Capitolo
2
Decisions decisions
Erano passate 12 ore e Lily sembrava stare meglio. Mangiava regolarmente, prendeva tutte
le sue medicine e riposava, cosa che non faceva da moltissimo tempo.
Mary era sempre lì con lei, e Lily aveva anche fatto la
conoscenza di John e della piccola Rose, la loro bambina di appena sei
mesi. Sembrava quasi fatto apposta, Lily e Rose. John era un medico, e
Lily lo vedeva spesso al telefono a discutere con una persona non
meglio identificata. Mary lo guardava e scrollava le spalle, arresa. Ma
non le aveva mai detto niente a riguardo.
Un giorno era venuto a trovarla anche un certo Gregory Lestrade, un uomo
alto e con i capelli leggermente grigi, dall’aria simpatica
ma stanca. Voleva sapere di più sulla sua
identità e su quello che era accaduto. Ma Lily era muta come
un pesce e si era riuscito solo a capire che non aveva documenti
con sé e a quanto pare era senza fissa dimora.
“Dovrei denunciare il fatto ai servizi sociali, invece di
farla tornare non si sa dove, probabilmente dalla persona che
l’ha ridotta in quello stato” sussurrò
Lestrade a Mary e John fuori dalla stanza di Lily “se non
riusciamo a capire chi è e da dove viene,
l’istituto è l’unica
soluzione”.
“Non pensarci neanche Greg!” aveva esclamato Mary
“non posso accettare una cosa del genere, è una
ragazza spaventata e non sa dove andare ed essere rinchiusa in un
istituto potrebbe solo peggiorare la situazione! La prenderemo in
custodia noi, finchè le cose non saranno
migliorate”.
“E cosa vorresti fare, si può sapere?”
aveva esclamato John incuriosito “ospitarla da noi, in quel
buco di appartamento che abbiamo e con una bambina piccola?”
aveva incrociato le braccia e inarcato le sopracciglia a mò
di domanda.
Mary aveva pensato per qualche secondo. All’improvviso il suo
viso si era illuminato e sorridendo aveva detto a John: “Io
un’idea ce l’avrei”.
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“Assolutamente
no! Io sto bene da solo, non ho bisogno di
compagnia!”
John doveva ringraziare Mary per avergli scaricato questa bellissima
patata bollente. “Tu
lo conosci e lo sai prendere, vedrai che un po’ di impegno
riuscirai a convincerlo”
Sì certo, come no.
Sherlock Holmes era seduto sulla sua poltrona, le braccia incrociate
sul petto, come un bambino capriccioso. I suoi occhi grigi guardavano
John increduli e offesi, come se fosse stato oltraggiato.
“Io non sono il tipo che desidera compagnia” aveva
osservato John che aveva corrugato la fronte, con espressione confusa
“tranne la tua, certamente”. Le sue mani si erano
alzate come per scacciare un pensiero fastidioso “non so
neanche come vi sia potuto venire in mente, a voi due!”
John si aspettava una reazione del genere. Sherlock era il tipico
misantropo chiuso in sé stesso, ma alla fine non era cattivo.
“Si tratta di ospitarla finchè non
troverà una sistemazione sua, un posto nella
società, non sappiamo molto di lei ma ti posso assicurare
che non è un’assassina, né tantomeno
una ladra o qualsiasi altra cosa del genere. Non so neanche io
perché Mary si sia incaponita su questa faccenda, ma sai che
quando si mette in testa una cosa è impossibile convincerla
del contrario. Ti prego, solo per un po’ di tempo. La mia
stanza al piano di sopra è vuota e tu comunque a casa non ci
sei quasi mai, che fastidio può darti?”
Sherlock girava per la stanza, nervoso e indispettito, con i suoi
riccioli neri disordinati, come se fossero nervosi anche loro. Ci
mancava questa cosa tra capo e collo, e sapeva che non poteva rifiutare
un favore a John, ma che diamine! Ospitare una sconosciuta a casa sua,
senza sapere chi fosse e da dove venisse. E se veramente fosse stata
una ladra, una spostata? Lui già sopportava a malapena la
gente e il contatto umano. Come potevano chiedergli una cosa del genere?
“Sherlock,” aveva sussurrato John richiamando la
sua attenzione, dopo aver seguito il suo moto nervoso attraverso la
stanza per cinque minuti “potrebbe aiutarti con la casa,
prepararti da mangiare” aveva azzardato, sperando di non
finire all’inferno per quella considerazione vagamente
sessista.
