ivan esce tranquillamente dalla camera,
canticchiando allegramente a bassa voce qualcosa a proposito di un
ragazzo su di un Lapras.
Come
Ivan aveva
predetto, Hyra fa la sua apparizione in cucina attorno alle otto e
venticinque, con addosso un delizioso pigiamino con su disegnato uno
Skitty e gli occhi ancora piccoli di sonno che girano pigramente
sulla stanza.
Più
la guarda,
e più Max non riesce a non pensare a quanto dannatamente
questa
bambina somigli a Ivan.
«Buongiorno,
piccoletta.»
Collo
sguardo
ancora assonnato e l'aria assente di qualcuno che non sia del tutto
convinto di essere sveglio, Hyra lo guarda per un po' e poi risponde
cautamente: «Ciao. Papà non
c'è?»
Quello
stronzo ci ha abbandonati a noi stessi. Reprimendo
a fatica l'impulso omicida che lo sta animando in questo momento, Max
si sforza di suonare rilassato e rassicurante quando risponde:
«È
dovuto andare a sistemare un paio di cose al lavoro, ma
tornerà
sicuramente per pranzo.» Altrimenti
farà meglio a non
tornare affatto,
ma quest'ultimo
pensiero, incidentalmente, rimane non detto.
«Okay»
risponde Hyra a bassa voce, ancora un po' perplessa, ed esita sulla
porta.
«Ti
ho
preparato la colazione» annuncia Max un po' troppo
precipitosamente,
per evitare che i primi minuti della loro vera conoscenza sprofondino
in una sorta di silenzio imbarazzato. È lui l'adulto della
situazione, dopotutto. Attirarla in cucina col cibo come una preda,
almeno sulla carta, sembra una buona idea. «Ti vuoi
sedere?»
«Grazie»
borbotta Hyra con aria un po' impacciata, e forse un tantino
più
sveglia rispetto a pochi minuti fa, prima di decidersi a inerpicarsi
una buona volta sulla sedia.
Nonostante
gli
sforzi di Max, ma forse a causa della sua pressoché
inesistente
disinvoltura coi bambini, i primi minuti della sua colazione
trascorrono avvolti da una cappa di mortale silenzio. Per ingannare
l'attesa, ed evitare di farla sentire troppo osservata, Max si sforza
d'inventarsi qualcosa da fare o da pulire o da riordinare attorno al
piano cottura, in silenzio, e aspetta.
Dopo
un po',
Hyra sembra finalmente essersi acclimatata alla sua presenza
abbastanza da domandare con voce squillante: «Dove hai detto
che è
andato papà?»
Tutto
sommato,
non è un brutto modo per iniziare una conversazione. Max si
volta
con calma verso di lei, per non dare l'impressione di non aver atteso
altro che qualche sua parola. «Al lavoro, piccoletta. Il suo
amico
Alan aveva bisogno di una mano.»
«Oh»
commenta Hyra, pescando un biscotto dal pacchetto e valutandone con
occhio attento la quantità di gocce di cioccolato.
«Anche tu lavori
con lui?»
«Beh,
no.
Io... lavoro in casa, per il momento.»
Hyra
non perde
un colpo. «Anche mia zia lavora in casa, sai? Lo zio lavora
in un
negozio e lei sta a casa e cucina e lava i vestiti e fa la spesa e fa
un sacco di altre cose. Anche tu?»
La
brusca presa
di coscienza che sì, è esattamente questo che sta
facendo nella sua
vita – la casalinga che se ne sta a casa a lavare i panni
mentre il
suo uomo lavora – lo coglie alla sprovvista a tal punto da
lasciarlo senza fiato. Fortunatamente, Max riesce a riprendersi
abbastanza in fretta da rispondere: «Non
esattamente.»
«Oh...
e
quindi che cosa fai?»
Come
si fa a
spiegare a una bambina di sette anni in cosa consista – o
consistesse – la sua principle occupazione? Nonostante non
sia
esattamente sicuro di aver trovato una metafora adatta, Max decide
comunque di fare un cauto tentativo. «Ecco, hai presente i
cattivi
dei videogiochi?»
