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Autore: shezza_demon221    25/05/2016    1 recensioni
Tutto quello che so è una porta sul buio.
(Seamus Heaney)
L'arrivo inaspettato della misteriosa Lily porterà nuove vicissitudini al 211b di Baker Street.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Capitolo 2

Decisions decisions


Erano passate 12 ore e Lily sembrava stare meglio. Mangiava regolarmente, prendeva tutte le sue medicine e riposava, cosa che non faceva da moltissimo tempo. Mary era sempre lì con lei, e Lily aveva anche fatto la conoscenza di John e della piccola Rose, la loro bambina di appena sei mesi. Sembrava quasi fatto apposta, Lily e Rose. John era un medico, e Lily lo vedeva spesso al telefono a discutere con una persona non meglio identificata. Mary lo guardava e scrollava le spalle, arresa. Ma non le aveva mai detto niente a riguardo.

Un giorno era venuto a trovarla anche un certo Gregory Lestrade, un uomo alto e con i capelli leggermente grigi, dall’aria simpatica ma stanca. Voleva sapere di più sulla sua identità e su quello che era accaduto. Ma Lily era muta come un pesce e si era riuscito solo a capire che non aveva documenti con sé e a quanto pare era senza fissa dimora.

“Dovrei denunciare il fatto ai servizi sociali, invece di farla tornare non si sa dove, probabilmente dalla persona che l’ha ridotta in quello stato” sussurrò Lestrade a Mary e John fuori dalla stanza di Lily “se non riusciamo a capire chi è e da dove viene, l’istituto è l’unica soluzione”.

“Non pensarci neanche Greg!” aveva esclamato Mary “non posso accettare una cosa del genere, è una ragazza spaventata e non sa dove andare ed essere rinchiusa in un istituto potrebbe solo peggiorare la situazione! La prenderemo in custodia noi, finchè le cose non saranno migliorate”.

“E cosa vorresti fare, si può sapere?” aveva esclamato John incuriosito “ospitarla da noi, in quel buco di appartamento che abbiamo e con una bambina piccola?” aveva incrociato le braccia e inarcato le sopracciglia a mò di domanda.

Mary aveva pensato per qualche secondo. All’improvviso il suo viso si era illuminato e sorridendo aveva detto a John: “Io un’idea ce l’avrei”.

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Assolutamente no! Io sto bene da solo, non ho bisogno di compagnia!”

John doveva ringraziare Mary per avergli scaricato questa bellissima patata bollente. “Tu lo conosci e lo sai prendere, vedrai che un po’ di impegno riuscirai a convincerlo”

Sì certo, come no.

Sherlock Holmes era seduto sulla sua poltrona, le braccia incrociate sul petto, come un bambino capriccioso. I suoi occhi grigi guardavano John increduli e offesi, come se fosse stato oltraggiato.

“Io non sono il tipo che desidera compagnia” aveva osservato John che aveva corrugato la fronte, con espressione confusa “tranne la tua, certamente”. Le sue mani si erano alzate come per scacciare un pensiero fastidioso “non so neanche come vi sia potuto venire in mente, a voi due!”

John si aspettava una reazione del genere. Sherlock era il tipico misantropo chiuso in sé stesso, ma alla fine non era cattivo.
“Si tratta di ospitarla finchè non troverà una sistemazione sua, un posto nella società, non sappiamo molto di lei ma ti posso assicurare che non è un’assassina, né tantomeno una ladra o qualsiasi altra cosa del genere. Non so neanche io perché Mary si sia incaponita su questa faccenda, ma sai che quando si mette in testa una cosa è impossibile convincerla del contrario. Ti prego, solo per un po’ di tempo. La mia stanza al piano di sopra è vuota e tu comunque a casa non ci sei quasi mai, che fastidio può darti?”

Sherlock girava per la stanza, nervoso e indispettito, con i suoi riccioli neri disordinati, come se fossero nervosi anche loro. Ci mancava questa cosa tra capo e collo, e sapeva che non poteva rifiutare un favore a John, ma che diamine! Ospitare una sconosciuta a casa sua, senza sapere chi fosse e da dove venisse. E se veramente fosse stata una ladra, una spostata? Lui già sopportava a malapena la gente e il contatto umano. Come potevano chiedergli una cosa del genere?