“Io non mangio mai” aveva risposto Sherlock secco
“e non mi serve una balia”. Aveva girato
le spalle a John.
“Te lo chiedo da amico. Ti giuro che andrà bene, e
se qualcosa dovesse andare storto ti prometto che si troverà
subito un'alternativa. Per favore, è una ragazza che ne ha
passate un bel po’ a quanto pare, merita una
possibilità, un qualcosa di normale”. John aveva
alzato gli occhi al cielo, pensando che una convivenza con Sherlock
poteva essere tutto tranne che tranquilla.
Sherlock aveva chiuso gli occhi, le labbra stretta in una linea sottile
e con un sospiro plateale, si era girato verso John e con molta calma
aveva detto: “ E
va bene. Ma non deve toccare i miei esperimenti,
né ficcare il naso tra le mie cose. Questi sono compromessi
tassativi”.
John aveva sorriso, sollevato: “Grazie Sherlock. Vedrai che
andrà bene”.
“Sì, sì certo. Ora vattene, ho da fare
delle cose molto importanti e non voglio essere disturbato”.
John aveva alzato gli occhi al cielo, esasperato e divertito:
“Va bene me ne vado. Buona giornata e
buon…qualunque cosa tu debba fare”. Soffocando una
risata era uscito dall’appartamento.
Sherlock aveva sbuffato, e tirato un piccolo calcio alla poltrona
vicino al caminetto.
Uscito dal portone del 221b di Baker Street John aveva preso il
cellulare in mano e digitato un messaggio per Mary.
Ha accettato, con ben
poco entusiasmo. Spero vivamente che la tua idea abbia successo,
altrimenti me la farà pagare per il resto dei miei giorni. E
non sarà affatto divertente.
La risposta di Mary era arrivata pochi minuti dopo.
Andrà tutto
bene, vedrai. Ho un buon presentimento. Ci vediamo a casa, mentre torni
prenderesti il latte?
John si era incamminato verso la metropolitana. Questa cosa del latte
lo perseguitava, non importa dove andasse a vivere.
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Lily era seduta sul divano di casa Watson, rigida e tesa come una corda
di violino. Sul tavolino davanti a sé era poggiata una tazza
di the fumante e un piatto di biscotti, ma non aveva il coraggio di
toccarli. Aveva paura di creare qualche disastro, di far cadere qualcosa
e di rovinare il bel tavolino laccato. Da quanto non vedeva una vera
casa, un vero salotto con le tende alle finestre, quadri e foto ai
muri. Da quanto non sentiva odore di pulito, di casa, di fiori freschi.
La cosa che più la agitava era la bambina seduta sul tappeto
davanti alla TV, che nonostante i giochi e le costruzioni che la
circondavano, la guardava fissa, senza distogliere lo sguardo da lei.
Indagando e probabilmente chiedendosi chi fosse la sconosciuta che era
seduta sul divano come una statua di sale. Mary era in cucina a
sbrigare non sapeva cosa ma sarebbe arrivata a momenti, e sarebbe
arrivato anche John per parlare della sua “nuova
sistemazione”, di cui lei naturalmente non sapeva nulla.
Non ci avrebbe messo niente a scappare, ad alzarsi dal divano e con
passo felpato raggiungere la porta per chiuderla lentamente dietro di
sé. Ma qualcosa la fermava, la ancorava a quel divano. Forse
era paura, forse istinto di sopravvivenza, forse gratitudine per quelle
due persone che si erano fidate di lei a prescindere, facendola dormire
sul loro divano, nella loro casa. Accogliendola come una conoscente, un
ospite, un’amica. Lily non capiva come questo fosse
possibile, come fosse possibile che ancora ci fosse del buono a questo
mondo. Lei che del mondo aveva visto ben poco e quel poco era stato
devastante, orribile, crudele e doloroso.
La mano le era andata automaticamente al labbro inferiore dove il
taglio ancora le faceva male. Il solo contatto le fece ricordare il
pugno che l’aveva colpita, i lampi di luce che le erano
scaturiti negli occhi e nel cervello facendola barcollare e cadere per
terra. Per quale motivo poi. Per quale motivo erano continuati i calci
sulla schiena, sulla testa e sulle spalle.
Lily aveva stretto gli occhi, cercando di fermare il bruciore dietro le
palpebre. Aveva cominciato a sudare e lo stomaco le si contorceva per
la paura e la vergogna. Sapeva che erano a conoscenza anche della
violenza. Avevano saputo tutto, perché John era un dottore e
in ospedale l’avevano fatta stendere su quel lettino con le
gambe divaricate e avevano frugato dentro di lei, cercando quello che
poi avevano trovato. E aveva sentito vergogna e dolore e nausea.