«Quelli
che
buttano per terra gli ingredienti delle torte?» chiede Hyra
aggrottando la fronte.
Ma
con che
razza di videogiochi giocano i bambini di oggi?
«Volevo
dire
che sono uno scienziato» conclude in fretta Max, vedendosi
costretto
a una brusca inversione di tendenza, e questo lascia lui un po'
più
imbarazzato e Hyra un po' più confusa di prima.
Certo,
non che si tratti di una confusione tale che non si possa affogarla
in una sorso di latte e in qualche nuovo biscotto, a quanto pare.
Approfittando di questa pausa nella loro farraginosa conversazione,
Max torna ad alzarsi e ad affaccendarsi attorno al niente
della loro cucina, domandandosi con una certa parte della sua mente
se quella bambina sia in grado di smettere da sola di mangiare o se
continuerà per un indefinibile numero di biscotti. Nel
dubbio,
tuttavia, ritiene più saggio non pronunciarsi al riguardo.
Per
buona
fortuna, Hyra trova assai presto un nuovo problema su cui soffermarsi
mentre mangia.
«Comunque
la
mamma aveva detto che papà doveva aiutarmi a fare i
compiti»
borbotta a un tratto, rivolgendo al biscotto al cioccolato che tiene
in mano uno sguardo molto, molto contrariato, prima di inzupparlo
meticolosamente per tre quarti nel latte.
«Posso
aiutarti io, sai» risponde Max, cercando di mostrarsi il
più
gentile e, per quanto ne è in grado, entusiastico possibile.
Non
gli sembra un buon modo di instaurare un rapporto con la figlia del
suo ragazzo, quello di mostrarsi alquanto restio nei suoi confronti.
«Me la cavo bene. Hai molti compiti da fare?»
Tutto
quello
che è stato detto pochissimi minuti fa sull'essere uno
scenziato
dev'esserle entrato da un orecchio per poi uscire dall'altro. Hyra
gli rivolge uno sguardo scettico, che non deve lasciargli alcun
dubbio su quanto poco sia convinta delle sue capacità.
«La
maestra ci
ha dato delle divisioni difficili» spiega in tono di grande
importanza, come a volergli tacitamente suggerire, senza tuttavia
dirglielo direttamente, che un comune mortale come lui non
può di
certo ambire a simili vette di erudizione. «A due
cifre.»
«Già,
posso
immaginarmelo. Ma sono certo di poterti aiutare, se mi fai vedere il
quaderno.»
Dopo
un lungo
momento d'incertezza, Hyra beve lentamente un sorso di latte, si
asciuga la bocca col dorso della mano, e infine borbotta
pensierosamente, senza guardarlo dritto negli occhi: «Non
potrei
aspettare papà, così mi aiuta lui?»
Ed
è in questo
preciso momento che Max si rende conto di non aver mai
veramente avuto l'intenzione di aiutarla a fare i compiti... fino a
ora. In fin dei conti, Hyra non è sua figlia, e Max,
francamente,
aveva in mente modi d'instaurare un rapporto con lei assai migliori
che obbligarla a fare i compiti (beh, in ogni caso
è certo
che qualcosa gli sarebbe venuto in mente), per non parlare del fatto
che Ivan gli ha letteralmente scaricato addosso la patata bollente
–
ma questa è un'altra storia. Perciò, nei suoi
piani, tutto il suo
dovere in questo senso consisteva nel cercare delicatamente di
convincerla, nel prendere atto del fallimento di ogni sua strategia,
e nel permetterle infine di guardare i cartoni fino al ritorno di
Ivan. Il quale avrebbe poi dovuto vedersela da pari a pari con le
divisioni a due cifre o con qualunque genere di esercizio assegnino
alle elementari.
Il
problema è
che Hyra ha appena commesso l' ingenuo errore di sfidarlo.