“Sherlock,” aveva sussurrato John richiamando la sua attenzione, dopo aver seguito il suo moto nervoso attraverso la stanza per cinque minuti “potrebbe aiutarti con la casa, prepararti da mangiare” aveva azzardato, sperando di non finire all’inferno per quella considerazione vagamente sessista.

“Io non mangio mai” aveva risposto Sherlock secco “e non mi serve una balia”.  Aveva girato le spalle a John.

“Te lo chiedo da amico. Ti giuro che andrà bene, e se qualcosa dovesse andare storto ti prometto che si troverà subito un'alternativa. Per favore, è una ragazza che ne ha passate un bel po’ a quanto pare, merita una possibilità, un qualcosa di normale”. John aveva alzato gli occhi al cielo, pensando che una convivenza con Sherlock poteva essere tutto tranne che tranquilla.

Sherlock aveva chiuso gli occhi, le labbra stretta in una linea sottile e con un sospiro plateale, si era girato verso John e con molta calma aveva detto: “ E va bene. Ma non deve toccare i miei esperimenti, né ficcare il naso tra le mie cose. Questi sono compromessi tassativi”.

John aveva sorriso, sollevato: “Grazie Sherlock. Vedrai che andrà bene”.

“Sì, sì certo. Ora vattene, ho da fare delle cose molto importanti e non voglio essere disturbato”.

John aveva alzato gli occhi al cielo, esasperato e divertito: “Va bene me ne vado. Buona giornata e buon…qualunque cosa tu debba fare”. Soffocando una risata era uscito dall’appartamento.

Sherlock aveva sbuffato, e tirato un piccolo calcio alla poltrona vicino al caminetto.

Uscito dal portone del 221b di Baker Street John aveva preso il cellulare in  mano e digitato un messaggio per Mary.

Ha accettato, con ben poco entusiasmo. Spero vivamente che la tua idea abbia successo, altrimenti me la farà pagare per il resto dei miei giorni. E non sarà affatto divertente.

La risposta di Mary era arrivata pochi minuti dopo.

Andrà tutto bene, vedrai. Ho un buon presentimento. Ci vediamo a casa, mentre torni prenderesti il latte?

John si era incamminato verso la metropolitana. Questa cosa del latte lo perseguitava, non importa dove andasse a vivere.

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Lily era seduta sul divano di casa Watson, rigida e tesa come una corda di violino. Sul tavolino davanti a sé era poggiata una tazza di the fumante e un piatto di biscotti, ma non aveva il coraggio di toccarli. Aveva paura di creare qualche disastro, di far cadere qualcosa e di rovinare il bel tavolino laccato. Da quanto non vedeva una vera casa, un vero salotto con le tende alle finestre, quadri e foto ai muri. Da quanto non sentiva odore di pulito, di casa, di fiori freschi.

La cosa che più la agitava era la bambina seduta sul tappeto davanti alla TV, che nonostante i giochi e le costruzioni che la circondavano, la guardava fissa, senza distogliere lo sguardo da lei. Indagando e probabilmente chiedendosi chi fosse la sconosciuta che era seduta sul divano come una statua di sale. Mary era in cucina a sbrigare non sapeva cosa ma sarebbe arrivata a momenti, e sarebbe arrivato anche John per parlare della sua “nuova sistemazione”, di cui lei naturalmente non sapeva nulla.

Non ci avrebbe messo niente a scappare, ad alzarsi dal divano e con passo felpato raggiungere la porta per chiuderla lentamente dietro di sé. Ma qualcosa la fermava, la ancorava a quel divano. Forse era paura, forse istinto di sopravvivenza, forse gratitudine per quelle due persone che si erano fidate di lei a prescindere, facendola dormire sul loro divano, nella loro casa. Accogliendola come una conoscente, un ospite, un’amica. Lily non capiva come questo fosse possibile, come fosse possibile che ancora ci fosse del buono a questo mondo. Lei che del mondo aveva visto ben poco e quel poco era stato devastante, orribile, crudele e doloroso.
La mano le era andata automaticamente al labbro inferiore dove il taglio ancora le faceva male. Il solo contatto le fece ricordare il pugno che l’aveva colpita, i lampi di luce che le erano scaturiti negli occhi e nel cervello facendola barcollare e cadere per terra. Per quale motivo poi. Per quale motivo erano continuati i calci sulla schiena, sulla testa e sulle spalle.