Lo vedeva negli occhi di Mary, dopo che John l’aveva presa da
parte per dirle quello che lei già sapeva. La mano di Mary
sulla bocca, lo sguardo incredulo e spaurito che si era immediatamente
focalizzato su di lei, pieno di compassione. Lily odiava la
commiserazione, ma sapeva anche che non era voluta, era una reazione
naturale. E aveva fatto finta di non vedere, aveva fatto finta di non
ricordare quello che era successo quella notte e che probabilmente era
successo altre volte, solo che lei non ricordava perché era
troppo intontita dal dolore, dal veleno che le scorreva nelle vene,
dalla disperazione che la portava a fare certe cose, dalla dipendenza
che aveva verso il suo aguzzino, perché lei non voleva
rimanere sola, non voleva morire.
Tutti questi pensieri le si erano riversati nella mente come un fiume
in piena e aveva sentito una lacrima calda rotolarle giù per
la guancia, ma aveva prontamente alzato la mano per asciugarla
perché non doveva piangere. Ogni volta che l’aveva
fatto era stato un incubo.
La sua vita era un foglio bianco. Il tenente Lestrade che aveva fatto
visita in ospedale a Lily, non era riuscito a trovare traccia di lei da
nessuna parte. Niente certificati di nascita, niente documenti, solo il
suo nome, Lily. Lei non aveva aperto bocca e avevano attribuito il
tutto allo shock e contavano sul fatto che prima o poi qualcosa sarebbe
saltato fuori, sicuramente da lei stessa.
Tutta la sua vita era chiusa in un angolo della sua mente che raramente
visitava, ma che emergeva a volte nei suoi incubi.
Non voleva pensare, non voleva ricordare. Sentiva solo una gran rabbia
nel portare a galla i ricordi, così li aveva soppressi in
qualche recesso del suo subconscio. Erano lì, sopiti. Ma non
c’era motivo di svegliarli, nessuna voglia da parte sua.
Sembrava le fosse stata data una possibilità, qualcosa a cui
aggrapparsi. Quanto voleva la normalità. Ma da una parte
sentiva la dipendenza da quella che era prima, da quello che
l’aveva tenuta insieme anche se nel dolore e nella dipendenza
affettiva.
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Mary l’aveva portata a comprare nuovi vestiti, biancheria.
Era stata a tagliarsi i capelli, cosa che aveva sempre fatto da sola.
Ora non faceva altro che passarsi le mani nei capelli. Erano corti,
castani e non si ricordava quanto potessero essere morbidi.
I suoi pensieri erano stati interrotti da Mary, che portava altri biscotti
nonostante Lily non avesse toccato quelli che erano sul tavolino di
fronte a lei.
Mary aveva fatto finta di niente e si era seduta vicino a lei.
“Allora. Non ti piace il the? Se vuoi posso farti un
caffè”. Le aveva sorriso, materna. La piccola Rose
continuava a giocare indisturbata sul suo tappeto.
“Ehm…no grazie, il the va benissimo, mi ero solo
distratta. Avete una casa molto bella” aveva detto Lily in un
sussurro, stringendo le mani sulle ginocchia.
In quel momento, era rientrato John, con il latte e
un’altra busta del supermercato in mano. Si era bloccato per
pochi secondi sulla soglia, poi aveva sorriso ed esclamato:
“Buonasera!Tutto bene?”
“Certo, certo” aveva detto Mary sorridendo
“ora John potresti venire qui, così possiamo
parlare con Lily?”
“Arrivo subito, poso queste buste e sono subito da
voi”. Aveva cambiato espressione all’improvviso,
come se si stesse preparando ad affrontare un argomento serio.
Lily cominciava a sentirsi agitata e leggermente in ansia.
Avevano chiamato i
servizi sociali. Avevano chiamato la Polizia. Sarebbe andata in qualche
casa famiglia.
All’improvviso aveva sentito la mano fresca di Mary sulle
sue: “Non preoccuparti, Lily. Va tutto bene”.
Lily la guardava, guardava quei suoi occhi verdi e non sembrava
mentire. Aveva annuito leggermente, aspettando quello che le avrebbero
detto.
John aveva preso la parola per primo, con piglio sicuro.
“Dunque, Lily. Ti sei trovata bene qui?”