Quando
Ivan
torna a casa, la bellezza di due ore dopo – e Max non manca
di
appuntarsi mentalmente anche questo ritardo nella lista delle cose
che deve far scontare col sangue al suo uomo – tutti i
compiti sono
miracolosamente stati fatti e Hyra, che si sta godendo un meritato
riposo davanti alla televisione e al suo cartone animato con
l'Ursaring e la bambina bionda, si precipita ad accoglierlo
strillando per farsi prendere in braccio. Al contrario, Max deve
trattenersi quasi fisicamente per impedire a se stesso di andare ad
accoglierlo sulla porta con l'intento di ucciderlo, e restare invece
lì davanti al tavolo, sminuzzando qualcosa con un coltello
che,
francamente, preferirebbe tanto piantare da qualche altra parte. Ma
non vuole sconvolgere Hyra subito dopo i compiti, per oggi.
Quando
Ivan
entra finalmente in cucina, presumibilmente dopo aver scaricato di
nuovo la bambina davanti alla televisione, con l'aria compiaciuta e
rilassata di qualcuno che decisamente non abbia
trascorso
l'intera mattinata a ripetere le tabelline (e anche a scrivere uno
stupido racconto su uno Skitty che dorme in cucina, e che egli le ha
proposto sarcasticamente di intitolare Una storia al
cardiopalma,
prima di ricordarsi che Hyra è un po' troppo piccola per
comprendere
al volo il sarcasmo), non c'è neppure bisogno di fare grandi
scenate
per mettere le cose in chiaro. Max si limita a brandire il coltello,
con tutta la calma di questo mondo, e ad affermare serenamente:
«Dovrei ucciderti, lo sai?»
«Oh,
andiamo... dillo che ti sei divertito» ribatte Ivan,
scrutandolo con
l'aria fintamente sorpresa che ha sempre quando sa di
aver
fatto qualcosa che non avrebbe dovuto, e ne sia ugualmente troppo
compiaciuto per riuscire ad ammetterlo. Max lo sta odiando. Tanto
–
e del suo odio Ivan sembra consapevole, dato che compie un movimento
istintivo per avvicinarsi a lui, come fa sempre quando torna a casa,
ma poi inspiegabilmente sembra considerare
un'opzione molto
più valida quella di rimanere a una prudente distanza da lui
e dal
suo coltello. «Hyra si è trovata bene con te.
Quando l'ho presa in
braccio mi ha detto nell'orecchio che sei molto bravo con le
divisioni.»
«Era
ovvio che
l'avrebbe detto» risponde Max senza scomporsi, né
tantomeno
concedere al suo nemico d'intenerirlo con questi mezzi meschini.
«Dopotutto, suppongo che il suo metro di paragone fossi tu.
Non era
poi una grossa sfida.»
Ma
forse
qualcosa nel suo contegno dev'essersi ammorbidito comunque, senza che
egli se ne accorgesse né tantomeno ne avesse l'intenzione,
perché
Ivan si decide infine ad avvicinarsi, rinunciando al confortante
riparo del tavolo frapposto come un ostacolo tra di loro, e lo
circonda da dietro con le braccia per dargli un morso –
giocoso ma
neppure tanto – sul collo. Max si ritrova costretto a posare
il
coltello per un attimo per evitare di deconcentrarsi troppo, mentre
Ivan appoggia il mento sulla sua spalla e rimane lì per un
po'.
«Che
cosa ne
pensi, Max?»
In
fin dei
conti lo sapeva che questo momento sarebbe arrivato. Come se fosse
una domanda facile poi, questa. Che altro si può dire che
non siano
banalità? Che è una bambina intelligente, certo,
e poi? Che è
simpatica, è dolce, d'accordo, e poi? Ma come si fa a
parlare di una
bambina?
Alla
ricerca di
qualcosa che possa suonare un tantino meno banale del resto, Max ci
pensa un po' e poi risponde: «Ti somiglia un sacco,
sai?»
Colla
faccia
affondata nella curva del suo collo, e la schiena che combacia con la
sua schiena, Ivan ride sommessamente. «Aye, lo dicono tutti.
Gli
occhi li ha presi da me, eh?»