Lily aveva stretto gli occhi, cercando di fermare il bruciore dietro le palpebre. Aveva cominciato a sudare e lo stomaco le si contorceva per la paura e la vergogna. Sapeva che erano a conoscenza anche della violenza. Avevano saputo tutto, perché John era un dottore e in ospedale l’avevano fatta stendere su quel lettino con le gambe divaricate e avevano frugato dentro di lei, cercando quello che poi avevano trovato. E aveva sentito vergogna e dolore e nausea.

Lo vedeva negli occhi di Mary, dopo che John l’aveva presa da parte per dirle quello che lei già sapeva. La mano di Mary sulla bocca, lo sguardo incredulo e spaurito che si era immediatamente focalizzato su di lei, pieno di compassione. Lily odiava la commiserazione, ma sapeva anche che non era voluta, era una reazione naturale. E aveva fatto finta di non vedere, aveva fatto finta di non ricordare quello che era successo quella notte e che probabilmente era successo altre volte, solo che lei non ricordava perché era troppo intontita dal dolore, dal veleno che le scorreva nelle vene, dalla disperazione che la portava a fare certe cose, dalla dipendenza che aveva verso il suo aguzzino, perché lei non voleva rimanere sola, non voleva morire.

Tutti questi pensieri le si erano riversati nella mente come un fiume in piena e aveva sentito una lacrima calda rotolarle giù per la guancia, ma aveva prontamente alzato la mano per asciugarla perché non doveva piangere. Ogni volta che l’aveva fatto era stato un incubo.
La sua vita era un foglio bianco. Il tenente Lestrade che aveva fatto visita in ospedale a Lily, non era riuscito a trovare traccia di lei da nessuna parte. Niente certificati di nascita, niente documenti, solo il suo nome, Lily. Lei non aveva aperto bocca e avevano attribuito il tutto allo shock e contavano sul fatto che prima o poi qualcosa sarebbe saltato fuori, sicuramente da lei stessa.
Tutta la sua vita era chiusa in un angolo della sua mente che raramente visitava, ma che emergeva a volte nei suoi incubi.

Non voleva pensare, non voleva ricordare. Sentiva solo una gran rabbia nel portare a galla i ricordi, così li aveva soppressi in qualche recesso del suo subconscio. Erano lì, sopiti. Ma non c’era motivo di svegliarli, nessuna voglia da parte sua. Sembrava le fosse stata data una possibilità, qualcosa a cui aggrapparsi. Quanto voleva la normalità. Ma da una parte sentiva la dipendenza da quella che era prima, da quello che l’aveva tenuta insieme anche se nel dolore e nella dipendenza affettiva.

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Mary l’aveva portata a comprare nuovi vestiti, biancheria. Era stata a tagliarsi i capelli, cosa che aveva sempre fatto da sola. Ora non faceva altro che passarsi le mani nei capelli. Erano corti, castani e non si ricordava quanto potessero essere morbidi.

I suoi pensieri erano stati interrotti da Mary, che portava altri biscotti nonostante Lily non avesse toccato quelli che erano sul tavolino di fronte a lei.
Mary aveva fatto finta di niente e si era seduta vicino a lei.

“Allora. Non ti piace il the? Se vuoi posso farti un caffè”. Le aveva sorriso, materna. La piccola Rose continuava a giocare indisturbata sul suo tappeto.

“Ehm…no grazie, il the va benissimo, mi ero solo distratta. Avete una casa molto bella” aveva detto Lily in un sussurro, stringendo le mani sulle ginocchia.

In quel momento, era rientrato John, con il latte e un’altra busta del supermercato in mano. Si era bloccato per pochi secondi sulla soglia, poi aveva sorriso ed esclamato: “Buonasera!Tutto bene?”

“Certo, certo” aveva detto Mary sorridendo “ora John potresti venire qui, così possiamo parlare con Lily?”

“Arrivo subito, poso queste buste e sono subito da voi”. Aveva cambiato espressione all’improvviso, come se si stesse preparando ad affrontare un argomento serio.

Lily cominciava a sentirsi agitata e leggermente in ansia.

Avevano chiamato i servizi sociali. Avevano chiamato la Polizia. Sarebbe andata in qualche casa famiglia.

All’improvviso aveva sentito la mano fresca di Mary sulle sue: “Non preoccuparti, Lily. Va tutto bene”.

Lily la guardava, guardava quei suoi occhi verdi e non sembrava mentire. Aveva annuito leggermente, aspettando quello che le avrebbero detto.

John aveva preso la parola per primo, con piglio sicuro.