Lily aveva annuito sempre più nervosa
“Sì, benissimo, non so come ringraziarvi,
veramente. Io…non…” si era interrotta,
non sapendo cos’altro dire.
“Bene, ne sono felice” aveva sorriso John,
guardandola intensamente con i suoi occhi blu, facendola avvampare e
sentire a disagio “come ben sai, non ce la sentiamo di farti
dormire sul nostro divano, pensiamo che tu abbia bisogno di una
sistemazione più consona, dove tu possa sentirti a tuo agio,
più libera di fare quello che vuoi”.
Ecco. Il momento era
arrivato. Di nuovo sola, chissà dove.
“Ho un amico, si chiama Sherlock. Prima si sposare Mary
abitavo da lui, e si ritrova con una stanza vuota. E’
sicuramente un tipo un po’ particolare, molto eccentrico e
leggermente misantropo. Ma non cattivo, te lo assicuro. Vorrei, se tu
sei d’accordo, che ti trasferissi lì. Avresti la
tua stanza, i tuoi spazi e potresti ricominciare da capo. Sappiamo che
la tua situazione precedente non era delle migliori “ si era
fermato, per raccogliere la reazione di Lily, che si era stretta nelle
spalle diventando minuscola “e quando vorrai, potrai
parlarne. Ma per ora, vorremmo che tu accettassi questa
opportunità”. Si era fermato, aspettando la sua
reazione.
Lily era confusa. Questo era ben oltre la gentilezza, e non capiva
perché proprio lei. Perché tutta questa premura
nei suoi confronti. Lei non era niente in fondo. Nulla che meritasse
tutto questo. Si tormentava le maniche della sua felpa nuova, cercando
delle parole da dire. Non venivano fuori, riusciva solo ad arrossire e
cercava disperatamente di cacciare indietro le lacrime che le si
formavano in gola.
Poi aveva alzato gli occhi su John e Mary. La guardavano con il
più dolce dei sorrisi, soprattutto Mary. John non era il
tipo da tenerezze, la guardava solo intensamente, e sentiva quegli
occhi entrargli sotto la pelle.
Finalmente delle parole si facevano strada nella sua gola secca:
“Io….non so che dire, siete così
gentili con me ed io non so come ricambiare tutto
ciò…sono…non nascondo che sono
confusa. Mi avete raccolto da una strada e ora sono qui e
io… non so”.
John aveva appoggiato i gomiti sulle ginocchia e intrecciando le mani
aveva detto con voce calda e calma: “ Accetta e basta,
sarebbe la cosa migliore da fare per ringraziarci”. Aveva
detto queste parole con un’espressione seria, ma con un
angolo della bocca sorrideva leggermente.
“Lily” aveva esordito Mary, prendendole le mani e
stringendole forte “so che non sono cose che succedono
normalmente. Ma io ho una sensazione, qualcosa che mi dice che tu
dovevi essere salvata. E io lo vedo sai, nei tuoi occhi.
C’è paura, c’è dolore e
questo non posso accettarlo. Io ho una figlia” aveva guardato
Rose, ancora tranquilla intenta a giocare con i suoi giocattoli
“e tutto ciò mi tocca particolarmente. Accetta,
datti una possibilità. Ti prometto che non ti
succederà nulla”. Il suo sguardo era deciso.
Lily aveva guardato entrambi. John, leggermente imbarazzato, con la sua
tazza di the in mano intento a scrutarne l’interno. Mary con
le mani tra le sue, in attesa.
“Va bene” aveva sentito dire dalla sua voce
“grazie, grazie mille.”
Mary aveva sorriso e l’aveva abbracciata forte. John aveva
annuito, soddisfatto.
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Il “trasloco” sarebbe stato l’indomani.
Aveva solo una sacca con i suoi vestiti nuovi e basta.
Mentre cercava di dormire, immersa nell’oscurità
del salotto e nel silenzio della casa addormentata, pensava a cosa ne
sarebbe stato di lei. Come sarebbe andata, se finalmente
l’incubo era giunto alla fine. Non era abituata a pensare al
futuro, cercava di vivere alla giornata, non sapendo cosa sarebbe
accaduto.
Aveva molta paura. Il passato torna sempre, ti trova sempre. E se gli
avesse dato una possibilità? Se avesse cercato di non
tornare indietro, ma di andare avanti? Se fosse stata la sua occasione?
Il passato, la bestia nera. Si era toccata il labbro gonfio e
dolorante, il livido sotto l’occhio.
Sembravano urlare.
Torneremo.
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