«Non
è solo
questo.» O meglio sì, ma quella strana somiglianza
dei suoi occhi,
per quanto sia la cosa più palese di quella bambina, Max non
è
ancora riuscito a inquadrarla perfettamente. «È
anche un tipetto...
vivace.» Sembra sicuramente un modo gentile di dire che
quella
bambina è sufficiente da sola a far casino per una classe
intera.
Ma
per quanto a
lungo egli possa parlar d'altro, girare intorno alla questione e
fingere di credere che sia questo che Ivan vuole
sentirsi dire
da lui, Max lo sa che qui non si sta parlando degli occhi di Hyra o
della sua voce o della sua vivacità. Ivan gli sta chiedendo
che cosa
ne pensa lui.
«Beh,
mi
piace. Dobbiamo conoscerci meglio, ma... sì. Penso che
andremo
d'accordo, io e lei. Anche se io non sarò mai molto portato
per i
bambini.»
Per
tutta
risposta, Ivan lo stritola –
letteralmente! - stringendolo a
tal punto che Max non riesce davvero più a respirare per
qualche
istante, e lo morde di nuovo, questa volta decisamente forte,
peraltro – e basta, non ha bisogno di dire nulla. Max lo sa,
lo
sente che gli è grato, e in parte è anche questo
a togliergli il
respiro, perché vorrebbe che Ivan non lo fosse. Ma sa anche
che
parole per dire tutto questo non esistono, perciò tanto vale
spezzare in altro modo la tensione.
«Ehi,
Ivan...
senti.»
«Mh?»
«Non
ti sei
inventato di avere da fare al lavoro solo per lasciarmi apposta da
solo con tua figlia, vero?»
«Ehm.
Che si
mangia a pranzo?»
Questa
domenica, eccezionalmente, Ivan deve riportare Hyra a Ciclamipoli
già
nel primo pomeriggio, dato che un compagno di scuola ha organizzato
una festa di compleanno intorno alle quattro.
Ragion
per cui,
subito dopo pranzo, Ivan si è tirato su le maniche, ha
aiutato Hyra
a lavar via dalle mani e dalla faccia i postumi di un week end di
scarabocchi coi pennarelli, ha sorvegliato attentamente l'operazione
di vestizione di un vestitino blu con le balze bianche – fino
a
quel momento nascosto, religiosamente incellophanato, nella piccola
valigia della bambina – e infine, con una serie di sbuffi e
imprecazioni che i suoi occhi esprimevano molto bene anche senza
bisogno di ricorrere alla voce, e una non indifferente serie di
tentativi, le ha pettinato i capelli in due trecce un po' meno
pietose di quanto fosse lecito aspettarsi da lui, e sorprendentemente
simmetriche.
Ma
al termine
di questa lunga e, a quanto pare, estenuante cerimonia, Ivan non
accenna neppure ad andarsi a cambiare, per presentarsi alla festa in
modo un po' meno informale che in jeans e T-shirt bianca. Quando Max
tenta di farglielo cautamente notare, Ivan si limita a stringersi
nelle spalle e a argomentare: «Perché dovrei
cambiarmi? La mamma
del bambino ha preso degli animatori per la festa, perciò
non c'è
bisogno che restiamo a sorvegliare i bambini mentre giocano. E poi le
altre mamme mi fissano sempre» aggiunge in tono di grande
disappunto. «Non voglio mica dargli la soddisfazione di
pensare che
mi sono messo in tiro per loro.»
«Non
credo che
ti guardino per il tuo abbigliamento, Ivan, sai» risponde Max
aggrottando la fronte, ma Ivan non fa in tempo a chiedergli a che
cosa si riferisca. Proprio in quel momento, Hyra si precipita fuori
dalla sua cameretta in un tripudio di balze e di pizzo, portando in
modo un po' instabile un delizioso pacchetto regalo dall'aria molto
colorata, ed esclama: «Papà, andiamo! Siamo in
ritardo.»
Ivan
deve avere
una sorta di curioso presentimento riguardo alla sorte del regalo e
alla vivacità dell'impazienza di Hyra, perché con
grande
discrezione, e senza neppure aver l'aria di essere preoccupato, le
sfila il pacco dalle mani e le sistema le trecce.