“Dunque, Lily. Ti sei trovata bene qui?”

Lily aveva annuito sempre più nervosa “Sì, benissimo, non so come ringraziarvi, veramente. Io…non…” si era interrotta, non sapendo cos’altro dire.

“Bene, ne sono felice” aveva sorriso John, guardandola intensamente con i suoi occhi blu, facendola avvampare e sentire a disagio “come ben sai, non ce la sentiamo di farti dormire sul nostro divano, pensiamo che tu abbia bisogno di una sistemazione più consona, dove tu possa sentirti a tuo agio, più libera di fare quello che vuoi”.

Ecco. Il momento era arrivato. Di nuovo sola, chissà dove.
“Ho un amico, si chiama Sherlock. Prima si sposare Mary abitavo da lui, e si ritrova con una stanza vuota. E’ sicuramente un tipo un po’ particolare, molto eccentrico e leggermente misantropo. Ma non cattivo, te lo assicuro. Vorrei, se tu sei d’accordo, che ti trasferissi lì. Avresti la tua stanza, i tuoi spazi e potresti ricominciare da capo. Sappiamo che la tua situazione precedente non era delle migliori “ si era fermato, per raccogliere la reazione di Lily, che si era stretta nelle spalle diventando minuscola “e quando vorrai, potrai parlarne. Ma per ora, vorremmo che tu accettassi questa opportunità”. Si era fermato, aspettando la sua reazione.

Lily era confusa. Questo era ben oltre la gentilezza, e non capiva perché proprio lei. Perché tutta questa premura nei suoi confronti. Lei non era niente in fondo. Nulla che meritasse tutto questo. Si tormentava le maniche della sua felpa nuova, cercando delle parole da dire. Non venivano fuori, riusciva solo ad arrossire e cercava disperatamente di cacciare indietro le lacrime che le si formavano in gola.
Poi aveva alzato gli occhi su John e Mary. La guardavano con il più dolce dei sorrisi, soprattutto Mary. John non era il tipo da tenerezze, la guardava solo intensamente, e sentiva quegli occhi entrargli sotto la pelle.

Finalmente delle parole si facevano strada nella sua gola secca: “Io….non so che dire, siete così gentili con me ed io non so come ricambiare tutto ciò…sono…non nascondo che sono confusa. Mi avete raccolto da una strada e ora sono qui e io… non so”.

John aveva appoggiato i gomiti sulle ginocchia e intrecciando le mani aveva detto con voce calda e calma: “ Accetta e basta, sarebbe la cosa migliore da fare per ringraziarci”. Aveva detto queste parole con un’espressione seria, ma con un angolo della bocca sorrideva leggermente.

“Lily” aveva esordito Mary, prendendole le mani e stringendole forte “so che non sono cose che succedono normalmente. Ma io ho una sensazione, qualcosa che mi dice che tu dovevi essere salvata. E io lo vedo sai, nei tuoi occhi. C’è paura, c’è dolore e questo non posso accettarlo. Io ho una figlia” aveva guardato Rose, ancora tranquilla intenta a giocare con i suoi giocattoli “e tutto ciò mi tocca particolarmente. Accetta, datti una possibilità. Ti prometto che non ti succederà nulla”. Il suo sguardo era deciso.

Lily aveva guardato entrambi. John, leggermente imbarazzato, con la sua tazza di the in mano intento a scrutarne l’interno. Mary con le mani tra le sue, in attesa.

“Va bene” aveva sentito dire dalla sua voce “grazie, grazie mille.”

Mary aveva sorriso e l’aveva abbracciata forte. John aveva annuito, soddisfatto.

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Il “trasloco” sarebbe stato l’indomani. Aveva solo una sacca con i suoi vestiti nuovi e basta.

Mentre cercava di dormire, immersa nell’oscurità del salotto e nel silenzio della casa addormentata, pensava a cosa ne sarebbe stato di lei. Come sarebbe andata, se finalmente l’incubo era giunto alla fine. Non era abituata a pensare al futuro, cercava di vivere alla giornata, non sapendo cosa sarebbe accaduto.
Aveva molta paura. Il passato torna sempre, ti trova sempre. E se gli avesse dato una possibilità? Se avesse cercato di non tornare indietro, ma di andare avanti? Se fosse stata la sua occasione?

Il passato, la bestia nera. Si era toccata il labbro gonfio e dolorante, il livido sotto l’occhio.

Sembravano urlare.

Torneremo.
  
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