«Aye,
in
marcia allora! Ma prima non vuoi salutare Max?»
«Sì,
però
poi andiamo» ci tiene a ribadire Hyra, assumendo un certo
tono
serioso e ammonitore come a dire se
non ci fossi io a pensare a tutto, chissà che cosa
combineresti. Dopodiché,
e senza
che la cosa paia costarle il benché minimo sforzo di
volontà o di
riflessione, né la minima affettazione, Hyra gli si
avvicina, lo
abbraccia familiarmente alla vita e domanda con voce squillante:
«Ciao, Max. Sei qui anche il prossimo week-end?»
C'è
qualcosa
in quell'abbraccio affettuoso e puerile, così dannatamente
privo di
secondi fini, che inspiegabilmente pare soffocarlo, togliergli il
respiro molto più e più bruscamente di quando
Ivan lo ha stritolato
il mattino precedente. Sotto lo sguardo irridente e derisorio e
profondamente compiaciuto di quel maledetto, Max si ritrova a
boccheggiare e a cercare alla rinfusa nella sua mente spiazzata
qualcosa di sensato da risponderle. «Sicuro. Anche la
prossima
settimana, certo.»
Finalmente,
dopo questi due giorni di inferno, Ivan deve essere riuscito a
concepire nella propria mente almeno una briciola di pietà
per la
sua precaria situazione, perché per una volta si decide a
venirgli
in aiuto. «Max da adesso vivrà sempre con
papà, tesoro. Io e la
mamma te l'abbiamo già spiegato. Ti ricordi?»
«Allora
facciamo i compiti insieme anche sabato prossimo» conclude
Hyra
allegramente, come se questa fosse l'unica deduzione logica che le
viene in mente al riguardo. Per il momento, Max ritiene che sia
più
saggio non soffermarsi a chiedersi se sia un bene che, nella sua
mente, quella sia la massima conseguenza notevole del fatto che suo
padre conviva con un uomo. Con ogni probabilità, lo
scoprirà col
tempo. Per il momento, egli le concede di sbilanciarsi tanto da darle
una sorta di rapida carezza, o pacca, o per meglio dire un minuscolo
colpetto sulla spalla, e da accennare a fatica un sorriso.
«Certo,
piccoletta. A venerdì.»
Il
che, per
lei, dev'essere una garanzia sufficiente. Staccandosi allegramente da
lui, Hyra se ne torna saltellando da suo padre con l'espressione
seria e coscienziosa di qualcuno che abbia compiuto debitamente il
proprio dovere, ed esclama: «Papà, andiamo!
È tardi.»
Quando
alza lo
sguardo su Ivan, appoggiato a braccia incrociate contro lo stipite
della porta già aperta, Max si ritrova a pensare di non
averlo mai
visto tanto felice come oggi.
«Grazie»
mormora Ivan quasi senza voce, mentre sospinge delicatamente Hyra
verso l'auto sul vialetto.
Pochi
minuti
dopo, quando la voce eccitata di Hyra e il rombo dell'automobile si
sono spenti in lontananza, e Max si ritrova completamente solo per la
prima volta da quando è iniziato quell'infernale week-end,
si
stupisce un po' di scoprire la casa un tantino più
silenziosa e
forse più solitaria di quanto sia abituato a percepirla, il
che è
strano, per lui che trascorre la maggior parte delle sue giornate da
solo mentre il suo compagno è al lavoro. Ma è
meglio non
soffermarsi a riflettere su questo strano senso angoscioso di vuoto e
solitudine e di estraneità che lo assale. Al momento, Max si
arrangia a cercare per l'ennesima volta qualcosa con cui tenersi
impegnato, nel vano tentativo di reprimere almeno per qualche ora il
desolante pensiero che per quanto egli possa impegnarsi, e lottare, e
riuscire persino a far felice Ivan da qui all'eternità per
ogni
singolo giorno della sua vita, nulla di tutto questo potrà
mai fare
di lui una persona migliore e cancellare tutto quello che ha fatto.
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